Archivi categoria: San Dalmazio
Descrizione, notizie ed eventi sul borgo di San Dalmazio.
POMARANCE – ROCCA SILLANA
LA ROCCA SILLANA
Durante l’anno accademico 1987-88 io, con due miei colleghi Alberto Bocelli e Benedetto Roventi™, abbiamo discusso la tesi su uno dei monumenti più importanti del territorio comunale e dell’intera Alta Val di Cecina: la Rocca Sillana.
La tesi è stata indirizzata su diversi campi di ricerca oltre a quello squisitamente architettonico che ha avuto naturalmente il maggior rilievo.
La necessità di allargare i punti della ricerca è scaturita sin dall’inizio, quando ci siamo resi conto che nonostante la mole del monumento e la sua forte presenza sul territorio, non esisteva nessuno studio organico. Il grande fuori scala che il fortilizio rappresenta nel territorio ci ha subito reso cosciente che le risposte ai quesiti che ci ponevamo, come l’epoca in cui è stato costruito, la sua funzione strategica, il merchingegno architettonico, ecc., non potevano trovare risposta se non attraverso una lettura organica del manufatto nel territorio e nelle diverse epoche in cui ha assolto la sua funzione.
La ricerca quindi si è sviluppata su tre diversi piani:
- Analisi STORICO – GEOGRAFICA del territorio.
- Inquadramento STORICO – STRATEGICO – ECONOMICO nelle diverse epoche e quindi la CAMPAGNA delle RILEVAZIONI del Borgo e della Rocca.
Lo scarso materiale bibliografico riguardante il nostro territorio ci ha indotto ad intraprendere delle ricerche di fondo consultando gli archivi storici comunali di Pomarance, di Castelnuovo V.C. e l’archivio di Stato di Firenze che ci hanno fornito delle notizie, in diverso modo interessanti, e che a nostro avviso richiederebbero una ricerca più qualificata e più dettagliata. In particolare all’archivio di stato di Firenze la ricerca potrebbe avere degli indirizzi ben precisi, che sono emersi dal nostro lavoro e sui quali mi soffermerò tra poco.
INQUADRAMENTO TERRITORIALE.
Alcuni autori hanno fatto rilevare la presenza di numerosi percorsi che collegavano Volterra (città egemone) con i vari centri del suo dominio sin da epoche remote.
Già gli Etruschi e dopo di loro i Romani conoscevano le ricchezze minerarie e termali del nostro territorio. La viabilità da noi definita MINERARIA partiva da Volterra, passava per Mazzolla, per la Rocca Sillana, toccava Montecastelli e giungeva a Montieri. A testimonianza del percorso in epoche arcaiche, ci sono i numerosi ritrovamenti di epoca etrusca e romana individuati dal Gruppo Archeologico di Pomarance, che colgo l’occasione per ringraziare della cortese collaborazione. Anche in epoca medievale il percorso minerario mantiene, e forse raggiunge, il massimo dei traffici, considerando l’importanza delle presenze che vi si affacciano quali: il borgo di Mazzolla, La Torraccia di BERIGNONE (rifugio dei Vescovi, dove questi per un periodo intorno al XIII see. coniarono MONETA con l’argento di Montieri) e Sillano, all’epoca importante e popoloso borgo con castello feudale.
Un’altra tappa del percorso era la pieve di S. Quirico e S. Giovanni (detta di Sillano) dai caratteri architettonici di notevole fattura. Il percorso arcaico guadava il fiume Pavone, e qui vi sono delle testimonianze quali un piccolo convento con santuario, oggi in abbandono, e un fortilizio per la riscossione delle gabelle. Proseguendo troviamo Montecastelli edificato nel 1249 dal Vescovo Ildebrando, quindi Montalbano, Anqua ed il castello di Fosini, altro importante fortilizio a difesa della viabilità in questione e della vallata del Pavone. Si giungeva quindi, prima a Gerfalco e poi a Montieri, all’epoca importante centro minerario spesso conteso fra volterrani e senesi. In tutte queste località citate avvenivano estrazioni minerarie di diverso valore; fatto estremamente importante per l’economia volterrana. In particolare la posizione geografica di Sillano, difficilmente offendibile ed in diretta visuale su Volterra, suscitò durante il XIV e XV see. l’interesse della Repubblica Fiorentina in pieno sviluppo economico e politico.
