Archivi categoria: Arte e Monumenti
Descrizioni dei monumenti ed opere d’arte della zona di Pomarance ed Alta Val di Cecina.
POMARANCE – VILLA COUTRET
POMARANCE – PALAZZO DE LARDEREL
PALAZZO DE LARDEREL
RESIDENZA NOBILIARE DELL’OTTOCENTO
Il XIX° secolo è stato per Pomarance un importante periodo storico caratterizzato da notevoli trasformazioni urbanistiche nel centro storico che cambiarono radicalmente l’aspetto medioevale o rinascimentale dei palazzi appartenuti alle antiche casate nobiliari o borghesi del luogo. Queste costruzioni ottocentesche procurarono la distruzione di antiche testimonianze architettoniche creando la nuova immagine di Pomarance che è possibile osservare percorrendo le vie del centro storico ed in particolar modo via Roncalli o dei “Signori”.
Sui vari palazzi certamente si impone il grandioso edificio di “Palazzo De Larderei”. Attualmente di proprietà comunale ed adibito a sede per l’Ufficio Tecnico e della Comunità Montana della Val di Cecina, fu un tempo la residenza autunnale della nobile famiglia dei De Larderei che lo iniziarono ad opera del “sagace” commerciante Francesco De Larderei su progetto dell’architetto ebanista Magagnini di Livorno. Francesco De Larderei, di origine francese, trapiantatosi a Livorno fin dai primi dell’ottocento, si stabilì nelle nostre zone attorno al 1818 quando fu fondata una società (ved. Chemin – Prat – Lamotte – Larderei) dedita alla estrazione e produzione dell’acido borico contenuto nei “lagoni” di Montecerboli. Lagoni ottenuti a livello dal Comune di Pomarance ed in seguito in concessione perpetua dal Granduca di Toscana. Il “borace”, prodotto richiesto ed esportato in tutto il mondo, permise al conte Francesco, con l’aumento di capitali, di entrare ben presto a far parte della borsa dei Priori del Comune di Pomarance (1833) e di acquistare nel territorio comunale una serie di “unità immobiliari” che, ampliate e ristrutturate, sarebbero andate a formare il grandioso Palazzo – Fattoria De Larderei che ricalca, se pure con un lessico architettonico semplificato, il Palazzo Larderei di Livorno. (1)
L’area in cui doveva essere edificato il fabbricato era stata individuata dal “Conte di Montecerboli”, fin dai primi dell’ottocento, all’inizio del paese, nell’antica contrada di borgo tra la porta Massetana e la Cancelleria comunitativa.
Consultando una mappa catastale del periodo leopoldino (1823) è possibile comprendere quali furono i fabbricati che Francesco De Larderei iniziò a comperare per la realizzazione del grandioso progetto. (fig. 1)
Il primo edificio acquistato fu quello di proprietà del Cav. Giovanni Falconcini, per arroto del 6 aprile 1832, (particella catastale 279 – 281 – 282 – 283) a cui si aggiunse due anni più tardi, per arroto del 18 aprile 1835, l’acquisto della casa di Metani Donato addossata all’antico baluardo di Porta Massetana (part. cat. 284). Sempre nello stesso anno venne acquistata, con arroto del 20 maggio 1835, la casa del Cav. Giuseppe Bardini (part. cat. 282 – 282 bis – 283 bis).
Sei anni dopo fu acquisita anche l’abitazione di Francesco Funaioli per arroto del 25 maggio 1841, (part. cat. 277 – 278 – 280) insieme ad una cantina dai fratelli Michele e Giuseppe Bicocchi (part. cat. 277 – 278) ed un terreno “sodo lavorativo” dal sig. Beliucci Ermogasto, che era quella porzione di suolo al di fuori delle vecchie mura castellane denominate il “Tribbietto” (2) (part. cat. 279 bis).
Negli stessi anni vennero acquistati dal De Larderei anche una serie di poderi che andarono a formare una tenuta di “beni rurali” nel Comune di Pomarance e che permise al Conte Francesco, in base ad un regolamento catastale del 1829, di fare istanza nel 1843 alle Magistrature di Comune per essere sgravato dalle stime imponibili sui fabbricati ad uso rurale: (3) “… con /a volontà del nobil conte Cav. Priore Francesco De Larderei di Livorno, a possedere come appunto possiede, una tenuta di beni rurali nella Comunità di Pomarance, ebbe desiderio insieme di corredarla di necessari comodi per l’agenzia, e di un comodo per abitare nell’autunnali villeggiature. In pertanto che procede all’aggiusto di vari antichi fabbricati quali parte al di fuori, parte al di dentro della porta così detta Massetana della terra di Pomarance, formarano un collegato di muri, capaci insieme, a soddisfare il di sopra espresso suo desiderio.
E dappoiché tali speciali acquisti furono fatti dopo la stima del nuovo catasto, questi sopra dei catastali registri furono in conto, e faccia del prefato sig. Conte De Larderei …per un ammontare totale della rendita imponibile di lire 543,97”. (4) Nell’istanza il conte De Larderei dichiarava che tutti quei fabbricati erano stati utilizzati ad uso di fattoria e “… ridotti in fienili, stalle, rimesse, granai, coppai, tinai, magazzini”, in parte come abitazione dell’agente ed inservienti; in parte ad abitazione propria, ‘‘per tempo della villeggiatura”, con un piccolo giardino annesso, dichiarando inoltre che nessuno dei fabbricati riservò per appigionarli o trarne frutto di locazione alcuno …”. Non ci è dato a sapere se “l’aggiusto” dei fabbricati corrisponda all’inizio dei lavori per la realizzazione di Palazzo De Larderei; certo è che la situazione urbanistica di questa area cambiò radicalmente nel giro di una decina di anni (1852 ca.) (fig. 2)
Venne demolito infatti il baluardo di Porta Massetana e la casa del Melani; occupata la piccola piazzetta detta “Padella”; abbattuti i resti delle mura castellane; ampliato il fabbricato centrale (part. cat. 282) e costruito un giardino al quale si accedeva anche attraverso un vicolo dalla “via di Borgo” (tra part. 277 e 280).(5)
Il lotto centrale del Palazzo che secondo gli ambiziosi progetti del De Larderei avrebbe dovuto ricreare lo stesso imponente prospetto del palazzo di Livorno, già terminato in quegli anni, indusse lo stesso conte Francesco a proporre alle Magistrature nel 1852 la permuta della Cancelleria in cambio della ristrutturazione a sue spese del Palazzo Pretorio creando ambienti idonei per l’Ufficio del Gonfaloniere e del Cancelliere.
Proposta non molto gradita dai Priori del Comune che avrebbero invece voluto un fabbricato nuovo come risulta da una lettera del 1853 (6):
A di 25 maggio 1853
Pregiatissimo sig. Gonfaloniere sono onorato della pregiatissima sua in data 20 corrente con la quale V.S. illustrissima si compiace di parteciparmi la decisione sulla mia proposizione relativa alla Cancelleria Comunitativa. L’opinione dell’ingegnere nulla mi sorprende, Egli si era già pronunciato da più di un anno e prima di avere esaminato le mie piante, lo compatisco per non dire altro.
Al Gent.mo sig. Gonfaloniere dovrà sempre convenire, che la mia proposizione era vantaggiosissima alla Comune, e che la cattivissima casa della Cancelleria (veniva distrutta fino ai fondamenti) mi sarebbe costato tre volte tanto il suo valore reale.
V.S. si compiace ancora propormi di fare costruire una nuova Cancelleria e di darmi la vecchia per la nuova e mi invita a sottoporre il mio progetto.
Mi rincresce doverli dire che non posso accettare simile proposizione, più particolarmente perchè il progetto qualunque fosse, avrebbe certamente la disgrazia di stare diversi anni nelle mani dell’ingegnere, come ha fatto il primo, sarà adunque assai meglio che io rinunzi al mio progetto per non essere ballottato ingiustamente o capricciosamente, quando tutte le mie mire erano per il vantaggio della Comunità, l’imbellimento del paese, e far lavorare dei disgraziati senza lavori.
Ho l’onore di dichiararmi rispettosamente…
Dev.mo servitore F. De Larderei
Trascorsi due anni dalla prima richiesta di permuta il conte De Larderei faceva nuovamente istanza (1855) al Gonfaloniere di Comune per la cessione della fabbrica di Cancelleria proponendo di pagarla in contanti con l’aumento del 15% sopra le stime, oppure costruendo una nuova Cancelleria uguale a quella vecchia dettando però una condizione che, se fosse stata accettata la seconda proposta egli avrebbe iniziato i lavori nella imminente primavera e, ”… non solito aggiornare i suoi divisimenti…” pregava le magistrature a deliberare e risolvere entro il mese di marzo la sua richiesta “… passato il quale, non sarebbe stato più il caso di mantenerla …”.
La seconda proposta fu ben presto accordata ed i lavori del palazzo proseguirono di pari passo con quelli della nuova Cancelleria costruita tra la via Provinciale Massetana e via dei Boschetti. (7) Purtroppo, la morte del conte Francesco De Larderei non permise di poter vedere ultimato il suo grande desiderio che fu ben proseguito dal figlio Federigo, con l’ampliamento dell’ala del palazzo verso Porta Massetana e nella quale venne creato il bellissimo teatrino privato inaugurato nel 1872.
