Archivi categoria: Larderello

Descrizione, notizie ed eventi sul borgo di Larderello.

SAN MICHELE

Itinerari turistici della zona boracifera.

Percorrendo la tortuosa strada provinciale che, abbarbicata sui filoni di gabbro, da Po­marance sale verso la sella di Montecerboli, l’occhio viene attratto, sulla destra, da una costruzione diroccata di pietra chiara in cima a una collina boscosa. È questo quanto rimane dell’eremo di S. Michele delle For­miche che, dal 1300 alla fine del ‘700, costi­tuì per molti ammalati una luce di speranza e di guarigione.

Fu il lontano 31 di maggio del 1377 infatti che il pievano di Morba fece istanza al Co­mune di Volterra perché fosse approvata la costruzione di un convento sulla cima del colle sopra il Botro delle Vignacce; l’istanza venne accolta e il convento, affidato ai padri Celestini di S. Michele Visdomini di Firenze, fu dedicato a S. Michele Arcangiolo. E i monaci che ivi si riunirono in vita eremitica si imposero lo scopo di curare i malati, in particolare i lebbrosi e gli artritici, e di sovraintendere al mantenimento di un antico bagno le cui acque avevano virtù salutari per quelle malattie.

Il bagno

Il bagno, che era già molto noto col nome di Spartaciano o Spartacciano (così è indicato in un documento del 1266), si trovava nel fondo della valle che separa gli attuali Gabbri del Conte dalla Porcareccia del Cerale: pro­prio dove il Fosso di Radicagnoli e il Botro delle Vignacce si uniscono per dare origine al Fosso di S. Michele. Il nome di questo bagno è di chiara origine romana: infatti le terre divise fra i veterani dell’impero pren­devano il nome del veterano a cui erano state assegnate: Ager Spartacianus potrebbe tra­dursi « Terra Spartaciana » o « di Spartaco »; e probabilmente le sorgenti calde di questo bagno, assieme a quelle di Morba e della Perla, facevano parte, durante l’epoca im­periale romana, del complesso delle « Aquae Volaterranae » (come dire «Le Terme di Volterra ») riportato dal più antico documento geografico che si conosca, la cosiddetta Tavola Peutingeriana.

Il lazzeretto

I Monaci Celestini, dunque, restaurarono, con molta probabilità, i resti del bagno ro­mano, vi aggiunsero un edifìcio per ospitare i malati — una specie di piccolo lazzeretto — e costruirono alcune vasche in pietra dove l’acqua termale poteva raccogliersi ra­pidamente per permettere ai lebbrosi e agli altri ammalati di bagnarvisi. E anche il bagno così sistemato fu dedicato all’Arcangiolo San Michele.

La notorietà delle virtù terapeutiche del Ba­gno di San Michele non mancò di attirare sul luogo, oltre che una folta schiera di sof­ferenti (si parla di più di 300 persone che ogni anno venivano a S. Michele a « passar l’acqua»), anche insigni naturalisti che esaminarono le sorgenti, ne descrissero le caratteristiche, ne fecero una seppur som­maria analisi. Domenico BianchelIi da Faenza (Mengo Faentino) e Gabriele Falloppio at­torno al 1550, Giovanni Targioni Tozzetti nel 1742, dedicarono accurati studi al Bagno di S. Michele; e nei secoli XV e XVII, e attorno al 1740, si provvide a restaurarne gli edilìzi. I ruderi La fama dell’Eremo, che all’epoca del suo maggior splendore era costituito da una chiesa, oltre che dal fabbricato ad uso di convento, andò declinando verso la fine del 1700. A quell’epoca le ingiurie del tempo cominciarono alarsi senijre;lsui  vetusta Bapia sfì apriron una parte del uri della crepe; I padri e e nel ia della dell’800 e, poco chiò
Celestini fulono tichiamatìa Firen  1870 era rimasto sufluogo a pasto chiesa un solo la chiesa e il c dopo, franò an abitata clall’ulti così completale rimangano irf piedi c in pie&a della bili i contraffar Il bagno, invece quenfato, dolori’ artritici quasi gitani cui la menti fermarne decretò sura.

ll panorama

Il poggio di S.Michele, oltre che i suoi ricordi storici, offre ai visitatori un magnifico panorama che si estende dai monti della Cornata e della Carlina, verso Siena, a Montecastelli, alla Rocca Sillana su fino alla Val d’Elsa e giornate se le Apuane e verso occidente la vista può spaziare fino al mare Tirreno. Nelle imme­diate vicinanze, invece, lo sguardo si perde sulle macchie fìtte che coprono i poggi verso S. Ippolito e attorno alla Valle del Ce­cina, mentre a sud spiccano i bianchi fumi delle sette torri refrigeranti di Larderello.

Vicino ai muri della vecchia abbazia, sulla cima pianeggiante del poggio, sono spuntati ciuffi radi di arbusti che creano un’ambiente ombroso e piacevole, mentre il prato raso che ricopre il terreno costituisce un morbido tappeto per chi voglia scegliere il poggio di S. Michele come meta di una scampagnata.

La Badia

La Badia di S. Michele ha le sue brave leg­gende: una racconta che il 29 settembre di ogni anno, giorno della dedicazione a S. Michele Arcangelo, comparivano sul tetto e sul campanile della chiesa una grande quantità di formiche alate che in breve tempo morivano. Da qui l’appellativo di S. Michele delle Formiche; ma non basta: quando la chiesa della Badia fu in avanzato stato di rovina, se ne trasportò una campana sulla torre del Palazzo Pretorio di Pomarance. E si dice che da allora, nella stessa data del 29 settembre, le formiche alate si posino appunto su quella torre. Agli amici pomarancini il compito di controllare quanto ci sia di vero in questa storia.

La leggenda

Un’altra leggenda racconta che una volta una campana della badia si staccò dal campanile e, rotolando giù per la collina, cadde nel botro. Ma non si fermò sul greto: seguitò a sprofondare scavando nella roccia un pozzo profondissimo che poi si riempì d’acqua. Ed aggiunge che talvolta, dal bordo del pozzo, si sentono ancora i rintoc­chi della campana di S. Michele che giace sul fondo.

Il fascino della favola è alimentato dal posto veramente suggestivo dove si trova il cosid­detto «pozzo della campana». Questo è, in effetti, una profonda camera quasi cir­colare dalle pareti di pietra liscia, nel letto del Fosso di S. Michele; la sua apertura superiore è quasi nascosta dai fìtti arbusti della macchia; l’acqua vi cade da una cascatella alta poco più di tre metri ed è diffìcile apprezzare a vista quanto la cavità sia pro­fonda. Da una spaccatura longitudinale della roccia verso nord l’acqua decanta poi nel letto basso del torrente che prosegue il suo corso.

P. L. Pellegrini

Come Arrivarci.

  1. con mezzo proprio:

Percorrere la provinciale Massetana verso Pomarance fino al bivio per S. IpDolito in località Croce del Masso (sopra Montecerboli) (Km. 2,200); quindi prendere, sulla sinistra, la strada per S. Ippolito e piegare a destra al segnale indicatore per «Le Vignacce» (Km. 1,550); arrivati al podere «Le Vignacce» (il primo che si trova), fermarsi e lasciare il veicolo (Km. 1,550). Quindi procedere a piedi per la mulattiera oltre il podere che sale verso S. Michele, finché non si trovi, sulla destra, un cancello di legno; passare il cancello e seguire il sentiero che da qui si parte fino ai ruderi della Badia; poco prima di giungervi, sulla sinistra, i resti della capanna del­l’ultimo eremita. Percorso a piedi: 600 metri (circa 15 minuti).

