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Descrizione, notizie ed eventi sul borgo di Montecerboli.

LA CHIESA DI SAN CERBONE A MONTECERBOLI (I PARTE)

A CURA DEGLI ARCHITETTI M.C. BIANCHI, M. SALVI, M. TALOCCHINI

Il monumento che abbiamo preso in esa­me, si trova a Montecerboli una frazione del Comune di Pomarance, situata nell’estremità meridionale della provincia di Pisa, in una zo­na prevalentemente collinare, tagliata fuori dal­le grandi vie di comunicazione.

Dal punto di vista geologico siamo in presen­za di argille spesso lignitifere e lacustri, ser­pentina e gabbro; il nucleo storico, all’interno del quale si trova il monumento da noi rileva­to, è interamente fondato su gabbro e si trova a 375 m. sul livello del mare.

Interessante dal punto di vista geologico è la vicinanza con Larderello e i conosciutissimi fe­nomeni endogeni, dai quali pare derivare il no­me di Montecerboli.

Interno della Chiesa di San Cerbone (1925 ca.) – Coll. Rossi U.

Si dice infatti che il nome fosse in origine Montecerbero a causa delle abbondanti emissioni sulfuree accompagnate da fummacchi, che fa­cevano pensare alle porte dell’inferno, o al mi­tico guardiano delle medesime. Esiste comun­que, anche un’altra teoria che fa risalire il no­me a Monte Cervuli, per l’abbondanza dei cervi in questa zona; tesi questa avvalorata dal fat­to che lo stemma della comunità, raffigura ap­punto un cervo sullo sfondo delle colline. «Non vi sono notizie antecedenti al 1000 riguar­danti il castello di Montecerboli; la notizia più antica ce la fornisce il dott. E. Fiumi in una publicazione del 1934, egli parla di un atto stipu­lato nel 1003, che trovasi nell’archivio Vesco­vile di Volterra. In tale atto, Montecerboli, è chiamato “Monte Cerbero’’ ed il torrente che scorre alla base del monte è detto “Possula”, oggi Possera» (1).

Allo stato attuale Montecerboli è un paese che conta circa 1500 abitanti, che vive essenzial­mente del lavoro che i soffioni boraciferi assi­curano alla produzione dell’energia elettrica. A questa industria è stato legato anche lo svi­luppo demografico e quindi edilizio; quest’ul­timo ha avuto un notevole incremento dopo se­coli di stasi, proprio all’inizio di questo seco­lo, quando l’industria boracifera “Larderello” (oggi Enel -Eni) ampliò gli stabilimenti ed as­sunse molta nuova manodopera.

Lo stato di conservazione del nucleo storico, che è rimasto piuttosto decentrato rispetto al­lo sviluppo edilizio attuale è al momento, sod­disfacente, pur con gli inevitabili restauri scor­retti eseguiti negli anni passati.

Il castello di Montecerboli trovandosi nell’area gravitazionale della città di Volterra, vede tut­ta la sua storia, legata appunto alla storia di Volterra di cui è stato per lungo tempo tribu­tario; si trova notizia difatti, che nella primà me­tà del 1400, il Vescovo di Volterra, Roberto Ardinari, conferiva il titolo di conte di Montecer­boli, ad Antonio di Pasquino Broccardi; i Broc­cami nel XV secolo erano una facoltosa fami­glia di Montecerboli dove possedevano molte terre, ed avevano investito molti capitali nel commercio volterrano per lo zolfo ed allume che allora si estraevano dal territorio dei sof­fioni. La Comunità e cura amministrativa di Montecerboli, in antico comprendeva “ville e villaggi” oggi in gran parte perduti, ma sap­piamo che al 1200 erano: S. Maria, S. Ippolito, Bagni a Morba, Libbiano e Spartacciano. Questo dimostra, che seppure di modeste di­mensioni, il castello godeva di una certa au­tonomia, ed anche di uno statuto e di misure proprie e questo lo troviamo ampiamente te­stimoniato dal dizionario Geografico Fisico e Storico della Toscana di E. Repetti, di cui ri­portiamo un ampio stralcio: “Montecerboli in Val di Cecina.