In quello stesso periodo vennero acquistati dal figlio Federigo anche la casa con orto già di Cammillo Fantacci (Part. cat. 273 – 274 – 275) che furono utilizzate in parte per nuove scuderie (attuale Auditorium). Oggi, percorrendo via Garibaldi, è possibile vedere la facciata principale di Palazzo De Larderei nel suo antico splendore dopo il riuscito restauro effettuato nel 1984 ad opera del Comune di Pomarance e nel quale è evidenziato ancora di più il grande stemma in cotto della famiglia De Larderei collocato all’interno del timpano centrale in cui si legge: “Raffaello Agresti fece all’lmpruneta nel 1871”.
Jader Spinelli
NOTE BIBLIOGRAFICHE
- Il Teatro abbandonato; “Pomarance: teatri storici” di G. Cruciani Fabozzi 1985; Ed. La Casa USHER
- Cfr. “La Porta Orciolina o Massetana” – La Comunità di Pomarance n° 2 e Supplemento al n° 2 1988
- Patrimonio rurale nel marzo 1843 di Francesco De Larderei: Podere S. Enrico, pod. S. Federigo, pod. Santa Paolina, pod. S. Filiberto, pod. Pogio Montino, Pod. Poggiamomi, pod. Luogonuovo, “Una costruzione non ultimata in aggiunta alla casa colonica dell’antico podere detto Palagetto..”.
- Archivio Storico Comunale Pomarance F. 609.
- Il giardino era delimitato da una sontuosa cancellata in ghisa proveniente dalle fonderie di Follonica. Questa fu demolita negli anni quaranta come offerta alla Patria per uso bellico.
- Archivio Storico Comunale Pomarance F. 159.
La Cancelleria era costruita dove attualmente sono i “Giardinetti” e l’edicola dei giornali; permutata dalla famiglia Bicocchi, per la cessione dell’attuale palazzo comunale, fu utilizzata come Ospedale fino al 1935 circa. L’edificio fu minato durante la ritirata delle truppe tedeschenel 1945. (vedi Rievocazioni Storiche di Edmondo Mazzinghi – La Comunità di Pomarance 1974).
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
IL PALAZZO “BIONDI-BARTOLINI” A POMARANCE
Il palazzo “Biondi Bartolini’’ situato sulla Piazza De Larderei al numero civico 3, è uno dei più antichi edifici esistenti nel paese di Pomarance.
Ristrutturato nel modo attuale agli inizi dell’ottocento appartenne, fin dai primi anni del XVIII secolo, alla famiglia Biondi che ebbe tra i suoi discendenti Notai, Dottori, Priori e Gonfalonieri nelle Magistrature del Comune delle Pomarance.
Attualmente conosciuto come il palazzo “Biondi Bartolini”, fu denominato come tale solo attorno al 1830, quando un discendente, certo Giuseppe Biondi, sposando Donna Violante Bartolini, aggiunse al proprio cognome quello della moglie.
L’edificio, collocato al vigente catasto di Pisa con la particella catastale n° 417, può certamente essere considerato di notevole interesse storico per le sue pregevoli opere pittoriche dipinte sulle pareti e nei soffitti delle sale del “piano nobiliare”. Fin dai primi anni dell’ottocento il palazzo, ancora detto dei “Biondi”, era indicato negli antichi chirografi del tempo “lungo la via di Petriccio” che cominciava all’incirca dalla “Porta alla Pieve” (o Portone di Petriccio) e terminava alla “Porta Volterrana”.
Uno dei più antichi documenti che ci consente l’individuazione del palazzo è una planimetria del “Catasto Generale della Toscana” o “Catasto Leopoldino” relativo a Pomarance. La piantina catastale, conservata nell’Archivio di Stato di Pisa e datata 1823, consente di verificare l’area occupata dall’immobile ed a questa faremo riferimento nella nostra trattazione.(1)
Indicato a quel tempo con la particella catastale n° 316 risultava di proprietà del Sig. Giovan Battista Biondi. Proprietà che fu tramandata, di generazione in generazione, fin dall’acquisto (XVIII secolo) di alcuni beni immobili appartenuti a Cristofano Roncalli, discendente della famiglia Roncalli di Pomarance e pronipote del celebre pittore Crostofano Roncalli detto il “Pomarancio” (1552-1626).
Dall’estimo del Comune di Ripomarance del 1571 risulta che l’immobile, pervenuto in eredità al Dottor Cristofano Roncalli, apparteneva al suo bisnonno, Giovan Antonio di Francesco Roncalli da Bergamo, padre del pittore Cristofano Roncalli. La casa, addossata alle antiche mura castellane del XIII secolo prospicenti la strada di Petriccio, confinava, come ancora oggi, con la Canonica della Chiesa di San Giovanni Battista, l’orto della Chiesa e la porta “alla Pieve”; confinazioni importanti che hanno permesso l’individuazione del fabbricato negli estimi del comune di “Ripomarance” fin dal XV secolo.
Uno dei documenti attestanti l’appartenenza dell’edificio ai Roncalli risale al primo decennio del ’600. Trattasi di un estratto di contratto di vendita immobiliare pubblicato nel 1969 dal Dott. Giovan Battista Biondi su “La Comunità di Pomarance” e conservato nell’Archivio di Stato di Firenze al protocollo n° 19887, carta 45 v., atto 93, nel quale il notaio del tempo, Ser Guasparri del fu Francesco Maffii, certificava, in data 16 maggio 1616, che “… il Cavaliere Cristofano Roncalli delle Pomarance fu Giovan Antonio fece prendere possesso dei suoi beni in Pomarance, relitti morendo, il di lui fratello Donato”. Tra le varie proprietà compariva anche la casa, oggetto della nostra ricerca, posta nel castello di Ripomarance in luogo detto Petriccio confinante: “… a 1° Via, 2° Beni dell’eredi di Bernardino Roncalli mediante il Portone, 3° Casa della Pieve di San Gio:Battista, 4° Orto della Pieve, a 5° la casa di Bartolomeo Cercignani e se altri confini vi fossero, con le stanze e le botteghe sotto detta casa…”. L’edificio, attaccato come ancora oggi al Portone della Pieve e ricostruito ex novo nel 1884, presentava anticamente due stanze sovrapposte che pervennero ai Roncalli probabilmente da un livello enfiteutico dato dal Comune di Ripomarance.
Le stanze erano di necessaria comunicazione con l’altra casa di Giovan Antonio Roncalli posta al di là della Porta alla Pieve in luogo detto “Piazzetta alla Chiesa” (attuale Largo Don Morosini).
La “Lira” o “Estimo” del Comune di Ripomarance del 1630, con arroti fino al 1708, conferma l’esistenza di questa unità immobiliare ereditata dai discendenti Roncalli. (2)
La proprietà in quell’anno risulta infatti alla “posta” di Jacopo, Francesco e Guglielmo figli di Cosimo Roncalli.
Cosimo infatti era fratello del pittore Cristofano e figlio anche esso di Giovan Antonio Roncalli. La proprietà è così indicata: “… Una casa in detto castello con più botteghe confinata a 10 Via, 2° Pieve, 3° Orto della Pieve, 4° Mura, 5° Bartolomeo Cercignani, 6° Via … stimata lire milleduecentoquarantacinque…”.
Alcuni anni più tardi l’appartenenza dell’edificio passò al dottor Guglielmo Roncalli ed al fratello prete Francesco Roncalli. Alla morte di prete Francesco, con testamento del maggio 1683, rogato dal Notaio Gio: Antonio Armaleoni, la proprietà dell’immobile fu ereditata, in data 10 maggio 1696, dal Dottor Cristofano Roncalli, “soldato” (Tenente) Giuseppe Roncalli e prete Lorenzo Roncalli del fu Guglielmo suoi eredi e legittimi nipoti.(3) Nei primi anni del XVIII secolo risulta proprietario deH’immobile confinante con la casa della pieve soltanto il dottor Cristofano Roncalli; suo fratello, il tenente Giuseppe Roncalli, era infatti padrone della casa al di là della “Porta alla Pieve” (eredi attuali della Sig.na Federiga Volpi) così descritta nell’estimo del 1716 (4): “… una casa in Petriccio al portone con pozzo a metà con Teodora Ceccherini, confinata a 1° Via, 2° Via, 3° e 4° detta Teodora Ceccherini, 5° Via, 6° Dottor Cristofano Roncalli sopra il Portone stimata scudi 200…”.
La casa del Dottor Cristofano Roncalli fu oggetto di compravendita in data 13 gennaio 1728 (ab Incarnazione 1729). Lo scritto è riportato nell’articolo del Dottor Biondi Giovan Battista già citato.
Il Contratto conservato all’Archivio di Stato di Firenze (Protocollo n° 23922 pag. 169) certifica che il suddetto Dottor Cristofano Roncalli aveva lasciato dopo la sua morte molti debiti e che i suoi creditori erano riusciti a mandare all’asta pubblica tutti i suoi beni.
