A CURA DEGLI ARCHITETTI M.C. BIANCHI, M. SALVI, M. TALOCCHINI
Il monumento che abbiamo preso in esame, si trova a Montecerboli una frazione del Comune di Pomarance, situata nell’estremità meridionale della provincia di Pisa, in una zona prevalentemente collinare, tagliata fuori dalle grandi vie di comunicazione.
Dal punto di vista geologico siamo in presenza di argille spesso lignitifere e lacustri, serpentina e gabbro; il nucleo storico, all’interno del quale si trova il monumento da noi rilevato, è interamente fondato su gabbro e si trova a 375 m. sul livello del mare.
Interessante dal punto di vista geologico è la vicinanza con Larderello e i conosciutissimi fenomeni endogeni, dai quali pare derivare il nome di Montecerboli.
Si dice infatti che il nome fosse in origine Montecerbero a causa delle abbondanti emissioni sulfuree accompagnate da fummacchi, che facevano pensare alle porte dell’inferno, o al mitico guardiano delle medesime. Esiste comunque, anche un’altra teoria che fa risalire il nome a Monte Cervuli, per l’abbondanza dei cervi in questa zona; tesi questa avvalorata dal fatto che lo stemma della comunità, raffigura appunto un cervo sullo sfondo delle colline. «Non vi sono notizie antecedenti al 1000 riguardanti il castello di Montecerboli; la notizia più antica ce la fornisce il dott. E. Fiumi in una publicazione del 1934, egli parla di un atto stipulato nel 1003, che trovasi nell’archivio Vescovile di Volterra. In tale atto, Montecerboli, è chiamato “Monte Cerbero’’ ed il torrente che scorre alla base del monte è detto “Possula”, oggi Possera» (1).
Allo stato attuale Montecerboli è un paese che conta circa 1500 abitanti, che vive essenzialmente del lavoro che i soffioni boraciferi assicurano alla produzione dell’energia elettrica. A questa industria è stato legato anche lo sviluppo demografico e quindi edilizio; quest’ultimo ha avuto un notevole incremento dopo secoli di stasi, proprio all’inizio di questo secolo, quando l’industria boracifera “Larderello” (oggi Enel -Eni) ampliò gli stabilimenti ed assunse molta nuova manodopera.
Lo stato di conservazione del nucleo storico, che è rimasto piuttosto decentrato rispetto allo sviluppo edilizio attuale è al momento, soddisfacente, pur con gli inevitabili restauri scorretti eseguiti negli anni passati.
Il castello di Montecerboli trovandosi nell’area gravitazionale della città di Volterra, vede tutta la sua storia, legata appunto alla storia di Volterra di cui è stato per lungo tempo tributario; si trova notizia difatti, che nella primà metà del 1400, il Vescovo di Volterra, Roberto Ardinari, conferiva il titolo di conte di Montecerboli, ad Antonio di Pasquino Broccardi; i Broccami nel XV secolo erano una facoltosa famiglia di Montecerboli dove possedevano molte terre, ed avevano investito molti capitali nel commercio volterrano per lo zolfo ed allume che allora si estraevano dal territorio dei soffioni. La Comunità e cura amministrativa di Montecerboli, in antico comprendeva “ville e villaggi” oggi in gran parte perduti, ma sappiamo che al 1200 erano: S. Maria, S. Ippolito, Bagni a Morba, Libbiano e Spartacciano. Questo dimostra, che seppure di modeste dimensioni, il castello godeva di una certa autonomia, ed anche di uno statuto e di misure proprie e questo lo troviamo ampiamente testimoniato dal dizionario Geografico Fisico e Storico della Toscana di E. Repetti, di cui riportiamo un ampio stralcio: “Montecerboli in Val di Cecina.
Castelletto con chiesa plebana di San cerbone già filiale della pieve di S. Maria a Morba, cui fu riunita nella comunità giuridica; è circa 4 miglia a scirocco delle Pomarance, diocesi di Volterra, compartimento di Pisa.
