Archivi categoria: Usi e Tradizioni
Descrizioni sugli usi e tradizioni della zona di Micciano.
STATUTI DI MICCIANO 1473
A cura di A. Merlini.
Nella precedente edizione della Comunità di Pomarance fu pubblicata, a cura del Sig. Mazzinghi Geom. Edmondo, la Storia di Pomarance dalle origini ai primi anni del 1900.
L’Associazione Turistica in questa nuova edizione ha deciso di continuare a scrivere la Storia di Pomarance allargando lo sguardo a tutto il territorio circostante, e per fare ciò saranno pubblicati documenti inediti che si trovano per lo più presso /’Archivio Storico Comunale.
In considerazione della difficoltà di lettura, e pensando specialmente ai ragazzi delle scuole che potranno così ricercarci date e notizie utili all’apprendimento della Storia del territorio, i documenti pubblicati saranno corredati da ampie note e spiegazioni:
Il primo documento che viene pubblicato sono gli “STATUTI DI MICCIANO’’ del 1473.
CENNI STORICI SU MICCIANO
□ La leggenda fa risalire l’origine di Micciano ad un certo MITIUS, legionario romano e veterano di molte guerre, che a seguito della Legge Julia, voluta da Giulio Cesare nel 59 A.C., ebbe in assegnazione il territorio dove oggi sorge l’abitato con i confinanti terreni in parte incolti ed in parte coperti di boschi.
Il documento più vecchio in cui si parla di Micciano si trova nell’Archivio Vescovile di Volterra e risale al 947, allorché il Vescovo Bosone concesse l’investitura di Piovano al Prete Giovanni di Giovanni ed al Diacono Pietro di Rutilio.
Ritroviamo il nome di Micciano nel 1014 in un privilegio imperiale con il quale l’imperatore Arrigo l°, fra le altre chiese e possessi, concede ai Monaci di S. Pietro a Monteverdi anche Micciano con la sua corte e con tutti i beni in essa esistenti.
Nel 1176 il Papa Alessandro III0 con una sua bolla conferma la donazione a favore della Badia di S. Pietro in Monteverdi.
Nel 1186 Micciano e la sua corte viene in possesso del Vescovo di Volterra Ildebrando dei Pannocchieschi grazie ad un diploma, datato 28 Agosto, ed inviatogli da S. Miniato dall’imperatore tedesco Enrico IV°.
Il 17 febbraio 1203 gli uomini di Micciano giurano obbedienza al Comune di Volterra nelle mani del Potestà Ranieri di Montespertoli.
Il 27 agosto 1208 ha luogo la formale cessione di Micciano ai Consoli di Volterra da parte dell’Abate del monastero di Monteverdi. Durante la lotta tra il Vescovo di Volterra, Galgano Pannocchieschi, ed il Comune, Micciano risulta essere fortificato.
Nel 1288 troviamo che il Castello di Micciano era tassato dal Comune di Volterra per £. 3.400 l’anno.
Nel 1356 la Chiesa di Micciano è designata Matrice di cinque cure succursali oltre a due spedali.
nel 1411 negli Statuti di Volterra si trova il Castello di Micciano fra quelli nei quali rendeva giustizia un giudice civile eletto dal Magistrato civico di Volterra.
Nel 1472 a seguito della guerra delle miniere tra Volterra e Firenze, Micciano passa sotto la giurisdizione civile e criminale di Pomarance divenuto Capoluogo del Vicariato della Val di Cecina che oltre a Micciano comprendeva Libbiano, Montecerboli, Montegemoli, Sasso, La Leccia, Querceto, Gello, Mazzolla e Montecastelli.
STATUTI DI MICCIANO anno 1473
PROHEMIO
Adlaude et gloria et honore dello innipotente et clemente Iddio e della sua gloriosa madre vergine maria et del beato messer (1) San Giovanni babtista et di Messere San Michelagnolo, et generalmente di tutta la celestal corte del paradiso, et ad honore et gloria et magnificentia del magnifico et potente popolo fiorentino et ad perpetua pace di tutti li homini del comune di Miccano.