Durante il XIII see. e parte del XIV, il castello di Sillano, come altri castelli in questo periodo, viene suddiviso in frazioni di proprietà. I documenti attestano la presenza di diversi comproprietari, tra cui le famiglie Buonparenti e Aldobrandeschi, il comune di Volterra, i Vescovi e successivamente il comune di Firenze. Durante il XIV see. la famiglia Petroni di Siena viene in possesso della Rocca. Diverse sono le ipotesi formulate su come questa famiglia ne sia venuta in possesso. Il fatto comunque risulta legato ai giochi di potere fra le diverse famiglia (guelfe e ghibelline) che si alternarono alla guida della città di Volterra.
La presenza dei Petroni è comunque tollerata dai
volterrani in relazione ai loro buoni rapporti con la città di Siena, che
appoggiava i propri traffici comunali, verso il nord Italia ed Europa, sulle
infrastrutture viarie del territorio volterrano, in alternativa a quelle
fiorentine con cui il governo senese era in continuo conflitto. Sul finire del
XIV see. con il famoso episodio di
Martincione da Casole, che non è dato a sapere quanto sia stato fortuito, la
Repubblica Fiorentina riesce ad impossessarsi del castello di Sillano. Si
ipotizza che il crescente interesse di Firenze per questa rocca sia dovuto a:
la necessità di garantirsi un punto d’appoggio che rappresentasse un monito
per Volterra, ostile al loro dominio, la possibilità di ostacolare i buoni
rapporti accennati tra Volterra e Siena, un possibile sbocco al mare ed
infine l’interesse per lo sfruttamento dei giacimenti minerari presenti nella
zona.
Nel corso del XV see. la Repubblica Fiorentina considera, ormai, Volterra un proprio dominio; ma quest’ultima, in diverse circostanze, si ribella, ad esempio in occasione dell’imposizione del catasto del 1427. Nel 1472 un altro episodio vede nascere dei contrasti tra Firenze e Volterra relativamente allo sfruttamento di alcune miniere di allume presenti nel territorio. Anche in questa occasione il popolo volterrano si rivoltò alla potente Repubblica Fiorentina, e questa nella persona di Lorenzo il Magnifico, decide di dare una lezione esemplare e definitiva alla città. All’azione politica intrapresa da Lorenzo il Magnifico, al fine di isolare il Comune dagli altri stati della penisola (Roma, Venezia, ecc.), seguì un’azione strategica di largo respiro, assoldando e rafforzando un numeroso esercito. All’interno di questo quadro militare la Rocca Sillana rientrò nei piani di Lorenzo il Magnifico, che finanziò un’importante opera di ristrutturazione del fortilizio per adeguarlo al diffondersi di nuove tecniche militari (invenzione delle armi da fuoco).
L’attuale aspetto del fortilizio deriva difatti dall’operazione che fu compiuta in quell’epoca e cioè il completo rifodero delle antiche mura. L’impresa fu senza dubbio molto onerosa, viste le proporzioni, in considerazione anche dell’orografia dei luoghi e dell’impiego del cotto; tecnologia quest’ultima del tutto inusuale in quell’epoca nel nostro territorio (la fortezza nuova di Volterra, ad esempio, edificata dopo gli avvenimenti in questione e a testimonianza dell’egemonia fiorentina, è costruita quasi interamente in pietre).
Non ci é stato possibile suffragare le ipotesi suddette con scritti dell’epoca a causa delle numerose difficoltà incontrate. La nostra ipotesi pertanto è basata su di una analisi storica, avallata da riferimenti tecnici da noi determinati grazie al rilievo metrico dell’organismo architettonico confrontato con altre fortificazioni della stessa epoca ma edificate con tecniche più avanzate. A tale proposito colgo l’occasione per invitare l’amministrazione comunale ad un incontro per definire le potenzialità di un approfondimento della ricerca all’archivio di Stato di Firenze, in considerazione di un sicuro interesse che questa ha nei confronti dell’importante monumento, indicato dalla variante al P.R.G. come zona archeologica.
Tornando alla storia della Rocca, dopo il Sacco di Volterra, perse la sua funzione strategica nei confronti di Volterra perdendo pertanto la sua importanza. Inizia così un lungo periodo di decadenza in cui diviene una dipendenza del Maschio di Volterra.
