Archivi categoria: Luoghi di Culto

Descrizone dei luoghi di culto, chiese, monasteri, pievi e cimiteri della zona di Pomarance ed Alta Val di Cecina.

LA CROCE DEL BIBBIANI

Circa un anno fa, tramite il libro “IL FORMICAIO” edito da “IL GABBIA­NO” di Livorno, conoscemmo attraver­so i suoi racconti la signora Vittorina Bibbiani in Salvestrini e la sua famiglia. Erano andati via da Pomarance duran­te gli anni venti e, meno che gli intimi, nessuno aveva più avuto rapporti con loro. La famiglia Bibbiani, di pura raz­za contadina, di quei contadini cresciuti con la zappa in mano e senza arnesi meccanici, era vissuta al podere “FOR­MICAIO” sito ad un chilometro dal pae­se lungo la provinciale per Larderello. I Bibbiani con tanto sudore ed altrettan­ta volontà riuscivano a malapena a far fruttare il sassoso terreno, e dai raccon­ti del libro si può ben comprendere qua­li siano stati i sacrifici per far sì che da un piccolo poderetto potessero uscirne, non uno, ma due diplomati. Giustamen­te Aurelio, il fratello della scrittrice, Ra­gioniere e Perito commerciale, mi ha posto in evidenza un interessante arti­colo uscito su La Nazione ad opera di Marzio Barbagli, docente di Sociologia all’università di Bologna. In esso si ri­marca che in quegli anni soltanto lo 0,4% dei contadini riusciva a persegui­re un diploma, un numero esiguo, co­me si può notare, ma fra questi vi era anche quello di Aurelio, che poi, per suo merito, aggiungeva anche quello della sorella Vittorina con il diploma di Maestra Elementare. Una rarità po­tremmo definirla, tanto più da apprez­zare in quanto questi due pomarancini hanno, come si suol dire, tirato fuori frutti proprio dalla zolla.

lo personalmente ho conosciuto questi signori nell’occasione della presenta­zione del libro “IL FORMICAIO” a Rosignano Marittimo il 18 ottobre 1987, tuttavia erano ancora sconosciuti alla maggior parte dei pomarancini e soltan­to con la divulgazione di questo libro essi si sono resi noti ed apprezzati. Ma la signora Bibbiani, in una visita al paese natio, espresse il desiderio di ri­vedere il vecchio podere ed in compa­gnia della sua amica Emma, si recò al Formicaio. Con gran meraviglia consta­tò che la Croce, la famosa Croce, men­zionata nei suoi racconti, non era più al suo posto, non indicava più il vialet­to che conduceva al suo podere. Ne fu rammaricata, e lì per lì, si propose di far tutto il possibile per ricollocare questo segno di cristianità in loco. Carta, pen­na e destrezza nello scrivere, si mise subito all’opera e, prima al Parroco, poi al Vescovo, all’ANAS (visto che oggi la strada non è più Provinciale ma è la Statale 439 SARZANESE VALDERA), poi alle autorità, al proprietario del ter­reno (oggi Fedeli). Un’infinità di lette­re, che messe insieme cominciavano a concretizzare il suo sogno. Anch’io ne ero partecipe, perchè dopo la nostra conoscenza ero tenuto al corrente dell’evolversi dei fatti e delle difficoltà che continuamente si frapponevano al raggiungimento dello scopo. Dopo non po­ca fatica e tanta perseveranza final­mente i suoi scritti cominciavano a frut­tare ed i permessi furono quasi tutti nel­le mani della signora Bibbiani che tor­nò a Pomarance ed ordinò la Croce al falegname. Egli prese l’impegno di co­struirla ma non quello di procurare il le­gno adatto e come lo voleva ed esige­va la signora, così questa interpellò la Guardia Forestale, il cui Maresciallo sig. Visci Vittorio riuscì a procurarglie­lo proprio come lo desiderava.

Fu scelto il posto giusto dove collocar­la, in modo da non ostacolare il traffico e la visibilità a chi percorreva questa Statale.

Finalmente il 24 settembre 1988, in uno splendido pomeriggio autunnale, la fa­tidica Croce, dopo una suggestiva ce­rimonia officiata dal Proposto don Pie­ro Burlacchini, ed al canto delle vecchie lodi sacre usate per le rogazioni, in lin­gua latina, venne issata in un cippo pre­disposto dopo essere stata benedetta e baciata dai fedeli. La signora Bibbia­ni ringraziò caldamente quantil’avevano aiutata per raggiungere la meta pre­fissa e tutti i presenti alla cerimonia (un centinaio di persone) tra cui il Sindaco Renato Frosali, il Maresciallo Visci, il Presidente dell’Associazione Turistica, le sue colleghe maestre, il fratello sig. Aurelio, la sorella Maria, il figlio con i nipoti. I giovani nipoti consegnarono un cartoncino con effigiata la Croce già
pubblicata sul libro “IL FORMICAIO’’. Così la signora Bibbiani prima con il li­bro ed oggi con la Croce è tornata ce­lebre nella sua terra e come lei i suoi familiari. Terminate le funzioni religio­se il gruppo dei presenti, dietro invito della signora, si è recato presso il Cir­colo ACLI dove è stato offerto un ricco rinfresco.

A questa piccola, ma grande maestra vada, a nome mio e della Redazione di questa Rivista, un augurio di prosperi­tà ed un grazie per aver ripristinato un simbolo di religiosità che, senza la sua tenacia, sarebbe rimasto soltanto nel ri­cordo di pochi.

La CROCE DEL BIBBIANI come la ri­corda Vittoria Silvestrini nel suo libro “IL FORMICAIO”: Posta sulla via Provinciale, all’imboc­co della stradetta della nostra casa, era il punto di riferimento per chi ci cerca­va. Fatta di due grossi tronchi incastra­ti, aveva in alto una tavoletta con la si­billina scritta “I.N.R.I. ” e all’altezza dei piedi un ceppo con un grosso chiodo. Mi rivedevo piccolina abbracciata a quella Croce; risento sulle labbra il con­tatto di quel chiodo bollente d’estate, marmato in inverno, e l’odore agrodolce del catrame! Quanti fiori campe­stri ho messo sul piedistallo, sul chio­do, sulle braccia di quella Croce!

Ma la festa era per le Rogazioni, molti bambini di città non sanno nemmeno cosa sono le Rogazioni, cioè le proces­sioni che si fanno nelle campagne, per tre giorni di seguito, prima dell’Ascen­sione, per impetrare dal Signore un buon raccolto.

…La nostra casa distava dalla via mae­stra un tiro di schioppo e vi si perveni­va mediante una stradella sassosa, fiancheggiata da pergole di viti. All’im­bocco, nera e solenne, su un piedistal­lo di pietra, troneggiava la Croce, la Croce del Bibbiani, la nostra Croce.

Qui si fermavano ogni giorno i postini per prendere il latte; qui arrivavano le signore del paese durante la passeg­giata vespertina, qui veniva il Proposto per le Rogazioni; di qui passavano gli operai delle miniere e di Larderello, i barrocciai, le persone che si recavano alla chiesa, i contadini che si recavano alle fattorie, le lente carovane dei muli quasi sepolti sotto le enormi some di carbone (e attaccato alla coda dell’utlimo, il mulattiere dal volto nero e dai denti bianchi come un negro).

…La Croce era come un balcone per noi ragazzi…

…Dalla via maestra ho visto passare le prime biciclette, le prime automobili… …Nel tardo pomeriggio dei giorni feriali passavano le donne del paese che tor­navano da far legna, dalle macchie lon­tane chilometri e chilometri. La porta­vano in testa, senza reggerla, in enor­mi fastelli a forma di sigaro. Incedeva­no lente, sotto il grave peso, con la cal­za in mano ed il ventre gonfio per l’en­nesima maternità.

Vi passavano, mattina e sera, gli irre­quieti operai delle miniere, che discu­tevano, bestemmiando, di salari, di par­titi, di scioperi, o cantavano “Bandiera Rossa” e …

Ricordi più recenti li rivivo anch’io: la Croce del Bibbiani dei miei tempi. Mi rivedo quando, da ragazzo, in compa­gnia di mia madre mi recavo alla Cro­ce del Bibbiani o Croce di Nebbia, o ad­dirittura, per i più vecchi, alla Croce di Parrucca.

Ricordo quando si arrivava agli olmi, lo­calità tra il piccolo boschetto di querciole che demarcava i confini tra il terre­no del Formicaio e quelli del Valentini, una fila di vecchi olmi (una decina) che costeggiando la strada maestra arriva­vano all’incrocio per le Peschiere. La strada in quel punto era in semicurva e dopo pochi passi si scopriva il pode­re. La Croce, che per l’occasione era resa vistosa dagli innumerevoli e vario­pinti fiori di campo, spiccava in lonta­nanza e, mentre la processione dei fe­deli si avviava pian piano, noi ragazzi si scappava avanti a precedere il grup­po. Il traffico automobilistico era esiguo ed il pericolo era limitato, così i genito­ri ci lasciavano correre per quel breve tratto.