Il 10 giugno 1727 (1728) i detti beni furono acquistati all’incanto dall’unico offerente, Michele di Cerbone di Michelangelo Vadorini. Dal rogito si apprende che Pietro o Pier Francesco Biondi (1691-1730), figlio di Giovan Antonio Biondi e Costanza di Domenico di Sebastiano del Capitano Pietro Paolo Santucci, diretto antenato dei Biondi (e quindi degli attuali Biondi Bartolini) acquistò dallo stesso Vadorini la casa oggetto della nostra ricerca e cioè: “… Una casa dai fondamenti a tetto, luogo detto Petriccio confinata a 1 ° Via, 2° Sig. Luogotenente Giuseppe Roncalli, 3° la Chiesa arcipretale di San Gio:Battista di detta terra, 4° eredi del quondam Bartolomeo Cercignani et altri….”.
La parte dispositiva del contratto si chiudeva con la seguente clausola: “… il medesimo sig. Pietro Francesco Biondi ha promesso e si è obbligato di lasciar godere e possedere al sig. Luogotenente Giuseppe Roncalli le due stanze di detta casa che sono poste sopra le camere contigue al Portone (di Petriccio), sua vita durante…”.(5)
Nell’estimo del 1716, con arroti fino al 1805 e conservato nell’Archivio della Biblioteca Guarnacci di Volterra, la suddetta proprietà è così indicata: “… Una casa in Petriccio a 1 ° Via, 2° Tenente Giuseppe Roncalli, 3° Casa ed orto della Chiesa, 4° Pasquino Borghetti, 5° Via … stimata scudi 150…”.(6)
In calce è riportata la seguente annotazione: “…a di. 22 giugno 1729; viene detta casa dalla posta di Michele di Cerbone Vadorini, in questo a carta 346, per compra fattane dal sig. Biondi Pietro Francesco per medesimo prezzo di scudi 100; per rogito di Giovan Pietro Biondi (notaio) del di 13 giugno 1728; visto e reso accomodato dal sig. Cancelliere Torquato Mannaioni…”.
La casa aveva un nuovo confinante, Pasquino Borghetti, che altro non era che il marito di Maria Cammilla Cercignani figlia del “quondam” Bartolomeo. Questi infatti possedeva una casa con più stanze con cantina e telaio sotto, in Petriccio confinata a 1° Via, 2° dott. Cristofano Roncalli, 3° orto della Chiesa, 4° mura castellane, 5° e 6° Simone Cercignani del valore di 50 scudi…”.(7)
Dal 22 giugno 1729 i Biondi furono gli unici proprietari di questo immobile. La suddetta famiglia, che è annotata nell’estimo del Comune di Pomarance fin dal XVII secolo, risultava proprietaria di diversi beni nella corte di Ripomarance. Secondo lo storico Don Socrate Isolani pare che essa provenisse dal “Castello della Pietra” nei pressi di San Gimignano e che alcuni suoi membri si fossero stabiliti attorno al XVI secolo nel piccolo castello di San Dalmazio. Giovanni di Giovan Pietro Biondi (1604-1697), annotato nell’estimo del Comune di Pomarance risulta proveniente infatti da San Dalmazio.(8)
Questi aveva comprato, in data 6 ottobre 1675, a Pomarance tutti i beni appartenuti ad Agnolo Sorbi ed a suo fratello Bastiano tra cui una casa posta in Petriccio confinante con lo “Spedale” di San Giovanni. Le proprietà risultano successivamente essere poste a carico di suo figlio Giovanni Antonio (1670-1730).
Il di lui figlio, Pietro Francesco Biondi (1671-1730) fu l’autore dell’acquisto dell’antico palazzo appartenuto ai Roncalli che, come già descritto, fu comprato all’asta dai Vadorini e poi successivamente rivenduto al Biondi nel 1728 (1729).
Il dottor Pietro Francesco Biondi sposandosi con … dette la nascita a tre figli: Pompeo, Francesco (Michelangelo) e Giuseppe (Maria). Rimasti orfani in tenera età, per la precoce morte del padre, ereditarono tutti i beni del nonno Giovan Antonio per atto di testamento datato 22 agosto
1734; alla presenza del sig. Tenente Pier Giuseppe Biondi, uno dei tutori e provveditori. Tra i vari possedimenti risulta anche la casa confinante con la Chiesa, oggetto della nostra indagine. In data 13 agosto 1743 venne cancellato dalla “posta” dei beni dei fratelli Biondi il sig. Pompeo “… stante la divisione e cessione fatta a detti fratelli, come appare per contratto rogato dal Notaio Antonio Nicola Tabarrini…”.(9)
I due fratelli, Francesco e Giuseppe, rimasti unici proprietari della casa posta lungo la via di Petriccio accanto alla porta “alla Pieve”, nel 1760 ricomprarono una piccola stanza “posta nello stasso palazzo di loro dimora”, che era stata venduta molti anni prima a certo Giovan Maria Funaioli per scudi 10.
La riacquisizione della suddetta stanza ad opera di Giuseppe e Francesco Biondi è confermata oltre che nell’estimo del XVIII secolo, anche da un contratto conservato nell’archivio privato della famiglia Biondi Bartolini.(IO) Dal rogito si apprende quanto segue: “…adì 30 maggio 1760 … Qualmente dal già Sig. Pietro Francesco Biondi delle Pomarance fu venduta una stanza a terreno a Francesco e Andrea, fratelli e figli del già Giovan Maria Funaioli di detto luogo … qual stanza è contigua alla casa di proprietà di abitazione di detto signor venditore; luogo detto Petriccio, confinante a 1° Via, 2° Signori Biondi, 3° Portone detto di Petriccio … come per contratto rogato dal Dott. Bernardino Cercignani … ed avendo adesso convenuto e stabilito che il detto padrone di detta stanza, rilasci e conceda la suddetta stanza alli Signori Francesco e Giuseppe Biondi del prefato Sig. Pietro Francesco Biondi…”.
In un documento successivo del 1779, tratto daH’Archivio Storico di Pomarance, la suddetta casa viene citata come appartenente allo stesso Giuseppe Biondi, gonfaloniere in quegli anni nel Comune delle Pomarance. In una descrizione di “Strade e Fabbriche della Comunità di Pomarance” dello stesso anno infatti, si annotava che dalla via di Petriccio si staccava una piccola via denominata “Dietro il canto”, la quale iniziava: “dalla cantonata del Sig. Giuseppe Biondi a mano dritta, et a sinistra dalla casa del Sig. Cancelliere Incontri, con direzione levante…”.(11)
Nello stesso anno i due fratelli Biondi facevano istanza al Comune delle Pomarance per poter sbassare una torre delle vecchie mura castellane che impediva luce necessaria alla loro abitazione: “… di poi letta un’istanza dei Sig.ri Dottori Giuseppe e fratello (Francesco) Biondi colla quale domandano di poter sbassare alcune parti di braccia della torre esistente lungo le mura castellane, luogo detto il Tavone, per acquistare l’aria della casa di loro abitazione… Deliberarono perciò di quanto spetta, ed è facoltà del Magistrato loro, accordarsi il mandato stesso… ‘>(12)
È ipotizzabile che la suddetta torre posta in località Tavone, altro non fosse che la torre circolare (attualmente conosciuta come “dei Biondi Bartolini”) ubicata nel giardino degli stessi Biondi Bartolini dietro Via dei Fossi.
Un’altra notizia storica del palazzo risale al 1783, quando il sig. Giuseppe Biondi faceva domanda al comune delle Pomarance che: “… gli fosse accordata licenza di fare tre paloni per l’ingresso ad una bottega da esso fatta ai pié della casa di sua abitazione, quale rimane troppo alta dal piano della strada…”.(13)
Attorno al 1785 il fratello Francesco Biondi lasciava la casa paterna per formarne una propria. Il 15 settembre infatti faceva domanda alle Magistrature del Comune di Pomarance “… di assere ammesso al godimento dei Priori della Comunità così come ha goduto e gode la sua casa paterna del Gonfalonierato, e Operaio per formare distinta famiglia dagli altri suoi fratelli (Giuseppe e Pompeo)”.(14) Francesco Biondi si stabilì con la propria famiglia nel palazzo posto sulla via di “Borgo” (oggi Roncalli) nel palazzo attualmente conosciuto come “dei Ricci”. Nella divisione patrimoniale dei tre fratelli anche il “prete” Pompeo fu liquidato con una retta annuale sul capitale di famiglia; rimase unico possessore dell’immobile il Dottor Giuseppe che morì nell’anno 1799. Con voltura n° 11 e n° 30 dello stesso anno ed una voltura (n° 9) del 1803 la proprietà della casa posta “in Petriccio” e confinante con la casa ed orto della chiesa, fu ereditata dai suoi tre figli; Dottor Giovan Battista (1756-1826), Tommaso ed Isidoro.(15)
La tutela del patrimonio fu affidata al fratello maggiore Giovan Battista Biondi che fu anche il promotore della ristrutturazione del palazzo “Biondi”, così come ci è pervenuto oggi.