Intorno al 1600 un fulmine rovinò il duecentesco guardingo ed altre strutture interne a cui non fu portato restauro nonostante le sollecitazioni del castellano al Granduca Leopoldo.
Sul finire del XVIII see. la fortezza venne acquistata da un certo Marco Antonio Acciai (3/7/1781) residente nel borgo di Sillano, che sottopose la Rocca a lenta demolizione “tetti e materiali… per suo guadagno’’. La fortezza ormai è abbandonata ma il borgo annesso continua a sopravvivere almeno fino al 1842 quando viene trasferita la pieve a Lanciaia e fors’anche al 1860 visto che nelle liste degli “eleggibili” nelle elezioni di quell’anno compaiono ancora le famiglie di Acciai e una di Borghetti residenti a Sillano. Tale borgo si sviluppava lungo un asse viario interno alla cinta muraria che collegava tre camere di accesso edificate probabilmente all’epoca del rifodero, sul lato sud – ovest della medesima cinte, alla porta volterrana a nord.
Dalla planimetria del 1822 (catasto leopoldino) risulta che la proprietà è suddivisa in cinque partite catastali, tra le quali la chiesa di S. Bartolomeo. A questa appartengono la casa del pievano con orto, forno e piazzetta a pastura posti su un lato della strada e delimitati dalla cinta muraria fortificata. Sull’altro lato vi è la chiesa con sagrestia e cimitero annesso. Gli altri proprietari hanno accorpato le rimanenti aree racchiuse, destinandole parte ad uso residenziale e parte ad uso agricolo. Segno questo di uno stato di abbandono demografico. La consistenza edilizia è composta da 15 edifici (più uno diruto). La Rocca è definita “DIRUTA”.
Arch. Rodolfo Bertoli
LA PIEVE DI S. GIOVANNI A SILANO (San Dalmazio)
La Pieve di San Giovanni Battista a Silano, distante da San Dalmazio poco più di un chilometro ed ubicata lungo un’antica strada di clinale che conduce alla Rocca di Silano, è da considerare uno dei più importanti “ruderi” architettonici di interesse storico-artistico di tutta l’alta Val di Cecina. Conosciuta volgarmente come la “Pieve di San Dalmazio”, di questa rimangono visibili solamente la parte inferiore della facciata della chiesa e gran parte della planimetria dell’edificio riportata alla luce molti anni fa dal Gruppo Archeologico di Pomarance.
Smembrata nel secolo scorso delle sue parti architettoniche per costruire nuovi edifici nel paese di San Dalmazio, fu in tempi remoti una delle più importanti pievi medioevali della Diocesi Volterrana di cui si hanno notizie fin dal 945 d. C.. Dotata di Fonte Battesimale, fu chiesa matrice di altre chiesette “suffragranee” come quella di Montecastelli e di Acquaviva (Bulera) ed era inclusa nel territorio comunale del “Castello di Silano”. Costruita su di un importante snodo stradale lungo la via di Volterra da un lato, e verso il contado senese dall’altro, la sua importanza è evidente dai pregevoli resti della facciata in stile “Romanico Pisano” influenzato da elementi architettonici Normanni.
La sua costruzione, databile alla prima metà del X secolo d. C., coincise in un periodo ed un’epoca di forte ed addirittura divorante religiosità in cui la “Chiesa” era di gran lunga l’organizzazione più ricca, colta e modernamente attrezzata. Nel nostro territorio, compreso nell’antica Diocesi di Volterra, risalente al V secolo d.C., vennero innalzate in quel tempo molte Pievi (Chiese di campagna) dotate di fonte battesimale e dedicate al “Battista” fra le quali possiamo citare, oltre a quella in trattazione, anche quella di Micciano o quella di Bagno a Morba sopra Larderello. Tali costruzioni venivano affidate a Maestranze e capomastri di origine pisana, lucchese ed addirittura comasca, come i famosi “Maestri Commacini”, che portarono la loro arte dal Nord di Italia fino a quella centrale per erigere templi sacri o sperduti eremi come quello di Rogheta o di Celle presso Monterufoli, di cui rimane testimonianza una antica lapide murata nella casa, già di Baldassarri Nadir a Libbiano e tradotta dallo storico Don Mario Bocci di Pomarance. (1)
Queste maestranze al servizio del potere ecclesiale della Diocesi di Volterra erigevano importanti luoghi di culto arricchendoli di decorazioni scultoree, come si evidenziano negli elementi decorativi dei capitelli e delle mensole che rimangono ancora visibili nella Pieve di San Giovanni a Silano. La funzione dello “scultore romanico” infatti non era tanto quella di decorare ma di “ammaestrare” le genti raccontando al pubblico religiosissimo, ma incapace di leggere e scrivere, gli episodi della Bibbia, con l’utilizzo di simbolismi, forme antropomorfe, rozze, ma di effetto sul popolo. Anche i materiali generalmente erano quelli che si reperivano facilmente nella zona, come il tufo o il panchino (Berignone) che risultano utilizzati nella costruzione della Pieve di San Giovanni a Silano.