Castelletto con chiesa plebana di San cerbo­ne già filiale della pieve di S. Maria a Morba, cui fu riunita nella comunità giuridica; è circa 4 miglia a scirocco delle Pomarance, diocesi di Volterra, compartimento di Pisa.

Risiede sopra un piccolo poggetto di gabbro fra la strada provinciale massetana, che gli passa a ponente e il torrente Possera, con­fluente a sinistra della Cecina. Senza perder­si in congetture sull’origine del nome di Mon­tecerboli, io non trovo notizie d’esso, ne dei loro signori, che sieno più antiche di quelle pub­blicate daH’Ammirato Juniore, nelle aggiunte alle vite fatte de Vescovi di Volterra del vec­chio Ammirato.

Fra le quali un contratto del 14 gennaio 1160, rogato in Volterra nel Chiostro della cattedra­le, vertente sopra una permuta fatta tra il Ve­scovo Galgano di Volterra e un certo conte Gu­glielmino, figlio del conte Rainuccio, e fratello di una altro conte Lottario, quando Guglielmi­no cede al Vescovo prenominato tutto ciò, che tanto egli che donna bella di lui moglie, pos­sedevano nei castelli e distretti di Monte Cuccari, di Camporena, di Laiatico, di Ghizzano, e di Cedri in Val d’Era. In cambio di tali beni, il vescovo Galgano, rinunziò, ai due coniugi, la terza parte del castello, borgo e corte di Mon­tecerboli’’.

La quale ultima espressione ci dà chiaramen­te a conoscere che la Comunità di Montecer­boli, fino a quell’età aveva misure sue proprie. Con altro strumento della stessa provenineza, scritto il 20 dicembre 1173 nel palazzo Vesco­vile di Volterra, Ranieri degli Libertini, Vesco­vo di detta città fece fine a quietanza per L. 300 pagategli dal comune di Volterra di tutto ciò che poteva pretendere rispetto ai dazi, con­danne penali etc.; che il comune predetto ave­va nei tempi addietro imposto e fatto pagare agli abitanti delle Pomarance, di Montecerbo­li, di Leccia, di Sasso, di Serrazzano, paesi sui quali i vescovi volterrani avevano allora dop­pia giurisdizione. Infatti nel mese successivo, governava in Montecerboli, un rettore vesco­vo di Volterra, del quale ne da prova il seguente documento tra le carte della Comunità di Vol­terra relative a prestazioni di giuramento d’ub­bidienza, a quel comune. Esiste un atto roga­to in Montecerboli per Ranieri degli Libertini, in cui con i consiglieri elegge e costituisce un sindaco per recarsi a Volterra a giurare obbe­dienza a quel podestà e colà difendere le liti relative alla comunità di Montecerboli.

Quindi troviamo nei secoli XIII e XIV, che a se­conda delle disserzioni e pacificazioni fra i ve­scovi e i rappresentanti il comune di Volterra, gli uomini di Montecerboli prestavano obbe­dienza di sudditanza alla città piuttosto che al loro prelato. Solamente per concordia fatta ne! 1253, fu stabilita la restituzione al vescovo Ra­nieri del castello sopra nominato, a condizio­ne che alla morte di lui tornassero in potere della citta. Frattanto, per interesse comune del­le parti, a seconda di una nuova convenzione fatta nel 1226 fra il vescovo Alberto Scalari e il Comune di Volterra: “si esigevano le collet­te, le condanne e ogni altro diritto”.

Intorno a questa stessa età Montecerboli, a te­nore dello Statuto volterrano del 1228, paga­va di tassa annua lire 7286.

Mediante alcune trattative concluse nel 1319 state rinnovate quattro anni dopo fra i rappre­sentanti della città e Rainuccio, restò conve­nuto che i rettori di Montecerboli e degli altri 4 castelli, si dovessero estrarre da una borsa di 200 probi cittadini volterrani, a patto di rice­vere la investitura del Vescovo. Ma con il tem­po si mancò ai patti per cui il 29/12/1394 furo­
no stabiliti tra il vescovo e il comune di Volter­ra, nuove convenzioni con le quali fu determi­nato che il giurisdicente di Montecerboli, non si poteva nominare eccetto che fra i cittadini volterrani.

