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Descrizione, notizie ed eventi sul borgo di Serrazzano.
IL FRASSINE
SASSO PISANO
RACCOLTA FOTO SERRAZZANO
MACCARI ALESSANDRO
RACCOLTA FOTO SASSO PISANO
MACCARI ALESSANDRO
SERRAZZANO DALLE BELLE CHIESE
la Rocca longobarda e l’Oratorio fuori le mura.
di Claudia Vailini
Serrazzano fu rocca longobarda come ancor oggi è palesato dalla configurazione urbanistica del suo castello, fortificato da una solida e compatta cinta muraria. Proprio nel punto più alto del castello, i Longobardi, convertitisi al cattolicesimo nel corso del 600, eressero un piccolo tempio intitolato a San Michele Arcangelo, come molti altri edifici religiosi sorti in epoca longobarda nel territorio che corrisponderà, poi, alla diocesi volterrana antica.
E i “Lambardi”, signorotti locali che avevano mutuato il nome e il potere dai loro antenati longobardi, intorno al Mille, avevano ancora la reggenza di quel comunello rustico che era allora Serrazzano dove i pochi abitanti sfruttavano in comune i prodotti dei campi e dei fitti boschi.

Sembra proprio essere stato un lambardo di Serrazzano, tal Gherardo del fu Pagano che donò al monastero di San Pietro in Palazuolo di Monteverdi l’usufrutto della sua porzione della chiesa edificata dentro il castello di Serrazzano, il cui vocabolo è del Santo Angelo (1), eccetto il pezzo di terra che egli aveva donato precedentemente alla chiesa di San Donato edificata sotto la stessa corte e in prossimità del castello.
Il documento, stilato il 5 marzo 1102 e conservato nell’Assegnatario Diplomatico della Città di Massa Marittima,
evidenzia l’esistenza di due chiese: quella “privata” di San Michele nel castello di proprietà del signore e quella di San Donato fuori le mura appartenente al popolo, con funzione di chiesa parrocchiale avendo il fonte battesimale e la facoltà di amministrarvi gli altri sacramenti. Una vera e propria piccola pieve, dunque, sita in campagna come le pievi antiche, ma vicina al castello, di cui risulterebbe addirittura anteriore e quindi premillenaria (2). La piccola chiesa sarebbe stata, proprio come le pievi, matrice, cioè madre, della chiesa nel paese e, come risulta dalle relazioni delle visite pastorali (3), non prima del 1414 sarebbe avvenuto il trasferimento del titolo curato dalla chiesetta di San Donato a quella entro le mura, la quale mutò il titolo di San Michele in quello di San Donato vescovo, titolo che tuttora mantiene; la chiesetta, invece, fu intitolata a Sant’Antonio abate anche se, per una sovrapposizione di culti, è Sant’Antonio da Padova che oggi, e da due secoli almeno, vi si onora (4).

Senza dubbio, particolari sono il ruolo e la funzione della chiesetta di Sant’Antonio, nei primi secoli del Mille: essa come scrive Mons. M. Bocci cit. “forse spettava, come una buona parte del territorio di Serrazzano, alla pieve di San Giovanni di Lustig nano: ce lo testimonia il libro dei diritti vescovili in cui si afferma che l’episcopato volterrano, ogni anno, raccoglie la debita decima di quanto nasce e si raccoglie nel castello di Serrazzano che è distretto e cura della pieve di Morba, ma delle terre di Catignano e Corpolla raccoglie solo tre parti e il quartese spetta al pievano di Lustig nano; nella contrada poi di Mugnano e della Ficaiola soltanto la metà’’.
La pieve di Lustignano, oggi podere San Giovanni, si trovava al confine della diocesi di Volterra con quella di Massa e fu sovente oggetto di contestazioni territoriali riguardanti le parrocchie da lei dipendenti coi loro rispettivi poderi o appezzamenti terrieri: la chiesetta di Sant’Antonio, vicina alla pieve di Lustignano, dunque poteva stabilire una sorta di limite territoriale non solo della pieve di Bagno a Morba ma addirittura di tutta la diocesi volterrana antica tenendo di conto che, in certi periodi la pieve di Lustignano appartenne alla diocesi di Massa Marittima. La chiesetta, inoltre, fu dotata per secoli di ius baptezandi, proprio perché “i vescovi avevano promosso al servizio battesimale anche chiese minori per impedire la tentazione di passare i confini parrocchiali e a scoraggiare ingerenze politiche e religiose’’ (5).
