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Descrizione su fiumi e laghi del territorio di Pomarance e Alta Val di Cecina
BAGNI DI SAN MICHELE
NOTE SULLE ACQUE TERMALI DELLA ZONA
La posizione baricentrica del Comune di POMARANCE all’interno di un territorio regionale di indubbia attrazione storico-artistica (Pisa, Volterra, Siena, Massa Marittima), la singolare presenza del fenomeno geotermico, la ricchezza delle bellezze naturali esistenti, hanno stimolato l’impegno delle Amministrazioni passate ed attuale a dare impulso allo sviluppo turistico del territorio.
La convinzione profonda di percorrere questo indirizzo economico ha fatto compiere scelte importanti e qualificanti alla Amministrazione Pubblica:
- il recupero edilizio del Centro Storico del Capoluogo in cui trova degna ubicazione l’albergo “IL POMARANCIO”, il Museo di “Casa Bicocchi”, il “Teatro de Larderei”;
- l’attenzione sui centri storici minori, come l’intervento di pavimentazione nel castello di Montecerboli; lo sforzo per contenere dal degrado e preservare la “Rocca Sillana”;
- la valorizzazione di vari boschi (Foresta di Monterufoli) con la creazione di percorsi di grande valore paesaggistico, in accordo con la Comunità Montana;
- la realizzazione, in sintonia con l’E.N.E.L., di itinerari tra i soffioni baraciferi ed i vecchi lagoni.
In questo contesto, trova la sua ragione di esistere anche l’intervento che da tempo stiamo portando avanti sulle acque termominerali dei “BAGNI DI SAN MICHELE”.
I BAGNI DI SAN MICHELE sono situati a quota mt. 311,8 s.l.m., si trovano a circa 6 Km. a Sud di Pomarance, a valle della S.S. n° 439 che collega Pisa a Massa Marittima, passando per il Capoluogo, Larderello e Castelnuovo V.C.
Una strada sterrata conduce agli edifici dei “bagni”, costruiti al fondo di una incisione dove il Fosso di Radicagnoli riceve le acque del Botro delle Vignacce. La morfologia del luogo è abbastanza acclive. I versanti della valle che a monte hanno poca pendenza, in prossimità dei “bagni” assumono una inclinazione maggiore, per cui la valle si restringe ed il corso d’acqua inizia un tratto di cammino incassato, con salti e rapide che si accentuano più a valle.
Nei dintorni dei “bagni” non esistono edifici colonici o centri abitati, mancano colture agrarie, fa da padrona una folta macchia mediterranea, tipica della nostra Regione, di straordinaria bellezza sia per la sua spontaneità sia per l’integrità.
Le prime informazioni sull’esistenza delle acque termali nell’Italia Centrale risalgono ad oltre 2000 anni fa; naturalmente la storia si intreccia spesso con la leggenda, purtuttavia possiamo affermare che già il poeta Lucrezio Caro, vissuto alle soglie dell’era cristiana, parla degli “Averni” e paragona questi fenomeni ad altri simili che avrebbero dovuto trovarsi in Etruria.
Così pure il poeta Tibullo nelle sue “Elegie”, conferma l’esistenza di terme etrusche caratterizzate da acque “molto calde tanto da doversi evitare nella canicola, ma adatte alla stagione primaverile”. Anche Strabone, geologo e umanista greco, contemporaneo di Tibullo accenna più volte, nella sua “Geografia” a manifestazioni termali in Etruria con riferimento alle acque di Volterra e Populonia.
Una ulteriore testimonianza della fiorente attività termale nella Toscana, ci viene dall’architetto Vitruvio, vissuto nel I secolo dopo Cristo, il quale ci dice che “l’Etruria superava per il numero delle terme tutte le altre contrade d’Italia”.
Il documento più importante, per la sua indiscutibile attendibilità e valore storico, è la TAVOLA PEUTINGERIANA. Si tratta di una pergamena del 1200 composta da 12 segmenti, larga appena 40 cm. e lunga circa 6 m. e mezzo, rinvenuta alla fine del 1500 nell’abitazione dell’umanista Konrad Peutinger, in Germania.