Finalmente dallo statuto di Volterra del 1411, rilevasi che allora nel castello di Montecerbo­li, faceva ragione un ufficiale inviatovi dal co­mune di Volterra. Uno degli ultimi atti tenden­ti a provare un resto di dominio che in Monte­cerboli avevano i Vescovi, fu scoperto dallo stesso Ammirato Juniore nell’archivio delle Riformagioni di Firenze; è una provvisione della Signoria fatta nel 1429, dalla quale risulta che il comune di Volterra, stante la ribellione ac­caduta nel 1427, aveva perduto il diritto di eleg­gere i suoi podestà e i suoi giurisdicenti del contado Volterrano, ma siccome i rettori della repubblica fiorentina avevano molta stima del Vescovo Stefano da Prato, Vescovo di Volter­ra, vollero conservare in favore suo gli antichi diritti, fra i quali, quello di eleggere e di poter inviare ogni sei mesi i rettori a governare nel civile gli abitanti dei castelli delle Ripomarance, Laccia, Sasso e Serrazzano rilasciandogli per detto tempo anche la regalia delle condan­nazioni. (Ammirato dei vescovi di Volterra). Non sembra però che ai successori del vesco­vo Stefano Aliotti fosse continuato un tal privi­legio dalla repubblica fiorentina a nome della quale d’ora in poi Montecerboli si governava con tutto il restante contado.

La Chiesa Parrocchiale di San Cerbone, fu eretta in battesimale dopo che l’antica sua chiesa matrice di S. Maria a Morba, cadde in rovina. La qual trasalazione avvenne verso il 1400 giacché la Pieve a Morba esisteva nel 1335 cosi come attesta il sinodo volterrano del­lo stesso anno. Sul declinare del secolo me­desimo venne rammentata ancora da “Ugoli­no da Montecerboli” nella sua opera “De Balneis”.

Delineato sommariamente il quadro storico e ambientale in cui ci troviamo, cercheremo ora di scendere nei particolari e cioè nell’esame tipologico di questo monumento.

Ci troviamo di fronte ad una chiesa a pianta rettangolare ad una sola navata con annesse due altre costruzioni di incerta datazione ed un campanile piuttosto recente(1902).

La struttura in elevazione della chiesa è realizzata con muratura a sacco in laterizio, che all’esterno è lasciato a facciavista, mentre al­l’interno è allo stato attuale intonacato così co­me lo era già nel ’600.

Ingresso della Chiesa

La copertura alla “lombarda” èsorretta da tre capriate ed è stata più volte manomessa, co­me troviamo ampiamente documentato, per cui è impossibile stabilire come fosse in origine; dalle lesioni che si riscontrano sulla facciata, si può però ipotizzare che non fosse una co­pertura a spinta eliminata. Sul lato posteriore sinistro esisteva un campanile a vela con due campane, che franò agli inizi di questo secolo e non fu più ricostruito; si preferì, malaugura­tamente, costruirne uno nuovo, che come si può vedere, fa brutta mostra di sé sul lato de­stro della chiesa.

Abbiamo trovato scarne notizie di questa chie­sa nelle pubblicazioni consultate; comunque dall’opera di Moretti Stopani (Chiese Romani­che in Val di Cecina), abbiamo potuto trarre alcune valide indicazioni, nonché la convinzio­ne che l’oggetto del nostro studio si inquadra perfettamente nella tipologia delle sopra cita­te chiese, sebbene sia stato costruito proba­bilmente in economia e materiali poveri.

È comunque da notare l’archivolta con ghiera di cotto stampata a zigzag, che si ritrova an­che in altre chiese dei dintorni (Beiforte e Mon­teguidi) e il basamento di pietre a vista arena­ria indicatore di un’influenza pisano lucchese filtrate daH’ambiente volterrano; anche qui il materiale impiegato è meno pregiato. Anche i materiali da costruzione sono tipici di questa zona: arenarie, travertino, laterìzio e gabbro verde. Sicuramente interessante è il bordo in laterizio stampato in varie fogge che si trova sui paramenti esterni poco sotto la copertura. Non è da escudere che questi siano gli “idoletti” di cui parla Targioni Tozzetti in una rela­zione di viaggio in questi luoghi.