Risiede sopra un piccolo poggetto di gabbro fra la strada provinciale massetana, che gli passa a ponente e il torrente Possera, confluente a sinistra della Cecina. Senza perdersi in congetture sull’origine del nome di Montecerboli, io non trovo notizie d’esso, ne dei loro signori, che sieno più antiche di quelle pubblicate daH’Ammirato Juniore, nelle aggiunte alle vite fatte de Vescovi di Volterra del vecchio Ammirato.
Fra le quali un contratto del 14 gennaio 1160, rogato in Volterra nel Chiostro della cattedrale, vertente sopra una permuta fatta tra il Vescovo Galgano di Volterra e un certo conte Guglielmino, figlio del conte Rainuccio, e fratello di una altro conte Lottario, quando Guglielmino cede al Vescovo prenominato tutto ciò, che tanto egli che donna bella di lui moglie, possedevano nei castelli e distretti di Monte Cuccari, di Camporena, di Laiatico, di Ghizzano, e di Cedri in Val d’Era. In cambio di tali beni, il vescovo Galgano, rinunziò, ai due coniugi, la terza parte del castello, borgo e corte di Montecerboli’’.
La quale ultima espressione ci dà chiaramente a conoscere che la Comunità di Montecerboli, fino a quell’età aveva misure sue proprie. Con altro strumento della stessa provenineza, scritto il 20 dicembre 1173 nel palazzo Vescovile di Volterra, Ranieri degli Libertini, Vescovo di detta città fece fine a quietanza per L. 300 pagategli dal comune di Volterra di tutto ciò che poteva pretendere rispetto ai dazi, condanne penali etc.; che il comune predetto aveva nei tempi addietro imposto e fatto pagare agli abitanti delle Pomarance, di Montecerboli, di Leccia, di Sasso, di Serrazzano, paesi sui quali i vescovi volterrani avevano allora doppia giurisdizione. Infatti nel mese successivo, governava in Montecerboli, un rettore vescovo di Volterra, del quale ne da prova il seguente documento tra le carte della Comunità di Volterra relative a prestazioni di giuramento d’ubbidienza, a quel comune. Esiste un atto rogato in Montecerboli per Ranieri degli Libertini, in cui con i consiglieri elegge e costituisce un sindaco per recarsi a Volterra a giurare obbedienza a quel podestà e colà difendere le liti relative alla comunità di Montecerboli.
Quindi troviamo nei secoli XIII e XIV, che a seconda delle disserzioni e pacificazioni fra i vescovi e i rappresentanti il comune di Volterra, gli uomini di Montecerboli prestavano obbedienza di sudditanza alla città piuttosto che al loro prelato. Solamente per concordia fatta ne! 1253, fu stabilita la restituzione al vescovo Ranieri del castello sopra nominato, a condizione che alla morte di lui tornassero in potere della citta. Frattanto, per interesse comune delle parti, a seconda di una nuova convenzione fatta nel 1226 fra il vescovo Alberto Scalari e il Comune di Volterra: “si esigevano le collette, le condanne e ogni altro diritto”.
Intorno a questa stessa età Montecerboli, a tenore dello Statuto volterrano del 1228, pagava di tassa annua lire 7286.
Mediante alcune trattative concluse nel 1319 state
rinnovate quattro anni dopo fra i rappresentanti della città e Rainuccio,
restò convenuto che i rettori di Montecerboli e degli altri 4 castelli, si
dovessero estrarre da una borsa di 200 probi cittadini volterrani, a patto di
ricevere la investitura del Vescovo. Ma con il tempo si mancò ai patti per
cui il 29/12/1394 furo
no stabiliti tra il vescovo e il comune di Volterra, nuove convenzioni con le
quali fu determinato che il giurisdicente di Montecerboli, non si poteva
nominare eccetto che fra i cittadini volterrani.