In essa sono disegnate due costruzioni massiccie con l’indicazione “Aquae Volaterranae” ed “Aquae Populoniae”.
I BAGNI DI SAN MICHELE, avrebbero dovuto far parte delle “Aquae Volaterranae”, già note ai tempi dei Romani, in quanto il loro vero nome era “Ager Spartacianus”.
Abbiamo oltre alla tavola Peutingeriana, un’altra “Itineraria” romana, curata dal Miller; infine scritti che documentano storicamente i fenomeni termali in Toscana. Sarà durante i secoli bui delle invasioni barbariche che la storia lascia il passo alla leggenda.
Dal IV al XII secolo si sentirà parlare di termalismo soprattutto negli atti di compra vendita di beni da un signore all’altro. Una leggenda, che colpisce, da un lato, per la sua ricca fantasia e dall’altro per la scarsità e povertà di conoscenza scientifica, riguarda la nascita dei lagoni e fumi di Montecerboli.
La storia di Montecerboli inizia verso il 1000 d.C., e si racconta che avendo gli abitanti del luogo cacciato dalle loro terre il demonio, questo si volle vendicare gettando dal suo cocchio in fuga degli oggetti che cadendo per terra avrebbero aperto delle falle facendo scaturire dal terreno acque bollenti e gas.
Per quei tempi doveva essere una delle disgrazie più grandi; infatti il Nasini dice che una delle peggiori maledizioni per il vicino “nemico” era: “Dio ti mandi un lagone nel campo”.
Dopo il 1000 un vasto rinnovamento religioso, culturale ed economico pervase tutta la Nazione: rinascono città, riprendono fiorenti i commerci.
Anche per la nostra zona, tra il XII ed il XIV secolo si avviano grandi ricostruzioni ed ampliamenti di terme, sia dei Bagni di San Michele, della Perla che dei Bagni ad Morba.
Dal 1171 per volere del Pontefice Alessandro III i “bagni ad Morba” passano sotto la giurisdizione del piovano della “Plebs ad Morba pellenda”; e furono quei religiosi ad occuparsi di dar vita alle terme e più tardi, nel 1377, a voler erigere il monastero di San Michele alle Formiche, sul colle al di sopra di quei “bagni”. In quei tempi, prima Pomarance, dopo Volterra si impegnarono per dar vita alle terme, ma soprattutto con la Repubblica Fiorentina (1388) si avranno i primi consistenti interventi. Dalla fine del 1300 alle soglie del 1600 sono i nomi di Michele Savonarola, nipote del più celebre Gerolamo, Ugolino da Montecatini, Michele Marullo, Giorgio Agrippa ed altri a darci le informazioni sulle virtù medicamentose e le notizie sugli illustri ospiti venuti “a passar le acque”. Si racconta che Lorenzo dé Medici, sua moglie Clarissa e la madre Lucrezia Tornabuoni, preferissero tra tutte le terme i “bagni di San Michele” e de “La Perla”; e che quando i Medici se ne andavano a fine stagione “tirassen a sé l’uscio e portassen via la chiave”.
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Nell’estate del 1464 tutti i membri del consiglio comunale di Pomarance andarono in “pompa magna” a rendere omaggio ai Medici (forse per tenerseli buoni).
Tra i grandi personaggi di un tempo, anche Dante Alighieri
deve aver visitato queste zone, perché è molto vicina alla realtà la
descrizione “sulle fumifere acquae
per il vapor che la terra ha nel ventre…” che fa ne ‘‘La Vita Nova”.
I BAGNI DI SAN MICHELE ALLE FORMICHE hanno avuto avverse fortune e sfortune, ma in complesso hanno corso il loro destino insieme alle altre terme della zona.
Verso la fine del 1700 i pochi monaci rimasti a custodia dell’eremo vennero chiamati a Firenze dai padri celestini e nel 1870 vi era nella zona un solo eremita. Nei momenti di massima affluenza si registravano anche 300 persone al giorno tra locali e povera gente venuta da fuori, generalmente malati di lebbra, ai quali i padri davano assistenza.