La notizia è del 24 maggio 1800; trattasi di una istanza presentata al Comune delle Pomarance dal Dottor Capitano Giovan Battista Biondi ”… colla quale domanda accordarseli la facoltà di poter porre l’antenne (paloni per impalcature) o quanto altro occorra nella necessità in cui si trova di dover rifondare le muraglie di sua abitazione posta in Petriccio e domanda di poter occupare lungo le muraglie di essa casa un terzo di suolo di strada e piazzetta di Petriccio col pagare alla comunità l’occorrente…”.(16)
La conferma di questa ristrutturazione agli albori dell’ottocento è data anche da un documento conservato nell’archivio Biondi Bartolini che tratta di una ricevuta di pagamento ad una “maestranza” originaria di Firenze e lavorante in Pomarance: “… Adì 9 settembre 1802… lo Pasquale Bitossi ho ricevuto dal Sig. Capitano Giovan Battista Biondi la somma di lire 80 tanti sono per opere fatte in sua casa, e mi chiamo contento e soddisfatto in tutto per lire ottanta…”.
La riedificazione comportò anche l’ampliamento dell’edificio al di là delle vecchie mura castellane, sul versante dell’orto della chiesa di Pomarance. “Suolo canonicale” concesso a livello enfiteutico alla famiglia Biondi, dal parroco Saverio Pandolfini che consentì l’allineamento dell’edificio stesso verso la proprietà dell’orto della famiglia Biondi. Questa notizia è certificata da un atto di divisione patrimoniale del 1804 tra i fratelli Biondi e conservato nell’archivio di famiglia: “… essendo che fino dall’anno 1804 l’illustrissimo Vicario, Dottor Tommaso Biondi del già sig. Giuseppe (Antonio) Biondi di Pomarance, entrasse in determinazione di provvedere alla divisione
del patrimonio sostante e i beni che riteneva in comune gli III.mi signori, Capitano Giovan Battista e Isidoro di detto già Sig. Giuseppe Antonio Biondi di detto luogo, di lui fratelli, ad essi pervenuti in eredità paterna e materna, quanto per eredità del defunto Sig. Dottor Francesco Biondi comune zio…”.
Nella descrizione dei beni in divisione è annotata anche: “… la casa di abitazione di loro stessi dividendi, posta in detta terra di Pomarance nella contrada di Petriccio, assieme colla nuova aggiunta eretta sul suolo ortale della chiesa di detto luogo con tutte le sue adiacenze e pertinenze…”.(17)
Anche se non sono stati ritrovati documenti concernenti il contratto di livello enfiteutico per l’occupazione del suolo ortale della chiesa, la stessa concessione enfiteutica è testimoniata in una relazione della metà del XIX secolo sulle proprietà dei Biondi Bartolini nel quale l’edificio è descritto: ”… composto di tre piani da terra a tetto il tutto per la più gran parte di libera proprietà, ma per piccola parte “livello” della Propositura di Pomarance
In quegli anni vennero dipinte e decorate le stanze ed i soffitti del “piano nobiliare” in cui furono raffigurati, in stile Imperiale, vedute paesaggistiche di notevoli dimensioni tra le quali è di notevole interesse un paesaggio del castello di Pomarance (fine XVIII secolo) visto dalla zona di Piuvico o Cappella di San Carlino.(18) Giovan Battista ed Isidoro, rimasti unici proprietari del patrimonio di famiglia, in data 30 novembre 1813 addivennero ad una nuova divisione dei loro beni tra cui figuravano alcuni possedimenti ereditati dallo zio paterno, Francesco Biondi.
Nell’atto notarile conservato tra i documenti di famiglia Biondi Bartolini è indicata anche “… la metà della casa di abitazione degli antedetti condividendi posta nella terra di Pomarance, contrada di Petriccio, confinata a 10 strada pubblica, 2° Bartolomeo Fedeli, 3° casa canonicale, 4° orto annesso a detta casa canonicale, 5° stanze dell’Opera, 6° Annibaie Vadorini con orto e casa e torna a detta via, dentro qual confini restano compresi il terrazzo ed orto uniti a detta casa dei condividendi che vien formata dalle fabbriche urbane descritte in faccia dei medesimi condividendi a carta 198 e 296 di detto estimo di Pomarance, stimata scudi 1000; qui per metà scudi 500…”.
Successivamente la casa pervenne al Capitano Giovan Battista Biondi che morì nel 1826. Questi lasciò eredi dei propri possedimenti i suoi tre figli: Giuseppe, Pietro e Jacopo che risultano proprietari, al Catasto Generale della Toscana (1830), deH’immobile posto in Petriccio e descritto alla particella catastale n° 316 e 315 (cioè abitazione e orto).
In una successiva divisione patrimoniale tra gli stessi fratelli Biondi, figli di Giovan Battista, le proprietà pervennero (30 aprile 1837) al fratello maggiore Giuseppe; gli altri, Jacopo e Pietro furono liquidati con una cospicua somma di danaro (8000 scudi ciascuno) ed una rendita annuale sui fruttati di interesse sul capitale di famiglia. Jacopo si trasferì a Montalcino dedicandosi alla sua tenuta vinicola e producendo il famoso “Brunello di Montalcino”.
L’avvocato Pietro sposando Domira Vadolini dette luogo al ramo dei Biondi da cui discendono il dottor P.G. Biondi ed i suoi figli, Notaio Giovan Battista e Andrea Biondi della Sdriscia.
Il dottor Giuseppe Biondi sposando nel 1830 Donna Violante Bartolini, del Gonfaloniere Bartolino Bartolini e Guglielma Tabarrini, con decreto del 26 febbraio 1830, aggiunse al proprio cognome quello della moglie dal quale è derivata l’attuale famiglia “Biondi Bartolini”, proprietari ancora oggi dell’ornonimo palazzo situato in Piazza de Larderei.
Alla morte del dottor Giuseppe Biondi Bartolini, avvenuta nel 1863, gli succedettero nella tenuta del patrimonio immobiliare i suoi figli Bartolino e Giovanni.
In quell’anno infatti, e precisamente il 22 maggio, fu stilata una relazione dettagliata del “patrimonio” Biondi Bartolini, dell’Ing. Lorenzo Chiostri che è ben conservata nell’archivio di famiglia. Nel manoscritto di stima dei beni Biondi Bartolini è descritto con minuzia il “palazzo nobiliare” dai fondi al tetto, il valore degli arredi che adornavano le varie stanze: “… Patrimonio lasciato dal Nobil Uomo dott. Giuseppe Biondi Bartolini al 22 maggio 1863… Un palazzo con orto annesso situato in comunità di Pomarance eprecisamente nel paese di tal nome in corrispondenza della nuova Piazza de Larderei, e della via maestra che ne fa, seguito procedendo verso il centro del paese, composto di tre piani da terra a tetto, il tutto per la più gran parte di libera proprietà, ma per piccola parte livello della propositura di Pomarance; di superficie tutto compreso orto e palazzo, braccia 1457 equivalente a mq. 496 e così confinato: a 1 ° Piazza de Lardarel, 2° Via, un tempo detta di Petriccio, 3° Via Mascagni, 4°, 5°, 6°, 7°, 8°, Propositura di Pomarance con fabbricato ed orto, 9°, 10°, 11°, 12°, 13°, Sig. Vadorini Giuseppe con orto e casa. Annesso a detto palazzo sta una terrazza a livello del terzo piano, costruita sopra un’antica porta del paese, il cui arco da un lato appoggia al palazzo Biondi Bartolini e dall’altro alla casa dei fratelli Bongi… Il piano terreno del suddetto palazzo è composto, come appresso: una piccola bottega con unico ingresso dall’esterno, un corridoio corrispondente alla porta principale di ingresso… Il descritto palazzo offre stabilità nelle sue mura, comodità nelle sue stanze ed eleganza specialmente in quelle del primo piano… Fra queste meritano speciale considerazione la sala ed il salotto da ricevere per le belle pittura che adornano le pareti; ma il pavimento a smalto lustrato e figurato a disegno con pietra di vari colori che presenta la sala, accrescono alla sala stessa un pregio, che la parifica alle sale dei palazzi signorili delle città… Le finestre del piano terreno sono guarnite di inferriate esternamente e di serramento a due imposte di cristalli e scurini internamente. Quelle del piano superiore sono provvedute d’imposte a cristalli e scurini e di persiane; quelle del primo piano a tetto hanno semplicemente le imposte a cristalli e scurini… Al piantario del nuovo estimo della Comunità di Pomarance il suddetto palazzo con orto è figurato dalle particelle n° 315 e 316 della sezione C accese a conto di Biondi Bartolini Bartolino e Giovanni del dottor Giuseppe…”.
Nella relazione dettagliata è annotato che manca il documento del livello corrisposto alla Canonica per l’occupazione del suolo destinato alTampliamento dell’edificio avvenuto agli inizi dell’ottocento e che comportava una spesa annua di lire 45,20.
