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Descrizione di teatri e zone di spettacolo della zona di Pomarance ed Alta Val di Cecina.

TEATRO «ACCADEMIA DEI CORAGGIOSI» DI POMARANCE

Analisi storica a cura di: Dott.sse ROBERTA COSTAGLI e GIANNA BUONAMICI

INTRODUZIONE

Molti teatri, costruiti a cavallo fra la fi­ne del settecento e la prima metà dell’ottocento, conservano ancora la memoria e la bellezza del vecchio teatro “all’italia­na”. Infatti, se la parabola storica del lo­ro declinio e dell’abbandono totale si compie nel dopoguerra, non si è esauri­ta ancora la memoria culturale che essi rappresentavano nel tessuto storico ed urbano: sono il segno dello spettacolo del passato, ma anche il segno concreto del luogo proprio di quella particolare rappre­sentazione che era la collettività che si riu­niva.

Per questo non possono apparire solo co­me contenitori vuoti ed inagibili, la cui ul­teriore ed inevitabile fatiscenza non è che la premessa per la definitiva demolizione, poiché anche in tempi come i nostri (in cui non esiste più un luogo assoluto e pri­vilegiato della rappresentazione) se op­portunamente predisposti, possono diventare contenitori specifici per lo spet­tacolo e la cultura di oggi.

Prospetto Teatro dei Coraggiosi (Foto S. DONATI)

Il problema dei teatri inagibili o comun­que da recuperare è un tema per molti versi complesso e stimolante: da un la­to, il valore storico – artistico delle strut­ture e il loro ripristino nell’ambito della po­litica della rivalutazione dei centri storici, dall’altro la funzione socio – culturale del­l’edificio teatrale, inteso come luogo di produzione, di cultura e di crescita civile per la società.

Alla luce di queste considerazioni, peral­tro ampiamente discusse in anni prece­denti e delle quali è dimostrata la validità con i numerosi restauri già conclusi, ab­biamo ritenuto interessante affrontare, co­me lavoro conclusivo degli studi univer­sitari, il tema del restauro e riuso di un teatro quale è quello dell’ex Accademia dei Coraggiosi. Il teatro in questione è col­locato nell’ambito del centro abitato di Po­marance ed ivi sorto a suo tempo, per il manifestarsi di particolari istanze di rin­novamento socio – culturali, con lo sco­po, per lo più, di portare spettacoli musi­cali e di prosa là dove ogni altra forma di svago sarebbe venuta altrimenti a man­care; istanze valide ancora oggi, che un totale ripristino della struttura potrebbe soddisfare.

ACCADEMIA DEI CORAGGIOSI ORGANIZZAZIONE ED ATTIVITÀ

Nel secolo XVIII non vi è cittadina o pae­se in Italia che non abbia la propria Ac­cademia; a Pomarance esisteva l’Accademia dei Coraggiosi fondata il 31 luglio 1790, che al pari delle altre contemplava nel proprio programma la produzione tea­trale. I fondatori dell’Accademia furono: Pietro Biondi, Giuseppe Martini, Giusep­pe Marchionneschi, Luigi Gardini, Paolo Cercignani, Gherardo Bardini Mafferi, Pietro Gardini, Niccola Tabarrini, Giulio Cercignani, Michele Bardini, Camillo Fantacci, Isidoro Biondi, Maria Borroni, Bartolino Bartolini, Giovan Battista Biondi, Carlo Incontri, Tommaso Gardini, Filippo Biondi, Marcello Inghirami, Pier Giusep­pe Biondi, Ottaviano Falconcini e Giovan

Battista Gardini.

Dietro il nome antico ed illustre di “Ac­cademia” si nascondevano istituzioni non sempre permanenti o con propri regola­menti interni che erano però di sovente l’anima culturale dei centri abitati grandi e piccoli. L’istanza di rinnovamento arti­stico e sociale è spesso il motore di que­sti sodalizi che, nel caso dei centri mino­ri rappresentavano la sola opportunità di svago, con la partecipazione ad attività teatrali o l’organizzazione di feste da ballo.

Astrusi, Georgofili, Accalorati, Intronati, Rozzi sono alcuni nomi di accademie esi­stenti in Toscana; appellativi bislacchi ed ironici, forse per segno di vera o falsa mo­destia, che sono il frutto del gusto di quei tempi. Le Accademie avevano anche l’u­sanza di fregiarsi di uno stemma che spesso riportava un motto ispirato dal no­me: nello stemma dei Coraggiosi è rap­presentato un leone rampante con la scritta “Germoglian frutti ai coraggiosi in seno”.

L’assemblea dell’Accademia dei Corag­giosi, aveva il diritto di veto sull’ammis­sione di nuovi componenti, pertanto il passaggio da una “panca” da un acca­demico ad altra persona da lui proposta era sottoposto a votazione. Una volta ac­cettata la proposta, il nuovo accademico era obbligato al pagamento di una quota corrispondente al valore frazionale del teatro e della tassa annua di scudi due. Il numero degli accademici arrivò a ven­ticinque con la costruzione del nuovo tea­tro, mentre dai rendiconti annuali sappia­mo che fino al 1805 erano ventidue e ne­gli anni successivi fino al 1810, ventitré. L’invito alle adunanze avveniva tramite l’invio di un biglietto redatto dal segreta­rio che aveva anche la funzione di redi­gere l’ordine del giorno. Nell’Accademia erano previste anche le cariche di Pre­sidente, Camarlingo e di cinque consiglie­ri, tutti eletti per votazione dall’assemblea. Ogni accademico aveva il diritto di espri­mersi con un solo voto anche se posse­deva più di un “carato”.