La chiesa plebana di San Cerbone, dipende­va in origine dalla Pieve a Morba di cui in se­guito prese i titoli e il fonte battesimale, come si trova testimoniato in una lettera di Don Ma­rio Bocci archivista dell’archivio Vescovile di Volterra:

“Della Pievania di San Giovanni a Morba, ri­mane oggi solamente l’abside incorporato ad una casa colonica.

La pieve apparteneva come diocesi al nucleo primitivo della chiesa volterrana come fanno
fede i due privilegi di papa Alessandro III al Ve­scovo S. Ugo (1117 e 1179). La pieve era col­legiata cioè possedeva un piccolo capitolo dei canonici: all’atto della costituzione dei Sesti Vi­cariali viene riconosciuta al Capo Sesto della Maremma o di Montagna ed ha sette rettorie che da essa dipendono come filiali cioè S. Cer­bone e Montecerboli, San Michele e Spartacciano, S.S. Salvatore e Castelnuovo ecc”.

Di certo è che già nel 1400 la pieve minacciva rovina. Il 24 Novembre 1460, il vescovo G. Neroni, ad una istanza del Vicario Consiglieri, e popolo della Comunità di Montecerboli, rispon­de che, “attesa la penuria del clero (sappia­mo infatti che nel periodo che va dal 1310 al 1315, essendo vacante il posto di pievano, ten­ne per qualche tempo la pieve, il prete Cinzio, rettore di S. Cerbone a Montecerboli) e tenui­tà delle rendite della chiesa di san Cerbone: “Propter guerras, pestilentias nancnon alias calamitates etgravedines’’ aggrega, unisce e incorpora ad essa la pieve “… quae sub ve­nerando vocabulo Sancti Joannis de Morba est sita infra metas vestrae Curtis et sine cura animarum, cum omnibus suis pertinetisis juribus actionibus ecclesiis et oratoriisi’’. Cosi il no­me, la gloria e la supremazia di Morba, ces­sarono e i titoli con il fonte battesimale passa­rono alla chiesa di Montecerboli. Della strut­tura della Pieve a Morba, come si è già detto, non rimane che parte dell’abside; sappiamo solo che era a forma basilicale con tre navate di tre campate l’una su pilastri di pietra, con tre altari al presbiterio.

Dietro l’altare Maggiore era l’abside e sopra due finestrelle laterali oblunghe, sulla faccia­ta vi erano degli archetti pensili e sulla porta maggiore un occhio con rosone. Grazie all’in­teressamento personale di Don Mario Bocci, Archivista della Mensa Vescovile di Volterra, siamo riusciti ad avere le copie di alcune visi­te pastorali da cui abbiamo tratto utili indica­zioni sul succedersi dei numerosi rifacimenti subiti dalla chiesa. Ci è stata utile anche la con­sultazione dei manoscritti contabili della comu­nità di Montecerboli di cui abbiamo preso vi­sione nell’Archivio comunale di Pomarance. Tutto quanto sopra scritto verrà riportato in se­guito in stralci tradotti o in testo integrale.

Montecerboli (PI). Il castello

Sono queste le uniche notizie attendi­bili peraltro scarse a cui abbiamo potuto attingere.

Dalla Visita pastorale di Mons.L. Ala­manni

Registro I carta 26 tergo e segg :

“27aprile 1599’’…“Pieve di S. Gio.Bat­tista di Morba’’

…Proseguendo la visita arrivò alla chie­sa pl e ban a non più occupata di S. Gio­vanni a Morba, che si dice sia annessa alla chiesa di San Cerbone del castello di Montecerboli. È in pessimo stato per quel che riguarda il tetto le pareti e il pa­vimento. Le porte sono vecchie e malan­date, e chiuderle serve a poco perchè vi entra ogni genere di animali. C’e un al­tro altare di pietra consacrata e sopra l’al­tare c’è una croce soltanto con due can­delabri, c’è un’icona piccola ed antica con al centro l’immagine della Beata Vergine, a destra un’immagine di Giovanni Aposto­lo e a sinistra un’immagine di San Gio­vanni Battista ma tuttavia quella immagi­ne della B.M. Vergime fu oggetto di gran­dissima devozione presso le popolazioni locali e limitrofe. La chiesa minaccia ro­vina in ogni sua parte ed ha bisogno di una grossa opera di restauro…