Nel periodo tra il 1863 ed il 1868 Bartolino e Giovanni ampliarono i possedimenti immobiliari nelle immediate adiacenze della loro abitazione. Infatti in una relazione sul “patrimonio attivo e passivo” dei fratelli Bartolini e Giovanni del 22 maggio 1863, confrontato con quello del 10 novembre 1868 risulta, nella voce “acquisti di immobili” un pagamento a Giuseppe Vadorini per “vitalizio di lui casa”, di lire 552. Egli infatti cedette i propri possedimenti (particelle 315 e 314 del Catasto Leopoldino) in cambio di una rendita vitalizia. Nell’acquisto come si può osservare dalla planimetria catastale (1823-1898) era compresa anche la torre cilindrica o “baluardo” detta del “Tavo- ne” ed un appezzamento di terreno lungo la via “dei Fossi”.(19)
Dopo la morte del cavalier Bartolino Biondi Bartolini avvenuta il 28 giugno 1900 le proprietà rurali nonché la casa paterna pervennero, con testamento registrato a Volterra il 20 dicembre 1900, al fratello Giovanni Biondi Bartolini (1838-1904). Da questi, per discendenza diretta fu ereditata dal di lui figlio Giulio (1877-1918) dal quale sono pervenute all’attuale Giovanni Biondi Bartolini.
Jader Spinelli
NOTE:
- Archivio di Stato di Pisa; Planimetria catastale della Toscana (Catasto Leopoldino); Ufficio fiumi e fossi: Comunità di Pomarance Sez. C n° 2; Scala 1: 1250; 6 maggio 1823.
- Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 430 (estimo 1630) c. 115 r.
- Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 430 (estimo 1630) c. 289 v.
- Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 432 (estimo 1716) c. 2 r.
- Dott. Giovan Battista Biondi: “La famiglia Roncalli a Pomarance” in La Comunità di Pomarance 1969.
- Biblioteca Guarnacci Volterra, estimo 1716 c. 198 r.
- Biblioteca Guarnacci Volterra, estimo 1716 c. 206 r.
- Archivio Storico Comunale Pomarance F. 378.
- Biblioteca Guarnacci Volterra; estimo 1716 c. 195 r., v.
- Archivio Biondi Bartolini (non catalogato)
- Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 378. Il vicolo “Dietro il Canto”, come è possibile osservare dalla piantina catastale del 1823, lambiva il palazzo Biondi (attuale Biondi Bartolini) indicato alla particella catastale 316 e il palazzo del Can.re Incontri (part. 448); poi del Panicacci, che era quel grande edificio posto nel centro dell’attuale Piazza de Lardarel. Edificio distrutto a carico e spese del Conte de Larderei nel 1860 al quale fu dedicata l’omonima piazza.
- Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 126 c. 123 v.
- Archivio Storico Comunale di Pomarance F.127 c. 30 v.
- Archivio Storico Comunale di Pomarance F.127 c. 97 r.
- Biblioteca Guarnacci Volterra, estimo 1716 c. 195 r.
- Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 130 c. 13 (1800).
- Archivio Biondi Bartolini. Da alcune notizie orali del Sovrintendente ai monumenti P.G. Biondi, riportatimi dallo storico Don Mario Bocci, pare che durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio, fossero state rinvenute diverse tombe etrusche anche del periodo arcaico. Ne è testimonianza nelle vicinanze una tomba a quattro celle sotto la Canonica databile attorno al IV secolo A.C.
- Gli affreschi che si trovano dipinti sui soffitti delle stanze nobiliari e soprattutto le grandi pitture murali delle sale da ricevimento sono molto simili, per tecnica e soggetto, a quelle dell’ex Palazzo Ricci, già dei Biondi nel 1800. La parentela che esisteva tra i proprietari dei due palazzi favorì certamente una commissione agli stessi decoratori e pittori per gli abbellimenti interni. Il Palazzo ex Ricci, attualmente di proprietà comunale, fu di proprietà di Francesco Biondi, fratello di Giuseppe che vi andò ad abitare dopo il 1785 quando formò un proprio nucleo familiare. Attorno al 1826 questo immobile era assegnato ai fratelli Giovan Carlo e Luigi Biondi del fu Francesco Biondi. In una delle sale affrescate di questo palazzo, utilizzata impropriamente come ambulatorio U.S.L., è impressa una data molto importante per datare l’esecuzione di questi affreschi e quelli conservati in palazzo Biondi Bartolini. Questa è scritta in numeri romani sopra un caminetto incassato nel muro e riporta l’anno 1810.
- Con la costruzione della nuova Piazza de Larderei nel 1860, l’immobile dei Biondi Bartolini accatastato con la particella 316 aveva l’entrata principale indicata al numero civico 44; secondo il “Registro dei possessori di fabbricati” del 1878 e del 1889 il suo valore era di lire 168, 75.
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
LA CROCE DEL BIBBIANI
Circa un anno fa, tramite il libro “IL FORMICAIO” edito da “IL GABBIANO” di Livorno, conoscemmo attraverso i suoi racconti la signora Vittorina Bibbiani in Salvestrini e la sua famiglia. Erano andati via da Pomarance durante gli anni venti e, meno che gli intimi, nessuno aveva più avuto rapporti con loro. La famiglia Bibbiani, di pura razza contadina, di quei contadini cresciuti con la zappa in mano e senza arnesi meccanici, era vissuta al podere “FORMICAIO” sito ad un chilometro dal paese lungo la provinciale per Larderello. I Bibbiani con tanto sudore ed altrettanta volontà riuscivano a malapena a far fruttare il sassoso terreno, e dai racconti del libro si può ben comprendere quali siano stati i sacrifici per far sì che da un piccolo poderetto potessero uscirne, non uno, ma due diplomati. Giustamente Aurelio, il fratello della scrittrice, Ragioniere e Perito commerciale, mi ha posto in evidenza un interessante articolo uscito su La Nazione ad opera di Marzio Barbagli, docente di Sociologia all’università di Bologna. In esso si rimarca che in quegli anni soltanto lo 0,4% dei contadini riusciva a perseguire un diploma, un numero esiguo, come si può notare, ma fra questi vi era anche quello di Aurelio, che poi, per suo merito, aggiungeva anche quello della sorella Vittorina con il diploma di Maestra Elementare. Una rarità potremmo definirla, tanto più da apprezzare in quanto questi due pomarancini hanno, come si suol dire, tirato fuori frutti proprio dalla zolla.
lo personalmente ho conosciuto questi signori nell’occasione della presentazione del libro “IL FORMICAIO” a Rosignano Marittimo il 18 ottobre 1987, tuttavia erano ancora sconosciuti alla maggior parte dei pomarancini e soltanto con la divulgazione di questo libro essi si sono resi noti ed apprezzati. Ma la signora Bibbiani, in una visita al paese natio, espresse il desiderio di rivedere il vecchio podere ed in compagnia della sua amica Emma, si recò al Formicaio. Con gran meraviglia constatò che la Croce, la famosa Croce, menzionata nei suoi racconti, non era più al suo posto, non indicava più il vialetto che conduceva al suo podere. Ne fu rammaricata, e lì per lì, si propose di far tutto il possibile per ricollocare questo segno di cristianità in loco. Carta, penna e destrezza nello scrivere, si mise subito all’opera e, prima al Parroco, poi al Vescovo, all’ANAS (visto che oggi la strada non è più Provinciale ma è la Statale 439 SARZANESE VALDERA), poi alle autorità, al proprietario del terreno (oggi Fedeli). Un’infinità di lettere, che messe insieme cominciavano a concretizzare il suo sogno. Anch’io ne ero partecipe, perchè dopo la nostra conoscenza ero tenuto al corrente dell’evolversi dei fatti e delle difficoltà che continuamente si frapponevano al raggiungimento dello scopo. Dopo non poca fatica e tanta perseveranza finalmente i suoi scritti cominciavano a fruttare ed i permessi furono quasi tutti nelle mani della signora Bibbiani che tornò a Pomarance ed ordinò la Croce al falegname. Egli prese l’impegno di costruirla ma non quello di procurare il legno adatto e come lo voleva ed esigeva la signora, così questa interpellò la Guardia Forestale, il cui Maresciallo sig. Visci Vittorio riuscì a procurarglielo proprio come lo desiderava.
Fu scelto il posto giusto dove collocarla, in modo da non ostacolare il traffico e la visibilità a chi percorreva questa Statale.
Finalmente il 24 settembre 1988, in uno splendido pomeriggio autunnale, la fatidica Croce, dopo una suggestiva cerimonia officiata dal Proposto don Piero Burlacchini, ed al canto delle vecchie lodi sacre usate per le rogazioni, in lingua latina, venne issata in un cippo predisposto dopo essere stata benedetta e baciata dai fedeli. La signora Bibbiani ringraziò caldamente quantil’avevano aiutata per raggiungere la meta prefissa e tutti i presenti alla cerimonia (un centinaio di persone) tra cui il Sindaco Renato Frosali, il Maresciallo Visci, il Presidente dell’Associazione Turistica, le sue colleghe maestre, il fratello sig. Aurelio, la sorella Maria, il figlio con i nipoti. I giovani nipoti consegnarono un cartoncino con effigiata la Croce già
pubblicata sul libro “IL FORMICAIO’’. Così la signora Bibbiani prima con il libro ed oggi con la Croce è tornata celebre nella sua terra e come lei i suoi familiari. Terminate le funzioni religiose il gruppo dei presenti, dietro invito della signora, si è recato presso il Circolo ACLI dove è stato offerto un ricco rinfresco.