Di fatto, la relazione della visita pastorale del 5 dicembre 1477 registra la chiesa fuori castello ancora come parrocchiale e la dice di collocazione vescovile, avente come rettore Ser Batista de Regno: “tale chiesa è fuori castello… ha funzione battesimale per antica consuetudine, tuttavia non detiene la facoltà di benedire il fonte, ma il rettore va a benedire l’acqua alla pieve di Morba da dove la porta alla sua chiesa e lì battezza”. Dallo stesso documento sappiamo che a causa delle guerre la parrocchiale fuori paese non era allora officiata, che nessuno vi risiedeva e che, a servire da parrocchiale, era la chiesa nel castello la quale “era bene fondata, constructa et coperta…”, ma solo nel 1576 la visita apostolica censisce, finalmente, la chiesa parrocchiale nel castello di Serrazzano, patrono il popolo, con 70 anime a Comunione.

MILLE ANNI MA NON LI DIMOSTRA!
Che l’edificazione dell’oratorio possa risalire a prima del Mille sembra essere avvalorata dall’osservazione della sua particolare architettura: “L’oratorio di Sant’Antonio è, per me e senza timore di smentita, l’edificio di culto più antico esistente nelle colline metallifere, a cavallo della Val di Cecina e della Val di Cornia. Si tratta di un edificio protoromanico attribuibile almeno all’inizio dell’undicesimo secolo, però in base alla scoperta di edifici con particolari stilistici simili in Corsica, si può farlo risalire alla fine del 900. Questa sicurezza mi deriva dall’osservazione del paramento murario, perfettissimo per tecnica: non si nota segno di leganti ed è eseguito in grosse bozze d’arenaria perfettamente squadrate e sovrapposte. Anche la finestrella, a doppia strombatura, dell’abside semicircolare non ha simili in tutta la zona, ma soprattutto degno di nota è il portale con la sua architrave monolitica, in pietra, di forma trapezoidale, di gusto e tecnica definita barbarica, molto comune nei monumenti ad esso contemporanei venuti alla luce in Corsica.
Nella parte superiore della facciata, nel secolo scorso, è stata aperta una finestrella rettangolare al posto della finestra originale, di cui si vede l’architrave intonata al disegno del portale e sopra è un piccolissimo campanile a vela. Si notano dei risarcimenti sulla parete laterale destra fatti in epoca antica.
L’oratorio sorge in aperta campagna vicino a edifici rurali di molto posteriori (circa XVIII see). La sua presenza dimostra che anche nell’antichità là doveva esistere un centro rustico probabilmente precedente al consolidarsi dell’attuale castello di Serrazzano…”
Così scrivono gli architetti G. Evangelisti e M. Giachetti, nella relazione storico-tecnica depositata presso la Soprintendenza alle Belle Arti di Pisa, datata 1975, due anni prima dell’esecuzione dei lavori di restauro che hanno ripristinato questo piccolo gioiello di architettura.
La datazione premillenaria dell’oratorio sembrerebbe così essere comprovata sia dal documento del 1102 in cui esso già risultava oggetto di lasciti testamentari sia dalla sua struttura architettonica, ma forse, solo uno studio comparato dei simili edifici sacri della Corsica e del nostro oratorio, potrebbe far luce sull’origine di quest’ultimo e sulla sua originalità architettonica rispetto alle chiese sue contemporanee sopravvissute sul nostro territorio. Il riferimento alla Corsica aumenta la curiosità riguardo la committenza dell’oratorio e la provenienza delle maestranze che lo costruirono. Viene immediatamente da pensare al ruolo che potrebbe aver avuto, in tale realizzazione, la Badia benedettina di Monteverdi, importante punto di incontro e di scambio di quella religiosità monastica che fece pullulare, già prima del Mille, il litorale toscano e le isole dell’arcipelago di monasteri e abbazie coi connessi edifici di culto. Di fatto, la Badia di Monteverdi ebbe come su altri castelli limitrofi, una certa influenza anche su Serrazzano e sui suoi lambardi: già nel 1102 la Badia riceve da Gherardo del fu Pagano i proventi dei suoi beni in Serrazzano e tale influenza deve essere durata almeno fino al 1208 quando l’abate di Monteverdi, Ranieri, cedette ai consoli del Comune di Volterra, al quale Serrazzano aveva giurato fedeltà nel 1204, la giurisdizione che l’abbazia vantava sul castello, con l’impegno da parte del Comune di Volterra di rispettare il monastero e di non imporre ai serrazzanini oneri maggiori rispetto a quelli dei volterrani.
