È LA CHIESA DI DANTE ALIGHIERI?
di Don Mario Bocci
Il 24 agosto, giorno di S.Bartolomeo apostolo, è avvenuta la riapertura al pubblico della parrocchiale di Montegemoli, e vi si è celebrato la consueta festa titolare e patronale.
I restauri, portati a termine col concorso di tutta la popolazione, mettono in evidenza la struttura molto antica della chiesa, di chiara impostazione romanica, almeno duecentesca, se non più antica. Ma il fatto stesso di questo recupero architettonico mette in evidenza anche la sensibilità del sacerdote ufficiatore Don Luciano che precedentemente restaurò la chiesa romanica di Castelquerceto e recentemente ha abbellito quella di Saline dove risiede.
Lo stesso Don Luciano ha commissionato una ricerca storica su Montegemoli dalla quale risulta che un “Regesto”, o registro, di documenti volterrani, stampato all’inizio di questo secolo, contiene, tra molte altre, queste notizie.
Nel 1133 avevano possessi in Montegemoli gli abati di Morrona, monastero beneficato dai conti Cadolingi di Fucecchio.
Nel 1176, con una sua bolla solennissima, papa Alessandro III garantì protezione alla Badia di Monteverdi pei diritti da essa posseduti sopra castello corte e chiesa di Montegemoli.
Tale giurisdizione monteverdina, nel 1208, l’abate Ranieri la concesse ai consoli del Comune di Volterra.
Non si conosce a pieno l’estensione di tutti questi diritti degli abati; ma il giorno 8 luglio 1226 i conti palatini Guglielmo e Bonifazio del fu conte lldebrandino degli Aldobrandeschi di Soana Pitigliano e Grosseto, stando presso il castello di Montegemoli nella chiesa di S.Bartolomeo, presente Seracino prete della parrocchia, e Affricante rettore della corte e castellano pei volterrani, fecero registrare tutti i loro diritti e ragioni feudali.
Nel 1257 i conti palatini lldebrandino e Umberto del fu conte Guglielmo, in lite coi volterrani pei castelli di Montegemoli e Silano, fecero compromesso di queste differenze nel capitano anziani e consiglio di Firenze.
Le liti però continuavano ancora nel 1285 quando Guido di Montfort marito di Margherita Aldobrandeschi, insieme a Gherardo di Fosini procuratore dei volterrani, fecero arbitri della contesa circa il castello e le acque salse, il consiglio del Comune di Siena.
Guido di Montfort, scomunicato dal papa, fece perdere molti dei diritti degli Aldobrandeschi, ma il 2 agosto 1297, nella divisione avvenuta in Santa Fiora tra i conti, per sorteggio toccarono a lldebrandino Novello, oltre Silano e Montegemoli, i diritti su Roccastrada, Suvereto, Pietra Batignano, Massa, Scarlino, Giuncarico ecc.
Sono tempi persone e luoghi “danteschi”, e fatti ben conosciuti dagli abitanti di Valdicecina. Tra questi c’è lo scrittore poeta e pittore Bindino da Travale, forse dei Pannocchieschi, ma che non disdegna chiamarsi “il porcaro” di Valdicecina. E’ lui che, irridendo le megalomanie dell’Alighieri, nel 1415 nella reggia di Napoli mette in bocca al re Giacomo d’Angiò, di fronte agli ambasciatori di Siena e Firenze, un discorso carico di traslati contro la superbia di Dante, tra cui l’allusione a Montegemoli e Montecoloreto, per cui fa sospettare che la madre e la matrigna del poeta non avessero ascendenze nobiliari.
Argomentando su queste memorie, al PaliodelleContradedi Pomarance 1987, Dante fu incoronato con “l’Alloro di Montegemoli”, e la sceneggiatura sui racconti di Bindino fece vincere il primo premio alla Contrada Marzocco.
Oggi, nell’occasione della riapertura di questa chiesa, esasperando certamente l’implicazione su Montegemoli registrata da Bindino, non si potrebbe pensare che il poeta fosse stato battezzato in questa chiesa? Dante, nato nel 1265, perse la madre a cinque anni e il padre in seconde nozze sposò Lapa di Montecoloreto.
In quel tempo, certamente, il “bel San Giovanni” di Montegemoli si sarebbe dovuto trovare nella grandissima pieve vecchia di Micciano, che non sappiamo precisamente quando crollò o fu distrutta; Montegemoli però (piccolo mondo di nobili potenti) ebbe prestissimo un fonte battesimale dove battezzare anche l’Alighieri.
Una Madonna di grande devozione
Con la riapertura della chiesa parrocchiale viene messa in evidenza e collocata più vicina ai fedeli la devotissima immagine della Madonna col Bambino, tela su tavola che i cultori dell’arte collocano almeno nell’ambito del Millequattrocento.
E’ difficile documentare se il quadretto è la rimanenza di un polittico antico, nato e voluto intero per la chiesa, oppure, come in altre chiese, il polittico fu messo a circondare un’immagine più antica e già venerata.
Don Luciano, nella ricerca da lui eseguita,
lascia in sospeso le due possibilità. Infatti un inventario del secolo XVII
così descrive in chiesa la “mostra” dell’altare: “Un quadro d’altezza di
braccia quattro e larga tre fatta di nuovo da me prete Antonio Telleschi l’anno
1642 tutta a mie spese e di mio proprio con l’infrascritti santi, donata con
sua cornice di noce e sua coperta di tela turchina, cioè LA MADONNA ANTICA
ch’io ci ho trovato. Nel Quadro “nuovo” da capo il Padre
Eterno, a mano destra S.Bartolomeo titolo della chiesa, S.Antonio abate e
S.Francesco, a mano sinistra S. Verdiana S.Lucia e S.Cecilia. Quale mi gosta in
tutto Scudi Cinquanta.”