La facciata della Pieve, dedicata anche a San Quirico, è di impostazione Pisana ed è caratterizzata da una serie di archeggiature cieche intrecciantisi secondo un motivo frequente nei monumenti Normanni dell’Italia meridionale, ma molto raro in Toscana, dove si riscontrano solo nella Pieve di Monterappoli, in Santa Maria in Bellum, e in San Donato a Siena. (2) L’interessante prospetto presenta nella parte superiore una ristrutturazione a filari alternati in pietra e cotto realizzata in un successivo restauro che ritroviamo evidente anche nella parte absidale dell’edificio.
La particolarissima facciata è caratterizzata,
alle due estremità, da due pilastri a forma rettangolare poggianti su uno zoccolo
di base e da quattro colonne in tufo collegate fra loro da archi a tutto sesto
che, intrecciandosi con altri archi semicircolari poggianti su quattro
“peducci”, danno luogo ad una intersecazione armonica di archi formando il
caratteristico arco a sesto acuto.
- pilastri e le colonne poggiano su di uno zoccolo di base costituito, su piani alterni, dal “Toro”, da gole dritte, scozie e listelli tendenti a formare un motivo decorativo nella parte inferiore della facciata. In basso, fra pilastro e colonna e colonna e colonna, abbiamo uno spluvio con una pendenza di 35° rispetto ai piano che confluisce alla struttura un notevole slancio verso l’alto.
Lo specchio di muratura è delimitato da mensole e capitelli alla cui altezza, sulla parete, è evidente un nuovo motivo decorativo di “cordolo” a gola multipla che caratterizza l’opera architettonica.
Tutto il prospetto, in muratura a calce, è costituito da blocchi di tufo locale squadrati, di diverse grandezze, disposti per testa e per taglio con numerosi fori a fronte denominati “buche pontaie”.
I capitelli delle colonne, realizzati in panchino, presentano un motivo decorativo di foglie antropomorfe vegetali, molto stilizzate. I capitelli di sinistra sono a due ordini sovrapposti, quelli di destra ad un ordine. Fra colonna e colonna possiamo notare i resti consunti di alcuni “peducci” (pietra sporgente a forma di mensola o capitello) che sostengono un semiarco che si interrompe nella intersecazione formando il caratteristico “arco a sesto acuto”.
Alcuni di questi peducci sono compietamente illeggibili; solamente in quello di destra (per chi osserva di fronte) si nota parte di una figura umana molto stilizzata realizzata, come gli altri peducci, in pietra arenaria.
Si aveva accesso nell’edificio sacro attraverso l’unico portale, con archivolto di forgia pisana, che è sormontato da una ghiera, formata da più cornici, ed un’architrave sorretta da due “mensolette scolpite” con motivi decorativi a foglie stilizzate in “panchino” a due ordini sovrapposti, che ricalcano gli stessi motivi decorativi dei capitelli delle colonne.
La facciata, denominata a “salienti interrotti”, con le falde del tetto interrotte da una parte verticale che mette in luce la maggior altezza della navata principale rispetto a quelle delle navate minori, doveva essere caratterizzata da un rosone centrale che serviva a dare luce all’interno della navata principale. La stessa funzione era demandata agli “oculi”, ancora visibili sulla struttura architettonica, che illuminavano le navate laterali dell’edificio.