Come nel passato, anche nella storia più recente le nostre terre hanno avuto l’onore di ospitare personaggi illustri: tra i visitatori più prestigiosi Larderello si può vantare di aver ricevuto D’Annunzio, Maria Curie, Enrico Fermi.
Molto tempo prima che la chimica si elevasse al rango di “Scienza”, i medici del passato, riuscirono a farci conoscere le virtù terapeutiche delle acque, pur essendo all’oscuro sulla natura di queste. Secondo Falloppio, Agricola ed altri naturalisti del 1500, le acque del Bagno di San Michele “erano valide per curare la podagra e soprattutto nel fugar la lebbra, per il qual morbo son talmente efficaci che forse non se ne trova il migliore”.
Sulla composizione chimica i primi dati certi si avranno solo sul finire del 1700, grazie a due grandi figure del passato: HOEFER e MASCAGNI.
Tra i tanti lavori eseguiti da Hoefer vale ricordare le analisi dell’acqua “epatica” dei Bagni di San Michele nella quale rinvenne: gas acido carbonico, carbonato di calcio magnesia, solfo e silice.
A Mascagni spetta invece il primato di
aver rinvenuto in queste acque tracce di mercurio e cinabro, cosa questa ancora oggi non del tutto smentita.
Il Prof. Giuly nei primi del 1800 intraprende una serie di analisi approfondite su tutte le acque dei bagni, i cui risultati sono stati confermati nel 1840 dal Prof. Matteucci.
Nella seconda metà del 1800, il Targioni Tozzetti, servendosi di una scienza ormai in fase di decollo da una prima classificazione, considera le acque termali principalmente carbonato alcaline, solfuree nonché mediominerali.
Nella prima metà del 1900 il Prof. Bertoni, direttore dei laboratori della Reale Accademia di Livorno, esegue una serie di campionamenti e scopre che le acque termali sono composte di altri sette elementi (tra cui il litio ed il bario), alcuni dei quali si rivelano importantissimi dal punto di vista terapeutico.
“La presenza di questi microelementi e delle sostanze già note conferisce una grande efficacia per la cura di specifiche malattie come quelle della pelle, dei disturbi dell’apparato digerente e nel compensare certe insufficienze specialmente epatiche e renali”.
Sul finire degli anni trenta di questo secolo, i chimici Sborgi e Galanti dell’allora Società Boracifera eseguirono altri campionamenti e numerose analisi, confermando quanto aveva già detto il Prof. Bertoni.
Altri sono stati gli studi fatti sulle acque termali della nostra zona e niente è emerso che abbia potuto modificare la natura o le virtù medicamentose di queste acque che, diciamolo pure, attendono ancora di essere maggiormente valorizzate, anche perché a detta di illustri studiosi le nostre sorgenti possono reggere egregiamente il confronto con le più famose acque di Vichy, St. Moritz, Badenbaden e Karsbad. Infine il Prof. Armando Panz dell’ospedale Niguarda di Milano, raccomanda i fanghi sulfurei poiché avrebbero dato buoni risultati nella cura delle rigidità articolari ed in genere utili nel campo della Ortopedia e Traumatologia.
Lo sfruttamento delle sorgenti termali, è un fatto possibile e credibile e dall’uso che se ne potrà fare dipenderà l’ulteriore sviluppo della nostra Comunità. Si tratta di una energia che è tuttora allo stato potenziale ai fini dello sfruttamento, ma che può essere foriera di sviluppi attualmente non prevedibili.
Tenuto conto della natura chimica delle nostre sorgenti termali e delle loro virtù terapeutiche, noi Amministratori lavoriamo perché in un prossimo futuro si possa godere delle “Aquae Volaterranae”, che un tempo dettero sollievo e benessere a tanta gente.
L’acquisto del “BAGNO DI SAN MICHELE” e di parte del bosco circostante (11 ha) è avvenuto con delibera del Consiglio Comunale del 26 marzo 1985 n° 185. È stata stipulata una apposita convenzione con l’Università di Pisa per lo studio dei fanghi idroterapici. La Regione Toscana ha emesso il Decreto per il permesso di ricerca in data 20/4/1988 ai sensi del R.D. 29/7/1927 n° 1443. Il Dott. Geol. Mario Carriero e l’Arch. Bargelli, ognuno per le proprie specifiche competenze, hanno lavorato e lavorano per riportare i “Bagni di San Michele” ai loro antichi splendori.