A questa piccola, ma grande maestra vada, a nome mio e della Redazione di questa Rivista, un augurio di prosperità ed un grazie per aver ripristinato un simbolo di religiosità che, senza la sua tenacia, sarebbe rimasto soltanto nel ricordo di pochi.
La CROCE DEL BIBBIANI come la ricorda Vittoria Silvestrini nel suo libro “IL FORMICAIO”: Posta sulla via Provinciale, all’imbocco della stradetta della nostra casa, era il punto di riferimento per chi ci cercava. Fatta di due grossi tronchi incastrati, aveva in alto una tavoletta con la sibillina scritta “I.N.R.I. ” e all’altezza dei piedi un ceppo con un grosso chiodo. Mi rivedevo piccolina abbracciata a quella Croce; risento sulle labbra il contatto di quel chiodo bollente d’estate, marmato in inverno, e l’odore agrodolce del catrame! Quanti fiori campestri ho messo sul piedistallo, sul chiodo, sulle braccia di quella Croce!
Ma la festa era per le Rogazioni, molti bambini di città non sanno nemmeno cosa sono le Rogazioni, cioè le processioni che si fanno nelle campagne, per tre giorni di seguito, prima dell’Ascensione, per impetrare dal Signore un buon raccolto.
…La nostra casa distava dalla via maestra un tiro di schioppo e vi si perveniva mediante una stradella sassosa, fiancheggiata da pergole di viti. All’imbocco, nera e solenne, su un piedistallo di pietra, troneggiava la Croce, la Croce del Bibbiani, la nostra Croce.
Qui si fermavano ogni giorno i postini per prendere il latte; qui arrivavano le signore del paese durante la passeggiata vespertina, qui veniva il Proposto per le Rogazioni; di qui passavano gli operai delle miniere e di Larderello, i barrocciai, le persone che si recavano alla chiesa, i contadini che si recavano alle fattorie, le lente carovane dei muli quasi sepolti sotto le enormi some di carbone (e attaccato alla coda dell’utlimo, il mulattiere dal volto nero e dai denti bianchi come un negro).
…La Croce era come un balcone per noi ragazzi…
…Dalla via maestra ho visto passare le prime biciclette, le prime automobili… …Nel tardo pomeriggio dei giorni feriali passavano le donne del paese che tornavano da far legna, dalle macchie lontane chilometri e chilometri. La portavano in testa, senza reggerla, in enormi fastelli a forma di sigaro. Incedevano lente, sotto il grave peso, con la calza in mano ed il ventre gonfio per l’ennesima maternità.
Vi passavano, mattina e sera, gli irrequieti operai delle miniere, che discutevano, bestemmiando, di salari, di partiti, di scioperi, o cantavano “Bandiera Rossa” e …
Ricordi più recenti li rivivo anch’io: la Croce del Bibbiani dei miei tempi. Mi rivedo quando, da ragazzo, in compagnia di mia madre mi recavo alla Croce del Bibbiani o Croce di Nebbia, o addirittura, per i più vecchi, alla Croce di Parrucca.
Ricordo quando si arrivava agli olmi, località tra il piccolo boschetto di querciole che demarcava i confini tra il terreno del Formicaio e quelli del Valentini, una fila di vecchi olmi (una decina) che costeggiando la strada maestra arrivavano all’incrocio per le Peschiere. La strada in quel punto era in semicurva e dopo pochi passi si scopriva il podere. La Croce, che per l’occasione era resa vistosa dagli innumerevoli e variopinti fiori di campo, spiccava in lontananza e, mentre la processione dei fedeli si avviava pian piano, noi ragazzi si scappava avanti a precedere il gruppo. Il traffico automobilistico era esiguo ed il pericolo era limitato, così i genitori ci lasciavano correre per quel breve tratto.
Gli anni passarono e si arrivò al periodo bellico, al passaggio del fronte. In quelle vicinanze, durante un mitragliamento, fu ucciso un soldato tedesco e mani pietose scavarono una fossa ai piedi della vecchia Croce e seppellirono questo militare. Un cumulo di terra restò per vario tempo visibile ad indicarne la sepoltura poi, a guerra finita, tutte le tombe segnalate furono riesumate e raccolte in un quadro del cimitero di Pomarance riservato a questi soldati.
Passarono ancora degli anni, ed io, come tanti altri mi recavo a lavoro a Larderello: erano i primi anni del dopoguerra ed il mezzo di locomozione più usato era la bicicletta. Ricordo che una mattina di piena estate, erano le 3 e 30 ed ero solo per recarmi al primo turno che iniziava alle 5, arrivato agli olmi vidi nel buio ed al flebile riflesso del mio fanale, una fiammella che si muoveva in prossimità della Croce, pensai a qualcuno che si era fermato ad accendere una sigaretta, ma più mi avvicinavo e più mi rendevo conto che attorno a questa fiaccola non c’era nessuno. Ebbi paura e cominciai a pedalare con più intensità arrivando cosi al Formicaio a velocità sostenuta e passando davanti più svelto possibile. Dopo, passata la Pieve Vecchia, mi girai indietro e vidi che la fiammella era proprio dietro di me e mi stava seguendo; accelerai ancora sempre più sino alla discesa di Mona e questa mi seguiva ancora, finalmente arrivato alla Croce del Bufera essa scomparve per la strada di San Dalmazio.
Avevo 17 anni ed ero anche pauroso, poi solo e a quell’ora mi presi un bello spavento. Arrivato sul luogo di lavoro raccontai l’accaduto e dai più anziani fui anche deriso; “Ma era un fuoco fatuo” mi disse uno di loro, poi tutti insieme mi spiegarono che era gas che si sprigionava dalla terra dove probabilmente vi era stato seppellito qualche animale, (ed io allora ricordai chi vi fosse stato sepolto) con la calura del giorno questi gas si incendiano e durante la notte possono essere visti.
La mia è una piccola avventura, ma può coprire il vuoto che si frapponeva fra il tempo delle vecchie Rogazioni ed i nostri tempi.
Giorgio
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
Parco della rimembranza
ONORIAMO I NOSTRI EROICI COMBATTENTI
Con il Bollettino di Guerra n° 1268 delle ore 12 del 4 novembre 1918 diramato dal Comando Supremo con firma Armando Diaz, si dichiarava: LA GUERRA E’ FINITA CON LA VITTORIA DELL’ITALIA.
Questa guerra denominata Guerra Mondiale, dopo lotte asprissime sostenute con tenace valore dalle nostre truppe per quarantuno mesi con inizio il 24 maggio 1915, cessava le ostilità.
Una guerra combattuta alacremente sul terreno aspro delle Alpi Carsiche che ad ogni inverno si accaniva sempre più, dove migliaia di giovani erano rimasti sul terreno insanguinato.
Centinaia di reggimenti dislocati nelle varie zone e nei vari settori con mostrine di colore disuguale ad indicarne il corpo di appartenenza. Tutti, a loro modo, Alpini, Genieri, Artiglieri, Fanti, Bersaglieri, Cavalleggeri, (ed alle prime esperienze) l’Autocentro e l’Avia- zione, dislocati su Km. di fronte, con la Marina sulle coste di Trieste e Monfal- cone. I pezzi di artiglieria, i grossi semoventi, dovevano esser portati sulle irte cime con dislocazioni precarie e mancanti di strade di accesso. Fu tramite trincee e mulattiere che le artiglierie, smontate nel limite del possibile, poterono essere portate ad elevate quote e posizionate a rilevanti altezze da permettere lo sparo. Centinaia di questi giovani, spesso con imboscate, con attacchi improvvisi rimanevano sul terreno conteso.
Dopo la data del 4 novembre si attendeva con ansiosità il ritorno di questi militari, di questi ragazzi che erano stati mandati sul confine alpino a difesa del nostro stivale.
Gli italiani erano in delirio per questa vittoria, gli Ufficiali, i soldati stessi erano soddisfatti del loro operato e del loro sacrificio.
Chi era ad attenderli aveva riserbato per loro le più belle manifestazioni di simpatia e di compiacimento. Suoni di campane, di fanfare, ricevimenti civili e funzioni religiose. Incontri con fiori e baci offerti da belle ragazze. Era insomma il momento riservato a questi eroi che ogni giorno con tradotte venivano riportati alle loro località, alle loro case.
Purtroppo non fu per tutti così; infatti nei giorni a seguire cominciarono a giungere non più uomini, ma telegrammi con nomi che andavano ad accrescere il numero delle liste dei soldati che non sarebbero più tornati. Dopo mesi i conteggi terminarono, lasciando il posto a numeri che si assommarono per poter essere interpretati:
600.000 Caduti
1.000.000 Feriti 500.000 Mutilati
Molte le madri straziate dal dolore accompagnate dalle giovani spose e dagli orfani che magari non avevano nemmeno conosciuto il loro padre.