Volendosi raggiungere il vecchio Bagno (ora ridotto a casa colonica) si può scendere dalla Badia per la stessa mulattiera e, arrivati al bivio per «Le Vignacce», proseguire a sinistra scendendo ancora intorno al poggio per circa 800 metri (altri 15 minuti). Durante il per­corso, circa 200 metri dopo il bivio, sulla sinistra, si possono scorgere i resti di un’antica miniera di rame, costituiti da una lunga galleria, ora parzialmente allagata, che si perde nella roccia; davanti al­l’imbocco è stata costruita una grossa vasca per permettere all’acqua di rimanervi a un livello di circa mezzo metro.

La strada è asfaltata fino al bivio per S. Ippolito; il resto, senza ri­vestimento antipolvere, è in buone condizioni.

  • con mezzi pubblici:

Autoservizio SITA da Larderello al Madonnino dei Gabbri; quivi si prosegue a piedi per la ripida discesa che si diparte dalla provin­ciale verso il fondo valle. A 450 metri (10 minuti di cammino) si trova il Bagno di S. Michele (ora casa colonica) con il caratteristico ponte coperto sul botro e i locali con le vasche in pietra per i bagni. Si guada il botro e si prende la mulattiera che sale attorno al poggio di S. Mi­chele; percorso fino alla Badia: circa 1400 metri (40 minuti). Du­rante il percorso, circa 600 metri dopo il bagno, si possono scorgere sulla destra i resti dell’antica miniera di rame abbandonata.

Chi desideri visitare il « Pozzo della Campana » può recarvisi scen­dendo da un sentiero molto ripido che si parte dalla strada fra il Madonnino dei Gabbri e il Bagno di S. Michele, circa 100 metri prima del Bagno; dopo 30-40 metri di percorso (5 minuti) si arriva sul greto del torrente proprio di fronte all’apertura nord del pozzo. Si consiglia di munirsi di scarpe adatte, possibilmente con suola di gomma.

LARDERELLO: RICCHEZZA DI CASA NOSTRA

PREMESSA

Nel mondo esistono numerose aree in cui si verificano manifestazioni geotermi­che, cioè dove avvengono naturali fuoriu­scite di vapore dal suolo. Quelle più note si trovano in Italia, in Islanda, in Giappone, nel Messico, in Nuova Zelanda, nelle Filip­pine, in Indonesia e nel Tibet. In Italia si trovano in varie località, ma l’area princi­pale è quella che della zona di Orvieto, passando per il Monte Amiata, si estende fino a Larderello e Radicondoli, interes­sando così parte delle province di Terni, Grosseto, Pisa e Siena.

Centrali di Larderello (1970).

Il viaggiatore che percorra la tortuosa e panoramica strada che da Volterra condu­ce a Larderello, avvertirà nell’aria un pro­gressivo aumentare di un inconfondibile odore di uova marce: è l’idrogeno solforato che emana dalle viscere della terra insie­me al vapore acqueo dei soffioni di questa dimenticata parte della Toscana. Vedrà un sempre più esteso diramarsi di grosse tubazioni che, attraverso la campagna, convogliano, dai pozzi perforati profonda­mente, il vapore naturale, alle centrali elet­triche.

CENNO STORICO

Emanazioni di vapore e sorgenti di acque calde sono sempre esistite in questa zona; infatti in una mappa risaliente al III secolo d.C., i Romani indicavano quest’area col termine di “acquae volaterranae”. Una ri­produzione di detta carta si può vedere nel museo storico di Larderello. Oggi, in tutta questa zona, esistono soltanto due o tre punti in cui si verifica dal suolo emanazio­ne superficiale spontanea di vapore, in quanto detto fluido si trova generalmente nelle profondità del terreno.

Poiché detto vapore, oltre a varie sostanze chimiche, contiene anche una buona per­centuale di acido borico, nel secolo scorso veniva usato esclusivamente per estrarvi tale prodotto. Le emanazioni di vapore venivano fatte gorgogliare in grandi pozze, le cui acque fangose venivano tenute in ebollizione violenta dal vapore stesso. Era­no i cosiddetti “Lagoni” le acque dei quali venivano pertanto ad arricchirsi di acido borico. La concentrazione di esso veniva effettuata in modo rudimentale con delle semplici caldaie scaldate a legna.

Per ovviare alle numerose difficoltà e ren­dere più economica la produzione, detti bacini furono coperti con una cupola in muratura in modo da raccogliere il vapore che aveva depositato l’acido borico nel­l’acqua e poterlo convogliare, tramite tu­bazioni di terra cotta, sotto alle caldaie ed impiegare così, per la concentrazione del­le acque boriche, il vapore anziché la le­gna. Questa struttura veniva chiamata “la­gone coperto”. Lo sfruttamento a carattere industriale fu iniziato nel 1818 da un certo Francesco De Larderei (dal quale poi la località prese il nome) che fondò una so­cietà alla quale nel 1913 se ne aggiunsero altre che successivamente si fusero in un’unica azienda.

Attualmente, dal punto di vista economico, non è conveniente utilizzare il vapore na­turale per estrarvi prodotti chimici, pertan­to esso viene impiegato principalmente per la produzione di energia elettrica. Il primo esperimento di questo genere, fu effettuato nel 1904, mettendo in azione un piccolo generatore che si trova esposto nel sopramenzionato museo di Larderello. E’ interessante segnalare che al tempo dei Romani, ma anche nel secolo scorso, le sorgenti termali della nostra zona veniva­no frequentate per la cura dei dolori reu­matici, delle affezioni della pelle e delle vie digerenti. Lo stesso Granduca di Toscana, per curarsi la gotta, era solito recarsi con la sua corte, alle terme de “La Perla”, od a quelle di Bagno al Morbo. Oggi dette salu­tari sorgenti sono pressoché ignorate.

SFRUTTAMENTO ATTUALE

Ai nostri giorni, in tutta la vasta area di cui abbiamo parlato, che è la più estesa e la più importante del mondo di questo gene­re, vi sono installate numerose centrali elettriche che producono annualmente, senza interruzioni, circa 3 miliardi di chi­lowattora di energia elettrica ad un costo molto basso. Poiché per produrre elettrici­tà, non tutto il vapore naturale è adatto, in quanto, se non possiede le dovute caratte­ristiche di temperatura, di pressione, ecc., non è utilizzabile per tale scopo, avviene pertanto che una parte di esso non venga inviato nelle centrali, perciò risulta preferi­bile sfruttarlo per altri usi, come teleriscal­damento per le abitazioni di Larderello e Castelnuovo, nonché per serre in varie zone, tra le quali, oltre a quelle tradizionali di Castelnuovo, S.Dalmazio e Larderello, anche quella dell’Amiata dove sono state costruite serre con una superficie coperta di 23 ettari.

CONCLUSIONE

Da quanto abbiamo succintamente espo­sto, risulta evidente che la nostra zona racchiuderebbe una grossa fonte di lavo­ro, una inesauribile sorgente di energia economica, pulita, non pericolosa, quindi migliore, preferibile ed assai più affidabile del metano, il cui prezzo e la cui distribu­zione rimarranno sempre soggetti e condi­zionati da imprevedibili eventi politici inter­nazionali. Se gli organi competenti, invece di restarsene chiusi nel loro piccolo guscio incrostato di scorie secolari, aprissero gli occhi almeno quanto una talpa miope, si accorgerebbero di avere a disposizione risorse immense quasi gratuite, il dono di una inesauribile miniera d’oro che potreb­be produrre ricchezza sempre crescente a tutto il comprensorio.