“Pieve di San Cerbone del Castello di Montecerboli;

…e proseguendo il viaggio il reverendis­simo Padre arrivò al castello di Montecer­boli dove fu ricevuto con grandi onoreficenze dal pievano a dalla popolazione. Arrivò nella chiesa di San Cerbone, una volta espletate le funzioni di rito dopo aver cantato la preghiera benedisse il popolo diede l’assoluzione ai morti con la mitra, il pluviale e il bastone. Visitò il S.S.Euca­restia che è conservato sopra l’altare di detta chiesa in un armadietto di legno a forma di tabernacolo… poi visitò il fonte battesimale che è a destra dell’ingresso della chiesa. L’acqua per lavare gli infanti viene conservata in un vaso di terracotta ed è un coperchio dello stesso materia­le, ed è incluso in un luogo a forma di al­tare in decenti condizioni e chiuso a chia­ve, e nelle restanti cose è in buono stato. L’olio santo viene conservato in un luo­go ed in condizioni decenti. C’è soltanto un ’altare di pietra con la pietra consacra­ta, decente.

Sopra l’altare c’è una croce di legno di­pinta e dorata con quattro candelabri di legno e due di ferro…

La chiesa è lunga venti braccia e larga cir­ca nove braccia, il tetto, le pareti e il pa­vimento sono in buone condizioni.

Ci sono due piccole campane dalla par­te dell’epistola, che sono trattenute in quel luogo con pericolo che cadano.Nel­la chiesa c’è una tribuna lignea (pulpito) abbastanza decente,non c’è confessiona­le. Sopra la porta c’è soltanto un “Oculus“ che è schermato con un drappo di lino. A sinistra dell’ingresso della chiesa c’è il cimitero chiuso da ogni parte e “cum cruce decenter retentum”.

Le porte della chiesa sono di legno e so­no vecchie,tuttavia la sera vengono chiu­se a chiave.

All’ingresso della chiesa c’è un vaso per l’acqua benedetta in decenti condizioni. La chiesa è appena sufficiente per la po­polazione, tuttavia è situata in un luogo così alpestre che non vale la pena di al­largarla…

Le famiglie sotto la cura di questa chiesa sono circa 53, te anime circa 250 di cui 180 hanno ricevuto la Sacra Eucare­stia…’’

Questa è una delle piu interessanti Visite pastorali, di seguito daremo il resoconto di altre visite pastorali posteriori a questa e riporteremo un interessante frammento che abbiamo avuto in questo periodo.

Le visite pastorali precedenti al 1599 si possono riassumere in questa formula: “la chiesa per quanto riguarda l’edificio è in buone condizioni, conserva il sacra­mento dell’eucarestia in buone condizio­ni e così l’olio santo e le crismate; ha il fonte battesimale in buone condizioni”. C’è poi un frammento del 1477 allegato alla visita del 1463 di Mons. Giugni: “…La chiesa è stata restaurata ed è bella in ogni sua parte… e similmente il cimitero è in buone condizioni ed è recintato con un muro si che non possono entrarvi bestie e fiere…”

Visita Ighirami 30 Ottobre 1618 carta 694: “…vide poi il fonte battesimale a destra di chi entra che è di pietra e contiene so­lo un vaso nel quale c’e un cratere di sta­gno per battezzare gli infanti, questo fonte è chiuso con coperchio di legno e a chia­ve. Vide poi vasi dell’olio santo, che so­no di stagno e sono conservati in un ar­madietto nella parete a destra dell’altare con la loro borsa di seta. Sopra l’altare maggiore c’è un’immagine indecentissi­ma.; all’interno della chiesa, nella pa­rete anteriore è infissa una grande croce di legno dipinta ed antica; a metà della chiesa, a destra di chi entra, sopra il fon­te battesimale c’è un pulpito ligneo abba­stanza decente. C’è a Sinistra di chi en­tra il feretro con suo panno nero. Nella chiesa non ci sono sepolture e per quan­to riguarda il pavimento, il tetto e le pare­ti è in buone condizioni sebbene le pere­ti siano quà e la scrostate. Vicino all’al­tare dal lato del Vangelo c’è un confes­sionale in decenti condizioni.