Gli anni passarono e si arrivò al perio­do bellico, al passaggio del fronte. In quelle vicinanze, durante un mitraglia­mento, fu ucciso un soldato tedesco e mani pietose scavarono una fossa ai piedi della vecchia Croce e seppelliro­no questo militare. Un cumulo di terra restò per vario tempo visibile ad indi­carne la sepoltura poi, a guerra finita, tutte le tombe segnalate furono riesu­mate e raccolte in un quadro del cimi­tero di Pomarance riservato a questi soldati.

Passarono ancora degli anni, ed io, co­me tanti altri mi recavo a lavoro a Lar­derello: erano i primi anni del dopoguer­ra ed il mezzo di locomozione più usa­to era la bicicletta. Ricordo che una mattina di piena estate, erano le 3 e 30 ed ero solo per recarmi al primo turno che iniziava alle 5, arrivato agli olmi vi­di nel buio ed al flebile riflesso del mio fanale, una fiammella che si muoveva in prossimità della Croce, pensai a qualcuno che si era fermato ad accen­dere una sigaretta, ma più mi avvicina­vo e più mi rendevo conto che attorno a questa fiaccola non c’era nessuno. Ebbi paura e cominciai a pedalare con più intensità arrivando cosi al Formicaio a velocità sostenuta e passando davan­ti più svelto possibile. Dopo, passata la Pieve Vecchia, mi girai indietro e vidi che la fiammella era proprio dietro di me e mi stava seguendo; accelerai an­cora sempre più sino alla discesa di Mona e questa mi seguiva ancora, fi­nalmente arrivato alla Croce del Bufe­ra essa scomparve per la strada di San Dalmazio.

Avevo 17 anni ed ero anche pauroso, poi solo e a quell’ora mi presi un bello spavento. Arrivato sul luogo di lavoro raccontai l’accaduto e dai più anziani fui anche deriso; “Ma era un fuoco fa­tuo” mi disse uno di loro, poi tutti in­sieme mi spiegarono che era gas che si sprigionava dalla terra dove proba­bilmente vi era stato seppellito qualche animale, (ed io allora ricordai chi vi fos­se stato sepolto) con la calura del gior­no questi gas si incendiano e durante la notte possono essere visti.

La mia è una piccola avventura, ma può coprire il vuoto che si frapponeva fra il tempo delle vecchie Rogazioni ed i nostri tempi.

Giorgio

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

LA PIEVE DI S. GIOVANNI BATTISTA A POMARANCE

Lavoro che qui presentiamo è stato svolto per sostenere l’esame di Restau­ro Architettonico presso la Facoltà di Ar­chitettura dell’università degli Studi di Fi­renze dalle signorine Roberta Costagli e Maria Patrizia Tamburi. Il lavoro è stato seguito dal Prof. Arch. Giuseppe Crucia­ci Fabozzi, docente alla facoltà.

L’assistenza religiosa che oggi viene chiamata “parrocchia”, corrispondeva anticamente al termine “pieve”, anche se, durante il Medioevo, ben altre e più importanti valenze territoriali e potestali ebbe questo termine, valenze che non so­no più attinenti il nostro termine moderno. L’edificio della pieve sorgeva, per lo più, isolato, agli incroci di strade importanti, per fornire assistenza e rifugio alla gente di passaggio, e per permettere il control­lo da parte della chiesa sulle vie di comu­nicazione più importanti.

Tale edificio conteneva la chiesa, il batti­stero e l’ospizio, ed era dedicato general­mente al Salvatore o alla Madonna, o ai Santi Apostoli, ma più spesso a S. Gio­vanni Battista, come il caso della Pieve di Pomarance. Altre due sono le pievi pre­millenarie che si incontrano venendo dal San Giovanni di Volterra (pieve cittadina), verso la media Valdicecina, aventi in co­mune la dedica a San Giovanni: quella di Silano e quella di Querceto, anch’esse in posizione privilegiata, su strade di comu­nicazione ugualmente importanti. Prose­guendo poi da Pomarance si trova Morba, anch’essa dedicata a San Giovanni. La più antica pieve di Pomarance, quella premillenaria, protoromanica, si trovava in una posizione diversa rispetto a quel­la attuale (che, tra l’altro, aveva il nome di “Ripa Marrancia”). Infatti era situata più a sud rispetto al paese, e si chiama­va “Publico”, a ricordo del territorio, espropriato dai Romani del dittatore Sii­la, e appoderato per i suoi legionari In quei luoghi, oggi detti le “Ripaie”, si tro­vano ancora i nomi di Pieve Vecchia e Piuvico; e lungo quelle strade, che si in­crociano sull’altopiano, chiesette come S. Piero, S. Anna, S. Martino, S. Andrea a Mona e S. Margherita a Lucoli, che for­mavano il primo spazio di pertinenza della pieve.

L’attuale pieve risale alla fine del XII secolo, anche se dell’impianto originario è rimasto ben poco, essendo stata, la chie­sa, completamente ricostruita durante il XIX secolo, dopo aver subito già in pre­cedenza rimaneggiamenti e restauri. Sorge lungo l’asse principale di crinale. Concepita per avere vita autonoma rispet­to agli altri edifici circostanti, con il con­solidarsi dell’edilizia urbana ha perso ta­le autonomia, infatti durante il corso dei secoli le sono state addossate abitazioni. C’è chi ipotizza l’esistenza di una chiesa più piccola entro il perimetro dell’attuale chiesa, che sarebbe stata dedicata a San Cristoforo, e proprietà dei monaci di Ba­dia a Isola. Comunque, il prospetto dell’attuale co­struzione si rivela l’unico resto della pie­ve romanica: probabilmente in esso furo­no riutilizzati elementi della parte inferio­re della facciata dell’edificio del XII seco­lo. Questo presentava caratteri stilistici e impianto di chiara derivazione pisana: le cinque arcate cieche che scandiscono tutta la facciata rimasta intatta nella par­te inferiore; le basi classiche delle semi­colonne con due tori e due scozie e lo schema generale dei rapporti altimetrici delle navate.

Sezione trasversale sull’ingresso della Pieve.

La facciata è in arenaria e nella parte su­periore è stata rifatta nel sec. XVIII. Le cinque snelle archeggiature su semico­lonne assai rilevate e poggianti su un al­to basamento denotano che siamo in pre­senza di una originale pianta basilicale, una dei pochi esempi tra le chiese della Valdicecina.

Gli archi più distanti dal centro della fac­ciata s’impostano su sodi angolari che in­vece dei capitelli hanno semplici scorni­ciature. Nell’arcata centrale si apre il por­tale, semplicissimo, con l’architrave sor­montata da una lunetta. L’archivolto è de­limitato da una ghiera composta di un cor­done a sezione semicircolare. Alcuni elementi decorativi risentono l’in­fluenza della cultura senese, per esempio i capitelli (a più ordini di fogliette o con figurazioni zoomorfiche). Particolare no­tevole ed inconsueto, per una architettu­ra di derivazione pisano-lucchese, è il fatto che i cunei delle archeggiature la­terali non presentano alcuna incornicia­tura. Alle primitive tre navate, furono ag­giunte nei secoli scorsi ed in diverse fa­si, ulteriori costruzioni, come le cappelle laterali terminali che formano un transet­to, e proprio all’inizio del 1500 il Battiste­ro, con la facciata adiacente a quella della chiesa. L’artefice di questa modifica fu il pieva­no economo don Francesco d’Antonio dei Ghezzi di Pomarance, al quale si devo­no anche la piccola vetrata dell’Annunciazione ed il miglioramento del Presepe. Le mensole che sorreggono il tetto del Bat­tistero furono tolte, molto probabilmente, dall’originale abside e con i loro motivi geometrizzanti e zoomorfici dimostrano ancora una volta la derivazione dalla cul­tura pisana di quest’edificio.

Capitello con figura zoomorfa.

Già anteriormente a questa data erano state apportate modifiche all’interno; tra il 1441 ed il 1453 il pievano Ludovico Baldinotti fece costruire l’altare maggiore e ribenedire la chiesa, dopo le scorrerie di re Alfonso di Aragona.

Poi non ci furono notevoli modifiche, fino agli anni tra il 1826 ed il 1843, quando il pievano Anton Nicola Tabarrini pensò di dare alla chiesa un aspetto in linea con i canoni estetici del tempo. I lavori furo­no fatti sotto la guida dell ’arch itetto Fran­cesco Cinci che dotò la chiesa di volte, eresse la cupola all’incrocio del transet­to con la navata centrale e stuccò tutte le colonne di cui fece smussare i capitel­li. Furono eretti, in questa occasione, an­che tutti gli altari barocchi laterali; la de­corazione della chiesa fu affidata al pit­tore Luigi Ademollo ed al figlio Giovanni.