Quindi, se venissero prese delle iniziative pubbliche appropiate o venissero facilitati i privati che volessero prenderle, si verifi­cherebbe un proliferare di posti di lavoro e di guadagno che darebbero a questa zona grandi possibilità di sviluppo economico da fare invidia anche all’estero.

In altre parole, se Larderello dovesse ri­dursi, con poche decine di dipendenti, a produrre soltanto energia elettrica, non sfruttando completamente le potenzialità che la natura ci ha elargito abbondante­mente, la nostra comunità ne soffrirebbe, in quanto gli insediamenti urbani, sia pic­coli che grandi, da Volterra fino a Massa Marittima, si spopolerebbero sempre più, estinguendo così la vita nel nostro amato, grande territorio.

Romano Santini

BIBLIOGRAFIA (opere consultate)

R. Nasini -1 soffioni ed i lagoni della Toscana e l’industria boracifera – Tipografia editrice Italia – Roma 1930.

R. Nasini – I soffioni boraciferi toscani e l’industria dell’acido borico – Tipografia della R. Accademia dei Lincei – Roma 1906.

A. Mazzoni – L’utilizzazione del calore terre­stre – La Scuola Editrice – Brescia.

A. Mazzoni – I soffioni boraciferi toscani e gli impianti della “Larderello S.p.a.” – Anonime Arti grafiche – Bologna 1948.

ENEL – Larderello: energia elettrica del va­pore endogeno. Il Tirreno – La provincia di Pisa comune per comune – 1993.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

IL SOTTOSUOLO DELL’AREA GEOTERMICA

STORIA E PERCHÉ DI UNA SISMICITÀ

a cura dott. Rossi.

PREMESSA

L’esperienza sicuramente non piacevole vissuta in Marzo e purtroppo ripetutasi in maniera meno continuativa, seppur senz’altro significativa, nello scorso inizio di Agosto, credo abbia sollecitato in molti, oltre ad una buona dose di comprensibile apprensione, anche la curiosità, se non l’interesse, perquei fenomeni legati alla dinamica terrestre, quali sono i terremoti.

Durante la serata di Marzo trascorsa in piazza Sant’Anna, dominata dalla emotività ed allo stesso tempo dalla compostezza, le decine di teorie nate in quei giorni crollavano misera­mente o trovavano parziali quanto desiderate conferme. Certamente per alcuni la propria è rimasta l’unica e vera spiegazione degli even­ti, nonostante la precisa, puntuale, interes­santissima esposizione dei Prof.ri Barberi e Scandone, capace di illuminare le menti più distanti da simili problematiche ed, a mio giudizio, incertoqual modo anche di tranquil­lizzare.

Ritengo perciò possa essere interessante ritornare sull’argomento, perché, come geolo­go, ho la presunzione che vi sia qualcuno interessato a saperne di più riguardo un feno­meno naturale, quale è il terremoto, ancora in gran parte da indagare e non certo per aggiun­gere qualcosa a quanto i Professori hanno in quell’occasione così sapientemente illustra­to. Il solo intento è quello di ripilogare, puntua­lizzare il significato di alcuni termini e fornire alcune nozioni in maniera molto semplice e generale sul fenomeno terremoto, per aiutare, spero, chi desideri conoscerlo meglio.

IL SOTTOSUOLO

DELL’ AREA GEOTERMICA

Come primo passo credo sia necessario illu­strare per sommi capi ed in maniera, spero, semplice e schematica cosa sta sotto di noi. Il sottosuolo dell’area geotermica è oramai assai ben conosciuto. In oltre 150 anni sono state perforate diverse centinaia di pozzi, che hanno permesso, con l’ausilio anche dei metodi d’indagine indiretta (sismica, geolettrica, gravimetria,etc), di ricostruire in manie­ra abbastanza completa la successione delle formazioni rocciose.

Nel secolo scorso le perforazioni raggiunge­vano a malapena qualche decina di metri, e per questo venivano effettuate in corrispon­denza od in prossimitàdellezonedi emissione naturale di vapore endogeno, per poter così estrarre le acque boriche e lo stesso vapore a bassa pressione.

Osservando le moderne ed imponenti struttu­re delle “sonde” è evidente quanto le tecni­che di perforazione si siano trasformate nel tempo e come, con l’evoluzione tecnologica, siano aumentate progressivamente le profon­dità d’indagine.

Per tornare al sottosuolo dell’area geotermi­ca, in maniera esemplificativa questo risulta composto da una serie di formazioni geologi­che caratterizzate da rocce relativamente recenti che poggiano su di un basamento più antico.

Semplificando molto, si può dire che l’azione delle forze legate alla dinamica terrestre, cau­sa in una prima fase dell’innalzamento delle catene alpina ed appenninica, ha provocato successivamente nell’area geotermica una riduzione di spessore sia delle formazioni ge­ologiche più recenti, che del sottostante ba­samento. Ciò ha permesso al materiale ad alta temperatura, situato in profondità sotto la crosta superficiale, di risalire verso la superficie.

La presenza quindi, a profondità relativa­mente modesta, di questa sorgente di calore, ha fatto sì che l’area geotermica sia caratte­rizzata da un’anomalia del gradiente geoter­mico: la temperetaura cioè aumenta molto più velocemente, via via che si procede in profondità, rispetto ad esempio alle zone limitrofe.

Non solo, la “spinta” che ha causato la risalita del materiale caldo profondo ha provocato la fratturazione di parte delle sovrastanti rocce che costituiscono il basamento.

E’ noto che le acque d’infiltrazione proceden­do in profondità, per il veloce aumento della temperatura, si surriscaldano generando va­pore che, imprigionato nelle fratture presenti nelle rocce, viene estratto tramite la perfora­zione di pozzi.

Forse non è altrettanto noto che gli effetti degli stress legati alla risalita di materiale caldo sulle rocce che compongono il basa­mento, sono tutt’altro che esauriti. Essi sono infatti tuttora causa di una continua apertura di nuove fratture, e di conseguenza di una porzione consistente dell’attuale attività si­smica: tutto questo come singolo episodio nel quadro più generale della dinamica terre­stre a scala regionale ed alla sua continua evoluzione.

A conferma di ciò, dai numerosi dati presenti in letteratura, si può osservare che in prossi­mità delle zone di Larderello, Travale e Mon­terotondo M.mo, dove il materiale caldo pro­fondo è in genere risalito maggiormente, si ha anche la più alta concentrazione di eventi sismici.

A questo punto è lecito porsi le seguenti domande: quali sono le carratteristiche di questa sismicità? E’ legata solamente ad un’unica causa?

Per dare una risposta a questi quesiti il primo passo è lo studio della sua evulzione storica.

Larderello 1910.

COSA E’ UN TERREMOTO?

Prima di procedere ad un commento dei dati storici relativi alla sismicità dell’area geotermica, sembra utilefornire alcune elementari, ma necessarie nozioni riguardo la natura e le caratteristiche dei terremoti.

Intanto cosa è un terremoto? Si può definire come una brusca liberazione dell’energia accumulata da una roccia per l’azione delle forze della dinamica terrestre. In pratica è la fratturazione della roccia stessa dovuta al suo comportamento”fragile”: il terremoto è stato definito come uno dei testimoni della dinamica terrestre.

Semplificando molto, la quantità di energia liberata durante un evento sismico (in gran parte con effetto vibratorio) è funzione di molti parametri tra i quali, ad esempio, la capacità e/o la possibilità di una roccia di resistere alle sollecitazioni, in pratica delle sue caratteristiche fisico-meccaniche.