La pianta dell’edificio sacro è di tipo “basilicale” o rettangolare ed aveva una lunghezza di metri 25 ed una larghezza di metri 14. Della parte interna dell’antica “Plebem” sono ancora visibili i resti delle mura perimetrali, quelle di basi di colonne (monostili e polistili), di capitelli ed in particolare i resti di un muro interno che fa quasi da contrafforte alla facciata impedendole di rovinare al suolo. In questa area interna sarebbe stata individuata la torre campanaria anche se sono molto evidenti tracce di un riuso come abitazione per la presenza di canalizzazioni di un “luogo comodo” ed alcune mensole d’appoggio per travi lignee. (3)
La parete interna ortogonale alla facciata della Pieve di San Giovanni presenta anch’essa, nella parte superiore, un intervento di restauro in laterizio con una apertura, uso finestra, ricavata in epoca posteriore. La parete terminale di questo muro è caratterizzata da un semi pilastro sul quale si imposta la seconda campata dell’arco poggiante su di un bellissimo capitello classicheggiante a foglie sovrapposte.
L’interno era a tre navate, una centrale ed altre due
laterali illuminate dagli “oculi” circolari e sicuramente da finestre monolitiche
collocate in alto lungo le mura
perimetrali esterne ma di cui non rimane alcuna traccia. Dalla planimetria sono
evidenti vari rimaneggiamenti in epoche posteriori alla sua edificazione,
avvenute soprattutto dopo la sconsacrazione dell’edificio.
L’interno è caratterizzato da una serie di livelli di
calpestio. Nel primo livello, appena oltrepassato il portale d’ingresso, è
evidente una apertura circolare in mattoni che cela una cistèrna profonda 4 metri
ed in cui fu ritrovata un’anfora in terracotta databile attorno al XV-XVI secolo.
Dopo qualche metro, salito uno scalino, si accede ad un secondo livello di calpestio
che presenta anch’esso una pavimentazione in cotto disposto a “spina di
pesce”. Al “Presbiterio” si accedeva attraverso tre ordini di scalini
semicircolari alla cui base fu rinvenuto quasi casualmente, l’esistenza di un
piccolo “crogiolo di fusione” e varie scorie di metallo fuso. Il
“Presbiterio” presenta ancora tracce di pavimentazione in “coccio pesto” (opus
sigmum). Da questo, superati due ordini di scalini, si accede all’abside centrale
ai cui lati, in corrispondenza delle due navate minori, sono ancora evidenti
tracce delle “absidiole” che, troppo piccole per uso liturgico, erano
utilizzate per riporre le spezie eucaristiche, gli oggetti di culto ed i
paramenti sacri. La copertura della navata centrale doveva essere a “capanna”,
caratterizzata dalle capriate formate da tre travi disposte a triangolo
isoscele; quella orizzontale denominata catena che legava le pareti laterali
della costruzione, le due oblique riunite al centro sorreggevano il tetto
poggiando sulla testa della catena. La trave verticale manteneva le vibrazioni
ed era denominata “Monaco” o “Colonnello”. Un tipico esempio di questa
copertura si può trovare a Palaia, Volterra e nella Chiesa di San Dalmazio ed
anche in quella di Cellole.
NOTIZIE STORICHE
Le prime notizie della antica “Pieve di Silano’’ dedicata un tempo a San Gio Battista e San Quirico risalgono al Basso Medioevo.
Un documento dell’anno 945 d.C., pubblicato dallo Schneider su “Regester Vulterranorum” e citato anche da Tito Cangini in “Notizie storiche della Rocca di Silano”, è uno dei più antichi da noi conosciuti che ricordano questa pieve al tempo di Boso, Vescovo di Volterra, che ordina prete in detta chiesa Andrea, con l’obbligo di pagare un annuo contributo. Un altro documento, tratto ancora dall’Archivio della Mensa Vescovile di Volterra, del giugno 969 d.C. si riferisce alla promessa che Giovanni e Villerardo, anche per conto dei loro successori e della loro chiesa fanno a Pietro, Vescovo di Volterra, di lasciare integri i proventi della “Plebe” di San Quirico e San Giovanni Battista.
- 24 marzo 1066 la stessa pieve è citata nuovamente in un atto di vendita. Su di essa aveva dominio diretto il Vescovo di Volterra come attesta un documento del 1179 relativo ad una bolla di Alessandro
- che confermava al vescovo Ugo i suoi diritti: “Statuimus emin ut quarcunque bona in ecclesiis, castris et Vulterrana ecclesia in presentiar inste et legitime persidet firma tibi…. permaneat” e fra gli altri si trova ricordata la Pieve di Silano.