Finalmente dallo statuto di Volterra del 1411, rilevasi che allora nel castello di Montecerboli, faceva ragione un ufficiale inviatovi dal comune di Volterra. Uno degli ultimi atti tendenti a provare un resto di dominio che in Montecerboli avevano i Vescovi, fu scoperto dallo stesso Ammirato Juniore nell’archivio delle Riformagioni di Firenze; è una provvisione della Signoria fatta nel 1429, dalla quale risulta che il comune di Volterra, stante la ribellione accaduta nel 1427, aveva perduto il diritto di eleggere i suoi podestà e i suoi giurisdicenti del contado Volterrano, ma siccome i rettori della repubblica fiorentina avevano molta stima del Vescovo Stefano da Prato, Vescovo di Volterra, vollero conservare in favore suo gli antichi diritti, fra i quali, quello di eleggere e di poter inviare ogni sei mesi i rettori a governare nel civile gli abitanti dei castelli delle Ripomarance, Laccia, Sasso e Serrazzano rilasciandogli per detto tempo anche la regalia delle condannazioni. (Ammirato dei vescovi di Volterra). Non sembra però che ai successori del vescovo Stefano Aliotti fosse continuato un tal privilegio dalla repubblica fiorentina a nome della quale d’ora in poi Montecerboli si governava con tutto il restante contado.
La Chiesa Parrocchiale di San Cerbone, fu eretta in battesimale dopo che l’antica sua chiesa matrice di S. Maria a Morba, cadde in rovina. La qual trasalazione avvenne verso il 1400 giacché la Pieve a Morba esisteva nel 1335 cosi come attesta il sinodo volterrano dello stesso anno. Sul declinare del secolo medesimo venne rammentata ancora da “Ugolino da Montecerboli” nella sua opera “De Balneis”.
Delineato sommariamente il quadro storico e ambientale in cui ci troviamo, cercheremo ora di scendere nei particolari e cioè nell’esame tipologico di questo monumento.
Ci troviamo di fronte ad una chiesa a pianta rettangolare ad una sola navata con annesse due altre costruzioni di incerta datazione ed un campanile piuttosto recente(1902).
La struttura in elevazione della chiesa è realizzata con muratura a sacco in laterizio, che all’esterno è lasciato a facciavista, mentre all’interno è allo stato attuale intonacato così come lo era già nel ’600.
La copertura alla “lombarda” èsorretta da tre capriate ed è stata più volte manomessa, come troviamo ampiamente documentato, per cui è impossibile stabilire come fosse in origine; dalle lesioni che si riscontrano sulla facciata, si può però ipotizzare che non fosse una copertura a spinta eliminata. Sul lato posteriore sinistro esisteva un campanile a vela con due campane, che franò agli inizi di questo secolo e non fu più ricostruito; si preferì, malauguratamente, costruirne uno nuovo, che come si può vedere, fa brutta mostra di sé sul lato destro della chiesa.
Abbiamo trovato scarne notizie di questa chiesa nelle pubblicazioni consultate; comunque dall’opera di Moretti Stopani (Chiese Romaniche in Val di Cecina), abbiamo potuto trarre alcune valide indicazioni, nonché la convinzione che l’oggetto del nostro studio si inquadra perfettamente nella tipologia delle sopra citate chiese, sebbene sia stato costruito probabilmente in economia e materiali poveri.
È comunque da notare l’archivolta con ghiera di cotto stampata a zigzag, che si ritrova anche in altre chiese dei dintorni (Beiforte e Monteguidi) e il basamento di pietre a vista arenaria indicatore di un’influenza pisano lucchese filtrate daH’ambiente volterrano; anche qui il materiale impiegato è meno pregiato. Anche i materiali da costruzione sono tipici di questa zona: arenarie, travertino, laterìzio e gabbro verde. Sicuramente interessante è il bordo in laterizio stampato in varie fogge che si trova sui paramenti esterni poco sotto la copertura. Non è da escudere che questi siano gli “idoletti” di cui parla Targioni Tozzetti in una relazione di viaggio in questi luoghi.