Più il tempo passava più ci si accorgeva del vuoto lasciato dalla loro mancanza.
Chi aveva le responsabilità cominciava a sentirne sempre più le colpe.
Si arrivò agli anni venti. Promossi dalla Casa Regnante e dal nascente Partito, si istituirono comitati per l’esecuzione di monumenti che a seconda delle località si rendevano più o meno consistenti. Roma, che era la capitale, mise a disposizione il VITTORIANO: il monumento dedicato a Vittorio Emanuele Il e da poco terminato (1885- 1911). Così alla base della statua equestre del Re venne messa la salma di un soldato ignoto come simbolo da cui poi questo prese il nome. Il monumento detto Altare della Patria, dopo la grande scalea vista da Piazza Venezia, mostra una fiaccola perenne protetta quotidianamente da due soldati che vi montano la guardia. Tutta l’Italia si impegnò a seguire questo esempio e, dalle grandi città fino ai piccoli paesi e alle più sperdute borgate, si cercò con qualsiasi forma e con ogni mezzo di glorificare il sacrificio dei soldati che vi avevano abitato.
Anche Pomarance si prodigò per questa realizzazione e ne dette incarico ad un apposito Comitato presieduto prima dal sig. Aurelio Funaioli e poi dal sostituto e nuovo eletto Sindaco, sig. Onorato Biondi, nonché dai sottoelencati sigg. NASTI Gennaro, BICOCCHI Dott. Michele, BALSINI Don Carlo Proposto, FILIPPI Zeffiro, CERCIGNANI Ivo, BIONDI Dott. Pietro Giuseppe, VOLPI Gino (BIAGINI Egisto, LAZZERI Giuseppina, GUASCONI Giovanna, BARACHINO Eda, CANCELLIERI Giuseppina, tutte facenti parte del corpo Insegnanti). Fino dai primi mesi del 1923, aderendo alle istruzioni superiori delle Autorità Didattiche, iniziarono le sottoscrizioni. Non poche furono, come sempre succede quando c’è da tirar fuori i soldi, le polemiche e le reazioni.
L’incarico del progetto andò al Prof. Architetto Francesco NOTARI di Siena, insegnante presso le classi di Belle Arti e Professore di disegno architettonico.
La base del monumento con i medaglioni di Luigi Bonucci |
Sempre su interessamento del Prof. Notari furono presi accordi con lo scalpellino GARFAGNINI Quintilio di Pomarance che prese l’impegno della fornitura di pietrame tufaceo da prelevarsi dalle Cave delle Valli.
Per l’esecuzione dei lavori d’arte fu dato incarico a tal BANCHINI Oscar, livornese dimorante a Siena, coadiuvato dai Sigg. SARTINI Ugenio e Onofrio e da BACCONI Orazio e figlio di Rapo- lano. Mentre le colonne, tre di un sol pezzo e della lunghezza di tre metri e mezzo, più alcuni lavori d’arte, vennero eseguiti dai fratelli Luigi e Quintilio GARFAGNINI.
I lavori di fusione dei medaglioni da applicare sul dado di base e dell’aquila da apporre sulla guglia, furono affidati allo scultore BONUCCI (Falugi) di Pomarance.
Iniziò così l’approntamento dei basamenti che vennero eseguiti dove era stata la Cappella Mortuaria di San Rocco (demolita il 16 maggio 1872), sita nel terreno di proprietà della Chiesa Parrocchiale. Nel sottostante terreno i componenti della Sezione Combattenti, stavano allestendo il PARCO DELLA RIMEMBRANZA con tutti i dovuti riguardi di tutti i commilitoni mancanti all’appello.
Mentre il Monumento era arrivato al montaggio del dado di base, nel centro di questo, in un vuoto appositamente creato, venne inserita una pergamena racchiusa in una bottiglia di vetro bleu portante la seguente iscrizione:
CIVIUM PRO PATRIA
BELLO INTER NATIONES GESTO CADUCORUM
POSTERITATI AD MEMORIAM PRODENDAM
POPULUS RIPOMARANCIUS
PRIMARIUM HUIUS MONUMENTI LAPIDEM
VICTORIO EMANUELE III
DEI GRATIA ITALORUM REGE
HONORATO JOANNES BAPTISTAE VINCENTI BIONDI
SINDICO
ANNO REPARATAE SALUTIS MCMXXVI
POSUIT
(Petrus Joseph Joannis Baptistae Petri Biondi Nob. Voi. Doct. Hanc Memoriam Dictavit).
Fu un lavoro assai lungo, sia per il reperimento dei fondi sia per la manodopera interessata; l’approntamento dei giardinetti che attorniavano in simmetriche aiuole il monumento, venivano con amore preparate e curate dal combattente Leontino DELL’OMO che rimase custode sino alle sue possibilità.
Pian piano tutto prendeva forma, furono piantati i 79 cipressi in egual numero dei soldati non tornati a casa e ad ogni gambo fu posta una targhetta metallica smaltata con inciso il nome di un caduto. A questo punto ritengo doveroso ricordare con un elenco i nomi di questi Eroi:
BALDESCHI Nello. BALDESCHI Luigi, BALDINI Antonio, BARGELLI Armindo, BARGELLI Francesco. BAR- TALONI Pietro, BENUCCI Quintilio, BIANCHI Natale, BIANCHI Dante, BIANCHI Giuseppe, BIBBIANI Luigi. BICCHIELLI Arturo, BIONDI BARTOLI- Nl Giulio, BOCCI Giulio, BUCALOSSI Virgilio. BUCALOSSI Gino, BUFALINI Ugo, BURCHIANTI Igino, BURCHIANTI Dante, CALAMASSI Giuseppe, CALVA- Nl Giuseppe, CIGNI Arturo, CIPRIANI Tersilio, CORBOLINI Armando, COSTAGLI Mario, COSTAGLI Ulderigo, COSTAGLI Leontino, COSTAGLI Primo, DELL’OMO Igino, DELL’OMO Primo, FABIANI Giuseppe, FABIANI Tersilio, FEDELI Angiolo, FILIPPI Antonio, FORNARI Alessandro, FRANCHI Sabatino, FRIZZI Alvino, FRIZZI Enzo, GARFAGNINI Giovanni, GAZZARRI Tersilio, GAZZARRI Balduino, GAZZARRI Amedeo, GAZZARRI Amerigo, GONNELLI Fidalmino, GREMIGNI Tersilio, GREMIGNI Eugenio, GUERRIERI Rizzieri, LESSI Renzo, MANGHETTI Antonio, MANGHETTI Arturo, MAZZIN- GHI Albino, MAZZINGHI Giulio, MICHELOTTI Giovanni, MICHELOTTI Ulderigo, PETTORALI Umberto, PINI Enrico, PUCCI Egisto, RASOINI Giovanni, RIBECHINI Giuseppe. RIGHI Adolfo, RINALDI Piero, ROSSI Michele. ROSSI Cherubino, SALVINI Eliseo, SALVINI Quintilio, SALVINI Primo, SANTI Secondo, SPINELLI Giuseppe. SPINELLI Gennaro, SPINELLI Pietro, SPINELLI Angiolino, TANI Edoardo, TICCIATI Fioravante. TICCIATI Giuseppe, TOFANI Tersilio, TONELLI Attilio. TRAFELI Guido, VALENTINI Secondo. VON BERGER Riccardo.
Finalmente tutto fu pronto per l’inaugurazione; il 4 novembre 1926 si potè presentare ai concittadini ciò che per volere di taluni si era riusciti a fare.
L’imponente monumento con i suoi dieci metri e mezzo di altezza con il suo caratteristico colore del tufo, troneggiava tra il verde delle siepi che attorniavano le aiuole nelle quali spiccavano variopinte zinie.
A far rispettare il luogo, oltre a Leontino, ci pensava Primo Guardia (Vigile Urbano) temuto sia dai piccoli che dai grandi per le ramanzine che non risparmiava a nessuno.
Le panchine dislocate quà e là nei punti più in ombra erano ricercate sia dai giovani che dagli anziani e costituivano un piacevole luogo d’incontro e di conversazione.
La strada che vi conduceva, a partire dal Teatro, era stata sistemata con una fila di lampioni posizionati con apposite colonnette in getto, sul muretto fiancheggiante il lato della Cecina. Così sia la sera sia il giorno questa strada denominata poi Via dell’impero, divenne passeggiata abituale di tutti.
Le spese per la realizzazione di tutto questo, raggiunsero la strabiliante cifra di lire 71.734,20 raccapezzata con offerte di una apposita sottoscrizione, con una fiera di beneficienza creata PRO MONUMENTO, da varie rappresentazioni drammatiche effettuate nel Teatro dei Coraggiosi dai dilettanti del luogo, dall’Amministrazione Comunale, dall’Amm.ne Provinciale, dalla Società Boracifera Larderello, dai Sigg. Bicoc- chi, dagli Eredi Ricci, dal Marchese Antinori e dalla raccolta delle Maestre presso le scuole. Da aggiungere a tutto la manodopera prestata dalla Associazione Nazionale Combattenti locale, che si prodigò in misura encomiabile. Da considerare che contemporaneamente fu fatta la Cappella dei Caduti nella Parrocchia, voluta da Don Balsini.