Qualche tempo dopo, il 10 marzo 1187, la stessa “Plebe” è ricordata in un atto di permuta al tempo del Vescovo Ildebrando Pannocchieschi che pare vantasse diritti fiscali anche sul Castello di Silano. Questo territorio e la corte furono contesi con il Comune di Volterra e provocarono non poche liti tra i contendenti che sfociarono spesso nelle fughe del Vescovo al Castello di Berignone e in notevoli danni ai beni della Diocesi come ad esempio quelli della Pieve di Silano. Al tempo del Vescovo Pagano infatti, nei primi anni del XIII secolo, risulta un documento di istanza al Comune di Volterra nel quale si domanda che il Vescovo sia soddisfatto dei danni fatti dai volterrani, cioè di aver distrutto la Pieve di Silano, le case e i poderi di detta pieve ed aver bruciato i mulini.
Qualche tempo dopo, attorno al 1230, la stessa pieve subì altre distruzioni, questa volta però, ad opera del popolo Sangemignanese che rapinò e incendiò i beni di questa chiesa.
Nonostante i continui danneggiamenti, un documento del 1326 riporta la visita del Vescovo Reinuccio Allegretti che la cita ancora come “ecclesia de Silano”.
La Pieve di Silano, che era dotata di fonte battesimale, fu chiesa matrice fino alla metà del XIV secolo ed a questa facevano capo altre chiesette di campagna dette “Suffraganee” che erano: Acquaviva (presso il Bulera), Montecastelli, Ripapoggioli, Mestrugnano, Vinazzano, Lucciano, Mont’Albano, Anqua e Valiano. Queste piccole chiesette, alcune delle quali erette in seguito a pievi, passarono sotto la pievania della chiesa di San Bartolomeo a Silano edificata anticamente all’interno del “Castello” di Silano. Dal Sinodo Volterrano del 1356 tenuto dal Vescovo Volterrano Filippo Beiforti, si ha infatti notizia indiretta del cambiamento di pievania. Le continue dispute tra il Comune ed i Vescovi di Volterra, i continui danneggiamenti della Chiesa e dei suoi beni terrieri decretarono forse l’inizio dell’abbandono di essa, troppo lontana dalla Roccaforte di Silano. Questa infatti non fu più utilizzata al culto per molti anni, come si rileva da una visita pastorale del Vescovo Stefano di Prato nel 1413 che la descriveva in vattivo stato di conservazione “… ed è piena di grano e tini..”. Alcuni anni più tardi (1421) lo stesso Vescovo la cita in una nuova visita pastorale e la descrive ancora utilizzata a magazzino. Nonostante le vicende storiche di guerre che si protrassero in questi luoghi e che indussero le monache di San Dalmazio a trasferire il loro convento nella più sicura città di Volterra il 30 luglio 1511 ; non si ritrovano più notizie della Pieve di San Giovanni Battista di Silano fino all’anno 1559.
Sembra infatti, da un documento di quel periodo, che la la Pieve con i suoi beni fosse passata sotto il patronato della Badia Fiorentina che curava gli interessi dei beni spettanti alla suddetta pieve, avendo eretto addirittura un “Monastero” a fianco della stessa chiesa dove oggi sorge un antico podere denominato appunto la “Pieve”.
Del monastero infatti si parla in un documento livellare stipulato il 6 maggio 1559 in cui viene fatto: “Mandato per confermare la concessione a Giuliano de Memmi di tutti i beni e frutti del Monastero di San Giovanni Battista di Silano per un affitto annuo di 10 ducati d’oro per ogni singolo anno, perdurante la generazione diretta di detto Giuliano Il contratto stipulato sotto la presenza di Giulio, Cardinale presbitero della famiglia de’ Medici, Vice Cancelliere della Santa Romana Chiesa e Arcivescovo fiorentino nella città di Bologna, Piacenza e del Canonico Jacopo Mammelli Vicario della Chiesa di Firenze, riporta alcune clausole interessanti che l’affittuario doveva rispettare nella sua conduzione.