Madonna antica e quadro “nuovo” con santi. E il quadro vecchio?
Un documento del secolo XV riporta una lettera al Vescovo da parte dell’Opera Parrocchiale che sollecita una decisione per un polittico (così sembra) essendo disponibili tra 1437 e 39 almeno Lire 165 (tra erbe di Pasco e bestiami venduti) per compiere questa pittura.
“Ricordo a Voi Monsigniore Messer lo Vescovo de’ fatti della Chiesa di Montegiemoli e Ch’Ella vi sia raccomandata, perché l’opera di decta Chiesa fecie fare una tavola di legniame per l’Autare di decta Chiesa, la quale si fecie per farla dipigniere e ponerla a decta Altare, considerato che e denari che bisognano per decta dipintura ci sono.”
Era una tavola di contorno per questa Madonnina, che anche allora, poteva chiamarsi “antica”?
Un ricercatore, americano di Boston, Rolf Bagemihl, che ha lasciato sue scritture presso i signori Cantini e Cucini, famiglie che iniziarono i lavori di restauro alla facciata della chiesa, è di questo parere.
Egli parla, come pittore, di Francesco di Neri Giuntarini da Volterra, e quale committente, o testatore, di Coluccio Frescolini da Montegemoli, il quale espresse le sue ultime volontà nel giugno 1348. Come nessuno può giurare su Dante e Montegemoli, anche se la seduzione di Bindino da Travale è grande, così nessuno può sposare senza matura riflessione le suggestioni dell’americano: il pittore volterrano Francesco di Neri era a suo tempo conosciuto come Francesco di “maestro Giotto”.
Comunque trovare a Montegemoli richiami danteschi, uniti a luminosità giottesche, è quanto basta per definire “solare” la devozione di questi popolani alla loro Madonna, e concludere con le parole del divino poeta
“Vergine madre figlia del tuo figlio umile ed alta più che creatura (sei tu nel cielo)
meridiana face di caritate e giuso intra i mortali se’ di speranza fontana verace”
Una speranza che dona “nobiltà” alla madre dell’Alighieri, alle nostre madri e a ciascuno di noi.
Numerosi altri santi e devozioni
Antonio di Pietro Telleschi da Castelfiorentino, diocesi di Firenze, risulta “canonico” nel suo paese, quando dal Comune di Montegemoli, tramite il nobile volterrano Gaspero Bardini, il 4 ottobre 1614 fu presentato al vescovo Luca Alamanni perché lo nominasse a succedere a prete Niccolò Maffii di Pomarance, che un mese prima aveva rinunciato la cura d’anime per vivere del proprio patrimonio familiare.
La cura d’anime, paese e campagna, consisteva in 45 famiglie e quasi 400 persone (la peste del 1630 le ridurrà assai); le rendite vengono segnalate in quaranta sacca di grano, computateci 48 staia per decime prediali.
Il vescovo, prima di nominare questo prete, che poi risulterà bravissimo, tramite il vicario Carlo Mazzinghi e Jacopo Petrini del comune fece affiggere editti alla chiesa del paese, e poi lo fece esaminare rigorosamente dall’arcidiacono Baldassarre Bardini, dal teologo Guglielmo Bava agostiniano e dal giurista Antonio Panzerini dei conventuali di Volterra. Nella visita pastorale , che l’Alamanni aveva fatto il 7 aprile 1606 coi canonici Pierpaolo Minucci e Ottaviano Cecchi, viene descritto l’altare maggiore sopra cui c’è un’icona “antica” con la Beata Vergine Maria S.Bartolomeo apostolo e molti altri santi.
Non si dice quali, ma forse non c’è Santa Verdiana che è valdesana di Castelfiorentino. A mezza chiesa, a destra en
trando, c’è l’altare di S.Sebastiano “eretto come si asserisce per voto di peste dalla famiglia Pieri” ma a devozione di tutto il popolo; l’icona contiene le immagini di S.Sebastiano S.Antonio e S.Rocco. Di fronte, a sinistra, c’è l’altare della Compagnia del Corpus Domini, composta di uomini e donne che vanno in processione, ed hanno commissionato un’icona nuovissima.
Dentro il castello c’è un Oratorio dedicato a San Michele arcangelo, di cui è patrona la famiglia Barzottelli. Il cappellano, canonico Angelo Guidi, vi deve celebrare sabato domenica e lunedì; fare la festa l’otto maggio, apparizione di S.Michele, e quella di S.Macario con uffizio il giorno seguente.
Nell’icona ci sono le immagini della Beata vergine di S.Michele S.Giovanni e S.Macario.
Fuori castello c’è l’Oratorio di San Sebastiano. A un miglio lachiesadi S.Niccolò a Celli, già parrocchiale oggi unita a S.Bartolomeo; vi si fa la festa titolare il 6 dicembre e la commemorazione di S.Macario.
I Guidi, affittuari dei beni, per contratto vi devono piantare una vigna; ma per loro devozione hanno eretto un Oratorio di S.Caterina alla loro villa di Serra.
Antonio Telleschi era sempre vivo nel 1652, e il vescovo Giovanni Gerini nella visita del 7 aprile (domenica in Albis) testimoniò che tutti i giorni festivi insegna la dottrina cristiana e i rudimenti della fede cattolica, proclama le feste e le vigilie, spiega il vangelo e i documenti della morale. Per Pasqua tutti si sono comunicati, e in parrocchia non c’è nessun pubblico peccatore.
Don Mario Bocci
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.