I soci si riunivano per decidere sui vari la­vori di restauro occorrenti al loro teatro, sull’assunzione del personale di servizio, l’apertura del teatro e per esprimere un giudizio sulle istanze pervenute da com­pagnie comiche o di musicanti.

Gli accademici, a turno, dovevano fregiar­si della carica di “Deputato d’ispezione al buon ordine” in occasione di rappre­sentazioni comiche ed ogni sera il nome della persona incaricata veniva scritto su un apposito cartello posto all’ingresso del teatro. Inoltre, tra le altre mansioni spettanti agli accademici c’era quella di for­nire olio per i lumi in occasione di feste o rappresentazioni gratuite: all’ingresso dovevano lasciare una “mazzetta d’olio’’ in mano al custode con apposita firma e in caso di maggior consumo supplire con un’altra.

L’Accademia, nel 1829, stabilì alcune re­gole a cui doveva sottostare la compagnia comica in occasione della stagione tea­trale che si svolgeva sempre in autunno: “…un regalo di zecchini dieci a condizio­ne che in essa sala dia venti recite… di ricevere la sala del teatrino e quindi di ri­consegnarla a suo rischio, nel medesimo stato detta sala offrirsi, mobili, scenari… far rispettare le panche esistenti a solo co­modo dei signori accademici e loro fami­glie… che sia a carico della comica com­pagnia la spesa serale (illuminazione e paga al personale di servizio)… che il re­galo di dieci zecchini possa solo ottener­si dalla comica compagnia metà alla me­tà delle recite e l’altra metà alla fine’’.

Nel 1840 in occasione dell’istanza pro­mossa dalla compagnia comica di Otta­viano Novellucci, fu stabilito, inoltre che ogni compagnia comica ”… presentasse l’elenco all’accademico Nobile Giovanni Novellucci… quale se l’approverà, la con­cessione si intenda definitivamente fatta, in contrario si riterrà non fatta” e l’anno seguente il prezzo d’ingresso non oltre­passasse Quattro Grazie.

Ogni accademico aveva la facoltà di or­ganizzare feste da ballo purché si inve­stisse della carica di “Deputato di Ispe­zione” per l’intera serata pubblicando poi il proprio nome sul solito cartello, ma ave­va il diritto di nominare un “Maestro di Sa­la” e di farsi sostituire da un’altro acca­demico.

Nel 1834 fa il suo ingresso nell’Accademia, al posto del cedente Ferdinando Cercignani, il conte Ferdinando De Larderei “…il quale lo accettava e richiedeva es­sere surrugato al cedente in detto posto accademico per godere tutti i favori e sop­portare tutti gli oneri ricevuti dal posto me­desimo”.

L’aspetto economico rappresentava la nota dolente di questa associazione, spesso alcuni accademici sono in ritardo nel pagamento della tassa annuale di due scudi.

Nel 1853, l’Accademia decise di darsi un regolare statuto, a questo proposito fu in­caricato l’accademico Venerando Valchierotti di redigere una proposta nel ter­mine di tre mesi, ma di questo statuto, nella documentazione successiva, non viene più fatta menzione.

Con la decisione di costruire il nuovo tea­tro viene compiuta un’accurata stima di tutti i beni mobili e immobili della socie­tà, stabilendo che ”… i soci accademici che non vogliono concorrere alla costru­zione del nuovo teatro saranno liquidati i loro diritti sociali e cesseranno cosi di far parte dell’Accademia.

Gli anni che seguirono videro l’Accademia sempre più impegnata e strettamen­te connessa al teatro e alle manifestazioni che vi si svolgevano. Tra i vari regolamen­ti pubblicati, c’è quello riguardante le “Stanze Accademiche” grazie al quale è possibile dedurre quanto questa associa­zione andasse sempre più assomiglian­do ad un circolo ricreativo per signori be­nestanti e poco rimanesse dell’attivismo letterario e filosofico che contraddistinse le accademie nei decenni trascorsi. Il re­golamento prevedeva due occasioni di in­contro: i “trattenimenti ordinari” rappre­sentati da adunanze o giochi e le “feste da ballo”: A queste stanze erano ammes­si anche non accademici stante la previa approvazione dell’assemblea ed era sta­bilito che fossero aperte “…a trattenimen­to del giuoco, nel carnevale tre giorni di ciascuna settimana, cioè martedì, giove­dì e domenica, nell’autunno, e inverno fi­no al giovedì della Settimana Santa e la domenica di ciascuna settimana e più le feste di intero precetto”. Mentre chi desiserava giocare doveva pagare “una te­nue tassa a forma della tariffa nelle mani del custode…” il quale dava poi il dena­ro al Camarlingo. Grazie anche a questi incassi serali, la società faceva fronte al­le numerose spese necessarie per man­tenere in piena efficenza un siffatto edifi­cio.