E’ espressa dalla Magnitudo, parametro non legato alla valutazione in gran parte soggettiva degli effetti prodotti da un terremoto (Sca­la Mercalli), ma alla misura della quantità di energia che si libera con il repentino aprirsi di una frattura ed il conseguente spostamento relativo dei margini della frattura stessa. La trasmissione dell’energia vibratoria, legata anch’essa in gran parte alle caratteristiche fisi­co-meccaniche dei materiali in cui si propaga, avviene attraverso la generazione di onde che, giunte in superficie, causano i noti effetti sussultori ed oscillatori.L’ipocentro è il punto situato nella profondità terrestre in cui si genera il terremoto, l’epicentro è la sua pro­iezione in superficie. Secondo la Scala Mer­calli l’epicentro individua la zona che ha su­bito i maggiori effetti in relazione all’evento sismico, che non necessariamente coincide conia precedente definizione, dipendendo in questo caso anche da altri parametri che non l’energia e la individuazione spaziale del luo­go di generazione delle onde sismiche, uno dei quali può essere, ad esempio, la tipologia costruttiva degli edifici.

In ultimo vi è da dire che i terremoti non si manifestano casualmente, masi distribuisco­no in ben determinate aree dove le forze endogene sono più attive. La regione boraci­fera nel suo complesso(Larderello-Amiata)si inserisce nella porzione occidentale di un’area a sismicità omogenea, non molto elevata, delimitata ad Ovest dalla fascia costiera cen­tro meridionale toscana, ad Est dai primi con­trafforti della catena appenninica ed a Nord dai Monti Livornesi.

LA SISMICITÀ’ STORICA

Esaurita questa premessa, se si analizzano i dati storici pubblicati da vari autori, sembra emergere uno “spostamento” della sismicità, a partire dall’inzio del secolo, dai margini (volterrano-massetano) verso l’interno del­l’area geotermica. In particolare il massimo di attività pare concentrarsi tra le località di Serrazzano, Monterotondo M.mo, Larderello e Travale.

In tale area la distribuzione nel tempo della sismicità appare abbastanza omogenea.

La zona di Larderello registra il maggior nu­mero di eventi nel periodo che va dagli inizi del secolo fino al 1950: ciò può in parte derivare dal migliore controllo della sismicità in tale area, che ha permesso di registrare anche sismi d’intensità pari al 11°-1IP Mercalli (la Scala Mercalli ne conta XII), che con ogni probabilità erano stati trascurati dalle prece­denti cronache locali, poiché in molti casi non rilevabili in assenza di strumentazione. A con­ferma di ciò, se si considerano solo gli eventi d’intensità superiore al IV° Mercalli, soglia al di sopra della quale la percezione umana dell’evento diventa precisa, si nota come l’intervallo 1900-1950 non rappresenti più un massimo di concentrazione.

Per ciò che concerne la Magnitudo (massimo valore 10), risulta abbastanza evidente dai dati storici come, nel secolo scorso e fino agli inizi dell’attuale, si siano manifestati terremoti con maggiore energia, con valori anche abba­stanza elevati, oscillanti tra un minimo di 3,6 ed un massimo di 5,4.

A partire dal 1930 si ha una diminuzione dell’energia liberata che solamente in pochi casi supera il valore di 3,6.

In particolare l’evento di massima energia registrato in quest’ultimo periodo risulta esse­re quello verificatosi presso Monterotondo M.mo il 19/8/1970 con una Magnitudo di 4,5, mentre il sisma di maggiore intensità di cui si abbia notizia è il terremoto che colpì Travale 1’11/12/1724, che raggiunse il IX-XC grado Mercalli ed una Magnitudo di 6,4.

Questi valori d’intensità dei terremoti storici (e soprattutto di Magnitudo), come già evi­denziato dal Prof. Barberi, vanno presi con le dovute cautele, poiché spesso sovrastimati in quanto ricavati da dati che spesso rispec­chiavano la soggettivitàdel cronista dell’epo­ca e perché riferiti ad edifici con tipologie costruttive certamente non paragonabili con le attuali.

Ci si può domandare a questo punto se è possibile stimare, dall’analisi dei dati storici, la probabilità che si verifichino terremoti di notevole energia nell’area geotermica.

Una simile valutazione si può tentare se si utilizzano alcune relazioni empiriche tramite le quali si possono anche rendere confrontabili dati di sismicità relativi a zone diverse.

Analizzando ad esempio i dati compresi nel­l’intervallo di tempo 1880-1975, ne risulta che la probabilità del verificarsi di sismi di notevole Magnitudo nell’area geotermica, pare essere scarsa, sicuramente più bassa del resto del territorio regionale, nonché di quello naziona­le.

SISMICITÀ’ ATTUALE

L’installazione a partire dal 1976 di una rete di rilevamento sismico da parte dell’Enel, finalizzata al controllo ed alla definizione di eventuali relazioni tra sfruttamento, reinie­zione e liberazione di energia sismica, ha permesso un controllo capillare ed una mi­gliore conoscenza delle carateristiche della sismicità dell’area.

Dai dati pubblicati emerge come vi siano tre zone principali caratterizzate da attività sismi­ca e cioè: Monterotondo M.mo, Travale e Larderello. Generalmente la loro sismicità, probabilmente in gran parte legata all’azione della risalita del materiale caldo profondo, non dà vita, come nel Marzo scorso, a se­quenze di eventi minori caratterizzate dalla presenza di uno o più episodi di maggiore intensità (sciame sismico), ma a singoli ter­remoti a bassa energia.

Se questa teoria risultasse esatta si potreb­be supporre che la sismicità dell’area non sia dovuta ad una sola causa.

I singoli terremoti a bassa energia sarebbero infatti generati da un meccanismo locale, direttamente legato, come più volte detto, alla risalitadi materiale caldo, mentre, le sequenze di eventi con episodi a Magnitudo maggiore, sarebbero dovute all’azione delle forze della dinamica terrestre a valenza regionale. Tale ipotesi pare essere avvalorata dal gran nume­ro di microeventi che vengono continuamen­te registrati, gli ipocentri dei quali risultano concentrarsi in una fascia a non elevata profondità, coincidente in gran parte con quell’orizzonte di rocce fratturate prima men­zionato, indizio di un legame con cause locali. Gli ipocentri invece dei terremoti a maggiore energia sembrano collocarsi generalmente a profondità maggiori, forse in relazione a strut­ture più direttamente legate ad una dinamica di tipo regionale.

Da alcuni anni inoltre è stata introdotta nel­l’area geotermica, la pratica di reiniettare nel sottosuolo i fluidi utilizzati nelle attività produt­tive. Ciò viene fatto per due motivi principali: tentare una ricarica artificiale, se pur parziale, del ‘’serbatoio” nelle zone di massimo sfrutta­mento ed evitare inquinamenti delle falde acquifere, nonché dei corsi d’acqua e, si può aggiungere, probabilmente per abbattere i costi che un trattamento di tali reflui compor­terebbe. Tutto questo viene effettuato sotto il controllo della Regione Toscana, competen­te in materia di controllo e rilascio di autorizza­zioni.

L’attività di reiniezione ha comportato per l’Enel la necessità di monitorare in maniera continua l’area geotermica, per evitare l’even­tuale manifestarsi di conseguenze indeside­rate.