La chiesa plebana di San Cerbone, dipendeva in origine dalla Pieve a Morba di cui in seguito prese i titoli e il fonte battesimale, come si trova testimoniato in una lettera di Don Mario Bocci archivista dell’archivio Vescovile di Volterra:
“Della Pievania di San Giovanni a Morba, rimane oggi solamente l’abside incorporato ad una casa colonica.
La pieve apparteneva come diocesi al nucleo primitivo della chiesa volterrana come fanno
fede i due privilegi di papa Alessandro III al Vescovo S. Ugo (1117 e 1179). La pieve era collegiata cioè possedeva un piccolo capitolo dei canonici: all’atto della costituzione dei Sesti Vicariali viene riconosciuta al Capo Sesto della Maremma o di Montagna ed ha sette rettorie che da essa dipendono come filiali cioè S. Cerbone e Montecerboli, San Michele e Spartacciano, S.S. Salvatore e Castelnuovo ecc”.
Di certo è che già nel 1400 la pieve minacciva rovina. Il 24 Novembre 1460, il vescovo G. Neroni, ad una istanza del Vicario Consiglieri, e popolo della Comunità di Montecerboli, risponde che, “attesa la penuria del clero (sappiamo infatti che nel periodo che va dal 1310 al 1315, essendo vacante il posto di pievano, tenne per qualche tempo la pieve, il prete Cinzio, rettore di S. Cerbone a Montecerboli) e tenuità delle rendite della chiesa di san Cerbone: “Propter guerras, pestilentias nancnon alias calamitates etgravedines’’ aggrega, unisce e incorpora ad essa la pieve “… quae sub venerando vocabulo Sancti Joannis de Morba est sita infra metas vestrae Curtis et sine cura animarum, cum omnibus suis pertinetisis juribus actionibus ecclesiis et oratoriisi’’. Cosi il nome, la gloria e la supremazia di Morba, cessarono e i titoli con il fonte battesimale passarono alla chiesa di Montecerboli. Della struttura della Pieve a Morba, come si è già detto, non rimane che parte dell’abside; sappiamo solo che era a forma basilicale con tre navate di tre campate l’una su pilastri di pietra, con tre altari al presbiterio.
Dietro l’altare Maggiore era l’abside e sopra due finestrelle laterali oblunghe, sulla facciata vi erano degli archetti pensili e sulla porta maggiore un occhio con rosone. Grazie all’interessamento personale di Don Mario Bocci, Archivista della Mensa Vescovile di Volterra, siamo riusciti ad avere le copie di alcune visite pastorali da cui abbiamo tratto utili indicazioni sul succedersi dei numerosi rifacimenti subiti dalla chiesa. Ci è stata utile anche la consultazione dei manoscritti contabili della comunità di Montecerboli di cui abbiamo preso visione nell’Archivio comunale di Pomarance. Tutto quanto sopra scritto verrà riportato in seguito in stralci tradotti o in testo integrale.
Sono queste le uniche notizie attendibili peraltro scarse a cui abbiamo potuto attingere.