L’ultimo lavoro di edificazione (o meglio, in questo caso, di riedificazione) del quale si ha notizia è il rifacimento del campani­le, avvenuto nel 1898, ad opera dell’ar­chitetto Luigi Bellincioni, di Pontedera. In­fatti il vecchio campanile era stato butta­to giù, a causa delle gravi lesioni riporta­te il 19 novembre 1893, in seguito alla ca­duta di un fulmine.

Come già accennato, una gran parte del ripristino ottocentesco toccò al pittore Lui­gi Ademollo.

Fu sotto l’arcipretura di Anton Nicola Tabarini (durata dal 1826 al 1843) che eb­be luogo il restauro totale della Parroc­chia, ampliata con le cappelle della Ma­donna e di S. Vittore, e completamente affrescata.

Effettuò quelle pitture l’impresa di Luigi Ademollo (1764 -1839) milanese, autore di affreschi in chiese e palazzi, e di ac­quafòrti di soggetto storico.

L’archivio parrocchiale conserva sette let­tere autografe, inviate da lui, (che si tro­vava a Firenze), all’arciprete, tra il 27 apri­le 1832 ed il 5 gennaio 1837.

Esse riferiscono che il Cavalier Giusep­pe del Rosso fu il tramite della proposta di affrescare la chiesa di Pomarance. In un secondo tempo l’Ademollo eseguì ad olio le stazioni della Via Crucis.

Le opere da lui eseguite si possono am­mirare tuttora all’interno della pieve.

Esse sono, cominciando da sopra il por­tone principale e girando in senso orario, le seguenti: Presentazione di Gesù al Tempio, Fuga in Egitto, Strage degli Innocenti, Tenta­zioni di Gesù nel deserto. Poi nella cap­pella della Madonna, Adorazione dei Ma­gi, Gesù tra i dottori e nella volta L’Assun­zione. Quindi abbiamo: Resurrezione di Lazzaro, Angeli portanti dei segni della passione, alle vele ed ai pennacchi, sotto e presso la cupola. Nel Coro: Entrata di Gesù a Gerusalemme, Cena, Agonia nel­l’orto, EcceHomo, Salita al Calvario, Re­surrezione.

Nella navata sinistra: Visita ad Elisabet­ta, Gesù ed il centurione; nella cappella di S. Vittore (nella volta) c’è la Trasfigu­razione. Quindi Gesù che predica dalla barca di San Pietro, la Samaritana, le Nozze di Cana.

In fondo, San Giuseppe col bambino Gesù.

Nella volta a botte della navata di centro, apparizione di Gesù a Tommaso, Ascen­sione e discesa dello Spirito Santo.

Non tutte le opere sono policrome, ma molte sono monocrome, anche se pur sempre molto belle.

Pianta della Pieve con indicazione della pavimentazione

Morto il Tabarrini, ‘‘nel 1853 furono a spe­se del popolo fatte porre a scagliola le co­lonne del Tempio per Carlo Martinetti svizzero, ed il pavimento fu costruito di smalto alla veneziana” come ci informa il visitatore Vescovo Targioni.

Cento anni dopo la ristrutturazione del Tabarrini, il degrado dell’edificio e la sorte delle pitture erano precari. Il restauro, la ripulitura ed il ripristino spettarono al pro­posto successore, al popolo e ad un pit­tore senese non ancora provetto.

Carlo Balsini di Stefano fu eletto propo­sto a Pomarance il 15 marzo 1907. Fu sot­to la sua guida che ebbero luogo ulterio­ri restauri, che si conclusero nel 1933 (il certificato dei lavori eseguiti a regola d’ar­te dall’agosto 1928 al 25 ottobre 1933 por­ta la firma dell’lng. Gino Stefanon). Era­no stati iniziati nel 1928.

Particolare Mosaico Centrale.

I lavori furono eseguiti dalla ditta Zampi­ni di Siena, con a capo il pittore Gualtie­ro Anichini coadiuvato dai decoratori Vannucchi, Franci, Biancirdi, Montigiani e Mori.

Oltre alla ripulitura degli affreschi dell’Ademollo, furono fatte integrazioni nella cappella della Madonna, nel Coro, dipin­ti medaglioni in San Giovanni, i 4 Evan­gelisti nella cupola e due figurazioni in San Vittore: Gesù tra i fanciulli e la Molti­plicazione dei pani.

Fu costruita la cappella dei caduti, furo­no eseguite vetrate policrome a tutte le finestre e furono costruiti sedili a spaglierà il noce lungo tutto il perimetro della chiesa.

Furono aggiunte lumiere grandi e picco­le, in fastoso addobbo, per l’illuminazio­ne elettrica.

Sulla base di quanto rilevato attraverso un’accurata analisi dell’edificiodella chie­sa di San Giovanni Battista, possiamo di­re che attualmente lo stato di conserva­zione della chiesa è buono, sia per quanto riguarda gli elementi strutturali che gli ele­menti decorativi. Sarebbe comunque au­spicabile una ripulitura degli affreschi e della facciata.

Particolare della monofora.

Contemporaneamente alla pubblicazione di tale lavoro, si stanno ultimando i lavori di restauro del campanile, e proprio in questi ultimi giorni, durante la ripulitura della facciata del retro della chiesa, è ve­nuta alla luce, su di essa, una monofora. Finestre simili a quella scoperta le pos­siamo trovare nelle pareti sopra gli archi delle navate laterali, purtroppo non visi­bili al visitatore perché con il restauro del 1800 sono state inglobate nello spazio tra la volta centrale a botte ed il tetto.

Tale rivelazione ha ridestato curiosità e nuovi interrogativi sull’originaria posizio­ne e struttura dell’antica chiesa.

Roberta e Maria Patrizia

BIBLIOGRAFIA

Archivio Storico del Comune di Pomaran­ce, Opera di S. Giovanni Battista, Filze 746 e 749.

Archivio Parrocchiale di Pomarance, Cor­rispondenza fra Luigi Ademollo Pictor ed il preposto Antoniccola Tabarrini, dal 1833 al 1837.

Giovanni Targioni Tozzetti, Relazione d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Forni editore, Bologna.

L. Moretti, R. Stoppani, Chiese romani­che della Val di Cecina, Firenze 1970.

Don Mario Bocci, L’Araldo di Volterra, set­timanale della diocesi di Volterra, nume­ro del 7/2/1971.

Don Mario Bocci, Storia religiosa di Po­marance, Notiziario Parrocchiale.

Archivio di Stato di Firenze, Commissio­ne per il restauro delle Chiese parrocchiali, Filza 104/8.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

ECCEZIONALI FESTE

PER IL 90° ANNIVERSARIO DEL CAMPANILE

23 – 24 – 25 GIUGNO 1989: tre giorni che Pomarance ricorderà per molto tem­po. Infatti tutto il paese si è mobilitato per festeggiare il Patrono San Giovanni Bat­tista in occasione del 90° Anniversario della costruzione del Campanile e che è coinciso con la conclusione dei restauri resisi urgenti e necessari. Una festa che ha visto il paese intero stringersi attorno a questo “SEGNO” che, se principalmen­te di carattere religioso perché richiama con il suono armonioso delle campane i fedeli alla preghiera, è pure il segno ed il simbolo di ogni paese. Il nostro campanile, opera dell’Architetto Luigi Bellincioni di Pontedera, si fa subi­to notare a tutti per la sua bellezza (stile Rococò apparso in Francia alla fine del XVIII secolo, come evoluzione comples­sa e raffinata del barocco), e per la sua altezza (42 metri).

La sera del 23 giugno questo simbolo era ben visibile da ogni parte; una totale illu­minazione con fari lo faceva risaltare, mentre il suono gioioso delle campane si diffondeva ovunque, arrivando fino alle più lontane famiglie della campagna che nel frattempo avevano acceso i cosiddetti “Fuochi di San Giovanni”. A far corona al Campanile, oltre ai fuochi della cam­pagna, vi erano anche quelli accesi dalle Contrade a Docciarello, a San Sebastia­no, all’Aia, ai Collazzi, e la fiaccolata che ha avuto il suo culmine con l’accensione del tripode sul sagrato della Chiesa.

1898: Lavori per la costruzione del Campanile

Una folla enorme ha fatto ala al passag­gio dei tedofori rivestiti dei colori delle Contrade, arrivati contemporaneamente con le loro fiaccole accese davanti alla Chiesa.

Le Contrade quella sera si erano date ve­ramente da fare per una illuminazione fol­cloristica delle strade ove sarebbero pas­sati i tedofori con le fiaccole. Uno spetta­colo meraviglioso che hanno potuto go­dere in modo particolare coloro che quella sera erano saliti sul Campanile.