Ed è appunto in tale ambito che è stata messa in opera l’attuale rete sismica, al fine quindi di controllare quali potessero essere le influenze della reiniezione sulla sismicità ed in partico­lare per stabilire se e come questa attività potesse modificare i meccanismi di liberazio­ne dell’energia sismica nell’area geotermica. Dagli studi compiuti non sembra, almeno per ora, risultare un legame direttto ed immedia­to tra reiniezione e variazione delle caratteri­stiche sismiche delle aree in cui essa ha luogo, tranne rare eccezioni.

Anche se non è possibile generalizzare un rapporto di causa-effetto, alcune considera­zioni, già per altro ampiamente illustrate dal Prof. Barberi, possono essere fatte in base ai dati disponibili:

  1. la reiniezione può produrre un incremento nel numero degli eventi a bassa e bassissima energia, ma non sembra modificare i mecca­nismi causa dei terremoti a più alta energia. Probabilmente ciò è anche dovuto, come detto, alla loro diversa origine, legata a fattori locali, forse influenzabili dalla reiniezione, per i primi, collegata a strutture più profonde a valenza regionale per i secondi.
  2. la reiniezione probabilmente favorisce la liberazione di energia e conseguentemente non peremette l’accumularsi di forti tensioni, riducendo così ulteriormente la possibilità che si verifichino terremoti superficiali di tipo distruttivo.

Simili conclusioni, se pur parziali, sono con­fermate da analoghe esperienze effettuate all’estero.

D’altra parte dati certi che possano garantire la completa affidabilità di tale pratica non ve ne sono, è una sperimentazione che va avanti nel tempo. Lo stesso monitoraggio continuo che l’ENEL compie sulla sismicità ne è testi­mone.

Quello che si può dire con sicurezza è che negli ultimi dieci anni, periodo in cui la reinie­zione è stata utilizzata in maniera continuati­va, non si è registrato un significativo incre­mento dell’attività sismica, per lo meno per gli eventi a più alta energia.

Certo, la non completa conoscenza dei mec­canismi che regolano la dinamica terrestre, e quindi la genesi dei terremoti, e la scala, geologica, dei tempi, rende necessaria la prosecuzione del controllo della sismicità e dello studio della sua evoluzione nella nostra zona.

CONCLUSIONI

E’ comunque forse lecito azzardare l’ipotesi che l’episodio sismico del Marzo scorso, e probabilmente anche il più recente dell’inizio di Agosto, potrebbero, per le loro caratteristi­che, essere ricollegabili a quella attività pro­pria delle strutture legate alla dinamica terre­stre a valenza regionale, che si manifesta normalmente con eventi di Magnitudo massi­ma circa pari a 4 -5 e probabili tempi di ritorno medi di 20-25 anni (terremoti del 1933 Sasso Pisano VI Mercalli, del 1946 Pomarance/ Volterra VI Mercalli e del 1970 Monterotondo M.mo VI+). Se questa ipotesi risultusse avere un qualche fondamento, contribuirebbe a fugare ulteriormente le perplessità relative alla pratica della reiniezione che, come si è prima detto, allo stato attuale delle conoscenze non pare possa estendere la propria influenza su tali strutture.

La sismicità con scarsa energia legata a fattori locali, la bassa probabilità che si veri­fichino terremoti con alta energia, il non pro­vato diretto rapporto causa-effetto tra reinie­zione e sismicità, la mancanza di importanti terremoti storici, sono tutte considerzioni che non possono altro che tranquillizzare.

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

Sicuramente la gravità degli effetti di un ter­remoto è legata in gran parte alla tipologia costruttiva degli edifici. Edifici vecchi o in condizioni di manutenzione precarie, come sono spesso quelli presenti nei nostri centri storici, non sono esattamente ciò che sarebbe necessario per resistere alla violenza di un terremoto.

Larichiestadi inserire il Comunedi Pomaran­ce in zona sismica, sentita da gran parte dei presenti in Piazza S.Anna in quella sera di Marzo, come una esigenza improcrastinabile, non pare, a mio giudizio, una scelta troppo oculata. E’ vero, come ebbe modo di afferma­re con forza il Prof. Barberi, che è sicuramente “criminoso” non comprendere in zona sismi­ca un’area che ne avesse i requisiti, ma è altrettanto vero che chiedere di esservi inse­riti, magari sull’onda dell’emotività, quando questi requisiti non vi siano o non siano sufficienti, è sicuramente quanto meno con­troproducente.

Quanto lo sia sarà facile sperimentarlo al momentodi costruirsi unacasaodi modificare l’esistente, di rifare un tetto, etc., quando ci accorgeremo di dover far fronte a spese aggiuntive, sia di progettazione, che di rea­lizzazione, tutt’altro che trascurabili, neces­sarie però per adeguare le opere agli standard richiesti alle costruzioni in zona sismica. Lo stesso accadrà per le attività produttive con conseguenze immaginabili.

E poi è certo: essere inseriti in area sismica non evita che i terremoti si verifichino.

La nostra zona non era stata a suo tempo inclusa negli elenchi dei comuni sismici per­ché i tecnici prosti alla classificazione sismica del territorio nazionale non ritennero che dall’ esame comparato dei dati in loro possesso ve ne fossero le motivazioni, come tennero a specificare sia il Prof. Barberi che il Prof. Scandone, né gli ultimi eventi sismici, proba­bilmente del tutto conformi con la sismicità storica, possono, a parer mio, con tutta proba­bilità fornire nuovi elementi tali da giustificare una revisione della classificazione. Non so se nel frattempo la richiesta sia stata formalizzata o vi sia stata una giusta pausa di riflessione, forse un ripensamento, una volta passata l’onda delle emozioni che talvolta possono essere cattive consigliere.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

ENERGIA GEOTERMICA

ALCUNE APPLICAZIONI A COLTURE PROTETTE

P.D. BURGASSI: ENEL DPT Vice Direzione Attività Geotermiche Centro Dimostrativo per gli usi non elettrici dell’energia geotermica. Castelnuovo V.C.

Nella regione geotermica toscana le aree interessate da manifestazioni natu­rali sono state utilizzate in passato per la coltivazione di primizie. Infatti, l’alta tem­peratura del terreno favoriva la crescita di prodotti orticoli fuori stagione e le emis­sioni di vapori e gas formavano una sor­ta di cappa di protezione nei confronti di neve e gelo.

Quando nella seconda metà del secolo passato iniziò, attraverso l’uso di tubi in ferro chiodati, il trasporto a distanza dei fluidi naturali (questi sin dal 1827 veniva­no utilizzati come fluido di processo per l’estrazione dalle acque geotermiche dei sali di boro) lungo questi primi vapordot­ti, non coibentati, nacquero le prime strut­ture protette, in muratura, legno e vetro, destinate ad ospitare colture orticole.

A partire dal 1900 quando il vapore natu­rale cominciò ad essere impiegato per il riscaldamento di tutte le abitazioni di Lar- derello e dei villaggi sorti in corrisponden­za dei vari stabilimenti per l’estrazione dei sali di boro dalle acque geotermiche, au­mentò il numero di queste utilizzazioni in orticultura che venivano curate a livello familiare.

Negli anni ’30, furono costruite le prime serre, di una certa dimensione, in legno e vetro, riscaldate con vapore geotermi­co circolante attraverso tubi alettati, al servizio delle foresterie e delle mense aziendali dei vari stabilimenti della Socie­tà Boracifera di Larderello.

Nel 1950 quando, dalla Larderello S.p.a., furono costruiti i grandi impianti serricoli di Castelnuovo e Lago Boracifero l’azien­da agricola della Società si trasformò da fornitrice per le necessità aziendali in pro­duttrice e venditrice di prodotti orticoli sui normali mercati.