Nella generale revisione degli statuti che viene promossa alla fine dell’ottocento, c’è la proposta di abrogare due articoli che garantivano l’uguaglianza tra i vari accademici. Questo causò l’indignazione di un vecchio accademico, “unico super­stite dei compilatori dello statuto” che for­temente si oppose a questo provvedimen­to così antidemocratico.

  1. citati articoli (10 e 15) assegnavano un voto per ogni accademico senza distinzio­ne del numero di palchi posseduto; la pro­posta riformatrice, al contrario, prevede­va un voto per ogni palco di proprietà, ne­gando così “…l’uguaglianza sociale, del­l’amministrazione e del valore del voto de­liberativo… cioè il predominio della mino­ranza…”. La volontà dei proponenti era quella di risolvere il ricorrente problema del mancato numero legale nelle adunan­ze: un assenteismo che dimostra una già viva disaffezione nei confronti dell’Accademia.

Siamo ormai agli inizi del Novecento ed è tempo di mutamenti sociali, la pressio­ne che viene dagli strati sociali più pove­ri della popolazione verso l’Accademia si fa sempre più forte, come testimonia una lettera datata 15 settembre 1900 i cui fir­matari in rappresentanza della “popola­zione meno abbiente, nata e cresciuta a Pomarance”, chiedevano che il teatro fosse aperto a chiunque desideri parte­cipare…”: Questa possibilità, in futuro, non potè più essere negata infrangendo in parte quell’alone di distinzione cultu­rale e sociale di cui erano investiti gli ac­cademici.

IL VECCHIO TEATRO DEI CORAGGIOSI

  1. “Dizionario Geografico, fisico, storico della Toscana” del Repetti riferisce del­l’esistenza di “…un piccolo teatro di pro­prietà di Un’Accademia dei Terrazzani che rimonta verso il XIII”. Con molta pro­babilità si tratta dello stesso teatro dive­nuto poi nel luglio del 1730, di proprietà dell’Accademia dei Coraggiosi in quanto la prima delibera in ordine cronologico, ancora oggi esistente, del 31 Ottobre 1791, rivela la necessità di alcuni lavori “per ben ridurre la stanza della loro Ac­cademia”. Un ulteriore conferma che la “Stanza” ha svolto in passato funzione di spazio teatrale si ha con la successiva deliberazione del 9 Novembre dello stes­so anno, dove in un passo recita: “lo in­frascritto, essendo stato onorato dai illu­strissimi Soci della Stanza che serviva ad uso di teatro posto nella terra di Poma­rance, a voler unirmi con Essi in società, ridurla nuovamente ad uso di teatro e di sala da ballo…”.

La “sala delle comiche” si trovava a fian­co del palazzo Pretorio, con ingresso dal­la piazzetta del Tribunale, nel centro antico, all’interno delle mura castellane: Po­sta al primo piano sopra un portico dove si apriva l’ingresso aveva il soffitto a vol­ta affrescato, il palcoscenico, un “salot­to” ed una stanza di deposito detta delle “panche”.

Nel 1794 furono realizzate opere di rifa­cimento e dipinti nuovi scenari da un cer­to Antonio Niccolini in cambio di una gra­tifica di venti lire, vennero anche acqui­state diciasette panche in funzione di un riutilizzo dell’ambiente come sala da bal­lo. Inoltre è di questi anni l’apertura di una porta che metteva in comunicazione di­retta il teatro col Palazzo Pretorio.

Il trascorrere degli anni, in questo caso tre, tra la fase propositiva e l’attuazione dei lavori di restauro è un tema ricorren­te nella vita di questo teatro conseguen­temente alla mancanza di risorse finan­ziarie dell’Accademia.

Per un lungo periodo vi saranno interventi diretti esclusivamente all’interno del tea­tro, o meglio alla sala, poiché le attenzio­ni di miglioramento formale ignorano, co­me dettava la consuetudine interventi al­l’esterno.

Per “trarre un profitto” fu istituito nel 1798 “… il diritto d’esercitar Bottega d’acqua- cedratosa nel salotto annesso alla sala, in occorrenza di spettacoli teatrali e di fe­ste da ballo…” offrendo l’incarico di te­nere questo esercizio al migliore offeren­te. Inizia così il processo di articolazione del luogo teatro: alla vecchia sala comi­ca si è aggiunto un primitivo bar che an­cora mantiene la funzione di foyerguardaroba.

Nel 1803 viene decisa la costruzione so­pra il salotto, di una stanza ad uso dei co­mici che comporterà l’alzamento del tet­to, affidando i lavori agli impresari Raz­zagli e Bellucci. Le due finistre in faccia­ta (sopra e sotto) fu stabilito essere uguali a quelle adiacenti in costruzione. Si de­duce, pertanto, che tali lavori sono con­temporanei ad altri che si vanno facendo nel blocco di case a fianco del teatro.

Tre anni dopo, l’Accademia inaugurerà i nuovi lavori con una rappresentazione co­mica della compagnia Gatteschi di Vol­terra.