Una bella serata culminata poi, con un applaudito Concerto d’Organo del Mae­stro Attilio Baronti.

Attorno al Campanile ed in unione a San Giovanni le feste sono continuate. Il gior­no 24 giugno, è venuto fra noi il Vescovo Mons. Bertelli, i Sacerdoti, sono interve­nute le Autorità Civili e Militari e si è ripe­tuta la Solenne Processione in onore di San Giovanni Battista.

Un grande concorso di fedeli ed una par­tecipazione straordinaria della gente nell’ornare il tragitto della Processione con drappi alle finestre e soprattutto con or­namenti floreali veramente belli da sem­brare tutto un tappeto grande, ove il pro­fumo delle ginestre ed il colore dorato si evidenziavano in modo eccezionale. Una festa religiosa arricchita, nel pomeriggio, dallo spettacolo del Gruppo Musici e Sbandieratori di Pomarance e, dopo ce­na, dal Concerto del Corpo Filarmonico “G. Puccini”.

Ma ogni festa è sempre un ricordo del passato e del presente. Per questo moti­vo, la domenica 25 giugno, giornata con­clusiva delle feste, dopo la Santa Messa celebrata dal Vicario e cantata dalla Co­rale Pomarancina, si è svolta, nel pome­riggio, nel vecchio Campo Sportivo del Piazzone, una partita diralcio tra le Vec­chie Glorie e l’attuale squadra della U.S. Pomarance. Una occasione che ha fatto ritrovare e giocare insieme gli atleti che avevano militato diversi anni fa nella squadra del Pomarance ed i nostri giovani giocatori; una partita che ha divertito tut­ti i presenti.

Tre giorni di festa, quindi, tre giorni di gioia e soprattutto una occasione per sta­re serenamente insieme attorno al sim­bolo del paese, al nostro “BEL CAMPA­NILE”.

Mi è capitato di definire questa festa “UNA BELLA SINFONIA” dove tutti ave­te collaborato insieme alla Parrocchia. Ebbene: al termine delle feste, ringrazian­do l’Associazione Turistica Pro Pomarance, il suo Presidente per la generosa col­laborazione e per l’opportunità concessa­mi di scrivere questo articolo sulla loro Ri­vista, esprimo viva riconoscenza a tutto il paese ed in modo particolare alle Con­trade che veramente hanno collaborato in modo encomiabile; al Comune per l’il­luminazione; alla Banda per il Concerto; alla Corale Pomarancina per i canti ese­guiti durante le Sante Messe Solenni; al Gruppo Musici e Sbandieratori per lo spettacolo; alle Vecchie Glorie ed all’ll.S. Pomarance per la partita di calcio; al Co­mando della Forestale per la realizzazio­ne dei fuochi; al Comando dei Carabinieri e dei Vigili Urbani per il servizio d’ordine; a tutte le Autorità Civili e Militari; ai bam­bini delle Terze e Quarte con i loro Inse­gnanti ed all’artigiano Rossi Armando che hanno collaborato alla mostra allestita nel Battistero e, naturalmente, ai Membri dei Consigli Pastorale e degli Affari Econo­mici Parrocchiali che mi sono stati vicini e a tutti coloro che, in modo anonimo, ma non meno evidente, mi hanno aiutato al buon svolgimento di tutte le feste.

Il Campanile che ci ha riunito, sia sem­pre un forte e dolce richiamo ad operare uniti per il bene del nostro paese e della nostra Comunità.

Don Piero Burlacchini

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

IL CAMPANILE

ULTIMI CENTO ANNI DI STORIA E TRASFORMAZIONI APPORTATE ALLA NOSTRA TORRE CAMPANARIA

Agli ultimi giorni del 1888 (cento anni fa), a seguito di insistenti voci sparse nel paese sulla precarietà del campanile della Chiesa di S. Giovanni Battista, il sindaco Biondi Bartolini Bartolino decide, insieme alla Giunta, di chiedere l’intervento di un ingegnere per scagionare le eventuali conseguenze.

Dall’Archivio Parrocchiale possiamo es­sere informati sul sopraluogo effettuato dallìng. G. Guerrieri di Volterra nel qua­le si riporta la perizia in cifre elencando dettagliatamente i lavori occorrenti al ri­sanamento di detta torre. L’ammontare della cifra preventivata è di L. 395 e 58 centesimi all’epoca del dì 30 novembre 1888. Ripristinati i danni riscontrati, il campanile ritorna a richiamare con i rin­tocchi delle sue campane i fedeli presso la Chiesa.

Ma non per molto tempo; cinque anni do­po, il 19 novembre 1893 alle ore 13:20, durante l’imperversare di un temporale, un fulmine colpisce la sede campanaria rovinando gravemente tutta la struttura. Oltre all’abbattimento di due delle quat­tro campane, uno squarcio di rilevante mi­sura pone il campanile in precaria stabi­lità.

Onde evitare supplementari disastri vie­ne deciso l’abbattimento delle parti peri­colanti ed il restauro dei tetti adiacenti, danneggiati dai detriti e dalle pietre fra­nate dalla parte disastrata. Il provvedimento preso dal Comune met­te subito in moto un gruppo di pomarancini che nel giro di pochi giorni, ad inizia­re dal 24 novembre, rende accessibile an­che la sacrestia.

IL CAMPANILE disastrato dal Fulmine nel 1893 (Foto DEL FRATE – Coll. Privata GHERARDINI P. Palaia

Il provvedimento preso dal Comune met­te subito in moto un gruppo di pomarancini che nel giro di pochi giorni, ad inizia­re dal 24 novembre, rende accessibile an­che la sacrestia.

Sotto la guida del muratore capo mastro Calderani Tobia e dei muratori Mori Mi­chele e Tani Roberto, coadiuvati dai ma­novali Guiducci Alessandro, Maggi Giu­sto, Travaglini Emilio, Gamberucci Euge­nio, Pineschi Abramo, Bargelli Roberto e Mori Gino, nel giro di una settimana di in­tenso lavoro anche i tetti sono sistemati. Contemporaneamente viene costruita una tralicciatura in ferro dal manescalco Pineschi Angelo dove porre le campane e poterle così suonare alla meno peggio. Il lavoro non mancò nemmeno ai legnaioli e per questo è Cesare Falcini che si ac­colla i lavori di restauro delle finestre e ri­mettere i vetri sbriciolati dalla folgore. Per tutto ciò abbiamo l’importo esatto in det­taglio dei lavori:

  • per mano d’opera pagata al capo ma­stro Calderani Tobia lire 290 e 80 cente­simi.
  • per l’impalcatura metallica delle campa­ne ed alcune catane di sostegno, ad An­gelo Pineschi (fabbro) lire 478.
  • a Cesare Falcini per restauri alle fine­stre lire 38.
  • per tegole, embrici, pianelle, gronde, mattoni e calce forniti dalle fornaci del Biondi Bartolini e dal Baldi Giuseppe lire 322 e 65 centesimi.
  • per travi e travicelli forniti da Mario Cercignani lire 160 e 98 centesimi.

Tutto viene saldato tramite l’Esattoria Co­munale con firma dell’Esattore Fontanelli Augusto.

Eliminato il pericolo, pagati i debiti, si do­veva cominciare a pensare ad un futuro campanile e per distribuire gli incarichi fu formato un Comitato presieduto dal Cav. Bartolino Biondi Bartolini. Venne così de­ciso di effettuare una raccolta di denaro tra i paesani per affrontare le perizie affi­date, questa volta, all ’Architetto BelIincioni Ing. Luigi di Pontedera che presso il suo studio tecnico esegue i disegni. La raccolta delle offerte venne affidata al re­verendo Don Giuseppe Bruscolini, Propo­sto della Parrocchia.

L’elaborazione dei progetti dell’lng. Bellincioni si alternava a sopralluoghi a Po­marance, sia per la constatazione della ubicazione della nuova opera, sia per i saggi al terreno dova si dovevano inizia­re i lavori.

A prolungare il lavoro dell’ingegnere si frappose anche il lavoro di consulenza ai danni causati dal terremoto in moltissimi fabbricati della città di Firenze. Ma final­mente in data 29 maggio 1895 questi fa recapitare a Pomarance l’importo di spe­sa per la demolizione del vecchio campa­nile con indicato il recupero del pietrame da potersi riutilizzare nella nuova opera. Anche il comitato in questo periodo non si era fermato e, tramite persone di Po­marance residenti altrove, aveva messo in movimento gli uffici competenti per ri­chieste di contributi. Si arrivò, tramite il concittadino Senatore Marco Tabarrini, al Guardasigilli per una istanza per un sus­sidio di un migliaio di lire, che poi fu ac­colto. Inoltre contratti e prestiti con distinti signori che si offrivano per questa occa­sione. proteste e ricorsi da parte di con­finanti per danneggiamenti eventuali. Ciò comportò intralci e ritardi nonché beghe ed esigenti contropartite.