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
INVASO SUL TORRENTE PAVONE
PRESENTATO IL PROGETTO TECNICO
Convocato dal Consorzio Schema 39 Bacino Idrico Torrente Pavone si è tenuta a Pomarance, presso la sede della Comunità Montana, giovedì 5 luglio scorso, la presentazione preliminare del Progetto tecnico, economico, finanziario per la costruzione di un invaso sul Torrente Pavone.
Alla riunione del Consiglio di Amministrazione del Consorzio sono stati invitati i sindaci dei comuni cti Volterra, Pomarance, Montecatini V.C., Castelnuovo V.C., Monteverdi M.mo, Radicondoli e Castagneto Carducci, il Presidente deH’Amministrazione Provinciale di Pisa ed il Presidente della Comunità Montana della Val di Cecina.
Lo studio commissionato circa un anno fa al Consorzio Toscano Costruzioni di Firenze è stato redatto dagli studi D.A.M. di Ravenna e Idroforma di Firenze. Le caratteristiche tecniche della futura diga, l’investimento finanziario occorrente, la convenienza economica sono state illustrate dagli ingegneri D’Alberto e Sanson. L’invaso posto ad una quata d’imposta di 414 m. sul livello del mare ha un’altezza massima dal piano di fondazione di 55 m. ed un volume di calcestruzzo di circa 91.000 metri cubi, inclusa la vasca di dissipazione.
La capacità di massimo invaso è di 6,6 milioni di metri cubi di acqua, a fronte di una portata massima del Torrente di 12 milioni di metri cubi annui.
L’opera di restituzione provvede a ricondurre nell’alveo del Torrente Pavone una portata modulabile con un massimo di 70 l/sec. per garantire l’equilibrio idrogeologico ed ecologico.
L’opera quindi garantirebbe ottima acqua per i quattro Comuni interessati della Val di Cecina ed il Comune di Monteverdi, oltre eventualmente il fabbisogno potabile dei Comuni di Radicondoli e Castagneto Carducci stimati per complessivi 5 milioni di metri cubi annui nonché una riserva di 2 milioni di metri cubi annui disponibile per altri usi.
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Il costo complessivo dell’invaso è stimato in 56 miliardi complessivamente ivi comprese le opere di adduzione, l’apertura delle strade di accesso e l’abitazione del custode; il tempo di realizzazione stimato in 5 anni; l’onere finanziario ritenuto possibile per l’ammortamento dei costi.
Anche lo studio di valutazione di impatto ambientale, curato dal Prof. Vendegna dell’università agli Studi di Pavia, ha presentato un bilancio soddisfacente dalla sicurezza dell’opera alla necessaria salvaguardia del territorio indicando gli interventi per ristabilire un equilibrio ecologico che permetta una convivenza non conflittuale tra esigenze umane e natura.
Lo studio, completo delle cartografie necessarie, è stato consegnato ai Comuni ed alle Amministrazioni interessate affinchè facciano pervenire al Consorzio del Pavone le osservazioni e chiarimenti del caso prima della presentazione ufficiale prevista per la fine del corrente anno. La fase ultima di chiarimenti ed informativa avrà ancora come punto di riferimento la Comunità Montana quale Ente intermedio di programmazione del territorio. La decisione definitiva per la costruzione dell’opera dovrà essere frutto di una scelta consapevole formatasi dal confronto delle popolazioni, dai soggetti sociali, politici ed amministrativi dei quali il Consiglio di Amministrazione del Consorzio si è sempre doverosamente messo a disposizione.
Comunità Montana Val di Cecina
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
LE ACQUE DEL SOTTOSUOLO DI POMARANCE
Il problema dell’approvvigionamento idrico è stato sempre presente nella storia dell’uomo, tanto da condizionarne lo sviluppo socio – economico. Ancora oggi è facile constatare come le aree più povere della terra coincidano spesso con quelle a minor quantitativo di precipitazioni annue.