L’occhio della chiesa non è chiuso ne con tela ne con vetro; le porte della chiesa so­no in buone condizioni. Vide poi la sacre­stia che è dietro l’altare maggiore nella quale fu trovato un calice con la coppa d’argento e il piede e la patena dorati’’.

Nel 1686 il vescovo Dal Rosso annota che la chiesa di Montecerboli è stata nuova­mente riparata dal pievano Antonio Maz­zocchi di Castiglion d’Orcia: “Felicitur olim fuit ecclesia ut ex murorum dirutorum cementis aperte dignoscitur; fertur enim, bellicis oricalcisundequeque circumsonantibus ecclesia fuisse diruta et plura passa belli detrimenta…” (Don Ma­rio Bocci)

Una delle porte sul cimitero

Dalla cosultazione dei partiti e delibera­zioni del Comune di Montecerboli si so­no ricavati dati abbastanza precisi sull’en­tità delle opere di restauro di cui la chie­sa ha avuto bisogno, ma non sulla quali­tà di questi interventi come si può preve­dere da diversi documenti.

Accanto all’indagine storica abbiamo por­tato avanti un’altro tipo di indagine basa­ta sull’osservazione del monumento in esame sia dal punto di vista statico che da quello dell’uso dei materiali,nonché dal deterioramento di questi ultimi.

Il corpo di fabbrica della chiesa è realiz­zato in massima parte con una muratura a sacco in laterizio, fatta eccezione per la base che è costituita da grosse pietre squadrate in arenarea, provenienti probabilmente dalla Pieve a Morba.

La canonica

Sull’aspetto frontale c’è da notare il diver­so comportamento all’usura dei singoli mattoni:difatti mentre alcuni sono grave­mente deteriorati, altri sono in buonissi­me condizioni; questo fenomeno che in un primo momento ci ha fatto pensare ad una diversa datazione dei materiali ha in­vece con tutta probabilità avuto origine dalla diversa cottura ed alla diversa espo­sizione alle intemperie dei singoli ele­menti.

La finestra sopra la porta, che nelle vite pastorali è descritta come oculus, è sta­ta probabilmente ricostruita in epoca re­cente,per cui è molto difficile stabilire la forma della finestra originale. La struttu­ra presenta delle lesioni che si possono far risalire al primo dopoguerra.Sulla na­tura di queste lesioni si possono fare più ipotesi: spinta della copertura, cedimen­to delle fondazioni, degrado dei materia­li. Esclusa l’ipotesi di un cedimento fon­darla chiesa è interamente fondata su gabbro) restano le altre due, che sono probabilmente concomitanti: di fatti se da un lato la copertura esercita sicuramen­te una spinta sia perpendicolare,che si suppone uguale lungo tutto il lato su cui appoggiano i correnti, avrebbe dovuto provocare i medesimi danni lungo tutto il lato suddetto; se questo non è avvenuto invece che in luoghi ben definiti è perchè alla spinta della copertura, in questi luo­ghi si è aggiunto il degrado dei materiali dovuto all’infiltrazione prolungata di ac­qua piovana. Come si trova ampiamente documentato nella ricerca storica la co­pertura ha avuto spesso bisogno di esse­re riparata e questo fa legittimamente supporre che ci siano stati periodi abba­stanza lunghi durante i quali l’acqua pio­vana è filtrata liberamente all’interno del sacco, provocando la disgregazione del legante interno al sacco e quello della stessa malta che lega i mattoni. Il lato de­stro nel suo insieme è poco leggibile a causa del recente campanile e dell’ attua­le sacrestia che ne occupano una parte notevole. Da notare la finestra monofora, murata dall’interno, e la fila di elementi in laterizio decorata a rilievo di pregevo­le fattura inseriti nel bordo poco sotto la copertura.

