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Descrizione, notizie ed eventi sul borgo di Serrazzano.

SERRAZZANO DALLE BELLE CHIESE

la Rocca longobarda e l’Oratorio fuori le mura.

di Claudia Vailini

Serrazzano fu rocca longobarda come ancor oggi è palesato dalla con­figurazione urbanistica del suo castel­lo, fortificato da una solida e compat­ta cinta muraria. Proprio nel punto più alto del castello, i Longobardi, conver­titisi al cattolicesimo nel corso del 600, eressero un piccolo tempio intitolato a San Michele Arcangelo, come molti altri edifici religiosi sorti in epoca longobarda nel territorio che corri­sponderà, poi, alla diocesi volterrana antica.

E i “Lambardi”, signorotti locali che avevano mutuato il nome e il potere dai loro antenati longobardi, intorno al Mille, avevano ancora la reggenza di quel comunello rustico che era al­lora Serrazzano dove i pochi abitanti sfruttavano in comune i prodotti dei campi e dei fitti boschi.

Serrazzano: Oratorio di S. Antonio

Sembra proprio essere stato un lambardo di Serrazzano, tal Gherardo del fu Pagano che donò al monastero di San Pietro in Palazuolo di Monteverdi l’usufrutto della sua por­zione della chiesa edificata dentro il castello di Serrazzano, il cui vocabo­lo è del Santo Angelo (1), eccetto il pezzo di terra che egli aveva donato precedentemente alla chiesa di San Donato edificata sotto la stessa corte e in prossimità del castello.

Il documento, stilato il 5 marzo 1102 e conservato nell’Assegnatario Diplo­matico della Città di Massa Marittima,
evidenzia l’esistenza di due chiese: quella “privata” di San Michele nel ca­stello di proprietà del signore e quel­la di San Donato fuori le mura appar­tenente al popolo, con funzione di chiesa parrocchiale avendo il fonte battesimale e la facoltà di ammini­strarvi gli altri sacramenti. Una vera e propria piccola pieve, dunque, sita in campagna come le pievi antiche, ma vicina al castello, di cui risultereb­be addirittura anteriore e quindi premillenaria (2). La piccola chiesa sarebbe stata, proprio come le pievi, matrice, cioè madre, della chiesa nel paese e, come risulta dalle relazioni delle visite pastorali (3), non prima del 1414 sarebbe avvenuto il trasferimen­to del titolo curato dalla chiesetta di San Donato a quella entro le mura, la quale mutò il titolo di San Michele in quello di San Donato vescovo, titolo che tuttora mantiene; la chiesetta, invece, fu intitolata a Sant’Antonio aba­te anche se, per una sovrapposizione di culti, è Sant’Antonio da Padova che oggi, e da due secoli almeno, vi si onora (4).

Architrave in pietra di tecnica barbarica

Senza dubbio, particolari sono il ruolo e la funzione della chiesetta di San­t’Antonio, nei primi secoli del Mille: essa come scrive Mons. M. Bocci cit. “forse spettava, come una buona par­te del territorio di Serrazzano, alla pieve di San Giovanni di Lustig nano: ce lo testimonia il libro dei diritti vescovili in cui si afferma che l’episcopato volterrano, ogni anno, raccoglie la de­bita decima di quanto nasce e si rac­coglie nel castello di Serrazzano che è distretto e cura della pieve di Morba, ma delle terre di Catignano e Corpolla raccoglie solo tre parti e il quartese spetta al pievano di Lustig nano; nella contrada poi di Mugnano e della Ficaiola soltanto la metà’’.

La pieve di Lustignano, oggi podere San Giovanni, si trovava al confine della diocesi di Volterra con quella di Massa e fu sovente oggetto di contestazioni territoriali riguardanti le par­rocchie da lei dipendenti coi loro ri­spettivi poderi o appezzamenti terrieri: la chiesetta di Sant’Antonio, vicina alla pieve di Lustignano, dunque poteva stabilire una sorta di limite territoriale non solo della pieve di Bagno a Morba ma addirittura di tutta la diocesi volterrana antica tenendo di conto che, in certi periodi la pieve di Lustignano appartenne alla diocesi di Massa Marittima. La chiesetta, inol­tre, fu dotata per secoli di ius baptezandi, proprio perché “i vescovi avevano promosso al servizio batte­simale anche chiese minori per im­pedire la tentazione di passare i con­fini parrocchiali e a scoraggiare inge­renze politiche e religiose’’ (5).