Col 1834 inizia una lunga stagione di ten­tativi falliti da parte degli accademici di avere un teatro più grande in stile con i tempi nuovi. Il presidente propose di far visitare lo stabile e sala del teatrino a Lo­reto Magri, aiuto ingegnere della Comu­nità di Pomarance, dandogli commissio­ne di redigere un progetto d’ampliamen­to riguardante la sala e il palcoscenico. Se ciò non fosse stato possibile, il sud­detto ingegnere doveva progettare un nuovo teatro con ventiquattro palchetti e con il doppio di grandezza della sala at­tuale per uso di platea. Ma è del 14 Otto­bre 1836 una nota di spesa redatta da Giuseppe Bianciardi per un generale re­stauro del teatro di cui annotiamo ‘‘…ri­quadratura della nuova sala, del salotto caffè e rifatto il boccascena nuovo…”. Nonostante i lavori di restauro intrapresi l’anno precedente, è sempre forte l’esi­genza di costruire un nuovo teatro, come in questi tempi già se ne andavano co­struendo nelle città e nei centri minori, co­me la vicina Volterra, Piombino, Pontedera, e Buti. Del resto la fine del settecento ha segnato la definitiva rottura col passa­to, una nuova sensibilità architettonica ali­menta il dibattito sulla progettazione dei teatri e i venti innovatori che spirano dal­le grandi città irretiscono le menti più sen­sibili anche di terre lontane.

Questo clima aleggiava anche negli am­bienti culturali di Pomarance e traspare dai toni enfatici di entusiastica adunan­za del 1 ottobre 1837 “…Dietro la vostra ragione e io, tutti rendiamo fatto il teatro, pensare dunque che l’incertezza nega, e la risolutezza afferma che ben ci conven­ne il nome di Coraggiosi, come ci conver­rà quello di ben affetti al vostro paese…”. Accantonata l’idea di un nuovo teatro, nel 1842 viene dato incarico all’ingegnier Ric­ci di preparare un progetto di restauro per l’attuale teatro, ma tale progetto verrà re­spinto.

Sempre quell’anno viene stabilito di inol­trare una supplica al Regio Trono per la sua approvazione alla costruzione di un nuovo teatro, facendosi promotore dell’i­niziativa il conte Francesco De Larderei. Negli anni successivi il vecchio teatro fu ripetutamente sottoposto a restauri e mo­difiche, ma il Municipio di Pomarance, nell’occasione di dover trattare della rifor­ma delle scuole Comunali, si propose di fare acquisto del teatro di Pomarance e sue stanze annesse, era il 31 dicembre 1860.

Questa iniziativa decretò la fine del vec­chio teatro dei Coraggiosi e, finalmente, l’avvio del nuovo, in quanto con la cospi­cua somma realizzata dalla vendita fu at­tuato un concreto piano finanziario.

La stima di parte, del teatro, fu affidata all’architetto Magagnini di Livorno, men­tre il municipio incaricò l’ingegner Gae­tano Niccoli. La relazione del Niccoli do­cumenta lo stato e consistenza del vec­chio teatro dei Coraggiosi che dopo se­coli di vita, il 25 febbraio 1861 era così composto: ingresso sulla piazzetta del tri­bunale, scala in pietra che portava alla, “Sala”, a destra del pianerottolo di sbar­co la “Stanza delle Panche” trasforma­ta col tempo in salotto guardaroba, la “stanza del caffè” ed infine il palcosce­nico con annessa una stanza irregolare dalla quale si accedeva in una soffitta ad uso degli attori per mezzo di una scala. Le stanze accademiche furono acquista­te dal Municipio per lire tremilaseicentoquarantacinque e sessanta centesimi.

DELIBERA RIGUARDANTE LA COSTRUZIONE DEL NUOVO TEATRO

La lettera del 31 dicembre 1860 inviata dal municipio di Pomarance all’Accademia dei Coraggiosi fu letta nell’adunan­za del 14 gennaio 1861 e in quel giorno venne finalmente deliberata, non solo la costruzione di un nuovo teatro, ma anche le modalità di attuazione del medesimo: due accademici stilarono la bozza di un programma in undici punti comprenden­te tra gli altri la spesa economica previ­sta, il denaro che ogni accademico dove­va versare, l’assegnazione dei palchetti e la formazione di una commissione in­caricata di seguire i lavori di costruzione. Il teatro doveva essere costruito fuori del­la porta Volterrana davanti alla casa del sig. Fantacci su disegno dell’architetto Ferdinando Magagnini.

ESCURSUS STOIRICO DELLE VICENDE COSTRUTTIVE

La costruzione del nuovo teatro prese l’avvio il primo marzo 1861 su terreno di proprietà in parte dell’accademico Giu­seppe Bicocchi e in parte dell’accademi­co Carlo Tabarrini; i quali poi vendettero all’Accademia: il primo braccia quadre millecentosettantasette ossiano ari quat­tro e deciari ottantaquattro, il secondo braccia quadre ottocentodieci, ossiano ari

due, centiari settantacinque e deciari no­vanta.