Alle nostre latitudini, dove le piogge risultano sufficientemente abbondanti, la presenza di “punti d’acqua’’ ha spesso condizionato la dislocazione degli insediamenti abitativi sul territorio. Si capisce quindi come sia importante riuscire ad individuare sempre nuove fonti di approvvigionamento per poter far fronte al crescente fabbisogno idrico causato dall’attuale veloce sviluppo, sia industriale che agricolo, e dal continuo incremento del fabbisogno “pro capite’’.
Condizione essenziale perchè nel sottosuolo siano presenti riserve d’acqua è la esistenza di formazioni rocciose idonee ad ospitarle. La capacità di una roccia di contenere o farsi attraversare dalle acque di infiltrazione è detta “permeabilità”: essa può quindi dirsi permeabile per porosità quando i pori presenti fra i suoi elementi sono fra loro comunicanti o, permeabile per fessurazione, quando sia interessata da fessure generate essenzialmente dall’azione di fattori di ordine geologico.
In Alta Val di Cecina, e quindi anche nella zona di Pomarance, sono presenti terreni di diversa natura, legati alle varie fasi geologiche che hanno interessato la Toscana meridionale. Essi si possono suddividere in:
- Formazioni alloctone
- Formazioni neoautoctone
- Depositi continentali recenti
Le Formazioni alloctone, affioranti in zone poco distanti dall’abitato di Pomarance (Gabbri, Larderello, etc.), sono costituite principalmente da alternanze di arginiti e bancate calcaree di origine sedimentaria e da rocce magmatiche. Nelle rocce sedimentarie, la presenza di una matrice argillosa impermeabile limita notevolmente la capacità di immagazzinamento idrico e fa si che in queste formazioni possano essere presenti solo pochi acquiferi di limitata estensione, segregati all’interno della porzione calcarea e sicuramente non interessanti per lo sfruttamento.
Le rocce magmatiche, composte essenzialmente da Gabbri, Serpentine e Diabasi, si presentano in genere piuttosto fessurate a causa degli stress a cui sono state sottoposte per l’azione delle spinte legate alla dinamica crustale ed, in teoria, dovrebbero possedere una buona permeabilità. In realtà, essendo piuttosto alterabili, sotto l’azione degli agenti atmosferici si disgregano formando una fine frazione detritica che, trasportata dalle acque di infiltrazione, tende ad otturare le fessure diminuendo notevolmente la permeabilità e quindi la possibilità di sfruttamento a fini idrici.
Il colle su cui sorge Pomarance è formato dal sovrapporsi più o meno regolare delle “Formazioni neoautoctone”. In particolare l’abitato sorge su di un esteso, anche se non molto spesso, affioramento di “Calcare detritico” comunemente detto “Tufo”, a causa della friabilità e lavorabilità che presenta, paragonabili a quelle del vero Tufo di origine vulcanica. Questo affioramento si presenta molto fratturato e le acque meteoriche possono infiltrarvisi con una certa facilità. Inoltre, la loro azione dissolutiva tende con il tempo ad allargare le fessure (Carsismo) migliorando ulteriormente la permeabilità. Alla base della formazione del Calcare detritico si trovano i “Conglomerati trasgressivi di origine marina”, che a causa della prevalente matrice argillosa risultano possedere una scarsa permeabilità. La differenza di permeabilità fra i due terreni fa si che, intorno all’abitato di Pomarance e nelle aree circostanti, sia presente tutta una serie di sorgenti, alcune delle quali perenni, dotate di una buona portata (ad esempio La Boldrona, La Fonte, etc.).