Di fatto, la relazione della visita pa­storale del 5 dicembre 1477 registra la chiesa fuori castello ancora come parrocchiale e la dice di collocazione vescovile, avente come rettore Ser Batista de Regno: “tale chiesa è fuori castello… ha funzione battesimale per antica consuetudine, tuttavia non de­tiene la facoltà di benedire il fonte, ma il rettore va a benedire l’acqua alla pieve di Morba da dove la porta alla sua chiesa e lì battezza”. Dallo stes­so documento sappiamo che a cau­sa delle guerre la parrocchiale fuori paese non era allora officiata, che nessuno vi risiedeva e che, a servire da parrocchiale, era la chiesa nel ca­stello la quale “era bene fondata, constructa et coperta…”, ma solo nel 1576 la visita apostolica censisce, fi­nalmente, la chiesa parrocchiale nel castello di Serrazzano, patrono il po­polo, con 70 anime a Comunione.

Serrazzano: Oratorio di S.Antonio; interno (foto di Maurizio Biondi)

MILLE ANNI MA NON LI DIMOSTRA!

Che l’edificazione dell’oratorio pos­sa risalire a prima del Mille sembra essere avvalorata dall’osservazione della sua particolare architettura: “L’oratorio di Sant’Antonio è, per me e senza timore di smentita, l’edificio di culto più antico esistente nelle colline metallifere, a cavallo della Val di Cecina e della Val di Cornia. Si tratta di un edificio protoromanico attribuibile al­meno all’inizio dell’undicesimo seco­lo, però in base alla scoperta di edifici con particolari stilistici simili in Corsica, si può farlo risalire alla fine del 900. Questa sicurezza mi deriva dall’os­servazione del paramento murario, perfettissimo per tecnica: non si nota segno di leganti ed è eseguito in gros­se bozze d’arenaria perfettamente squadrate e sovrapposte. Anche la finestrella, a doppia strombatura, del­l’abside semicircolare non ha simili in tutta la zona, ma soprattutto degno di nota è il portale con la sua architrave monolitica, in pietra, di for­ma trapezoidale, di gusto e tecnica definita barbarica, molto comune nei monumenti ad esso contemporanei venuti alla luce in Corsica.

Nella parte superiore della facciata, nel secolo scorso, è stata aperta una finestrella rettangolare al posto della finestra originale, di cui si vede l’architrave intonata al disegno del portale e sopra è un piccolissimo campanile a vela. Si notano dei risar­cimenti sulla parete laterale destra fatti in epoca antica.

L’oratorio sorge in aperta campagna vicino a edifici rurali di molto poste­riori (circa XVIII see). La sua presen­za dimostra che anche nell’antichità là doveva esistere un centro rustico probabilmente precedente al conso­lidarsi dell’attuale castello di Serrazzano…”

Così scrivono gli architetti G. Evan­gelisti e M. Giachetti, nella relazione storico-tecnica depositata presso la Soprintendenza alle Belle Arti di Pisa, datata 1975, due anni prima dell’ese­cuzione dei lavori di restauro che han­no ripristinato questo piccolo gioiello di architettura.

La datazione premillenaria dell’orato­rio sembrerebbe così essere compro­vata sia dal documento del 1102 in cui esso già risultava oggetto di la­sciti testamentari sia dalla sua strut­tura architettonica, ma forse, solo uno studio comparato dei simili edifici sa­cri della Corsica e del nostro orato­rio, potrebbe far luce sull’origine di quest’ultimo e sulla sua originalità architettonica rispetto alle chiese sue contemporanee sopravvissute sul no­stro territorio. Il riferimento alla Corsica aumenta la curiosità riguar­do la committenza dell’oratorio e la provenienza delle maestranze che lo costruirono. Viene immediatamente da pensare al ruolo che potrebbe aver avuto, in tale realizzazione, la Badia benedettina di Monteverdi, importan­te punto di incontro e di scambio di quella religiosità monastica che fece pullulare, già prima del Mille, il litora­le toscano e le isole dell’arcipelago di monasteri e abbazie coi connessi edifici di culto. Di fatto, la Badia di Monteverdi ebbe come su altri castelli limitrofi, una certa influenza anche su Serrazzano e sui suoi lambardi: già nel 1102 la Badia riceve da Gherardo del fu Pagano i proventi dei suoi beni in Serrazzano e tale influenza deve essere durata almeno fino al 1208 quando l’abate di Monteverdi, Ranieri, cedette ai consoli del Comune di Volterra, al quale Serrazzano aveva giurato fedeltà nel 1204, la giurisdi­zione che l’abbazia vantava sul ca­stello, con l’impegno da parte del Co­mune di Volterra di rispettare il mo­nastero e di non imporre ai serrazzanini oneri maggiori rispetto a quelli dei volterrani.