Il permesso del Comune per la costruzio­ne di detto teatro è datato 26 settembre 1861, mentre la richiesta del medesimo risale solo al 9 giugno 1861: appare evi­dente che si trattava di pura formalità, non solo perché i lavori erano già iniziati da diversi mesi, ma anche per gli accordi già stipulati tra il Comune e l’Accademia in seguito alla vendita del suo vecchio tea­tro.

Il finanziamento dei lavori di costruzione avvenne anche tramite alcuni prestiti con­tratti con persone benestanti della zona, in quanto il ricavato della suddetta ven­dita era insufficiente e fu liquidato in più anni.

Il “Giornale dei lavori” in particolare ed altra documentazione ancora oggi dispo­nibile, costituiscono l’ossatura portante di questa analisi sulle vicende costruttive inerenti l’edificazione del nuovo teatro dei Coraggiosi.

Il giornale prende avvio col Marzo 1861 documentando le fasi iniziali fatte di pic­cone, mine, calcina, carrette con materia­le di risulta e di tante giornate di lavoro per preparare le fondamenta.

Il teatro poggia su un banco di roccia tu­facea che fu spianata sia facendo brilla­re mine che utilizzando dei “ferri per bat­tere il masso”.

Fino agli inizi di Luglio si continuò a la­vorare sul “masso” per preparare gli sbancamenti necessari su cui poggiare i muri portanti. Dopodiché si iniziarono a tirare su i muri e come nella logica dei tempi, i materiali da costruzione venne­ro reperiti sul mercato locale, in luoghi nelle vicinanze di Pomarance. I mattoni, mattoncini e quadricci provenivano dalla vicina fornace del Gabbro, mentre a Poggiamonti era situata la cava da cui pro­venivano le bozze grandi per le “canto­nate” e le piccole per la muratura mista delle pareti esterne.

Al 14 Luglio risale il primo pagamento per la fornitura di scalini di pietra, in questo caso dodici, da parte di una persona del luogo, un certo Garfagnini Luigi e con ca­denza di circa venti giorni verrà effettua­to il saldo di altre forniture: la prima an­cora di dodici e le altre di ventiquattro. Considerando che per la buona gestione di un cantiere il materiale viene fatto ar­rivare in un periodo di poco precedente al suo utilizzo, il saldo degli scalini di pie­tra fa supporre il tempo occorso per la realizzazione delle strutture verticali e dei solai dei tre ordini.

I solai hanno struttura portante in legno, composta di travi e travicelli reperiti sul mercato di diverse località: Lajatico, Gab­bro, Castelnuovo e Livorno. Due fatture della ditta di legname “Aghib e Rocah” di Livorno documentano che ne inviaro­no un grosso quantitativo a Pomarance, ordinato da Ferdinando Magagnini e pa­gato dal conte Federigo De Larderei, il quale fu successivamente rimborsato dal Camarlingo Carlo Tabarrini. In quel tem­po per la fornitura di legname eccedente i cinque metri, era uso ricorrere al mer­cato esterno e la scelta di Livorno è da attribuire al progettista, appunto livorne­se e forse anche, per la comodità nei pa­gamenti, alla presenza in detta città di un accademico illustre come il De Larderei. Sempre in questo periodo e precisamente l’undici agosto, iniziarono i lavori di co­struzione della facciata ripulendo lo scas­so fatto nel “masso” e ponendo poi nel­le fondamenta “una memoria scritta in carta pecora, con custodia in piombo ed una moneta d’oro Romana”.

Con la costruzione delle strutture verticali, dei solai e delle volte prese l’avvio l’ope­ra di copertura della fabbrica che fu pro­babilmente ultimata verso la fine di no­vembre, poiché è registrato il pagamen­to di una merenda con la quale si festeg­gia, “come è di costruirne” questa occa­sione.

Conclusa questa fase ne iniziò una altret­tanto lunga, quella di completamento e ri­finitura. Il 16 marzo 1862 venne stilata una perizia sui lavori ancora mancanti e di conseguenza una stima del denaro ne­cessario per portare a compimento l’o­pera.

La costruzione del plafone (che copre la platea) fu affidata, a nota, a maestranze già operanti come il falegname Ferdinan­do Funaioli e il capo muratore Giovanni Mazzinghi. La progettazione del mecca­nismo degli scenari venne chiesto inizial­mente al macchinista del teatro La Per­gola di Firenze,ingegnere Cenovitti che però fu scartato, in quanto ritenuto trop­po costoso. Così anche questo incarico venne affidato al falegname Funaioli, il quale aveva “in altro teatro attentamen­te esaminato tali meccanismi”. Nel me­se di agosto 1862 sono annotati diversi pagamenti per l’acquisto di doccioni, ma anche l’ultima fornitura di pianelle, mez­zane e tegole per completare il pavimen­to e la copertura della soffitta, stavolta provenienti dalla fornace Larderei di Lucoli; dopodiché sono i piccoli lavori di ri­finitura e d’arredo a comparire sempre più frequentemente, del resto il giorno dell’i­naugurazione era ormai prossimo.