Dalla Visita pastorale di Mons.L. Alamanni
Registro I carta 26 tergo e segg :
“27aprile 1599’’…“Pieve di S. Gio.Battista di Morba’’
…Proseguendo la visita arrivò alla chiesa pl e ban a non più occupata di S. Giovanni a Morba, che si dice sia annessa alla chiesa di San Cerbone del castello di Montecerboli. È in pessimo stato per quel che riguarda il tetto le pareti e il pavimento. Le porte sono vecchie e malandate, e chiuderle serve a poco perchè vi entra ogni genere di animali. C’e un altro altare di pietra consacrata e sopra l’altare c’è una croce soltanto con due candelabri, c’è un’icona piccola ed antica con al centro l’immagine della Beata Vergine, a destra un’immagine di Giovanni Apostolo e a sinistra un’immagine di San Giovanni Battista ma tuttavia quella immagine della B.M. Vergime fu oggetto di grandissima devozione presso le popolazioni locali e limitrofe. La chiesa minaccia rovina in ogni sua parte ed ha bisogno di una grossa opera di restauro…
“Pieve di San Cerbone del Castello di Montecerboli;
…e proseguendo il viaggio il reverendissimo Padre arrivò al castello di Montecerboli dove fu ricevuto con grandi onoreficenze dal pievano a dalla popolazione. Arrivò nella chiesa di San Cerbone, una volta espletate le funzioni di rito dopo aver cantato la preghiera benedisse il popolo diede l’assoluzione ai morti con la mitra, il pluviale e il bastone. Visitò il S.S.Eucarestia che è conservato sopra l’altare di detta chiesa in un armadietto di legno a forma di tabernacolo… poi visitò il fonte battesimale che è a destra dell’ingresso della chiesa. L’acqua per lavare gli infanti viene conservata in un vaso di terracotta ed è un coperchio dello stesso materiale, ed è incluso in un luogo a forma di altare in decenti condizioni e chiuso a chiave, e nelle restanti cose è in buono stato. L’olio santo viene conservato in un luogo ed in condizioni decenti. C’è soltanto un ’altare di pietra con la pietra consacrata, decente.
Sopra l’altare c’è una croce di legno dipinta e dorata con quattro candelabri di legno e due di ferro…
La chiesa è lunga venti braccia e larga circa nove braccia, il tetto, le pareti e il pavimento sono in buone condizioni.
Ci sono due piccole campane dalla parte dell’epistola, che sono trattenute in quel luogo con pericolo che cadano.Nella chiesa c’è una tribuna lignea (pulpito) abbastanza decente,non c’è confessionale. Sopra la porta c’è soltanto un “Oculus“ che è schermato con un drappo di lino. A sinistra dell’ingresso della chiesa c’è il cimitero chiuso da ogni parte e “cum cruce decenter retentum”.
Le porte della chiesa sono di legno e sono vecchie,tuttavia la sera vengono chiuse a chiave.
All’ingresso della chiesa c’è un vaso per l’acqua benedetta in decenti condizioni. La chiesa è appena sufficiente per la popolazione, tuttavia è situata in un luogo così alpestre che non vale la pena di allargarla…
Le famiglie sotto la cura di questa chiesa sono circa 53, te anime circa 250 di cui 180 hanno ricevuto la Sacra Eucarestia…’’
Questa è una delle piu interessanti Visite pastorali, di seguito daremo il resoconto di altre visite pastorali posteriori a questa e riporteremo un interessante frammento che abbiamo avuto in questo periodo.
Le visite pastorali precedenti al 1599 si possono riassumere in questa formula: “la chiesa per quanto riguarda l’edificio è in buone condizioni, conserva il sacramento dell’eucarestia in buone condizioni e così l’olio santo e le crismate; ha il fonte battesimale in buone condizioni”. C’è poi un frammento del 1477 allegato alla visita del 1463 di Mons. Giugni: “…La chiesa è stata restaurata ed è bella in ogni sua parte… e similmente il cimitero è in buone condizioni ed è recintato con un muro si che non possono entrarvi bestie e fiere…”
Visita Ighirami 30 Ottobre 1618 carta 694: “…vide poi il fonte battesimale a destra di chi entra che è di pietra e contiene solo un vaso nel quale c’e un cratere di stagno per battezzare gli infanti, questo fonte è chiuso con coperchio di legno e a chiave. Vide poi vasi dell’olio santo, che sono di stagno e sono conservati in un armadietto nella parete a destra dell’altare con la loro borsa di seta. Sopra l’altare maggiore c’è un’immagine indecentissima.; all’interno della chiesa, nella parete anteriore è infissa una grande croce di legno dipinta ed antica; a metà della chiesa, a destra di chi entra, sopra il fonte battesimale c’è un pulpito ligneo abbastanza decente. C’è a Sinistra di chi entra il feretro con suo panno nero. Nella chiesa non ci sono sepolture e per quanto riguarda il pavimento, il tetto e le pareti è in buone condizioni sebbene le pereti siano quà e la scrostate. Vicino all’altare dal lato del Vangelo c’è un confessionale in decenti condizioni.