Comunque, indipendentemente da chi e da come, l’oratorio sorse prima che Serrazzano fosse circondato da mura castellane e prima della chiesa del castello; sorse dove taluni (6) col­locano un insediamento abitativo ro­mano, attestato da reperti archeolo­gici che vanno dal 11° see. a.C. al III0 see. d.C. Era questo uno dei nuclei abitativi che si trovavano proprio sul tracciato della vecchia via etrusco ro­mana che partiva da Volterra, scen­deva a Scornello, portava alla Maltagliata e, dopo essersi incrocia­ta con la via del Secolo presso la fon­te della Ficaiola, arrivava a Montingoli, puntava su Serrazzano e proseguiva in direzione dell’oratorio di Sant’An­tonio e scendendo poi ai Lagoni di Serrazzano, portava, oltrepassando il bivio per la pieve di San Giovanni di Lustignano, al guado del Cornia per raggiungere poi la Maremma. La viottola acciottolata ed ora sconnes­sa del Perticone che porta da Serrazzano a Sant’Antonio costitui­sce uno dei pochi tratti ancora leggi­bili di questa antica strada di monta­gna che era sempre molto importan­te nel Medioevo secondo un docu­mento del 1274, e ancora battuta fino

Oratorio di S.Antonio: interno dell’abside (foto Maurizio Biondi) ad una cinquantina d’anni fa: “Que­sta strada veniva chiamata la volterrana, era larga circa un metro e mezzo, in alcuni punti più scoperti come alla Fonte della Ficaiola si ve­dono ancora i pietroni per non rima­nere infangati, perché era una mulattiera attraverso la macchia e serviva per gli spostamenti col ciuco o col cavallo e per il trasporto di le­gna o carbone a basto di mulo: ci passavano tagliatori, carbonai e mi­natori, ora è usata solo in qualche trat­to dai cacciatori”.

Tale via era uno dei tanti tracciati di quel fascio di itinerari che fu la Via Maremmana, congiungente Volterra a Populonia, la cui “arteria” principa­le passava presso Le Casarse, poco distante quindi da Montingoli e dalla via volterrana: due importanti vie at­traversavano dunque il territorio pres­so le località, interessanti per i mate­riali archeologici, di Collenne, Sant’Apollinare e il Casettone dal cui Poggio nasce il torrente Turbone in­torno alla cui sorgente e ai suoi fertili terreni sembra essere sorto un re­motissimo insediamento villanoviano.

L’OSPEDALE SULLA VIA VECCHIA DI CORNIA

Se è difficile seguire la storia dell’ora­torio di Sant’Antonio per le sue molte variazioni di titolo, altrettanto confusa, anche se degna di ulteriori approfondi­menti, è la documentazione riguardan­te l’ospedale di Serrazzano che viene citato col nome di San Michele come la chiesa del castello, altre volte con quel­lo di Sant’Antonio di Vienne e addirittu­ra con quello di Santa Maria Maddalena dal titolo di un romitorio, di cui oggi si è persa del tutto la memoria.

Mons. M. Cavallini (7) faceva risalire al 1264, cosa rara per l’epoca, il sor­gere dell’ospedale di San Michele in Serrazzano sbagliando, però, la cro­nologia dell’atto secondo cui “Vanni fu Piglino spidalerius hospitalis de Serazano” affittò una casa vescovile nel borgo della Leccia. Quella sopra riportata, è l’interessante tesi di Mons. Bocci secondo cui chi affittò quella casa fu Paolo, pievano di Lustignano, vicario di Filippo Beiforti che fu vesco­vo di Volterra dal 1348 al 1358. Quindi il sorgere dell’ospedale di Serrazzano non fu anteriore al primo Trecento. In quel periodo, secondo Mons. Bocci, i frati di Sant’Antonio di Vienne (8) che avevano casa madre a Volterra, avreb­bero ottenuto di collocare un loro ospi­zio, non nel castello, ma presso la chiesetta fuori le mura, sulla via vec­chia di Cornia, durandovi almeno una cinquantina d’anni. La presenza di tali frati è suffragata, secondo Bocci, dal trasferimento del titolo di San Donato nella chiesa del paese e dal fatto che la chiesetta fu comunemente detta di Sant’Antonio abate, banalizzando e confondendo con Sant’Antonio di Vienne.

La frateria di Sant’Antonio di Vienne è inoltre censita nei libri delle decime pa­pali dei primi decenni del Trecento e il loro ospedale, proprio in quel secolo, fu fatto oggetto di lasciti testamentari come quello del 1348 di Benso di Cen­ni che lasciò all’ospedale di Sant’An­tonio di Vienne il pezzo di terra a Casardi e l’orto alla Vigna Sassi di Serrazzano.

