LA CROCE DEL BIBBIANI

Circa un anno fa, tramite il libro “IL FORMICAIO” edito da “IL GABBIA­NO” di Livorno, conoscemmo attraver­so i suoi racconti la signora Vittorina Bibbiani in Salvestrini e la sua famiglia. Erano andati via da Pomarance duran­te gli anni venti e, meno che gli intimi, nessuno aveva più avuto rapporti con loro. La famiglia Bibbiani, di pura raz­za contadina, di quei contadini cresciuti con la zappa in mano e senza arnesi meccanici, era vissuta al podere “FOR­MICAIO” sito ad un chilometro dal pae­se lungo la provinciale per Larderello. I Bibbiani con tanto sudore ed altrettan­ta volontà riuscivano a malapena a far fruttare il sassoso terreno, e dai raccon­ti del libro si può ben comprendere qua­li siano stati i sacrifici per far sì che da un piccolo poderetto potessero uscirne, non uno, ma due diplomati. Giustamen­te Aurelio, il fratello della scrittrice, Ra­gioniere e Perito commerciale, mi ha posto in evidenza un interessante arti­colo uscito su La Nazione ad opera di Marzio Barbagli, docente di Sociologia all’università di Bologna. In esso si ri­marca che in quegli anni soltanto lo 0,4% dei contadini riusciva a persegui­re un diploma, un numero esiguo, co­me si può notare, ma fra questi vi era anche quello di Aurelio, che poi, per suo merito, aggiungeva anche quello della sorella Vittorina con il diploma di Maestra Elementare. Una rarità po­tremmo definirla, tanto più da apprez­zare in quanto questi due pomarancini hanno, come si suol dire, tirato fuori frutti proprio dalla zolla.

lo personalmente ho conosciuto questi signori nell’occasione della presenta­zione del libro “IL FORMICAIO” a Rosignano Marittimo il 18 ottobre 1987, tuttavia erano ancora sconosciuti alla maggior parte dei pomarancini e soltan­to con la divulgazione di questo libro essi si sono resi noti ed apprezzati. Ma la signora Bibbiani, in una visita al paese natio, espresse il desiderio di ri­vedere il vecchio podere ed in compa­gnia della sua amica Emma, si recò al Formicaio. Con gran meraviglia consta­tò che la Croce, la famosa Croce, men­zionata nei suoi racconti, non era più al suo posto, non indicava più il vialet­to che conduceva al suo podere. Ne fu rammaricata, e lì per lì, si propose di far tutto il possibile per ricollocare questo segno di cristianità in loco. Carta, pen­na e destrezza nello scrivere, si mise subito all’opera e, prima al Parroco, poi al Vescovo, all’ANAS (visto che oggi la strada non è più Provinciale ma è la Statale 439 SARZANESE VALDERA), poi alle autorità, al proprietario del ter­reno (oggi Fedeli). Un’infinità di lette­re, che messe insieme cominciavano a concretizzare il suo sogno. Anch’io ne ero partecipe, perchè dopo la nostra conoscenza ero tenuto al corrente dell’evolversi dei fatti e delle difficoltà che continuamente si frapponevano al raggiungimento dello scopo. Dopo non po­ca fatica e tanta perseveranza final­mente i suoi scritti cominciavano a frut­tare ed i permessi furono quasi tutti nel­le mani della signora Bibbiani che tor­nò a Pomarance ed ordinò la Croce al falegname. Egli prese l’impegno di co­struirla ma non quello di procurare il le­gno adatto e come lo voleva ed esige­va la signora, così questa interpellò la Guardia Forestale, il cui Maresciallo sig. Visci Vittorio riuscì a procurarglie­lo proprio come lo desiderava.

Fu scelto il posto giusto dove collocar­la, in modo da non ostacolare il traffico e la visibilità a chi percorreva questa Statale.

Finalmente il 24 settembre 1988, in uno splendido pomeriggio autunnale, la fa­tidica Croce, dopo una suggestiva ce­rimonia officiata dal Proposto don Pie­ro Burlacchini, ed al canto delle vecchie lodi sacre usate per le rogazioni, in lin­gua latina, venne issata in un cippo pre­disposto dopo essere stata benedetta e baciata dai fedeli. La signora Bibbia­ni ringraziò caldamente quantil’avevano aiutata per raggiungere la meta pre­fissa e tutti i presenti alla cerimonia (un centinaio di persone) tra cui il Sindaco Renato Frosali, il Maresciallo Visci, il Presidente dell’Associazione Turistica, le sue colleghe maestre, il fratello sig. Aurelio, la sorella Maria, il figlio con i nipoti. I giovani nipoti consegnarono un cartoncino con effigiata la Croce già
pubblicata sul libro “IL FORMICAIO’’. Così la signora Bibbiani prima con il li­bro ed oggi con la Croce è tornata ce­lebre nella sua terra e come lei i suoi familiari. Terminate le funzioni religio­se il gruppo dei presenti, dietro invito della signora, si è recato presso il Cir­colo ACLI dove è stato offerto un ricco rinfresco.

A questa piccola, ma grande maestra vada, a nome mio e della Redazione di questa Rivista, un augurio di prosperi­tà ed un grazie per aver ripristinato un simbolo di religiosità che, senza la sua tenacia, sarebbe rimasto soltanto nel ri­cordo di pochi.