L’occhio della chiesa non è chiuso ne con tela ne con vetro; le porte della chiesa sono in buone condizioni. Vide poi la sacrestia che è dietro l’altare maggiore nella quale fu trovato un calice con la coppa d’argento e il piede e la patena dorati’’.
Nel 1686 il vescovo Dal Rosso annota che la chiesa di Montecerboli è stata nuovamente riparata dal pievano Antonio Mazzocchi di Castiglion d’Orcia: “Felicitur olim fuit ecclesia ut ex murorum dirutorum cementis aperte dignoscitur; fertur enim, bellicis oricalcisundequeque circumsonantibus ecclesia fuisse diruta et plura passa belli detrimenta…” (Don Mario Bocci)
Dalla cosultazione dei partiti e deliberazioni del Comune di Montecerboli si sono ricavati dati abbastanza precisi sull’entità delle opere di restauro di cui la chiesa ha avuto bisogno, ma non sulla qualità di questi interventi come si può prevedere da diversi documenti.
Accanto all’indagine storica abbiamo portato avanti un’altro tipo di indagine basata sull’osservazione del monumento in esame sia dal punto di vista statico che da quello dell’uso dei materiali,nonché dal deterioramento di questi ultimi.
Il corpo di fabbrica della chiesa è realizzato in massima parte con una muratura a sacco in laterizio, fatta eccezione per la base che è costituita da grosse pietre squadrate in arenarea, provenienti probabilmente dalla Pieve a Morba.
Sull’aspetto frontale c’è da notare il diverso comportamento all’usura dei singoli mattoni:difatti mentre alcuni sono gravemente deteriorati, altri sono in buonissime condizioni; questo fenomeno che in un primo momento ci ha fatto pensare ad una diversa datazione dei materiali ha invece con tutta probabilità avuto origine dalla diversa cottura ed alla diversa esposizione alle intemperie dei singoli elementi.
La finestra sopra la porta, che nelle vite pastorali è descritta come oculus, è stata probabilmente ricostruita in epoca recente,per cui è molto difficile stabilire la forma della finestra originale. La struttura presenta delle lesioni che si possono far risalire al primo dopoguerra.Sulla natura di queste lesioni si possono fare più ipotesi: spinta della copertura, cedimento delle fondazioni, degrado dei materiali. Esclusa l’ipotesi di un cedimento fondarla chiesa è interamente fondata su gabbro) restano le altre due, che sono probabilmente concomitanti: di fatti se da un lato la copertura esercita sicuramente una spinta sia perpendicolare,che si suppone uguale lungo tutto il lato su cui appoggiano i correnti, avrebbe dovuto provocare i medesimi danni lungo tutto il lato suddetto; se questo non è avvenuto invece che in luoghi ben definiti è perchè alla spinta della copertura, in questi luoghi si è aggiunto il degrado dei materiali dovuto all’infiltrazione prolungata di acqua piovana. Come si trova ampiamente documentato nella ricerca storica la copertura ha avuto spesso bisogno di essere riparata e questo fa legittimamente supporre che ci siano stati periodi abbastanza lunghi durante i quali l’acqua piovana è filtrata liberamente all’interno del sacco, provocando la disgregazione del legante interno al sacco e quello della stessa malta che lega i mattoni. Il lato destro nel suo insieme è poco leggibile a causa del recente campanile e dell’ attuale sacrestia che ne occupano una parte notevole. Da notare la finestra monofora, murata dall’interno, e la fila di elementi in laterizio decorata a rilievo di pregevole fattura inseriti nel bordo poco sotto la copertura.