Con il 12 ottobre 1862, giorno dell’inau­gurazione, non si concluse il ciclo dei la­vori ed acquisti per il nuovo teatro; il “gior­nale” tra gli altri, riporterà ancora: l’ac­quisto di alcune porte, di gran parte del­l’arredo, la posa in opera dell’infissi in le­gno, la scala in legno che porta alla gra­ticciata, la lucidatura dello stucco della sa­la, la riquadratura dei palchetti ed altri pic­coli lavori di rifinitura.

La pittura dell’interno dei palchetti fu sta­bilito di realizzarla con “colore andante” e semplice riquadratura realizzata da en­trambi i pittori pisani chiamati ad opera­re in questo teatro, Riccardo Torricini e Giuseppe Martini; il trattamento a stucco lucido fu realizzato dal solo Martini, che era appunto “maestro di stucco lucido”, in cinque giornate di lavoro. Il pittore Tor­ricini ebbe un ruolo più importante, di ma­no sua sono le pitture del foyer, dell’atrio d’ingresso, delle stanze accademiche e il riattamento degli scenari del vecchio teatro; in quanto alla pittura della volta della sala non è sicura l’attribuzione al Torricini, in quanto l’uso di determinati co­lori farebbe supporre una sua più tarda realizzazione.

Il penultimo pagamento, il 31 gennaio 1868, riguarda il “casotto del Biglietti­naio” costruito da Ferdinando Funaioli già incaricato di tutti i lavori di falegnameria del nuovo teatro.

Il giorno 18 ottobre 1868 il “giornale dei lavori” chiude i valori totali di alcuni ma­teriali e denaro impiegati nella costruzio­ne del Teatro dei Coraggiosi. La chiusu­ra del giornale, non significò ovviamen­te, la fine dei lavori all’edificio teatrale, sia per la complessità del medesimo che im­pone continue riparazioni, sia per gli adat­tamenti e le trasformazioni conseguenti il pratico utilizzo o l’evoluzione tecnolo­gica che si impone col trascorrere degli anni.

Se i lavori di costruzione si possono con­siderare conclusi, così non è stato per gli arredi e gli abbellimenti che sono prose­guiti ancora per lunghi anni. Nelle nicchie poste nell’atrio d’ingresso solo con l’ini­zio del 1884 vi trovarono collocazione i primi busti di marmo e questo anche gra­zie all’iniziativa di un giovane studente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, Ezio Ceccarelli di Campiglia Marittima che si prestò più per gloria che per de­naro.

Il 23 settembre del 1886 un professioni­sta di Volterra Luigi Guarnieri, stilò una “relazione sullo stato del teatro di Poma­rance” dichiarando, dopo una breve de­scrizione dell’edificio riguardante in par­ticolare le strutture portanti ed il “siste­ma antincendio”, che “l’insieme del tea­tro è in perfetta regola e nulla vi è da te­mere in rapporto alla statica” e prose­guendo poi con alcuni suggerimenti per “l’ordine e la sicurezza pubblica”. Se dal punto di vista statico il teatro non presen­tava irregolarità, diversamente era per gli
infissi e per le superfici esterne dei vari ambienti che presentavano altresì un de­grado già avanzato. Pertanto, l’anno do­po, fu deciso un grande restauro di cui ri­mane a testimonianza il “rendiconto del­le spese e delle entrate” per restauri oc­corsi al teatro di Pomarance l’anno 1888. In occasione di tali lavori l’accademico Florestano De Larderei, il 4 ottobre, chie­se ed ottenne dal corpo accademico “di far rimuovere con tutte le cautele oppor­tune, la parete di divisione” tra i due pal­chi di sua proprietà (il n° 11 e 12 del pri­mo ordine).

Negli anni che seguirono si registrarono solo lavori di manutenzione ordinaria fi­no ad arrivare al 1914, anno in cui furo­no realizzate alcune opere per improvvi­sare un cinema. I lavori per l’impianto del cinematografo riguardarono soprattutto il palco reale che fu adattato a cabina di proiezione, smontando l’apparato deco­rativo e foderando la porta di banda sta­gnata.

L’anno seguente fu installata l’illumina­zione elettrica in sostituzione di quella a petrolio, limitatamente agli spazi ad uso pubblico, con un’unica eccezione del “sa­lotto accademico”.

Gli interventi successivi saranno incentra­ti per la trasformazione del teatro in cine­ma, soprattutto dettati da ragioni di “Bot­teghino” visti i buoni incassi di quegli ul­timi anni. Così il 4 aprile 1959, per aumen­tare il numero dei posti a sedere, fu deci­so l’arretramento dello schermo e l’abbat­timento del palcoscenico con i suoi came­rini sottostanti ormai inutilizzati da lungo tempo.

Il mese successivo iniziarono i lavori di ampliamento della platea affidati alla dit­ta Moretti di Pomarance, su progetto dell’ing. arch. Beliucci di Ponsacco.

DESCRIZIONE DEL NUOVO TEATRO

Il teatro sorge fuori della porta Volterra­na, sulla via provinciale, lungo la direttri­ce di crescita del paese.