Comunque, indipendentemente da chi e da come, l’oratorio sorse prima che Serrazzano fosse circondato da mura castellane e prima della chiesa del castello; sorse dove taluni (6) collocano un insediamento abitativo romano, attestato da reperti archeologici che vanno dal 11° see. a.C. al III0 see. d.C. Era questo uno dei nuclei abitativi che si trovavano proprio sul tracciato della vecchia via etrusco romana che partiva da Volterra, scendeva a Scornello, portava alla Maltagliata e, dopo essersi incrociata con la via del Secolo presso la fonte della Ficaiola, arrivava a Montingoli, puntava su Serrazzano e proseguiva in direzione dell’oratorio di Sant’Antonio e scendendo poi ai Lagoni di Serrazzano, portava, oltrepassando il bivio per la pieve di San Giovanni di Lustignano, al guado del Cornia per raggiungere poi la Maremma. La viottola acciottolata ed ora sconnessa del Perticone che porta da Serrazzano a Sant’Antonio costituisce uno dei pochi tratti ancora leggibili di questa antica strada di montagna che era sempre molto importante nel Medioevo secondo un documento del 1274, e ancora battuta fino

Oratorio di S.Antonio: interno dell’abside (foto Maurizio Biondi) ad una cinquantina d’anni fa: “Questa strada veniva chiamata la volterrana, era larga circa un metro e mezzo, in alcuni punti più scoperti come alla Fonte della Ficaiola si vedono ancora i pietroni per non rimanere infangati, perché era una mulattiera attraverso la macchia e serviva per gli spostamenti col ciuco o col cavallo e per il trasporto di legna o carbone a basto di mulo: ci passavano tagliatori, carbonai e minatori, ora è usata solo in qualche tratto dai cacciatori”.
Tale via era uno dei tanti tracciati di quel fascio di itinerari che fu la Via Maremmana, congiungente Volterra a Populonia, la cui “arteria” principale passava presso Le Casarse, poco distante quindi da Montingoli e dalla via volterrana: due importanti vie attraversavano dunque il territorio presso le località, interessanti per i materiali archeologici, di Collenne, Sant’Apollinare e il Casettone dal cui Poggio nasce il torrente Turbone intorno alla cui sorgente e ai suoi fertili terreni sembra essere sorto un remotissimo insediamento villanoviano.
L’OSPEDALE SULLA VIA VECCHIA DI CORNIA
Se è difficile seguire la storia dell’oratorio di Sant’Antonio per le sue molte variazioni di titolo, altrettanto confusa, anche se degna di ulteriori approfondimenti, è la documentazione riguardante l’ospedale di Serrazzano che viene citato col nome di San Michele come la chiesa del castello, altre volte con quello di Sant’Antonio di Vienne e addirittura con quello di Santa Maria Maddalena dal titolo di un romitorio, di cui oggi si è persa del tutto la memoria.
Mons. M. Cavallini (7) faceva risalire al 1264, cosa rara per l’epoca, il sorgere dell’ospedale di San Michele in Serrazzano sbagliando, però, la cronologia dell’atto secondo cui “Vanni fu Piglino spidalerius hospitalis de Serazano” affittò una casa vescovile nel borgo della Leccia. Quella sopra riportata, è l’interessante tesi di Mons. Bocci secondo cui chi affittò quella casa fu Paolo, pievano di Lustignano, vicario di Filippo Beiforti che fu vescovo di Volterra dal 1348 al 1358. Quindi il sorgere dell’ospedale di Serrazzano non fu anteriore al primo Trecento. In quel periodo, secondo Mons. Bocci, i frati di Sant’Antonio di Vienne (8) che avevano casa madre a Volterra, avrebbero ottenuto di collocare un loro ospizio, non nel castello, ma presso la chiesetta fuori le mura, sulla via vecchia di Cornia, durandovi almeno una cinquantina d’anni. La presenza di tali frati è suffragata, secondo Bocci, dal trasferimento del titolo di San Donato nella chiesa del paese e dal fatto che la chiesetta fu comunemente detta di Sant’Antonio abate, banalizzando e confondendo con Sant’Antonio di Vienne.
La frateria di Sant’Antonio di Vienne è inoltre censita nei libri delle decime papali dei primi decenni del Trecento e il loro ospedale, proprio in quel secolo, fu fatto oggetto di lasciti testamentari come quello del 1348 di Benso di Cenni che lasciò all’ospedale di Sant’Antonio di Vienne il pezzo di terra a Casardi e l’orto alla Vigna Sassi di Serrazzano.