TIPO DI FLUIDO

Come indicato i primi impianti utilizzavano il calore disperso da vapordotti che traspor­tavano fluido dai pozzi agli impianti indu­striali e alle utenze civili, successivamente cominciò ad essere impiegato vapore con caratteristiche termodinamiche inferiori e quindi meno adatto alla produzione di ener­gia elettrica, questo fluido veniva fatto cir­colare direttamente nelle serre utilizzando tubi alettati come corpi scaldanti.

Oggi, di norma, si utilizza come fluido di trasporto del calore per il riscaldamento di serre acqua trattata a temperature che variano, a seconda delle caratteristiche del fluido geotermico che viene sfruttato. In qualche caso in impianti di vecchia co­struzione viene ancora utilizzato come fluido di riscaldamento vapore naturale, che circola all’interno delle serre utilizzan­do ancora, come una volta, tubi alettati come corpi scaldanti, ma con questo si­stema, anche se è possibile risparmiare l’energia necessaria per il pompaggio, si verifica uno sfruttamento incompleto del potenziale energetico del fluido.

SISTEMI DI RISCALDAMENTO

Sulla base delle temperature del fluido geotermico ed in relazione alla coltura che si intende impiantare cambia la tipo­logia dei sistemi di riscaldamento che possono essere:

  • A circolazione naturale di aria calda, me­diante l’impiego di tubi che possono es­sere lisci od alettati e posti a terra lungo le pareti delle serre. Questo sistema, adatto per la circolazione di fluidi la cui temperatura si aggira intorno a 90°C, pre­senta di n’orma piccole differenze di tem­peratura tra ingresso ed uscita dell’acqua e quindi mal si presta ad uno sfruttamento razionale e completo della fonte.
  • Con riscaldamento del suolo, mediante tubi in materiale plastico, interrati, nei quali viene fatta circolare aria calda.

Questo sistema, pur essendo in grado di mantenere una temperatura uniforme nel­la serra, è strettamente legato al tipo di coltivazione ed alle temperature ottimali cui deve essere sottoposto l’apparato ra­dicale delle piante, comunque il riscalda­mento del suolo si trova sempre abbina­to ad un altro sistema. Il primo impiego del riscaldamento del suolo in geotermia fu realizzato nel 1969 dall’E.N.E.L., in col­laborazione con l’istituto Internazionale per le Ricerche Geotermiche del C.N.R., presso l’attuale Centro Dimostrativo di Castelnuovo di Val di Cecina in una pic­cola serra pilota (circa 200 mq.) che po­teva utilizzare acqua a temperature com­prese tra 30 e 70°C. (Fig. 1).

Questa serra presentava un doppio siste­ma di riscaldamento, con aerotermi fun­zionanti con acqua a temperature di 70°C e con tubi in polietilene interrati a 25 cm. di profondità, nei quali circolava acqua a 25-30°C.

  • Riscaldamento con tubi appesi alla strut­tura portante della serra, appoggiati al pa­vimento o addirittura sospesi sotto i ban­cali o sopra i bancali stessi mediante tu­bi alveolari.

Nella progettazione di impianti di serricol- tura alimentati da fonte geotermica è ne­cessario prima di tutto ottimizzare il siste­ma cercando di integrare le caratteristiche della fonte con le esigenze dell’utenza. È opportuno anche aumentare al massimo il coefficiente di utilizzazione cercando nel­lo stesso tempo di realizzare usi in casca­ta e così abbassare il più possibile la tem­peratura finale, tenendo presente che escluse situazioni particolarmente favore­voli il fluido geotermico, alla fine del ciclo, deve essere reiniettato perché questo è ricco di sali disciolti. Questa ricchezza di sali disciolti rende necessario prevedere come fluido vettore del calore all’interno della serra, acqua trattata in ciclo chiuso.

SITUAZIONE ATTUALE IN ITALIA

Analizzando i fluidi geotermici attualmen­te utilizzati nella serricoltura in Italia si può vedere dalla tabella 1 che, per alcune ser­re (in Italia circa 5 ettari) viene impiegato come fonte di riscaldamento vapore con temperatura intorno a 120°C (ovviamen­te il fluido che circola nel circuito secon­dario ha una temperatura di circa 90°C). Per altre serre vengono utilizzate acque provenienti da sorgenti o pozzi a tempe­rature variabili tra 40 e 97°C.

A questo proposito è molto interessante il caso di Piancastagnaio dove il fluido geotermico (vapore surriscaldato con una percentuale abbastanza elevata di gas) viene utilizzato per produrre energia elet­trica in una turbina a scarico libero; il flui­do scaricato passa in uno scambiatore a miscela a pressione atmosferica da cui esce acqua a 97°C che viene inviata in scambiatori a piastre dove riscalda a 90°C l’acqua trattata del circuito secon­dario di un impianto di serricoltura, prima di essere inviata alla reiniezione. Tra gli scambiatori a piastre e le serre esiste un notevole dislivello per cui è necessario far passare l’acqua del circuito secondario attraverso scambiatori a fascio tubiero po­sti alla stessa quota delle serre. Di qui, dove esistono anche grandi serbatoi per l’accumulo di calore, parte il circuito (ter­ziario) che, in ciclo chiuso, va ad alimen­tare gli impianti di produzione (Fig. 2) Un altro caso di utilizzazione integrata dell’energia geotermica, di grande inte­resse, è il progetto Bulera fino ad oggi realizzato solo parzialmente dove, parten­do da fluido a 120°C, dovrebbe essere prodotta energia elettrica, dovrebbero es­sere riscaldati 2 ettari di serre, tunnels per olticoltura e funghicoltura, vasche per al­levamenti ittici e campi. (Fig. 3)

CONSIDERAZIONI TECNICO ECONOMICHE

Occorre rilevare, come quella geotermi­ca presenti, rispetto alle fonti di energia convenzionali, un basso impatto ambien­tale, purché siano rispettate ovviamente alcune regole fondamentali quale quella della reiniezione di reflui inquinanti.

La caratteristica principale è data dall’al­ta efficienza energetica dell’energia geo­termica, in particolare per i fluidi a bassa temperatura. Il rapporto tra lavoro prodot­to e energia termica che è possibile otte­nere dai fluidi geotermici, a partire dalle loro condizioni iniziali, sino alla tempera­tura ambiente, può raggiungere il 90% contro il 70-80% che può essere ottenu­to con i combustibili fossili. D’altra parte il calore geotermico ha un costo decisa­mente inferiore rispetto a quello ottenuto da carbone, petrolio e gas naturale percui è opportuno scegliere colture molto “energivore”, cioè piante che necessita­no per il loro sviluppo di alte temperatu­re e quindi di una forte quantità di ener­gia termica. Il mercato italiano oggi sem­bra incoraggiare in particolare produzio­ne floricola florovivaistica, fiori e piante or­namentali, tra queste: aeschynanthus, ci­clamino, croton dieffenbachia, euphorbia- pulcherrima (poinsettia), ficus, nephrole- pis, ortensia scheffleria, scindapsus (pho­tos), spathiphyllum, syngonium philoden- drom, anche se non sono da disprezza­re colture orticole specializzate (basilico ecc.).

Fig. 2 SCHEMA SEMPLIFICATO DELL’IMPIANTO PER RISCALDAMENTO SERRE DI PIANCASTAGNAIO
FIG. 3 SCHEMA SEMPLIFICATO DEL “PROCETTO BULERA”.