Dopo aver scorso un certo numero di car­te da bollo da 10 centesimi filigranate con lo stemma sabaudo, si arriva alle decisio­ni sul “posizionamento” del campanile che dovrà essere eretto presso la casa posta nel gioco del pallone. Per questo locale abbattuto viene a pagarsi al sig. Giulio Biondi Bartolini un importo di lire 800, rimessegli tramite il curatore sig. Gallo Galli Tassi Bardini con i denari del fondo raccolto dalla pubblica sottoscri­zione.

Risulta inoltre che le cifre si stanno con­cretizzando e da molti è accolta la peti­zione, come da elenchi esistenti.

Anche il Cav. Mario Bardini, già distinto­si per la colossale opera dell’istituto del Sacro Cuore, offre la considerevole som­ma di lire 2000.

Riguardo alla demolizione della torre campanaria abbiamo una nota di paga­mento stilata dall’esattore Dante Fontanelli, datata 29 giugno 1895, per un im­porto di lire 1312 e sessantotto centesi­mi. Finalmente il 29 luglio 1895 l’architet­to Bellincioni è a Pomarance per stacca­re il lavoro sopra alla fondazione prece­dentemente gettata.

Non mancarono nemmeno discus­sioni per

L’incarico e la fiducia di Direttore dei la­vori viene dato a Bonucci Carlo che con

  1. gruppo dei lavoranti affidatogli, ponen­do pietra su pietra, cominciano a dar for­ma al capolavoro. Il campanile costruito in pietra tufacea tagliata nelle Cave delle Valli (Trossa) si ergerà per 42 m.

In una lettera inviata al presidente del co­mitato, l’ing. Bellincioni allega lo studio in scala 1:1 delle formelle allineate al qua­drante dell’orologio nelle facce dove do­vranno essere effigiati gli stemmi del Co­mune e della Parrocchia, onde il Bonuc­ci possa riprodurre il lavoro su pietra. Conseguentemente esiste un’altra lette­ra dove si dice che sono continuate le ri­cerche per una immagine su medaglio­ne della Madonna del Buon Consiglio e che finalmente viene riprodotto in calco da un lavoro deH’immortale Donatello, dal quale il Bonucci trarrà copia esatta.

I lavori procedono con evidente celerità e nel novembre del 1898 il direttore dei lavori Bonucci prende accordi con la dit­ta L. CARDINI di Siena, premiata Fabbri­ca di Parafulmini, per installare questo nuovo sistema di difesa onde scagiona­re il pericolo occorso all’altro campanile. Si arriva all’anno 1899, il campanile già si staglia nel cielo ad un’altezza molto più elevata del precedente. Tutti gli artigiani locali hanno incarichi per approntare il tut­to in modo che per il 24 giugno, (data pre­scelta per l’inaugurazione) in occasione della festa di San Giovanni patrono della chiesa, non rimanga niente in sospeso. Una settimana prima dell’avvenimento tutto Pomarance, o meglio tutti i pomarancini, si fanno in quattro perchè i festeg­giamenti rimangano memorabili.

Così il 24 giugno, come promesso, con un maestoso doppio suonato dalle quat­tro campane, dopo una processione straordinaria, viene officiata una Messa solenne concelebrata dal Vescovo e da molti sacerdoti venuti per l’occasione.

Gli operai, che sotto la direzione dell’Assistente Comunale Carlo Bonucci, hanno messo tutto il loro impegno, sono ora ad­ditati per il loro operato portato a compi­mento. I nomi di questi uomini passano per giorni e giorni in evidente nomina: si trattava di Zani Camillo, Cambi Silverio, Carlo Garfagnini, Anton Giuseppe Garfagnini, Antonio Niccolucci, Funaioli, Ani­chini, Pineschi, Tani, Corbolini ed altri. Nel pomeriggio i festeggiamenti si molti­plicano protraendosi sino a notte alta, che viene resa luminosa dalle migliaia di lam­pioncini a olio disseminati per tutte le strade.

Bande musicali venute da Volterra, Peccioli, Riparbella ed unite al nostro Corpo Filarmonico (denominato allora L’INDI­PENDENTE) si alternano con marce e pezzi vari. Allietano la serata i canti e so­netti dedicati ai componenti il Comitato ed ai convenuti di riguardo.

Addobbi di straordinaria inventiva vengo­no sistemati ognidove; sulla piazza cen­trale, oggi De Larderei, viene issato un ponteggio che dal terrazzo del Palazzo Gardini passa all’altro del Biondi Onora­to allo scopo di far salire le persone per vedere meglio la mole del nuovo monu­mento.

Banchetti, brindisi e qualche sbornia sa­lutarono il campanile che nella sua forma dì tipo rococò destava stupore in tutta la zona. Non mancarono neppure le batute ironiche e scherzose anche nei giorni a seguire, come ad esempio si può ricor­dare quando ai giovani ragazi di bottega, gli artigiani locali, nelle calde giornate estive, li spedivano da Ruggero (bottega di generi alimentari ubicata in prossimità della chiesa nell’angolo della porta) a comperare tre soldi di OMBRA DI CAM­PANILE, e questi con astuzia li rispediva in altra rivendita baffandosi dell’ingenui­tà del ragazzo, che poi finiva per render­si conto del fatto che oltre ad un mestie­re il loro principale gli insegnava anche a farsi furbo.

Anche lo stile architettonico e decorativo apparso in Francia alla fine del XVIII° se­colo come evoluzione complessa e raffi­nata del barocco, e che si diffuse in tutta Europa, destò inizialmente perplessità, ma ben presto, prima che l’opera giun­gesse a termine, l’opinione aveva già ac­cettato questa graziosa bizzarria. Il suono delle belle campane per anni ri­chiama al paese in occasioni festose e lu­gubri, per eventi religiosi e civili, tutto il circondario. Arriviamo così all’ottobre del 1966 quando Mosignor Paoletti decide di eliminare le corde elettrificando le cam­pane. Chiamata una ditta specializzata di Firenze, dopo aver calato le campane ed applicati gli ingranaggi ai mozzi di sup­porto, tramite dei congegni e delle pulsan­tiere si possono avere i suoni desiderati. Fu in tale occasione che si ebbe la pos­sibilità di leggere le scritte in fusione po­ste su ogni campana.

Iniziando dalla GROSSA prospicente Piazza De Larderei:

PER FUSOREM MORENDI FLORENTINUM A.D. MDCCCXU

(per opera del fonditore Carlo Morendi fio­rentino. L’anno del Signore 1841) NOTA: Parte del bronzo di questa cam­pana sembra provenire dalle campane della Badia di San Galgano di Chiusdino. Per la mezzana e la piccola vi è una sto­ria a sé che risale all’anno 1788, quando l’Arciprete Giò Batta Tabarrini fa rifondere le tre vecchie campane per farne alme­no due con un timbro maggiore e dalle scritte si può appurare questa notizia, sul­la Mezzana, visibile da Via Mascagni (così denomunata perchè delle quattro è quella di dimensioni intermedie):

PIO VI P.M. JOSEPHO II AUG. PETRO. LEOP. IA.A ETRM. D + A.D. MDCCLXXXVIII EPO. VOLAT J.B. TABARRINI ARCHIP. D.V.M.T. M.H.DD.GL. PAE. ALOY BONAMICI.

(al tempo di Pio Sesto Sommo Pontefice, di Giuseppe II Imperatore Augusto, di Pie­tro Leopoldo I Austriaco Granduca di To­scana, di Luigi Bonamici Vescovo Volter­rano, l’anno del Signore 1788 Giovan Bat­tista Tabarrini, Arciprete, dedicò questo monumento alla Vergine Madre di Dio co­me ricordo di gloria e di pace)

Sulla PICCOLA che guarda il Campo del Piazzone, verso la Rocca Sillana:

VOX TUA DULCIS IN AURIBUS ME IS + JOVANNE ATTAVANTI NOBILI COLLENSI PATRIM ECCLESIASTICI A.D. MDCCLXXXVIII

+ VOLAT. CURATORE

(al tempo di Giovanni Attavanti nobile Col­ligiano amministratore del patrimonio ec­clesiastico volterrano l’anno del Signore 1788. La tua voce risuona dolcemente al­le mie orecchie.)