Altri eventi sorgivi sono legati alla presenza di cospicue coperture detritiche molto permeabili. Le frane di crollo, verificatesi in passato nella zona delle Grotte, sono da collegarsi proprio all’azione dissolutiva delle acque di infiltrazione che percolando tendevano ad allargare le fessure presenti nell’affioramento di “Tufo”, separando in alcuni casi blocchi di grandi dimensioni. Le acque di infiltrazione, raggiunta la sottostante formazione dei “Conglomerati Trasgressivi”, scarsamente permeabile, non potendo proseguire il loro cammino in profondità, tendevano a tornare in superficie scorrendo lungo il contatto fra le due formazioni. Questo percolare provocava una dissoluzione dei terreni argillosi posti al piede dei blocchi già in precario equilibrio, ed il conseguente loro franamento. È stato quindi sufficiente impedire l’infiltrazione delle acque stendendo un manto impermeabile, perchè il susseguirsi dei crolli cessasse.
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a = alluvioni
at = alluvioni terrazzati
ps = calcare detritico (tufo)
pc = conglomerati trasgressivi
pa = argille marine
m5a = gessi e argille
m4 = gessi e aqrenarie
Le altre formazioni Neoautoctone sono composte da terreni prevalentemente argillosi e di conseguenza pressoché impermeabili, certamente non idonei ad essere sfruttati per fini idrici.
Si può quindi affermare che Pomarance sorge in una zona in cui i terreni sono scarsamente idonei ad ospitare falde acquifere di una certa entità. Infatti, ad eccezione dell’affioramento di Calcare detritico (Tufo) su cui è posto il paese, di parte della formazione dei Conglomerati trasgressivi e di alcuni membri arenacei di limitata estensione appartenenti alle altre formazioni, i restanti terreni possono considerarsi pressoché impermeabili. Ne deriva così che gli acquiferi principali risultano localizzati nei “Depositi continentali recenti” che sono composti dai detriti derivanti dal disfacimento delle varie formazioni e dai Depositi alluvionali fluviali. Le coperture detritiche, se molto estese e con spessori adeguati, possono diventare sede di acquiferi importanti, soprattutto se le rocce da cui derivano non generano grandi quantità di porzione detritica fine, in particolar modo limo-argillosa, che ottura le fessure fra gli elementi litoidi diminuendo la permeabilità. Nella nostra zona, comunque, non esistono coperture sufficientemente consistenti da contenere acquiferi di un certo interesse. Maggiore rilevanza hanno invece le alluvioni fluviali, in particolare quelle appartenenti al Fiume Cecina che costituiscono un importante acquifero per la zona di Pomarance, già sfruttato per approvvigionamento idrico. Questi depositi provengono dal disfacimento delle formazioni rocciose presenti soprattutto nella porzione iniziale del corso del fiume (zona Carlina – Cornate). Essi sono caratterizzati da ciottoli, di diametro in genere dell’ordine
di alcuni decimetri e da una frazione più fine ghiaioso – sabbiosa.
La ricarica degli acquiferi sia fluviali che non, è assicurata dalle pioggie che in Val di Cecina pur non essendo abbondantissime, raggiungono mediamente i 1000 mm. annui nelle zone a quote più elevate ed i 700 – 800 mm. nelle altre. Il regime delle precipitazioni presenta due massimi, uno autunnale (ottobre – novembre) e l’altro primaverile (marzo – aprile) ed un periodo secco che spesso inizia a maggio e si protrae fino a settembre. La percentuale di acqua che riesce ad infiltrarsi nel terreno dipende da molti fattori quali: temperatura, vegetazione, evaporazione, ruscellamento, etc.; dal loro mutuo combinarsi ne deriva che il periodo autunnale è il più favorevole per la ricarica delle falde acquifere poiché, a parità di precipitazioni, la quantità di pioggia che si infiltra è maggiore.
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Le conseguenze di periodi anomali di siccità, di cui quello appena trascorso è un esempio, sono molteplici. Normalmente il livello della falda acquifera subisce delle variazioni in relazione all’alternarsi delle stagioni ed alla abbondanza delle precipitazioni, oscillando però sempre intorno ad un valore medio. Quando le piogge vengono a mancare per lunghi periodi, esse si deprimono più del normale ed il ritiro delle acque va ad interessarte livelli di terreno che in condizioni normali risultano saturi. A differenza dei terreni compresi nella fascia di oscillazione della falda, che per così dire si sono adattati al suo periodico innalzarsi ed abbassarsi, quelli più profondi, normalmente saturi, reagiscono al ritiro compattandosi in modo pressoché irreversibile sotto il peso dei carichi sovrastanti, con una riduzione della luce dei pori prima “sostenuti” dalla presenza dell’acqua. Quanto ora detto vale ovviamente per terreni coerenti ed incoerenti, privi di scheletro litico.