Questi sono gli statuti et ordinamenti del comune di Miccano di valdicecina coaderenti e distretto di Firenze, facti et ordinati per li prudenti et discreti Huomini, Lorenzo di baiardo et hic (2) di Giannone amendue del comune predetto aventi piena auctorita e balia (3) di poter ordinare, statuire e riformare il detto commune come pare epiace loro sotto gliannj del nostro signor Jesus MCCCCLXXIIJ in dictione settima e quali statuti sono questi cioè.
NOTE
- Messer, Messere : Anticamente Mio Sire, Mio Signore, o francesamente Monsignore. Titolo dato ai grandi ed ai prelati sino al Secolo XVI °.
- Hic : Questo, cioè Lorenzo di Baiardo e Lorenzo di Giannone.
- Balia : Dal latino potestas che significa autorità, potere, signoria, potestà assoluta.
PROEMIO
EZ Ai giorni di oggi l’introduzione è normalmente una breve presentazione fatta dall’Autore o da altra persona per presentare un libro. Negli anni in cui furono scritti questi Statuti, cioè la legge fondamentale con la quale si regge e governa uno Stato, il Proemio era prima di tutto una parte integrante dell’opera, poi era una esplicita manifestazione di riverenza ai Santi patroni del luogo e della città di Firenze e di obbedienza al popolo fiorentino.
L’invocazione ai santi inizia sempre con Dio quale supremo reggitore dell’universo, e la “sua gloriosa madre Vergine Maria” a significare quanto grande fosse il culto per la Madonna fra il popolo, anche se bisognerà arrivare all’anno 1854 perchè la Chiesa proclami il dogma della Immacolata Concezione.
In secondo luogo, e non a caso, ma sempre come segno di riverenza e sottomissione, prima viene invocato San Giovanni Battista patrono di Firenze la cui festa si celebra il 24 Giugno, poi San Michelagnolo (San Michele Arcangelo) patrono di Micciano che viene festeggiato il 29 Settembre.
Il segno di riverenza ed obbedienza al popolo fiorentino è dato dalia frase “ad honore et gloria et magnificentia del magnifico e potente popolo fiorentino” che vuol dire che ciò che stavano per fare era prima di tutto per onore e gloria ecc. ecc. del popolo fiorentino ed in secondo del popolo di Micciano.
A questo punto è doveroso notare che ci riferiamo ancora al “Popolo Fiorentino” in quanto nel 1473, nonostante l’avvento di Lorenzo dei Medici (1469) sembrava ancora che il possessore del potere fosse il popolo.
Nel secondo capoverso del Proemio è doveroso far notare come ancora viene specificata la sudditanza di Micciano a Firenze con la parola “Coaderenti” (persone che diano la ioro adesione alle stesse correnti di pensiero e di azione) e “distretto” di Firenze (territorio compreso nella giurisdizione militare e civile di Firenze).
Un altro punto degno di nota è la frase “in dictione settima”perchè denota che anche se nella prima parte si fa riferimento al popolo fiorentino nel conteggio di quando furono scritti gli Statuti ci si riferisce al momento in cui (1469) Lorenzo dei Medici diviene capo della sua famiglia, segno questo che oramai il potere di Lorenzo si era già affermato.
“In dictione settima” vuol dire più precisamente: «durante il periodo in cui avevano diritto di parlare gli eletti per la settima volta dal giorno in cui Lorenzo dei Medici divenne capo della sua famiglia e quindi di Firenze (1469)». Dal momento che le nomine venivano normalmente fatte nei mesi di Giugno e Dicembre, si avrebbe: fino al Dicembre 1469 quelli che erano già in carica all’avvento di Lorenzo dei Medici; due elezioni nel 1470; due elezioni nel 1471; due elezioni nel 1472;
ed infine una, la settima, nel 1473.