La MISERICORDIA, prospicente la via dei Fossi, verso Berignone:FATTA COLLE OBLAZIONI DEI FRATEL­LI DELLA MISERICORDIA CAV. ADRIA­NO DE LARDEREL GOVERNATORE CARLO MORENDI FUSE IN FIRENZE L’AN. MDCCCLI (1851). continua la scrupolosa guida ai lavori di risanamento. Si inizia dall’apice, cioè dal­la croce, che è stato necessario sostitui­re con una nuova costruita dalla ditta Ber­toli di Pomarance, poi si procede all’am­pliamento della gabbia del parafulmine studiato dall’ing. Barzotti Francesco di Larderello. Ovviamente il lavoro più gros­so è affidato all’impresa edile Parenti Mauro & C. che eseguirà i lavori di smon­taggio e sostituzione delle parti lesiona­te ed ammalate completando il tutto con una stuccatura con cementi plastici spe­ciali, suturando le spaccature e collegan­do tutta la cupola tramite un intersecato perforamento in cui è stato colato questo speciale ritrovato. In seguito la ditta Ml-DA Srl di Guartierotti & Cerrioni, prove­niente da Pistoia, appone con uno spe­ciale solvente un trattamento consolidan­te a tutte le bozze tufacee. Contempora­neamente, sfruttando l’occasione della comodità del ponteggio, vengono sostituiti i mozzi di legno delle campane aven­done riscontrato il necessario bisogno in quanto questo è risultato in avanzato deterioramento. Ad eseguire questa opera­zione straordinaria è stata chiamata la dit­ta Scarselli di Lastra a Signa specializzata in tali lavori.

Recenti lavori di restauro (Foto S. Donati)

Al momento di andare in macchina, i la­vori, già a buon punto, seguono il loro cor­so e, salvo intralci atmosferici, nel giro di pochi giorni andranno atermine.

Le raccomandazioni, le suppliche, e l’in­cessante stimolo che il Proposto Don Burlacchini rivolge ai parrocchiani si spera che sia ripagato dal buon lavoro e che le cifre raccolte servano ad estinguere le ri­levanti spese incontrate per questa straor­dinaria manutenzione al nostro campani­le. Ci auguriamo inoltre che anche i pon­teggi possano presto essere tolti e pos­siamo così risentire il suono delle nostre campane e, con i dovuti festeggiamenti si possa ritornare alla consuetudine per ogni tipo di evento, incluso quello dell’oc­casione del Palio Storico delle Contrade; quest’anno infatti su richiesta dell’Ass. Turistica e su straordinaria concessione della Amministrazione Comunale è stata suonata la campana della Torre Civica. A nome anche dell’Associazione Turisti­ca e della Redazione di questa rivista, va­da il ringraziamento a tutti coloro che han­no contribuito in qualsiasi forma alla con­clusione di questi lavori, a cominciare da Don Piero che è stato il primo promotore di tale opera.

BIBLIOGRAFIA

  • Archivio Parrocchiale Pomarance
  • La Comunità di Pomarance – RIEVOCA­ZIONI STORICHE di E. Mazzinghi – An­no IX n° 1 1976.

Giorgio

Per anni ed anni (90 per l’esattezza), que­sto monumento, vanto di Pomarance, si staglia nel cielo. Purtroppo gli eventi at­mosferici cominciano a deteriorare la pie­tra tufacea per cui, dietro constatazione di esperti, è stato ritenuto necessario un intervento di restauro.

Il 30 gennaio 1980 alcuni tecnici della So­vrintendenza ai Monumenti di Pisa, rile­varono seri danni ai colonnini della balau­stra del terrazzino ed infiltrazioni di acqua piovana alla volta della sede campanaria. Dalla perizia risultò un evidente sfalda­mento di alcune bozze tufacee all’arco campanario con un allentamento della volta.

Il parroco, Don Piero, preoccupato per il responso, rende noto alle autorità civili e religiose superiori la situazione della pre­carietà. Da questo si mette in movimen­to l’ingranaggio della macchinosa strada burocratica per gli aiuti di legge legati a questo tipo di interventi.

Le cifre stimate vengono rese note in mi­sura di 140 milioni, compreso il montag­gio dei ponteggi, ma esclusi gli imprevi­sti. Infine il 9 giugno presso la Canonica si sono riuniti oltre al Proposto don Pie­ro, il Sig. Gabellieri Rag. Giorgio rappre­sentante della Sovrintendenza alle Belle Arti di Pisa, l’architetto Gasperini Franco, l’impresario Parenti Mauro, l’architetto Bargelli Florestano che sarà il curatore tecnico dei lavori e si sono accordati per dare inizio ai lavori. Nei primi giorni di lu­glio si provvede al montaggio dell’impal­catura metallica di ingabbiatura realizzata dalla ditta Gasperini di Bagni di Casciana; il Soprintendente alle Belle Arti, ing. Cecati, coadiuvato dall’architetto Bargelli,

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

IL “REDENTOR CROCIFISSO” DI ACQUAVIVA

La chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Battista di Pomarance, nella quale si possono ammirare pregevoli opere d’arte, conserva tra le altre anche un’opera scultorea lignea, di indubbio valore artistico, raffigurante l’immagine del Gesù Crocifisso collocato attualmente sopra l’Altar Maggiore. Databile attorno al XIV secolo, anticamente si trovava collocato in un’altra chiesa denominata “Acquaviva”, compresa nel castello di Acquaviva detto anche di “Postignano”.

Il castello di ‘Acquaviva”, oggi alquanto diroccato, era un castelletto posto sulla sinistra del torrente Possera nei pressi di una polla di acqua naturale (da cui il nome di Acquaviva) a poca distanza dalla attuale “villa del Bulera”. Nei pressi di questo castello vi erano una fonte pubblica del comune di Ripomarance (XVI – XVII see.) ed alcune “conce” private situate dove sorge l’attuale invaso denominato “Lago del Bulera” costruito negli anni ’50 vicino al podere d’Acquaviva.

Il castello di ‘Acquaviva”, oggi alquanto diroccato, era un castelletto posto sulla sinistra del torrente Possera nei pressi di una polla di acqua naturale (da cui il nome di Acquaviva) a poca distanza dalla attuale “villa del Bulera”. Nei pressi di questo castello vi erano una fonte pubblica del comune di Ripomarance (XVI – XVII see.) ed alcune “conce” private situate dove sorge l’attuale invaso denominato “Lago del Bulera” costruito negli anni ’50 vicino al podere d’Acquaviva.

Del castello, situato a 200 metri ad est del lago, non rimangono che poche tracce tra una folta boscaglia: resti di mura franate, parti di tegole, di pavimenti ed una specie di pozzo scavato nel tufo da dove, secondo il racconto di alcuni contadini che abitavano al Bulera, negli anni trenta, si vedevano affiorare resti di ossa umane (Manghetti Giulio); questo a pochi metri di distanza da un profondo precipizio o “grotta” dove vi sono frequenti e pericolosi crepacci.

Il piccolo promontorio in cui si trovava il castello è conosciuto volgarmente come “Poggio alla Chiesa” a testimonianza dell’esistenza della chiesa dedicata a S. Salvatore d’Acquaviva. Questa possedeva alcune proprietà terriere nella corte del castello essendo già all’epoca del Sinodo dei Beiforti (1356) filiale della Pieve di San Bartolomeo a Silano.

La chiesa di Acquaviva con la sua parrocchia fu possesso del Monastero femminile di San Dalmazio e si ritrovano notizie di questa anche attorno al 1239 quando il Vescovo Pagano, a corto di soldi per pagare 5 bovi che occorrevano per lavorare la terra, per 54 libbre di danari volterrani dava in pegno la corte d’Acquaviva e di San Dalmazio.

Proprietari e Signori del Castello risultarono essere per alcuni secoli una famiglia molto importante del volterrano: la Famiglia degli Incontrini detta degli “INCONTRI” che dette origine a due rami; quello degli Incontri di Volterra e quello omonimo di Ripomarance o Pomarance. Legata con alcuni rami di parentela con gli Incontri di Siena, questa ottenne in feudo la Corte di Acquaviva o di “Postignano” da Carlo Magno dopo la cacciata dei Longobardi dall’Italia.

Uno dei primi signori di Acquaviva di cui si ha notizia fu Teodorico padre di Villerardo nel 970 d.c., nel 1090 fu signore del castello Marco Incontri, mentre nel 1250 risulta essere fatta la vendita per porzioni del castello di Acquaviva, da alcuni rami della stessa famiglia, al Comune di Volterra. Il definitivo abbandono del castello da parte degli Incontri si ha sul cadere delle Signorie feudali quando il territorio e corte di Acquaviva vennero aggiunti a quello del Comune di Ripomarance nel XVI secolo. Tutto questo coincise con il trasferimento del Monastero delle Monache di San Dalmazio a Volterra (30 luglio 1511) e la incorporazione dei beni della chiesa di Acquaviva da parte del Capitolo dei Canonici di Volterra. Con la soppressione della parrocchia, avvenuta 1’8 maggio 1572, dalla chiesa di San Salvatore d’Acquaviva fu traslato il grande Crocifisso ligneo nella Pieve di San Giovanni Battista di Pomarance. Questa sacra immagine fu legata particolarmente, fin dalla sua

realizzazione, alla famiglia Incontri, che commissionò probabilmente l’opera, fa­cendone “istituzione benefica’’ alla chie­sa di San Salvatore d’Acquaviva come è rilevabile da un documento redatto dal Cav. Gio. Andrea Falconcini discenden­te dell’Alfiere Alamanno Incontri che era vissuto nella seconda metà del ’600.