“Uno letto, due lenzuoli e uno copertoio”: questi erano gli averi che lasciava all’ospedale Muncino fu Danese, secondo le volontà stilate di suo pugno in bel volgare prima del 1348. Ricco e generoso se, da solo, aveva contribuito quasi all’allestimento dell’intero ospedale, infatti, bastavano una stanza o due, due letti, qualche paio di lenzuola e una elementare attrezzatura per allestirne uno. All’atto della costituzione, l’ospedale veniva posto dal vescovo in possesso del rettore spedalingo stesso che reggeva l’ospedale insieme a religiosi o a laici “oblati”, cioè dimentichi del mondo, per il servizio agli ammalati. Il fondo patrimoniale dell’ospedale veniva sorretto dalle elemosine dei singoli e da lasciti come quelli sopracitati o molti altri che sono datati 1348, anno della grande peste, come quello di Tinolo, figlio di Muncino fu Danese, che lasciò molti beni terrieri all’ospedale di San Michele e, sempre nello stesso anno, Giusto di Gano lasciò all’ospedale due lenzuoli, due capre e due beccherelli e altri quattro ne lasciò agli operai dell’opera della Misericordia.
Gli ospedali antichi erano sotto l’alta tutela del Vescovo che riceveva dai medesimi, nel giorno della Madonna di mezz’agosto, un tributo annuo sotto forma di un’offerta in cera: anche l’ospedale di Serrazzano compare nel sinodo Beiforti del 1356, questa volta sotto il nome di Santa Maria Maddalena, è tassato per una lira e nell’elenco Falconcini (1568-1563) tassato insieme alla chiesa, per una libbra di cera (7). Incerta anche la fine del nostro ospedale, secondo quanto scrive P. Fabbri (9): “La maggior parte degli spedali scompare in quello stesso secolo in cui vedono la luce ed anche l’attività dello spedale di Serrazzano ha fine tra il XIV0 e il XV0 secolo. Di sicuro sappiamo che non esiste più nel 1576, anno della visita pastorale del vescovo Castelli, che ispeziona tutti gli spedali della diocesi tra i quali il nostro non figura”.
Dell’ospedale non rimase traccia eccettuato il piccolo cimitero a destra della porta d’ingresso; rimase, invece, la chiesina fuori paese: lì, ogni sera allo sberlume, i contadini dei casolari vicini andavano ad accendere la fiamma di

una lampada ad olio che stendeva la sua ombra lunga e tremula fino ad accarezzare la statua di coccio di Sant’Antonio.
Claudia Vailini
NOTE BIBLIOGRAFICHE
1 ) ecclesia… cui vocabulo est Santi Angeli…” Il documento originale evidenzia come San Michele Arcangelo, nella cultura religiosa del Mille, fosse ancora il Santo Angelo per eccellenza; il guerriero principe degli angeli, raffigurato nell’atto di trafiggere il drago-demonio era stato sentito dai Longobardi molto vicino alla loro indole bellicosa e, per questo, ne fecero il loro protettore particolare, diffondendone enormemente il culto. San Michele Arcangelo era veneratissimo anche nella nostra zona, basti ricordare che nel pomarancino veniva chiamato “il Santo’ per antonomasia: cfr. J. Spinelli, La Venerabile Confraternita della Misericordia di Pomarance, Peccioli, 1997.
- M. Bocci, Serrazzano di Montagna, in “LAraldo”, 18 settembre 1972.
- S. Mori, Pievi della diocesi volterrana antica, in “Rassegna Volterrana”, 1992.
- C. Vailini, L’oratorio di Sant’Antonio a Serrazzano, in “La Comunità di Pomarance”, n°1 1994; S. Mori, Pievi di confine della diocesi volterrana antica, in “Rassegna Volterrana”.
- S. Isolani, La Madonna del Frassine e la Badia di Monteverdi, Castelfiorentino, 1937, nota 10; C. Groppi, Né latino né tedesco né lombardo né francesco, Peccioli, 1996.
- M. Cavallini, Gli antichi spedali della diocesi di Volterra, in “Rassegna Volterrana”, 1942.
- Secondo le scarne notizie raccolte nella Biblioteca Santorum, Sant’Antonio di Vienne nacque intorno alla metà del V see. e compì gli studi proprio a Vienne, cittadina del Delfinato di Francia, divenendo in seguito vescovo di Carpentras dove aveva studiato teologia. Alla sua morte fu sepolto nel contado di Vienne sulla sommità di un colle presso Bédouin, dove pare avesse condotto vita solitaria. Sull’altura di tale colle sorse un monastero a lui dedicato, distrutto nel XIII see. In seguito a ciò il corpo del Santo fu traslato nella chiesa di Bédouin dove nel 1562 venne dissepolto e bruciato dai calvinisti.
- (9) P. Fabbri, Storia Di Serrazzano, 1980. Ripubblicazione in “La Comunità di Pomarance”, n°1 e sgg. 1996.
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.