“Uno letto, due lenzuoli e uno copertoio”: questi erano gli averi che lasciava all’ospedale Muncino fu Da­nese, secondo le volontà stilate di suo pugno in bel volgare prima del 1348. Ricco e generoso se, da solo, aveva contribuito quasi all’allestimento del­l’intero ospedale, infatti, bastavano una stanza o due, due letti, qualche paio di lenzuola e una elementare attrez­zatura per allestirne uno. All’atto del­la costituzione, l’ospedale veniva po­sto dal vescovo in possesso del retto­re spedalingo stesso che reggeva l’ospedale insieme a religiosi o a laici “oblati”, cioè dimentichi del mondo, per il servizio agli ammalati. Il fondo patrimoniale dell’ospedale veniva sor­retto dalle elemosine dei singoli e da lasciti come quelli sopracitati o molti altri che sono datati 1348, anno della grande peste, come quello di Tinolo, figlio di Muncino fu Danese, che lasciò molti beni terrieri all’ospedale di San Michele e, sempre nello stesso anno, Giusto di Gano lasciò all’ospedale due lenzuoli, due capre e due beccherelli e altri quattro ne lasciò agli operai del­l’opera della Misericordia.

Gli ospedali antichi erano sotto l’alta tutela del Vescovo che riceveva dai me­desimi, nel giorno della Madonna di mezz’agosto, un tributo annuo sotto forma di un’offerta in cera: anche l’ospedale di Serrazzano compare nel sinodo Beiforti del 1356, questa volta sotto il nome di Santa Maria Maddalena, è tassato per una lira e nell’elenco Falconcini (1568-1563) tas­sato insieme alla chiesa, per una lib­bra di cera (7). Incerta anche la fine del nostro ospedale, secondo quanto scrive P. Fabbri (9): “La maggior parte degli spedali scompare in quello stes­so secolo in cui vedono la luce ed an­che l’attività dello spedale di Serrazzano ha fine tra il XIV0 e il XV0 secolo. Di sicuro sappiamo che non esiste più nel 1576, anno della visita pastorale del vescovo Castelli, che ispeziona tutti gli spedali della diocesi tra i quali il nostro non figura”.

Dell’ospedale non rimase traccia eccet­tuato il piccolo cimitero a destra della porta d’ingresso; rimase, invece, la chiesina fuori paese: lì, ogni sera allo sberlume, i contadini dei casolari vicini andavano ad accendere la fiamma di

Oratorio di S. Antonio: esterno dell’abside (foto Maurizio Biondi)

una lampada ad olio che stendeva la sua ombra lunga e tremula fino ad ac­carezzare la statua di coccio di San­t’Antonio.

Claudia Vailini

NOTE BIBLIOGRAFICHE

1 ) ecclesia… cui vocabulo est Santi An­geli…” Il documento originale evidenzia come San Michele Arcangelo, nella cultu­ra religiosa del Mille, fosse ancora il Santo Angelo per eccellenza; il guerriero princi­pe degli angeli, raffigurato nell’atto di tra­figgere il drago-demonio era stato sentito dai Longobardi molto vicino alla loro indo­le bellicosa e, per questo, ne fecero il loro protettore particolare, diffondendone enor­memente il culto. San Michele Arcangelo era veneratissimo anche nella nostra zona, basti ricordare che nel pomarancino veni­va chiamato “il Santo’ per antonomasia: cfr. J. Spinelli, La Venerabile Confraternita del­la Misericordia di Pomarance, Peccioli, 1997.

  1. M. Bocci, Serrazzano di Montagna, in “LAraldo”, 18 settembre 1972.
  2. S. Mori, Pievi della diocesi volterrana antica, in “Rassegna Volterrana”, 1992.
  3. C. Vailini, L’oratorio di Sant’Antonio a Serrazzano, in “La Comunità di Pomaran­ce”, n°1 1994; S. Mori, Pievi di confine della diocesi volterrana antica, in “Rassegna Volterrana”.
  4. S. Isolani, La Madonna del Frassine e la Badia di Monteverdi, Castelfiorentino, 1937, nota 10; C. Groppi, Né latino né tedesco né lombardo né francesco, Peccioli, 1996.
  5. M. Cavallini, Gli antichi spedali della dio­cesi di Volterra, in “Rassegna Volterrana”, 1942.
  6. Secondo le scarne notizie raccolte nella Biblioteca Santorum, Sant’Antonio di Vienne nacque intorno alla metà del V see. e compì gli studi proprio a Vienne, cittadina del Delfinato di Francia, divenendo in seguito vescovo di Carpentras dove aveva studiato teologia. Alla sua morte fu sepolto nel contado di Vienne sulla sommità di un colle presso Bédouin, dove pare avesse condot­to vita solitaria. Sull’altura di tale colle sor­se un monastero a lui dedicato, distrutto nel XIII see. In seguito a ciò il corpo del Santo fu traslato nella chiesa di Bédouin dove nel 1562 venne dissepolto e bruciato dai calvinisti.
  7. (9) P. Fabbri, Storia Di Serrazzano, 1980. Ripubblicazione in “La Comunità di Poma­rance”, n°1 e sgg. 1996.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.