In quel periodo il Cav. Andrea Falconcini erede Incontri, faceva richiesta alle Ma­gistrature del Comune di Pomarance di poter collocare l’immagine del S.S. Cro­cifisso sopra l’altare Maggiore della chie­sa, in occasione del restauro da lui stes­so finanziato. Nella stessa istanza veni­va descritta l’antica collocazione della scultura nella chiesa di S. Giovanni Bat­tista e la comprovata certezza della pro­venienza del S.S. Crocefisso dal castel­lo di Acquaviva.

Un documento che mi è parso abbastan­za interessante e che ho cercato di tra­scrivere il più esattamente possibile: l:M:l

Davanti alle Signorie loro Molto Magnifi­che Sig. Gonfaloniere e Signori Priori del­la Comunità delle Pomarance Comparisce

Il Cavaliere Gio. Andrea Falconcini, e reverendemente l’espone, come per sod­disfare alla pietà e devozione di molti, che più volte li anno fatto istanza di restaura­re l’immagine Santissima del nostro Redentor Crocifisso che da lungo tempo in qua è stata collocata sopra la porta inte­riore della loro chiesa Parrocchiale di San Gio. Battista e che sempre è stata l’im­magine di Patronato della

famiglia dell’Al­fiere Alamanno Incontri di cui detto com­parente e erede si è già messo all’impre­sa per detta restaurazione, ma conoscen­do pur cosa più decorosa e di maggior culto a detta statua immagina ogni qual volta rimanesse collocata all’Aitar Mag­giore di detta chiesa, et in ciò facendo an­che riescirebbe di maggior ornato di det­to Altare; per tal motivo prega le Signo­rie Vostre Molto Magnifiche a volerli con­cedere la permissione di poter collocare sopra detto Altare a sue proprie spese la detta Santa Immagine, dichiarandosi che con detta collocazione non intende di tur­bare punto il diritto che ha sopra detto al­tare la loro Comunità, et altresì ancora non intende di aggravare la medesima Comunità nel mantenimento della detta Immagine alla quale vuol sempre pensa­re esso medesimo come a suo proprio Patronato premendoli la detta conferma­zione non solo come a riflesso della de­vozione, come vi à sempre avuta la casa Incontri che conforme si à della antica et immemorabile tradizione se la porta dal Castello di Acquaviva sua antica Signo­ria, ma ancora a riflesso dell’opera il com­parente erede di detta famiglia che della grazia etc. etc 

Adi 7 giugno 1734

Partecipata la detta comparsa ai rappre­sentanti la Comunità delle Pomarance fu accordato quanto sopra per voti favore­voli 4 . (1)

Jader Spinelli

1) ARCHÌVIO STORICO COMUNALE DI POMARANCE; F. 17, Lettere e Miscel­lanee di Atti 1729 – 1734, c.l 67,r. e v.

NOTE BIBLIOGRAFICHE:

Don Socrate Isolani, “L’Abbadia di Monteverdi e la Madonna del Frassine” 1937 – XV Tip. Giovannelli – Castelfiorenfino.

C. F. C. ‘ ‘Gli Incontri di Volterra ’’ (Biblio­teca Guarnacci Volterra).

DON MARIO BOCCI “Notizie della Co­munità Parrocchiale di Pomarance” 1987

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

AUGUSTO BASTIANINI A POMARANCE

L’affresco di Bastianini a Pomarance e la sua burla alla Biennale di Venezia

Quasi centovent’anni or sono nasceva a Monteguidi, in quel di Casole, Augusto Bastianini.

Apprese le prime lezioni di disegno a Volterra, sotto la direzione del prof. Giuseppe Bessi. Al disegno aveva disposizione e vinse borse di stu­dio. A Siena vinse l’alunnato Lazzeretti; vinse in mostre con i più bei nomi post-macchiaioli nell’ambito dei quali oggi si raffigura.

Allievo di Niccolò Cannicci, che conobbe a Montemiccioli, fu pure amico degli ultimi macchiaioli: da Fattori a Signorini ai fratelli Gioii. Lavorò anche a Pomarance, dove affrescò la cappella Biondi-Bartolini, e nella figura di una virtù teologale ritrasse le sembianze della si­gnorina Verdiani di Volterra.

Amante del bello, di carattere riservato, gioi­va quando si trovava a contatto con la natura. Veniva spesso a Montemiccioli, per incontrarsi con Cannicci di cui ne risentì l’influenza.

Fece molti ritratti a grandi personalità e ne fe­ce alcuni anche a Volterra; del resto la stampa del tempo fu entusiasta e la critica lo è tuttavia. Bisogna pur dire che il Cannicci ebbe sempre fiducia in Bastianini. Il 23 giugno 1900 gli scri­veva perché andasse a suo nome a tenere una lezione a una sua allieva. Il primo gennaio gli scriveva: “Venga subito a trovarmi perché al­lo studio non vado per salute”. Cannicci sta­va male; sentiva di essere vicino alla morte e voleva rivedere il suo allievo, prima di morire. Alla Biennale di Venezia il Bastianini fu invita­to la prima volta nel 1903. Nel 1907 mise il mondo artistico a rumore: si presentò a venezia con un quadro eseguito con sincerità di in­tenti e riuscì a far presentare un altro quadro, a firma di un inglese immaginario, eseguito da lui con i più grandi pasticci della tecnica pitto­rica; ebbene, questo quadro obbrobrioso fu premiato e ne sortì uno scandalo che fece inal­berare i luminari della giuria e i diplomatici in­teressati.

Cappella Biondi Bartolini – Cimitero di Pomarance – Virtù teologali (part.)

se con argute vignette contro la commissione composta di nomi di fama internazionale. Intanto il tempo passava e la critica sembrava assopita allorché intervenne un fatto nuovo a scuotere il mondo dell’arte. Il 10 ottobre 1907, quando la mostra volgeva al termine, il prof. Ba­stianini inviò una lettera a “Il Giornale d’Italia” e il corrispondente si precipitò a telefonare a Ro­ma perché, secondo lui, la notizia era ghiotta. BA Infatti Bastianini, dopo aver premesso di dire che scriveva per dare soddisfazione agli esclusi dalla mostra, cosi si lasciava andare: “Dichia­ro di aver presentato al giudizio della commis­sione due quadri, uno col mio nome, eseguito con serenità d’intendimenti; l’altro firmato S. John Brontsen, eseguito con i più grandi pastic­ci di tecnica, senza nessuno studio di colore né di forma, allo scopo di fare una caricatura del­la produzione anormale, patologica di certi ar­tisti che si fanno imitatori delle peggiori qualità di quelli. Risultato: il quadro fatto sul serio fu scartato; l’altro, di soggetto volgare ma firmato Brontsen, fatto con una strana accozzaglia di qualità negative, di dilettantismo, e di plagio, fu accettato alla unanimità”.

Dette la storia il giornale “Sior Tonin Bonagrazia” di Venezia con questo trafiletto: “Per la critica seria, sta esposizion xe un osso ma per nualtri la xe proprio roba da rider… No gavemo un’idea precisa de l’alta scola me ne par vederghene qualche sagio nella sala IV… Se trata in do casi de quele signore in aguato che, avicinae, ne dà un efeto de ciaro-scuro piutosto ciaro”.

A. Bastianini: La morte – Particolare

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

LUIGI ADEMOLLi E LA CHIESA DI POMARANCE

Il Pittore Luigi Ademollo a Pomarance

“LUIGI ADEMOLLI MILANESE: 1833’’: è questa la frase che è possibile leggere ai piedi del tavolo dell’ultima Cena pittu­rata nella parete di fondo del Coro nella nostra chiesa Parrocchiale.

Una data e firma molto importanti perchè ci riportano ad un momento storico quan­to mai significativo nella ristrutturazione muraria e decorativa della Parrocchiale. Infatti, costruita nel XII secolo, in stile ro­manico, si legge, nei documenti che si conservano nell’archivio, che la Chiesa si trovava in una situazione fatiscente per cui ANTON NICOLA TABARRINI, Arci­prete di Pomarance dal 1826 al 1843, de­cise di iniziare dei grandiosi lavori di re­stauro con l’ampliamento, in quella occa­sione, delle Cappelle laterali dedicate al­la Madonna del Buon Consiglio e al Mar­tire San Vittore.

Per la ristrutturazione muraria il Tabarrini si servì dell’opera dell’architetto Fran­cesco Cinci che fece una dettagliata pe­rizia stimativa, in data 22 Giugno 1831, corrispondente a L. 13.016.