La presenza di sovraccarichi rappresentati ad esempio da edifici, può accentuare il processo di compattamento; si possono così determinare elevati valori di cedimento tali da poter pregiudicare la stabilità del fabbricato stesso. In questi casi si assiste al manifestarsi di fratture e crepe che si allargano fino a che il terreno non raggiunge il nuovo stato di equilibrio. Il tempo necessario perchè ciò si verifichi risulta molto variabile ed è in funzione della permeabilità dei terreni: più il terreno è permeabile maggiore sarà la velocità di compattazione e viceversa.
Come già detto l’abitato di Pomarance sorge su un affioramento di Calcare defatico di buone caratteristiche fisico – meccaniche. Tuttavia in alcune aree (ad esempio la fascia che inizia alla Burraia e termina alla Boldrona passando per l’Oratorio e la Piazza del Mercato), vuoi per accumulo di consistenti coperture detritiche dovute all’azione erosiva delle acque
meteoriche, vuoi per la presenza di contatti con la sottostante formazione dei Conglomerati trasgressivi, la perdita di acqua da parte dei terreni ha probabilmente causato, e presumibilmente continuerà a causare data la attuale siccità, sensibili cedimenti a carico degli edifici ivi esistenti.
Anche lo sfruttamento indiscriminato della falda acquifera per mezzo di pozzi ad uso privato aggrava il fenomeno di compattamento anomalo dei terreni. Lo sfruttamento dei pozzi da parte di privati, se praticato su larga scala, è dannoso sia perchè non è possibile controllare direttamente la quantità di acqua emunta (più il periodo è secco e più si sfrutta il pozzo) sia perchè spesso i pozzi si rivelano veicoli di inquinamento chimico e/o battericologico. È probabile che i cedimenti verificatisi nella zona dell’oratorio siano dovuti, in parte al susseguirsi negli ultimi anni di periodi siccitosi ed in parte anche all’eccessivo emungimento, con relativo abbassamento del livello della falda idrica, dovuto proprio al proliferare di nuovi pozzi. Rimediare ai danni provocati agli edifici dal compattamento del terreno per perdita di acqua non è semplice e risulta per lo più costoso. Qui di seguito sono indicate in maniera del tutto schematica alcune tipologie di intervento.
Nel caso che l’edificio poggi su un terreno omogeneo, sia verticalmente che lateralmente, si può eseguire un irrigidimento della struttura tramite cordolo perimetrale ancorato alle vecchie fondazioni. Ciò permette all’edificio stesso di “sprofondare” senza che si verifichino lesioni dannose alle fondazioni.
Se il substrato resistente si trova a profondità non eccessiva, si possono adottare pali opportunamente dimensionati in modo da permetterne il giusto incastro nel substrato stesso trasformando così l’edificio in una sorta di “palafitta”.
Quando la costruzione poggia su terreni con differenti caratteristiche fisico – meccaniche, le conseguenze del compattamento sono più gravi poiché le parti dell’edificio che insistono su terreni diversi subiscono cedimenti di diversa entità che sottopongono la struttura a sollecitazioni non omogeneamente distribuite molto pericolose per la sua integrità.
In conclusione, anche se in condizioni normali nella nostra zona non vi sono pressanti problemi di approvigionamento, risulta comunque necessario operare un razionale sfruttamento delle risorse idriche, sviluppando anche a livello individuale, una cultura volta al risparmio. Il periodo di siccità appena trascorso ha inoltre dimostrato come sia necessaria una gestione delle risorse idriche fondata su una pianificazione quanto meno a livello regionale che possa garantire una loro equa distribuzione su tutto il territorio superando le divisioni campanilistiche ed incrementando la ricerca di nuovi acquiferi.
Rossi Dott. Stefano
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.