La CROCE DEL BIBBIANI come la ri­corda Vittoria Silvestrini nel suo libro “IL FORMICAIO”: Posta sulla via Provinciale, all’imboc­co della stradetta della nostra casa, era il punto di riferimento per chi ci cerca­va. Fatta di due grossi tronchi incastra­ti, aveva in alto una tavoletta con la si­billina scritta “I.N.R.I. ” e all’altezza dei piedi un ceppo con un grosso chiodo. Mi rivedevo piccolina abbracciata a quella Croce; risento sulle labbra il con­tatto di quel chiodo bollente d’estate, marmato in inverno, e l’odore agrodolce del catrame! Quanti fiori campe­stri ho messo sul piedistallo, sul chio­do, sulle braccia di quella Croce!

Ma la festa era per le Rogazioni, molti bambini di città non sanno nemmeno cosa sono le Rogazioni, cioè le proces­sioni che si fanno nelle campagne, per tre giorni di seguito, prima dell’Ascen­sione, per impetrare dal Signore un buon raccolto.

…La nostra casa distava dalla via mae­stra un tiro di schioppo e vi si perveni­va mediante una stradella sassosa, fiancheggiata da pergole di viti. All’im­bocco, nera e solenne, su un piedistal­lo di pietra, troneggiava la Croce, la Croce del Bibbiani, la nostra Croce.

Qui si fermavano ogni giorno i postini per prendere il latte; qui arrivavano le signore del paese durante la passeg­giata vespertina, qui veniva il Proposto per le Rogazioni; di qui passavano gli operai delle miniere e di Larderello, i barrocciai, le persone che si recavano alla chiesa, i contadini che si recavano alle fattorie, le lente carovane dei muli quasi sepolti sotto le enormi some di carbone (e attaccato alla coda dell’utlimo, il mulattiere dal volto nero e dai denti bianchi come un negro).

…La Croce era come un balcone per noi ragazzi…

…Dalla via maestra ho visto passare le prime biciclette, le prime automobili… …Nel tardo pomeriggio dei giorni feriali passavano le donne del paese che tor­navano da far legna, dalle macchie lon­tane chilometri e chilometri. La porta­vano in testa, senza reggerla, in enor­mi fastelli a forma di sigaro. Incedeva­no lente, sotto il grave peso, con la cal­za in mano ed il ventre gonfio per l’en­nesima maternità.

Vi passavano, mattina e sera, gli irre­quieti operai delle miniere, che discu­tevano, bestemmiando, di salari, di par­titi, di scioperi, o cantavano “Bandiera Rossa” e …

Ricordi più recenti li rivivo anch’io: la Croce del Bibbiani dei miei tempi. Mi rivedo quando, da ragazzo, in compa­gnia di mia madre mi recavo alla Cro­ce del Bibbiani o Croce di Nebbia, o ad­dirittura, per i più vecchi, alla Croce di Parrucca.

Ricordo quando si arrivava agli olmi, lo­calità tra il piccolo boschetto di querciole che demarcava i confini tra il terre­no del Formicaio e quelli del Valentini, una fila di vecchi olmi (una decina) che costeggiando la strada maestra arriva­vano all’incrocio per le Peschiere. La strada in quel punto era in semicurva e dopo pochi passi si scopriva il pode­re. La Croce, che per l’occasione era resa vistosa dagli innumerevoli e vario­pinti fiori di campo, spiccava in lonta­nanza e, mentre la processione dei fe­deli si avviava pian piano, noi ragazzi si scappava avanti a precedere il grup­po. Il traffico automobilistico era esiguo ed il pericolo era limitato, così i genito­ri ci lasciavano correre per quel breve tratto.

Gli anni passarono e si arrivò al perio­do bellico, al passaggio del fronte. In quelle vicinanze, durante un mitraglia­mento, fu ucciso un soldato tedesco e mani pietose scavarono una fossa ai piedi della vecchia Croce e seppelliro­no questo militare. Un cumulo di terra restò per vario tempo visibile ad indi­carne la sepoltura poi, a guerra finita, tutte le tombe segnalate furono riesu­mate e raccolte in un quadro del cimi­tero di Pomarance riservato a questi soldati.

Passarono ancora degli anni, ed io, co­me tanti altri mi recavo a lavoro a Lar­derello: erano i primi anni del dopoguer­ra ed il mezzo di locomozione più usa­to era la bicicletta. Ricordo che una mattina di piena estate, erano le 3 e 30 ed ero solo per recarmi al primo turno che iniziava alle 5, arrivato agli olmi vi­di nel buio ed al flebile riflesso del mio fanale, una fiammella che si muoveva in prossimità della Croce, pensai a qualcuno che si era fermato ad accen­dere una sigaretta, ma più mi avvicina­vo e più mi rendevo conto che attorno a questa fiaccola non c’era nessuno. Ebbi paura e cominciai a pedalare con più intensità arrivando cosi al Formicaio a velocità sostenuta e passando davan­ti più svelto possibile. Dopo, passata la Pieve Vecchia, mi girai indietro e vidi che la fiammella era proprio dietro di me e mi stava seguendo; accelerai an­cora sempre più sino alla discesa di Mona e questa mi seguiva ancora, fi­nalmente arrivato alla Croce del Bufe­ra essa scomparve per la strada di San Dalmazio.

Avevo 17 anni ed ero anche pauroso, poi solo e a quell’ora mi presi un bello spavento. Arrivato sul luogo di lavoro raccontai l’accaduto e dai più anziani fui anche deriso; “Ma era un fuoco fa­tuo” mi disse uno di loro, poi tutti in­sieme mi spiegarono che era gas che si sprigionava dalla terra dove proba­bilmente vi era stato seppellito qualche animale, (ed io allora ricordai chi vi fos­se stato sepolto) con la calura del gior­no questi gas si incendiano e durante la notte possono essere visti.

La mia è una piccola avventura, ma può coprire il vuoto che si frapponeva fra il tempo delle vecchie Rogazioni ed i nostri tempi.

Giorgio

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

Lascia un commento