Luigi Ademollo: Via Crucis – Particolare

Una cifra enorme per quei tempi che I’Ar­ciprete Tabarrini affrontò in buona parte con i suoi mezzi e le sue risorse familia­ri, ma pure con l’aiuto della popolazione. In conseguenza di questi lavori si pensò pure aH’omamento pittorico. A tale sco­po fu chiamato il pittore LUIGI ADEMOL­LO (1764-1838) milanese,autore di affre­schi in Chiese e palazzi e d’acqueforti di soggetto storico.

Nell’archivio parrocchiale si conservano ben sette lettere autografe, spedite dalla città di Firenze daH’Ademollo all’Arcipre­te tra il 27 Aprile 1832 e il 5 Gennaio 1837. Esse riferiscono che il Cavalier Giusep­pe Del Rosso fu l’intermediario della pro­posta di affrescare la Chiesa, nel perio­do in cui l’Ademollo dipingeva la Chiesa di Sant’Ambrogio in Firenze.

La spesa totale delle pitture fu stimata in L. 3000.

Tra queste lettere la più importante è la sesta, datata 1833,a 9 Maggio-Firenze. È interessante trascriverla per intero perchè da questa appare come il progetto inizia­le sia stato seguito quasi totalmente, sal­vo piccoli cambiamenti dovuti anche ai successivi restauri avvenuti negli anni 1928-1931.

Ecco il testo:

Reverendissimo Signore

O’ piacere che le composizioni inviateli siano di sua satisfazione e quando vedrà (se Dio ce lo concede) eseguite alla sua grandezza col stile e metodo da me pra­ticato per tutto, spero che gliene tornerà maggiore.

Per chiarezza converrà dichiarare le co­se da me da eseguirsi.

Primo dipingerò a vero buon fresco tre quadri nel Coro da destinarsi; la Volta del medesimo con ornato e soggetto in fi­gure.

Secondo dipingerò la Volta della Navata di Mezo con lo sfondo e sia quadro gran­de del Ascenzione del Signore; due gran tondi in basso rilievo che uno S. Tomma­so convinto dal Signore di sua verace Re­surrezione, l’altro la Venuta dello Spirito Santo. Questo tondo fa come il Fine dei Soggetti Rapresentati.

Terzo dipingerò nelle Due Cappelle late­rali nelle facciate laterali due quadri a buon fresco a Volta ornata con sfondo di figure, cioè NELLA CAPPELLA DELLA SANTISSIMA VERGINE DEL BUONCONSIGLIO:

1. Adorazione dè Magi, 2. Gesù trovato nel Tempio.Sfondo o quadro nella Volta la Presentazione al Tempio fra le braccia del vecchio Simeone.

NELLA CAPPELLA DOVE TENGONO IL CORPO DEL S(ANTO) MARTIRE, da un lato 1. La Multiplicazione dè Pani, 2. Resurezione(del Figlio) della Vedova di Nairn. Sofondo il Centurione à piedi di Cri­sto. La Cupolina di mezo divisa in quat­tro parti con quattro soggetti in bassori­lievo cioè finta scultura.

E siccome mi parto dal Coro dove dipin­go Fatti della Passione di Cristo e nella Volta del medesimo la Resurrezione, Co­

sì seguendo l’ordine dei fatti nei quattro quadri della Cupola, faccio

1. le Donne al Sepolcro, la visione del An­giolo che le Annunzia la resurrezione del Signore, 2. la Madelena col Noli me tan­gere, 3. i Discepoli in Emaus, 4. i giudei che ofrono denari alle guardie fugitive perchè nascondino il visto da loro.

SI VIENE DALLA DETTA CUPOLA E SI TROVA NELLA VOLTA DI MEZO

il S. Tommaso convinto;segue il gran qua­dro della Ascenzione al cielo; finisce la vol­ta con la Venuta dello spirito Santo. E così si procede con ordine.

LE PICCOLE NAVATE avranno nella vol­ta Un’Ordinata elegante e semplice.Nei tramezzi locali che sono fra le cappelle Nichie coi SS. Apostoli ed Evangelisti per­chè nel fondo in faccia si farà S. Pietro e S. Paolo.

Occorreranno delle Ornative attorno i Quadri d’Altare.

Lei dia un picolo, ma picol prezzo ai pez­zi sopraindicati e troverà quanto mai sia picolo ciò che le ò proposto per ricono­scimento del nostro lavoro.

Il restauratore Gianni Trapani al lavoro

LEI propone di ripulire Quadri, farne due nella cappella del Santissimo e Via Cru­cis, e tinteggiare la Canonica.

Tutto quello che le posso dire si è che mai si dato che io abbia auto litigii per mer­cede del lavoro; e poero io non guarderò a fatica, a V(ostra) S(ignoria) Reverendis­sima non guarderà a qual riconosci­mento.

Circa la Canonica sicome si tratta d’affa­re assai comune di poche lire se la inten­derà coi miei aiuti.

QUANTO A VIA CRUCIS non so se inten­da farne una nuova, o ritoccare la vec­chia: Se intende farla Nuova io lo farei as­sai più grande per rendere visibile le pe­ne del Salvatore.

La vista d’una bene espressa Stazione serve a molti di meditazione; così pensa­va Monsignor Albergotti a cui ne ò dipin­te due Grandi, una per la Cattredale di Arezzo, l’altra per la principal Chiesa di Castiglion Fiorentino.

Dunque Quattordici Quadri non sono co­sa così corsiva da incorporarla nelle Tre­mine Lire; ma non tema, perchè con me non vi è questione, sapendo che se vie­ne un riconoscimento, lo gradirò,ma non pretendo.

Posso dire con tutta verità eh e, nei tempi andati, avrei appena fatto salotto per si­mile somma;ma il Mondo è cambiato; e poi si lavora per la Chiesa, e così voglio sperare qualche cosa dalla Misericordia di Dio.

Le bacio la sacra mano e sono con pro­fondo rispetto

Di V. (ostra) S. (signoria) Reverendissima Servo Umilissimo

Luigi Ademolli

L’Ademollo in questo grandioso lavoro fu coadiuvato dal figlio Giovanni con molti ornatisti. Per visitare interamente la Chiesa nella sua attuale programmazione occorre ini­ziare da

sopra il portone, girando in sen­so orario.Si possono vedere opere mono­crome cioè con un solo colore e policro­me cioè con più colori.

Queste pitture, come del resto tutta la chiesa, hanno bisogno di un restauro e di totale ripulitura dovuta al tempo che de­teriora ogni cosa.

Ecco perchè lo scorso anno, in occasio­ne della festa di San Vittore,fu annuncia­to l’inizio dei lavori partendo proprio dal Coro per continuare poi nelle altre parti della Chiesa.

Nel coro sono state restaurate le due raf­figurazioni monocrome e precisamnete “Gesù nell’orto di Getsemani’’ e l’“Ecce Homo’’ e le quattro grandi raffigurazioni policrome e cioè “L’entrata di Gesù in Gerusalemme”, (che purtroppo è stata deteriorata dal successivo rifacimento da parte dell’Anichini), “L’Ultima Cena”, “La Salita al Calvario”, e la “Resurrezione”. Queste pitture sono state restaurate dal Signor Fausto Giannitrapani e dal figlio Luca, con la collaborazione delle decoratrici Mara e Paola.

Le operazioni di restauro eseguite sono state:

  • pulitura del colore
  • fissaggio del colore e dell’intonaco
  • stuccatura delle parti mancanti
  • integrazione pittorica

Pure i 14 quadri della Via Crucis,sempre opera deH’Ademollo, avevano urgente ne­cessità di un restauro che è stato eseguito dal Sig. Antonio Guarino. Un restauro che ha preso tutti di sorpresa perchè nessu­no si immaginava cosa si nascondesse sotto la patina di sporco.

Questi lavori sono stati realizzati sotto la Direzione della Soprintendenza di Pisa e naturalmente con la generosa collabora­zione dei Parrocchiani che hanno senti­to il problema del recupero e della con­servazione dei beni artistici e religiosi che si conservano nella chiesa.

In quest’opera non possiamo tacere il no­tevole contributo ricevuto dalla Cassa di Risparmio di Volterra che ha stanziato la somma di 25 milioni.

L’Ademollo, che aveva una grande faci­lità pittorica, nelle sue opere si è sempre ispirato a soggetti classici. Quello che col­pisce sono i suoi numerosi personaggi che riusciva a mettere insieme e che,ap­punto,sono venuti fuori a seguito della pu­litura.

Un particolare da mettere in risalto è la grande espressività del volto sofferente del Cristo mentre porta la Croce.

Il restauro iniziato ha bisogno di essere continuato perchè sarebbe un vero pec­cato perdere delle opere d’arte che cu­stodiamo e che i nostri antenati ci hanno lasciato.

Continuare per conservare e migliorare, per poter con gioia e anche, con un pò di orgoglio, ammirare e far ammirare ai visitatori la nostra bella Chiesa Parroc­chiale .

Don Piero Burlacchini

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.