Infatti gli abati e le monache del Monastero della Beata Maria della Abbazia Fiorentina detta dell’ordine di “Sancta Justinae da Padova” stabilirono con lo stesso “Memmi Giuliani de Memmi Clerici Fiorentini” che: “essendo desiderosi di migliorare l’efficenza dei Monasteri ed essendo la Parochiale Ellesiam plebem detta di Sancti Joannis Baptistae de Silano Vulterranae Diocesis unita a detto Monasteri© e bisognosa della riparazione della struttura per il popolo così utile allo spirito, accordavano a detto Giuliano l’affitto dei suddetti beni con l’obbligo che egli restaurasse detta Pieve e si impegnasse a farla officiare”.
Il Patronato della Pieve di Silano dedicata a San Gio Battista risulta essere ancora della Badia Fiorentina nel 1577 quando, secondo una affermazione dell’Abate Puccinelli, riportata dal Repetti, risulta permutata con il Monastero di San Baronto sul Mont’Albano. Questi beni della Pieve di San Giovanni posti nella corte di Silano risultano censiti anche nell’Estimo dello stesso Comune nell’anno 1589: (4) “Pieve di San Giovanni fuora Silano… Un pezzo di terra lavorativa posto in detto comune; luogo detto a Vivaio a 1 ° Via, a 2° Beni della Chiesa di San Bartolomeo di Silano, a3o,4°e5° Messer Ugo Conti da Volterra di Staiore dodici incirca .. stimata fiorini cinquanta …
Un podere con casa da lavoratore, terre lavorative e sode et macchiate poste in detto comune luogo detto alle Leccete della Pieve e Pinzaio a 1 ° via, 2° Beni della Pieve, a 3° Botro cavallino, a 4° fiume Pagone (Pavone), a 5° beni del Comune di Silano, a 6° Mastro Ugo Conti da Volterra, a 7° confini di San Dalmazio di Staiora 200 stimato fiorini duegento…
Un sito di un Mulino posto in detto comune luogo detto in sul fiume Paghone detto Mulino della Pieve in fra i sua confini stimato fiorini 40.
Un pezzo di terra lavorativa e soda ulivata alborata posta in detto comune luogo detto a Vivaio … stimata fiorini 40.
Quanto la chiesa sia stata aperta al culto del popolo di Silano e di quello della valle del Possera e del Pavone non ci è dato a sapere. Il declino di questo edificio sacro ed il nuovo conseguente abbandono è rilevabile molto tempo dopo secondo alcuni toponimi con cui venne citata la stessa chiesa. Nei primi anni del XVII secolo essa fu denominata “Pieve Vecchia”. In una visita pastorale del 1679 del Vescovo Sfrondati questa è indicata come “Pieve Vecchia di Libera Collazione” (non direttamente dipendente dalla Curia Vescovile). In quell’anno essa risulta retta da Don Michelangelo Galio Romano. Alcuni anni più tardi in una nuova visita pastorale del Vescovo del Rosso, la denominata “Pieve Vecchia di Silano” sotto il titolo di San Gio Battista, risultava retta dall’abate Sozzini nobile senese. (5) I beni della Pieve di San Gio Battista di Silano e lo stesso edificio furono raccolti infatti nel “Semplice Benefizio” intitolato “La Pieve Vecchia di Silano” di cui fu rettore fino dal 1779 il sacerdote Francesco Andrea Cecchi di Pescia. È di quel periodo la notizia del passaggio dei proventi del Semplice Benefizio della Pieve Vecchia di Silano alla Chiesa del castello di San Dalmazio retta dal sacerdote Giuseppe Burroni delle Pomarance.
Il sacerdote pomarancino infatti in quell’anno faceva istanza alla R.A.V. di poter unire i beni della sua parrocchia con quella della Chiesa di San Giovanni Battista a Silano:
“Prostrato l’oratore ai piedi del Regio Trono supplichevole proporrebbe alla R.A. V. degnarsi di comandare, fosse anco nelle forme, che conviene a detta parrocchia di San Dalmazio, qualche semplice benefizio, ed in particolare di unirsi quello sotto il titolo di San Gio: Battista detto La Pieve Vecchia di Silano di Libera Collazione Pontificia distante dal Castello di San Dalmazio circa un terzo di miglio, et i beni di esso situati in gran parte nel distretto della cura del supplicante; del qual benefizio è attuale rettore il Sacerdote Francesco Andrea Cecchi di Pescia, residente in sua Patria……………………..