Del campanile c’è poco da dire, costruito tra il 1902 e il 1909 (Progetto di Carlo Bonucci di Pomarance detto il Falugi), risulta in buone condizioni, fatta eccezione dei solai intermedi in legno che risultano particolarmente deteriorati.
La sacrestia che si raccorda al campanile con una ammorsatura in laterizio, è per il resto costruita con pietrame frammisto a laterizio. Non abbiamo notizie sufficenti per datare con precisione questa costruzione, che comunque non esisteva ancora alla metà del XVII secolo. Sul lato posteriore della chiesa è per cosi dire appiccicata una costruzione a pianta triangolare che secondo le testimonianze raccolte dalle visite pastorali è la originaria sacrestia.
L’altro fianco laterale della chiesa (di fronte alla chiesa della Misericordia) è molto più leggibile ed apre una serie di problemi a cui non è facile dare una risposta. La prima cosa che vien fatto notare sono senz’altro le due porte chiuse, che si trovano circa tre metri sopra il piano stradale. Queste porte, che dovevano aprirsi su un terrapieno dove era situato il cimitero sono state chiuse con materiali diversi, il che fa pensare ad epoche diverse; la loro soglia si trova a 40 cm. più in alto rispetto al piano del pavimento della chiesa. Lo sbancamento del cimitero ci ha permesso di di vedere la struttura di fondazione che poggia direttamente sulla roccia viva, eccezion fatta per l’estremità posteriore che ha dovuto essere sostenuta con uno sperone in pietra,costruito probabilmente proprio quando fu spostato il cimitero. Anche su questo lato è presente la fila di elementi in laterizio decorati simile a quella che si trova sul lato opposto; osservando bene l’estremità posteriore in alto si può notare lo strappo causato dalla caduta del campanile(inizi del 900) che non fu più ricostruito. All’interno della chiesa,molto è stato cambiato rispetto a ciò che risulta scritto nelle visite pastorali. Ci sono adesso altari in stucco, uno maggiore e due laterali, sopra il maggiore c’era un’immagine raffigurante la vergine tra i santi(oggi restaurata e conservata nella nuova Chiesa parrocchiale di Montecerboli). Sull’altare di destra c’era un crocifisso in legno di scuola senese, che anch’esso è stato portato nella nuova chiesa; sull ’altare di sinistra vi è una statua della vergine con il bambino.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Archivio storico Comunale di Pomarance Filza 378 e seg.ino alla 803
Rassegna “Larderello“ 1955-1956
- Repetti “Dizionario Geografico e fisico della toscana V.3 Fi. 1839
Targioni Tozzetti: Relazione di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana Fi.1770
C. Ceccarelli: “Val di Cecina” Monografia geografica. Faenza 1913.
S. Pieri: “Toponamastica della toscana meridionale e dell’arcipelago Toscano.
M.Salmi: “Architettura Panoramica in toscana” 1929
Chiese Romaniche nella campagna toscana 1959
- Scheneider: “Regester Volterranorum” Roma 1907
- Volpe: “Maremma” Gr.1924-1930 Zuccagni Orlandini A. Atlante geografico fisico storico della toscana. 1832.
Moretti-Stopani “Chiese romaniche in Val di Cecina” 1970
Visite pastorali dall ’Archivio della Curia Vescovile di Volterra.
S. Mastrodicasa: “Dissesti statici delle strutture edilizie Hoepli Milano 1977”.
P. Sampaolesi: “Discorso sulla metodologia generale del restauro dei monumenti”. Firenze 1977. Ringrazio vivamente gli Archietti Talocchini, Bianchi e Salvi per aver concesso la pubblicazione di questo interessante studio universitario che ci permette di conoscere ancora di più il nostro patrimonio storico artistico spesso sottovalutato e lasciato nel piu completo degrado.
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.