Occorre tener presente però che l’inci­denza delle spese di riscaldamento, uti­lizzando combustibili convenzionali, si ag­gira intorno al 15-20% del valore del pro­dotto venduto e pertanto è possibile ren­dere competitive le serre in località colli­nari dove sono ubicate di solito le risorse geotermiche (quindi a minor temperatu­ra media esterna): queste sono talora lon­tane da grandi centri di utilizzazione del prodotto, per cui sul costo finale vengo­no ad avere forte incidenza, come già ac­cennato le spese di trasporto.

PROSPETTIVE FUTURE

Come riportato nella tabella 1 in Italia gli impianti terricoli che utilizzano energia geotermica sono 9. Sono in corso di rea­lizzazione alcune iniziative di grande in­teresse, sia per le dimensioni dei nuovi impianti, che per le innovazioni tecnolo­giche che vengono proposte.

Ad esempio a Castelnuovo di Val di Ce­cina è in costruzione una serra di circa 2000 mq. destinata alla produzione di ba­silico nella quale sarà utilizzato il doppio sistema di riscaldamento con aerotermi (utilizzanti acqua a 65°C) e con riscalda­mento del suolo attraverso tubi corrugati in materiale plastico, a 40 cm di profon­dità nei quali circolerà l’acqua provenien­te dagli aerotermi a 35°C.

Una particolarità significativa di questa serra è che la fonte geotermica è rappre­sentata dall’acqua di scarico del teleri­scaldamento del vicino paese. Questo, una volta attivato, sarà un esempio di uso combinato del fluido geotermico con un elevato fattore di utilizzazione, anche per­ché serre e teleriscaldamento presenta­no approssimativamente lo stesso anda­mento del diagramma di carico termico. Altre iniziative sono in corso di realizza­zione a Castelgiorgio in provincia di Ter­ni e a Latera in provincia di Viterbo.

A Castelgiorgio con il fluido prodotto da uno dei pozzi a suo tempo perforati dal- l’E.N.E.L. (acqua a 120°C) verrà aziona­to un gruppo a circuito binario da 1000 KW a valle del quale l’acqua a 90°C, at­traverso scambiatori a piastre, riscalde­rà il fluido di un circuito secondario de­stinato ad una iniziativa agroindustriale e a 2 ettari di serre, prima di essere reiniet­tata in un altro pozzo. A Latera invece un fluido bifase (acqua e vapore a 200°C) alimenterà una cen­trale elettrica a doppio flash e, a valle l’ac­qua di scarico andrà ad alimentare l’im­pianto di riscaldamento di quindici ettari di serre.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

GIOVANNI MICHELUCCI

RICORDO DI FLORESTANO BARGELLI.

Salivamo lentamente la strada verso Fiesole, io Lucia e Sergio, per incon­trare il Maestro.

Sergio ci accompagnava, lo cono­sceva bene, con Lui aveva costruito Larderello. Arrivammo, un po’ di mano­vra a parcheggiare la macchina, poi fatti alcuni passi ci trovammo davanti ad un ambiente soggiorno, assai ampio, era lo studio con due ampie vetrate ad arco verso Firenze.

G. Michelucci firma la pergamena inserita nella prima pietra. 22/5/1956.

Scrutavo velocemente in ogni dove, in una specie di disordine ordinato, volevo vedere tutto, carpire ogni cosa, ma per l’emozione vidi poco.

Entrò.

Non l’avevo mai visto prima di allora, se non per fotografia; me /’aspettavo più alto, ricordo lo fissai con grande inten­sità come per accertarmi che fosse ve­ramente Lui. Portava una giacca spinata di color marrone, sotto aveva una ca­micia di flanella quadrettata a colori; ci salutò e di li a poco ci invitò a sederci. Mi avvicinò una sedia (era un suo disegno) dalla forma insolita; tre gambe ed uno schienale ricavate da un’unica tavola, mi ricordò tanti panchetti che si casa fine ottocento, normale nell’apparire (ricordo che ben diverso fu l’impatto con casa Savio li a Galluzzo, allora ero più giovane), una normale classica porta, suonammo, ci fu aperto, ricordo una scala apparentemente ripida, ma classica, forte della sua pietra grigia, scendemmo e subito apparve un am trovavano in campagna in uso ai con­tadini, ebbi un attimo di perplessità, Lui mi notò “si sta bene lì” mi disse sve­lando un mio stupore con la malizia dolce del saggio rassicurante. Iniziò la nostra conversazione.

Parlammo delle origini dell’architet­tura, poi una lunga considerazione sul Brunelleschi, sul Rinascimento, ma il tema della spiritualità era il motivo sempre presente con lucidità liberale scevra da ogni schema; parlava con amore anche delle cose più semplici, della pietra, intesa non come materia, ma come cosa viva fino a riflessioni sul suo modo di rapportarsi all’architettura insieme agli attori di questo mondo. Quando il nostro parlare ricordò l’espe­rienza di Larderello il Maestro, quasi con un cenno di malinconia rammentò i luoghi con grande affetto, ma traspariva dalle sue parole un rincrescimento per non aver potuto avere, quasi per una sorta di veto, un continuo rapporto con gli operai. Tale fu la mia impressione, sulla quale meditando, ho capito e giustificato al mio essere il perchè ed il come del suo operare a Larderello.

Disse: “Quando arrivai per la prima volta a Larderello rimasi colpito e frastornato da quel rumore diverso, da quell’odore particolare, dalla maestosità di quelle grandi torri ingegneristiche fumanti, così belle, che nel pensare alla Chiesa mi venne istintivo di fare una cosa diversa, allegra, come per isolarsi da quel naturale fragore”.

Non osavo interrompere il suo par­lare, e consideravo un privilegio ascol­tarlo; Sergio, più confidenziale, ricorda­va volentieri episodi a cui il Maestro fe­licemente partecipava, finché entrai quasi sommessamente nel discorso: si parlava di chiese, ricordando la piccola cappella di Sasso Pisano che tanto mi aveva colpito proprio per una sua na­turalezza plastica, organica la definirei.

Ricordo che immediatamente non focalizzò questa piccola cosa, ma dopo le mie prime battute dove esprimevo le mie considerazioni, i suoi occhi attenti si illuminarono ancor di più in quel volto dal profilo aquilino dolce ed austero e dai bianchi capelli disordinatamente pettinati con la riga che mi stava davanti leggermente inclinato sullo sfondo di Firenze: avevo forse toccato quell’origi­ne inconscia, che maturata nel tempo si era poi sviluppata nella Chiesa dell’Autostrada.

Poi la curiosità del vedere prese il posto alle parole, ma questa era una necessità anche per Lui; con agilità si alzò ed iniziò ad aprire una cassettiera di un contenitore a lato mostrandoci disegni, tanti disegni, progetti mai rea­lizzati, idee maturate, materiale che mai avrei pensato di vedere. Con affabilità inconsueta illustrava, in mezzo a tante carte, un piccolo plastico “Questa è la Chiesa di Longarone” e con la rapidità di un falco passò la mano sopra il modello togliendo il campanile “questo non va visto” continuò +‘Tho dovuto mettere per motivi ecclesiastici, ma que­sta è la chiesa dove si può camminare, sostare in ogni dove, partecipando all’assemblea dei credenti”.

Il tempo passava veloce, il sole calante illuminava radente Firenze, in cui già spuntavano le luci della sera “eccola là la città” disse “piena dei suoi problemi sempre più pesanti non vivibile, bisognerebbe organicamente rovesciarla: le strade una funzione meccanica, gli interni una funzione umana” aveva espresso un concetto urbanistico di fondo che andrebbe oggi indagato specie per le città d’arte.