“… Si unisca ora per quanto vacherà il semplice benefizio sotto il Titolo di San Gio Battista detto la Pieve Vecchia di Silano di libera collazione alla chiesa Arcipretale del Castello di San Dalmazio di patronato delle Monache di detto luogo
In un successivo contratto di livello effettuato nel 1783 dall’abate Francesco Cecchi (Toldi) di Pescia, rettore del “Semplice Benefizio di libera Collazione” posto nella Pieve Vecchia di Silano, risultano nuovamente le proprietà spettanti alla pieve che consistevano nel Podere Vivaio, Podere Casa al Bosco ed il Podere denominato l’Abbazia che niente altro doveva essere che quello ricavato nell’ex Monastero accanto alla chiesa detta la “Pieve Vecchia”.
I beni furono assegnati al signor Carlo Serafini di San Dalmazio che doveva pagare all’abate Cecchi un annuo canone di scudi settantaquattro.
Mallevadore del contratto stipulato fu Marco Antonio del fu Francesco Acciai di Silano, noto nella storia della Rocca di Silano per la demolizione e vendita dei mattoni della fortezza a privati. Personaggi che probabilmente furono attivi anche nella demolizione e riutilizzo di materiali lapidei della Pieve di San Giovanni a Silano per nuove costruzioni nel paese di San Dalmazio o nelle campagne limitrofe. Smembramento che si protrasse fino alla prima metà dell’ottocento come dimostrano anche molte bozze di tufo impiegate nel restauro ottocentesco del podere la Pieve. Forse volutamente fu lasciata intatta ai posteri la parte della facciata più interessante che ancora oggi rimane alla visione dei turisti.
Un reperto architettonico, definito dal Salmi (1921) un “Unicum” in Toscana, che il Gruppo Archeologico di Pomarance avrebbe voluto valorizzare e porre all’attenzione degli organi di tutela del patrimonio artistico ma che purtroppo, pur essendo pubblicato e fotografato in riviste a carattere nazionale od in posters della Regione o Provincia, rimane ancora oggi nella più totale indifferenza degli enti preposti alla sua conservazione continuando nel suo lento ed inesorabile degrado. (6)
Jader Spinelli
NOTE BIBLIOGRAFICHE
- D. Mario Bocci “REBUS ARCHEOLOGICO” in “La Comunità di Pomarance” 1972
- “L’Arte Romanica nell’antica Diocesi di Volterra” a cura del Gruppo Amici dell’Arte di Volterra; Testo Franco Lessi.
- I. Moretti – R. Stopani: “Chiese Romaniche in Val di Cecina” 1970. Ringrazio sentitamente il parroco di San Dalmazio Don Marcello Zanini per la collaborazione in questo mio studio.
- Biblioteca Guarnacci di Volterra – ESTIMO DI SILANO 1589
- E. Mazzinghi “La Pieve di Sillano” – La Comunità di Pomarance 1971
- A. Arrighi – R. Pratesi “A Piedi in Toscana” Voi. 1 – 2 Ed. ITER 1970
Un monumento che il Gruppo Archeologico di Pomarance avrebbe voluto valorizzare con quello spirito di volontariato e per la passione per l’Archeologia che contraddistingueva altri gruppi spontanei, attivi ancora oggi, come quello di Colle Val d’Elsa che, in collaborazione armonica con la Sovrintendenza Archeologica di Firenze, operavano negli scavi sul territorio colligiano per il recupero ed il restauro di materiali ceramici utilizzati per l’ampliamento del Museo Archeologico di Colle Val d’Elsa. Con questa intenzione, grazie alla Autorizzazione di scavo del Sovrintendente alle Antichità dell’Etruria dott. Maetzke in data 7 luglio 1975 cominciarono i lavori per riportare in luce la planimetria della antica Chiesa. Una nuova autorizzazione del Sovrintendente per i Beni Ambientali e Architettonici di Pisa, dott. Secchi, in data 27 maggio 1978, consentiva il proseguimento dei lavori. Dopo la sua morte però gli scavi furono fatti sospendere e tutto il lavoro svolto, grazie all’autorizzazione del proprietario del terreno e senza alcun intervento economico di organi statali o locali, rigettava l’area di scavo di nuovo nell’abbandono.
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.