All’esterno l’edificio è abbellito da una facciata in pietra tufacea, articolata in due parti: la parte inferiore “a bugnato” con le tre porte d’accesso sormontate da un doppio cornicione, mentre quella superio­re, coronata da un cornicione più “impor­tante”, ha un ordine di tre finestroni e si distingue per un diverso trattamento del­l’apparato murario.

Il teatro, al suo interno, è strutturato in quarantaquattro palchi divisi in tre ordi­ni, distribuiti lungo una pianta a ferro di cavallo.

Dalla porta centrale di facciata si accede ad un atrio di ingresso, ampiamente de­corato. In questo spazio, dal lato sinistro si può accedere al caffè, che è a contat­to diretto con la strada, infatti per molti an­ni svolse la sua funzione anche nei gior­ni di chiusura del teatro. La biglietteria è posta alla destra dell’atrio d’ingresso, anch’essa ha l’accesso diretto dalla strada. Dall’atrio si passa successivamente al foyer e da questo superati pochi scalini, si entra nella platea.

Due vani scala, simmetricamente dispo­sti alle due estremità del foyer, distribui­scono il pubblico ai tre ordini dei palchi. Al secondo ordine sono collocate le stan­ze accademiche, sono stanze ampie e molto luminose grazie ai grandi finestro­ni che si aprono sulla facciata principale del teatro.

Sostanzialmente il teatro riflette l’imma­gine di allora e risulta facile immaginare i giorni luminosi dei primi anni di attività, l’eleganza del pubblico e il rumoroso chiacchericcio che precede sempre una rappresentazione teatrale, magari con un tono più alto per il clima di entusiastica scoperta di un pubblico non ancora av­vezzo a simili occasioni di ritrovo, lo stes­so che forse ancora oggi si respira in oc­casione delle grandi prime.

SPETTACOLI E MANIFESTAZIONI AL TEATRO DEI CORAGGIOSI

L’attività del Teatro dei Coraggiosi è sud­divisa in due periodi: il primo prende av­vio con la stagione inaugurale di prosa dell’autunno 1862 per concludersi con i bombardamenti tedeschi del 1944, che segnano anche l’inizio del secondo perio­do caratterizzato dal lento declinio delle attività del teatro.

La prima stagione teatrale aprì con rap­presentazioni della “Compagnia comica Gagliardi e Antinori”, e per la sera d’inau­gurazione del teatro portarono in scena la commedia “Suor Teresa”.

Il contratto con le varie Compagnie avve­niva per mezzo di istanze presentate dalle stesse all’Accademia, oppure attraverso l’agente teatrale o su sollecitudine di qual­che amico di accademici che aveva assi­stito alle rappresentazioni di una certa compagnia. Comunque la scelta ricade­va sempre su compagnie conosciute o per le quali qualche personalità stimata garantiva per loro.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

REPETTI, Dizionario Geografico, fisico, sto­rico della Toscana, Firenze, 1841, vol. IV.

E. MAZZINGHI, Rievocazioni Storiche di Po­marance, in «Rivista Comunità di Pomarance».

C. ORESTI. L. ZANGHERI, Architetti e inge­gneri nella Toscana dell’ottocento, Firenze, Uniedit, 1978, pp. 48-49.

GIUSEPPE CRUCIANI-FABOZZI, La commit­tenza De Larderei e l’opera di Ferdinando Ma­gagnici, dal «Bollettino degli Ingegneri», n° 10/1982, I parte.

GIUSEPPE CRUCIANI-FABOZZI, cit., n° 5/1983, Il parte.

AA.VV., Teatri, Luoghi di spettacolo e Acca­demiche a Montepulciano e in Valdichiana, Montepulciano, Editori Del Frigo, 1984.

M. BUSCARNO, P. PIERAZZANI, Il teatro ab­bandonato, Firenze, La Casa HSHER, 1985. «Professione: Architetto», nn. 10-11-12/1987, Firenze, Alinea, pp. 2-49.

«Recuperare, edilizia, design, impianti», n. 37/1988, pp. 588-593.

AA.VV., La fabbrica del Goldoni. Architettura e cultura teatrale a Livorno (1658-1847), Ve­nezia, Cataloghi Marsilio, 1989.

AA.VV., Teatri storici in Emilia Romagna, Bo­logna, 1st. Beni Culturali, Regione Emilia Ro­magna. 1989.

AA.VV., L’Architettura teatrale nella provincia di Siena, Roma, Giunta Regionale Toscana, 1990.

«Spazio e Società», n° 50/1990, pp. 67-80.

FONTI DI ARCHIVIO

ARCHIVIO STORICO COMUNALE DI POMA­RANCE:

  • Miscellanea Anni 1839-1866 filza n° 397.
  • Atti Magistrati 1860-1861 filza n° 199.

ARCHIVIO DELL’ACCADEMIA DEI CORAG­GIOSI

(non ordinato)

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

TEATRO DEI CORAGGIOSI

ACQUISTATO LO STORICO IMMOBILE

È stato acquistato dal Comune di Po­marance lo storico Teatro dei Coraggio­si. Così, con questa operazione, i due tea­tri presenti nel centro urbano (Teatro De Larderei – Teatro dei Coraggiosi) appar­tengono al patrimonio pubblico. In verità esistevano nel territorio comunale tre or­ganismi teatrali, di cui uno purtroppo non più esistente. Sorti dopo la metà del XIX0 secolo nel Comune di Pomarance, risul­ta organicamente connessa, come gran parte del rinnovo urbano del capoluogo e dello sviluppo insediativo ed infrastrut­turale del territorio, all’affermarsi dello sfruttamento industriale dei “lagoni” e dei “soffioni” del comprensorio boracifero e, con esso, alle fortune imprenditoriali della famiglia De Larderei.