Del campanile c’è poco da dire, costrui­to tra il 1902 e il 1909 (Progetto di Carlo Bonucci di Pomarance detto il Falugi), ri­sulta in buone condizioni, fatta eccezio­ne dei solai intermedi in legno che risul­tano particolarmente deteriorati.

La sacrestia che si raccorda al campani­le con una ammorsatura in laterizio, è per il resto costruita con pietrame frammisto a laterizio. Non abbiamo notizie sufficenti per datare con precisione questa costru­zione, che comunque non esisteva anco­ra alla metà del XVII secolo. Sul lato po­steriore della chiesa è per cosi dire ap­piccicata una costruzione a pianta trian­golare che secondo le testimonianze rac­colte dalle visite pastorali è la originaria sacrestia.

L’altro fianco laterale della chiesa (di fron­te alla chiesa della Misericordia) è molto più leggibile ed apre una serie di proble­mi a cui non è facile dare una risposta. La prima cosa che vien fatto notare sono senz’altro le due porte chiuse, che si tro­vano circa tre metri sopra il piano strada­le. Queste porte, che dovevano aprirsi su un terrapieno dove era situato il cimitero sono state chiuse con materiali diversi, il che fa pensare ad epoche diverse; la lo­ro soglia si trova a 40 cm. più in alto ri­spetto al piano del pavimento della chie­sa. Lo sbancamento del cimitero ci ha permesso di di vedere la struttura di fon­dazione che poggia direttamente sulla roccia viva, eccezion fatta per l’estremi­tà posteriore che ha dovuto essere soste­nuta con uno sperone in pietra,costruito probabilmente proprio quando fu spostato il cimitero. Anche su questo lato è presen­te la fila di elementi in laterizio decorati simile a quella che si trova sul lato oppo­sto; osservando bene l’estremità poste­riore in alto si può notare lo strappo cau­sato dalla caduta del campanile(inizi del 900) che non fu più ricostruito. All’inter­no della chiesa,molto è stato cambiato ri­spetto a ciò che risulta scritto nelle visite pastorali. Ci sono adesso altari in stucco, uno maggiore e due laterali, sopra il mag­giore c’era un’immagine raffigurante la vergine tra i santi(oggi restaurata e con­servata nella nuova Chiesa parrocchiale di Montecerboli). Sull’altare di destra c’e­ra un crocifisso in legno di scuola sene­se, che anch’esso è stato portato nella nuova chiesa; sull ’altare di sinistra vi è una statua della vergine con il bambino.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

Archivio storico Comunale di Pomarance Fil­za 378 e seg.ino alla 803

Rassegna “Larderello“ 1955-1956

  • Repetti “Dizionario Geografico e fisico del­la toscana V.3 Fi. 1839

Targioni Tozzetti: Relazione di alcuni viaggi fat­ti in diverse parti della Toscana Fi.1770

C. Ceccarelli: “Val di Cecina” Monografia geo­grafica. Faenza 1913.

S. Pieri: “Toponamastica della toscana meri­dionale e dell’arcipelago Toscano.

M.Salmi: “Architettura Panoramica in tosca­na” 1929

Chiese Romaniche nella campagna toscana 1959

  1. Scheneider: “Regester Volterranorum” Ro­ma 1907
  2. Volpe: “Maremma” Gr.1924-1930 Zuccagni Orlandini A. Atlante geografico fisi­co storico della toscana. 1832.

Moretti-Stopani “Chiese romaniche in Val di Cecina” 1970

Visite pastorali dall ’Archivio della Curia Vesco­vile di Volterra.

S. Mastrodicasa: “Dissesti statici delle strut­ture edilizie Hoepli Milano 1977”.

P. Sampaolesi: “Discorso sulla metodologia generale del restauro dei monumenti”. Firen­ze 1977. Ringrazio vivamente gli Archietti Talocchini, Bianchi e Salvi per aver concesso la pubbli­cazione di questo interessante studio univer­sitario che ci permette di conoscere ancora di più il nostro patrimonio storico artistico spes­so sottovalutato e lasciato nel piu completo de­grado.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.