Finì così quel pomeriggio, mentre la sera si impadroniva di ogni cosa. Per una sorta di circostanze il Maestro scese con noi a Firenze; doveva ripren­dere la macchina, lo accompagnammo al garage; come arrivammo, quegli uomuni di macchine in tute blu lo ac­colsero come un oracolo. Poi partimmo.

Incontrai altre volte negli anni il Ma­estro, in varie occasioni, in particolare a convegni e mostre, la Sua presenza dava prestigio: sempre qualcosa di nuovo c’era da scoprire, specie la sua nuova poetica con i metalli.

L’ultima volta che ebbi modo di in­contrarlo a Fiesole ero con Sergio; doveva essere rivisto il tabernacolo della Chiesa di Larderello secondo la nuova liturgia, ci recammo da Lui per avere il Suo pensiero.

Quantunque avanti negli anni, ricor­do che seduti nel solito soggiorno prese carta e matita e schematizzò l’idea dandoci riferimenti per il materiale. Ci complimentammo con Lui, per il suo stato di salute. Ci raccontò in proposito un simpatico aneddoto. Passati gli ottantacinque anni dovetti recarmi dal­l’oculista per misurarmi la vista per rin­novare la patente, il dottore vedendomi avanti negli anni cominciò a farmi leg­gere dalle lettere più grandi, allora scherzando dissi “Non si fa prima a leggere di fondo dalle più piccole?”. Da questa circostanza traspare l’integrità fi­sica dell’uomo accompagnata da una corretta lezione di vita.

Nel frattempo Leonardo Savioli era venuto meno, ed in quella circostanza mi venne spontaneo parlare della sua opera con il Maestro; Lui intuì che ero
stato suo allievo; con semplice schiettezza e serenità espresse il suo giudizio di stima, cosa che mi fece oltremodo piacere.

Quasi beffandosi di tutti il Maestro se n’è andato, le feste per i suoi cento anni sono state egualmente svolte, come era anche giusto fare, quale te­stimonianza ad un artista che nell’arco della sua lunga vita ha lasciato molte opere sulle quali tanto si è parlato e molto si dovrà ancora dire.

L’episodio di Larderello si sviluppa dopo gli anni cinquanta. Michelucci era sessantenne, nel pieno della maturità creativa ed intellettiva. Allora aveva già costruito importanti opere, ma quello che in certo qual modo lo eleverà oltre i confini nazionali dovrà ancora venire.

In quel tempo le fabbriche boracifere erano gestite dalla LARDERELLO S.p.A. Da poco era finito il conflitto mondiale, le tensioni politiche erano vivissime e sentite e anche nella nostra zona le forti contrapposizioni tra classi davano origine a posizioni faziose, riu­scendo talvolta a suscitare ulteriori di­visioni tra cittadini dello stesso ceto portando a tentativi inconsulti: basti ri­cordare l’ipotesi, poi fortunatamente fatta rientrare, di frazionare lo stesso Comune di Pomarance in due entità ge­ografiche ed amministrative.

In questo scenario, la nuova Ammi­nistrazione della fabbrica dava inizio al rinnovamento dell’azienda nel senso più ampio coinvolgendo l’edificato industria­le per nuove prospettive, ma contestualmente anche l’edificato civile e sociale.

E’ passato poco tempo per esprime­re un sereno giudizio sul ruolo che gli attori del momento recitarono; vi furono posizioni di Amministrazioni contrastan­ti, da cui probabilmente derivarono scelte che oggi, anche per una diversa organizzazione del complesso industria­le, manifestano segni di cedimento.

Interno della Chiesa di Larderello.
Prospettiva della Chiesa di Larderello.

Si poteva allora prevedere quanto stiamo vivendo: forse no; ma nel pen­siero dell’urbanista illuminato un timore passò; quel nostalgico rimpianto della mancanza di rapporto con gli operai mi appare oggi svelato, Michelucci disegnò Larderello residenziale al meglio delle concezioni urbanistiche e ne resta un esempio, ma involontariamente avulso dalla realtà territoriale dell’intorno.

Ne registriamo il fatto e la lezione con ragionata comprensione.

L’impostazione del villaggio residen­ziale viene pensato defilato dalla fabbri­ca vera e propria per motivi ambientali e salubri, vengono indicati i siti per i complessi pubblici, sociali, sportivi, re­ligiosi; vengono gerarchicamente ubicati i complessi residenziali, poi l’insieme or­ganicamente commisurato ad una via­bilità sinusoidale in virtù del declivio, piacevolmente raccordata da naturali sentieri pedonali, il tutto immerso nel verde. Michelucci assapora la natura, conosce i materiali, fa uso predominan­te della bianca pietra creandone un aspetto cromatico nei muri di contenimento o recinzione accompa­gnata da siepi di sempreverdi, ne leva la preziosità lavorandola per l’edificato.

La sua architettura è innovante per semplicità, negli interventi industriali come in quelli residenziali. Anche gli altri progettisti, per quanto abili, dovranno comunque riferirsi al suo linguaggio.

La diversità della Chiesa rispetto a
tutte le altre da Michelucci costruite, è voluta, ma allegra per questa valle così diversa, in cui sentirsi isolati ma felici.

Quando accompagnai Leonardo Savioli a visitarla per la prima volta, camminavamo lungo il deambulatorio felicemente coinvolti ed attratti dalla luminosità del corpo centrale geometri­camente invetriato; anche lui avvertiva questa sensazione diversa; in mistica penombra, quasi per avvalorarne la religiosità, è l’altare.

Michelucci costruisce la bella torre dei dirigenti, è un segno di città, benché grande, per la sua naturale piega mo­dellata al terreno appare così misurata e naturale, quasi un tronco d’albero semplicemente inghirlandato.

Tutti i piccoli villaggi residenziali costruiti all’epoca intorno alle fabbriche, subiscono l’influenza di Michelucci, sia nel linguaggio estetico che nell’uso dei materiali: ma l’esempio va oltre. I segni dell’architettura di Larderello diventano negli anni che seguono luogo comune per i costruttori locali; nei nostri paesi è facile leggere l’uso della bianca pietra per muri e per case, talvolta anche im­propriamente; si legge comunque uno sforzo qualitativo nella semplicità dell’edificato, ma soprattutto ha valore il senso del rispetto dell’ambiente nel­l’espansione dei centri urbani.

I segni dell’architettura restano nel tempo, tutelarli e conservarli è dovere civile delle generazioni: questi sono i te­stimoni dell’evoluzione e della civiltà dei popoli.

La bellezza delle nostre città, dei nostri borghi è soprattutto merito di architet­ture valide ed armoniose ove artisti hanno profuso la loro abilità ed estro in un rapporto dipendente con la natura d’intorno associando così ineluttabilmente ai luoghi il loro prestigio nel tempo.

In questa chiave di lettura dovrà Larderello, ove artisti come Michelucci hanno operato lasciando segni di subli­me qualità a testimonianza di un’epoca.

Dal nostro osservatorio, chiamati per professione ad operare in questi luoghi, abbiamo tutti il dovere di riflettere prima del fare, tenendo conto dei molteplici aspetti che stanno dietro al costruito sia esso piccola cosa che grande fabbrica, mirando sì all’utile e necessario ma anche alla qualità che diventa bellezza nel giusto rapporto tra forma, materiali e rispetto totale della natura: questa è la lezione che ci lascia Giovanni Michelucci.

Studio prospettivo della Chiesa di Sasso Pisano.

Florestano Bargelli

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.