PROHEMIO
DELLA ELECTIONE DI TUTTI GLUFFICI Imprima acciocché al Comune e homini di Miccano sieno bene et utilmente governati e che sulle faccende del Comune habbino ad operare essi detti statutari^ ordinorono, providono, statuirono et deliberemo che per lo advenire ogni sei mesi il consolo o vero vicario del detto comune sia tenuto e debbi almeno per otto dì innanzi la fine del suo ufficio alla pena di soldi venti da essere condennato di facto, ragunar nella casa del detto comune di Miccano uno homo per ciascuna casa o vero famiglia di detto Comune et a quelli così raunati proporre di doversi eleggere un nuovo consolo o vero vicario et uno consiglieri et uno Camarlingo equali così electu habbino assuccedere allufficio passato et così electi si debbino mettere a partito ciascuno di per se et quelli che rimarranno, cioè che sivincera per partito, quelli sintendino essere veramente et iuridicamente electi, e quelli così electi habbino auctorita, potestà et balia, cioè electi consolo consiglieree Camarlingho di poter fare et exercitare tutte le faccende e cose appartenenti al detto Commune e mandare ambasciatori porre datij preste, et ogni altra gravezza per poter pagare il vicario di Ripamarranci, et il cero di santo Giovanni, o, Signori Fiorentini, et tutto quello che intorno alle predette cose sarà fatto per li sopradetti Consolo, consiglieri e Camarlingho o due diloro dacordo vagli e tengha si come fossi facto per tutto il detto Commune, et il loro ufficio duri mesi sei et non più et habbino in detto tempo per loro salario dello havere et pecunia del detto Commune soldi XX per uno et habbino divieto ciacsuno di loro almeno un anno dal dì che haranno diposto lufficio et non possi scambiare el padre el figliolo et exverso helino fratello l’altro ne el zio el nipote et exverso, intendendosi detti parentadi per linea maschulina, et sieno tenuti et debbino fare scrivere tuute lopere et meriti et altre spese di Commune che si facessino alloro tempo et nel fine delloro ufficio farele stanziare in Commune, se il Camarlingho pagera alcuna spesa prima stanziai sintendi pagherà di suo proprio.
PROEMIO
DELLA ELEZIONE DELLE CARICHE PUBBLICHE
In questo capitolo vengono stabilite dettagliatamente tutte le regole che devono essere applicate per la elezione delle cariche comunali affinchè non vi sia alcuna possibilità di errore.
La prima regola è che il Console in carica, almeno 8 giorni prima della fine del suo mandato di 6 mesi, riunisca nella Casa del Comune un uomo per ogni famiglia o casa esistenti nel Comune per proporre loro la nuova elezione di un Console o Vicario, di un Consigliere e di un Camarlingho (Cassiere).
La dimostrazione dello stato di incertezza che regnava nel 1473 è dimostrata ancora una volta dalle parole “Console o Vicario” poiché Console è il magistrato degli antichi comuni italiani, mentre Vicario è colui che esercita la autorità nel nome dell’imperatore.
Le cariche venivano fatte dal popolo rappresentato in questo caso dai capi famiglia.
La mancata convocazione di quella che potremmo chiamare Assemblea Popolare comportava per il Console o Vicario in carica la multa di 20 soldi, praticamente tutto il suo stipendio. Una volta effettuata la nomina, gli eletti avevano il massimo potere e le loro decisioni prese con la maggioranza dei due terzi erano vincolanti per tutti. Essi potevano imporre dazi, prestiti ed ogni altro tipo di imposte per ricavare le cifre occorrenti per le spese comunali, il Vicario di Ripamarranci ed il Cero che ogni Comune doveva portare a Firenze per la festa di S.Giovanni.
Gli eletti erano ricompensati con 20 soldi, e non potevano essere rieletti subito ma bensì solo dopo un anno. Non potevano passare la carica al figlio o ad altro parente maschio. Dovevano trascrivere tutto ciò che veniva fatto affinchè il loro operato potesse essere facilmente controllato.
Ultima annotazione di questo capitolo, ma non certamente la minore, è il fatto che chi ricopriva cariche pubbliche pagava in proprio gli errori o le mancanze commesse, vedasi il caso del Camarlingho a cui veniva addebitata ogni spesa effettuata se prima la somma non era stata stanziata.
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.