Via Gramsci: Facciata Teatro Accademia dei Coraggiosi (1950)

Il primo, in ordine di tempo, di tali teatri, inaugurato 1’8 settembre 1856 con una fe­sta solenne e con un banchetto imbandi­to a duecento conviviali, venne realizza­to nella corte del palazzo padronale di Larderello come vera e propria attrezza­tura ricreativa aziendale, prevalentemen­te destinata alle rappresentazioni sceni­che ed alle esecuzioni musicali dei dipen­denti dello stabilimento. L’allestimento di questo spazio teatrale, come la progetta­zione di quasi tutti gli interventi edilizi commissionati da Francesco de Larderei fra il 1845 e la data di morte (1858), va ascritta all’ebanista ed architetto livorne­se Ferdinando Magagnini. La frequente presenza del versatile operatore al servi­zio dei De Larderei nel territorio di Poma­rance doveva di lì a poco invogliare i membri dell’Accademia dei Coraggiosi ad affidargli l’incarico di redigere il progetto di un nuovo edificio teatrale in sostituzio­ne della sala già esistente nell’abitato. Il nuovo Teatro dei Coraggiosi, verrà inau­gurato il 12 ottobre 1862: sotto la lunetta dell’atrio, di fronte a chi entra, figura an­cora una epigrafe gratulatoria nei riguar­di dell’architetto fatta apporre per la cir­costanza dagli accademici.

Il fabbricato, che presenta sul fronte stra­dale una sobria facciatina in pietra tufa­cea a tre assi di aperture, rileva al suo in­terno, nella contratta sequenza dei vani che precedono la sala assicurando il ne­cessario sviluppo distributivo per accede­re ai diversi ordini di posti, un gustoso contrappunto di effeti spaziali, sottolinea­to dalla decorazione geometrica delle su­peraci, che accompagnano il fruitore fi­no alla soglia dell’invaso teatrale, dall’im­pianto lievemente a campana, a tre ordi­ni di palchi, sovrastato dalla appena ac­cennata concavità del soffitto dipinto la cui complessa armatura lignea emerge come il dorso di una testuggine nel loca­le sottotetto. La trasformazione postbel­lica del teatro in cinematografo ha com­portato, assieme al tamponamento del palco di mezzo per adibirlo a cabina di proiezione, il deturpamento del proscenio in conseguenza dell’installazione dello schermo.

Con l’emanazione delle nuove normative in materia di sicurezza, il Teatro dei Co­raggiosi venne definitivamente chiuso ed abbandonato perdendo così l’originaria funzione culturale e sociale. Inizia così lo storico declino e l’abbandono totale che avrebbe certamente portato alla definiti­va demolizione quale percorso oggetivo che caratterizza la maggioranza dei tea­tri italiani costruiti tra la fine del settecento e la prima metà dell’ottocento.

Nasce da questa amara constatazione il processo necessario di recupero di que­ste vecchie strutture e la necessità di pro­gettare una destinazione d’uso coerente con la loro storia e con le esigenze cultu­rali della realtà contemporanea. È proprio attraverso queste sollecitazioni determi­nate dalle Amministrazioni Locali che na­sce il progetto F.I.O., progetto integrato per la tutela monumentale, la ristruttura­zione e l’uso infrastrutturale dell’edilizia teatrale in Toscana. Con l’approvazione da parte dello Stato del progetto presen­tato dalla Regione Toscana per una spe­sa complessiva di 41 miliardi che consen­te l’intervento e la ristrutturazione di tren­ta strutture di proprietà pubblica tra le quali figura il Comune di Pomarance con le due strutture teatrali del Teatro De Lar­derei e Teatro dei Coraggiosi. Senza l’in­serimento nel progetto F.I.O. con l’acces­so ai finanziamenti previsti dal piano, sa­rebbe stato impensabile per il Comune pensare ad una operazione del genere. Ora inizieranno i lavori di progettazione e di recupero nell’ambito della politica della rivalutazione dei centri storici e della loro “vivibilità” secondo un nuovo concet­to dell’arredo urbano e come momento di aggregazione sociale onde contrastare i segnali di decadimento culturale in atto in tutti i centri urbani e nelle aree matropolitane. Si tratta insomma di far usufrui­re ai cittadini che vivono lontani dai cen­tri momenti di vita culturali che sono in­dispensabili per la tenuta complessiva di un territorio in particolar modo per le zo­ne montane.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

Giuseppe Cruciani Fabozzi – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER.

Marco Mayer – I TEATRI ABBANDONA­TI – Tip. Casa USHER

Paolo Pierazzini – I TEATRI ABBANDO­NATI – Tip. Casa USHER

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.