Al tutto mancarono solo le quattro colonnette previste agli angoli del riquadro di base, ma anche queste furono in breve realizzate, posizionate e non pagate. I Garfagnini che ne erano stati commissionati furono talmente indignati da venire a diverbio con i committenti. Non riuscendo a spuntare la situazione escogitarono un sistema intimidatorio. Notte tempo, scalpello e mazzuolo, si ricarono sul posto scavando una nicchia dove minacciarono di posizionare una mina da loro usata in cava. La cosa non fece effetto ed il debito si dilungava, finalmente per porre fine alla situazione le colonnette furono sostituite da quattro bombe di aereo, che svuotate della loro potenzialità furono infisse con le alette in basi quadrangolari ed unite tra loro, alle estremità, da catene pendenti agganciate a campanelle avvitate nei fori delle spolette.
Iniziò il conflitto della guerra ‘40 – ‘45 e la carestia di materiale ferroso ad uso bellico arrivò anche al monumento, così le quattro bombe di acciaio tornarono ancora una volta in uso sottraen- dole al loro sacro incarico.
Nel 1946, a fine guerra, con gli stessi intenti, nel sottostante PARCO DELLA RIMEMBRANZA, al centro dei cipressi fu eretto un cippo a ricordare i morti civili e militari di questa seconda Guerra Mondiale. Sulla base del cippo sono scritti i nomi di queste persone di cui ritengo giusto ricordare i nomi:
CADUTI MILITARI: CALVANI Dino, CASANOVI Eraldo, CORBOLINI Aldo. COSTAGLI Leontino. FABIANI Umberto, FILIPPI Bruno. GARFAGNINI Ivo, MORI Bruno, MUGNAINI Ivo, RIGHI Adolfo, SENESI Corrado, SOCCI Amaddio, SPINELLI Attilio.
CADUTI CIVILI: BRUNETTI Bruna, CAPPELLINI Giuseppe, FEDELI Valdo, FROSALI Bruno, FROSALI Secondo, PINESCHI Attilio, ROSSI Pietro, ROSSI Mario.
Nell’occasione furono nuovamente ordinate le quattro colonnette, rimesse al loro posto e questa volta pagate.
Ad oggi sembra che l’impegno non sia troppo mantenuto, basti vedere lo stato in cui si trova; non più aiuole per i bambini, è rimasto soltanto il cartello “PARCO GIOCHI BIMBI”; i cipressi dei caduti hanno perduto le loro targhette che avevano dato luogo al nome PARCO DELLA RIMEMBRANZA. Vi si vede qualche anziano sulle panchine, motorini in sosta e nella buona stagione qualche giovane innamorato.
Speriamo che non si aspetti un’altra guerra a risistemare il tutto e che questo articolo stimoli chi di competenza a provvedere.
Giorgio
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
VINCENZO TAMAGNI A POMARANCE
UNA MADONNA CON BAMBINO NELLA SALA DELLA EX PRETURA
Nell’ex Palazzo della Pretura di Pomarance, situato nel centro storico di Pomarance in Piazza Cavour, sono conservati dei pregevoli affreschi cinquecenteschi tra i quali desta l’ammirazione l’immagine della Vergine con il Bambino.
Dipinta su una parete dell’ antica sala consiliare, già del vicariato di Val di Cecina, è il soggetto centrale di tre raffigurazioni racchiuse in altrettante lunette sottovolta rappresentanti da una parte San Giovanni Battista e dall’altra un Santo Vescovo di una città di fiume( forse San Zenobi di Firenze) restaurate per conto del Comune di Pomarance nel luglio del 1976 da Walter Benelli di Pisa (delibera Com.le N. 125 del 25 Giugno 1976.
L’opera è del pittore di San Gimignano, Vincenzo Tamagni che lavorò per alcuni anni a Pomarance tra il 1524 ed il 1528 realizzando una serie di opere ; alcune delle quali conservate nella chiesa Parrocchiale di Pomarance.
Le tre lunette affrescate sono corredate al di sotto da una iscrizione in versi latini che è atto di consacrazione del popolo verso la Madonna: “A te questi pegni di amore devoto pone questo popolo. Proteggi o vergine da tutti i mali, sii luce nei suoi consigli e in tutte le cose, guida e difesa” (traduzione di Don Mario BOCCI). È probabile, infatti, che l’effige di Maria e dei Santi fosse stata commissionata in seguito ad un voto fatto nell’ epoca della peste che imperversò in Val di Cecina nel 1522-24-26-28. Vincenzo Tamagni, nato il 10 aprile 1492, definito “ragazzo prodigio” del ’500, nel 1510 firmava un ciclo di affreschi mariani a Montalcino nella chiesa di San Francesco. Lavorò a Roma nelle Logge Vaticane come aiuto di Raffaello da Urbino e pur avendo avuto influenze pittoriche del Peruzzi, del Ghirlandaio, di Filippo Lippi e del Sodoma rimase un autore di ripetizioni un pò meccaniche che sono indizio di un “Raffaellismo superficiale“(Nicole Dacos Crifo) e di una singolare “arcaicità11 di ipostazione (Antonio Caleca).
Nel 1524 dipingeva un affresco nell’Oratorio della Annunziata( attuale Battistero) della chiesa di San Giovanni Battista di Pomarance dove è raffigurato I’ Eterno Padre con angeli musicanti, scene dell’ Annunciazione e della Visitazione come ornamento del presepe in terracotta attribuito a Zaccaria Zacchi da Volterra. Queste figurazioni dovevano servire a completare il racconto evangelico della Notte Santa, di cui lo scultore volterrano aveva già colto, nelle sue sculture policrome il momento più alto.Sul fondale il pittore ha accostato in un’unica composizione l’annuncio dei pastori e la fantasiosa cavalcata dei Magi preceduti dai loro scudieri. Nel sottarco è dipinto l’Eterno Padre contorato da serafini e angeli musicanti, che accompagnano coi loro strumenti il canto della “Gloria”.
L’anno successivo, 1525, eseguiva una tavola ad olio rffigurante la Madonna e i Santi, collocata attualmente nella cappella di San Giovanni Battista (Don Mario Bocci, Notizie della Comunità Parrocchiale di Pomarance; 1991).
Pochi anni prima della sua morte, avvenuta dopo il 1529, eseguì anche una tavola ad olio raffigurante San Giuseppe che gli fu commissionata dal Comune di Ripomarance per Cappella di “San Joset” come attestano alcuni pagamenti del quadro nell’anno 1528: ‘‘A Vincendo Tamagni pictor pella tavola di Sancto Joseph Lire 35;
Al comune e per lui al dipintor per conto della tavola di Sancto Joseph…”. (Arch. Stor. Com.le Pomarance F.632; c.386 r.). È probabile che questa opera sia quella collocata nel Palazzo Barberini di Roma, trafugata nel secolo scorso, venne ceduta al monte di Pietà di Roma che la rivendette nel 1875.
Jader Spinelli
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
LA PIEVE DI S. GIOVANNI BATTISTA A POMARANCE
Lavoro che qui presentiamo è stato svolto per sostenere l’esame di Restauro Architettonico presso la Facoltà di Architettura dell’università degli Studi di Firenze dalle signorine Roberta Costagli e Maria Patrizia Tamburi. Il lavoro è stato seguito dal Prof. Arch. Giuseppe Cruciaci Fabozzi, docente alla facoltà.
L’assistenza religiosa che oggi viene chiamata “parrocchia”, corrispondeva anticamente al termine “pieve”, anche se, durante il Medioevo, ben altre e più importanti valenze territoriali e potestali ebbe questo termine, valenze che non sono più attinenti il nostro termine moderno. L’edificio della pieve sorgeva, per lo più, isolato, agli incroci di strade importanti, per fornire assistenza e rifugio alla gente di passaggio, e per permettere il controllo da parte della chiesa sulle vie di comunicazione più importanti.
Tale edificio conteneva la chiesa, il battistero e l’ospizio, ed era dedicato generalmente al Salvatore o alla Madonna, o ai Santi Apostoli, ma più spesso a S. Giovanni Battista, come il caso della Pieve di Pomarance. Altre due sono le pievi premillenarie che si incontrano venendo dal San Giovanni di Volterra (pieve cittadina), verso la media Valdicecina, aventi in comune la dedica a San Giovanni: quella di Silano e quella di Querceto, anch’esse in posizione privilegiata, su strade di comunicazione ugualmente importanti. Proseguendo poi da Pomarance si trova Morba, anch’essa dedicata a San Giovanni. La più antica pieve di Pomarance, quella premillenaria, protoromanica, si trovava in una posizione diversa rispetto a quella attuale (che, tra l’altro, aveva il nome di “Ripa Marrancia”). Infatti era situata più a sud rispetto al paese, e si chiamava “Publico”, a ricordo del territorio, espropriato dai Romani del dittatore Siila, e appoderato per i suoi legionari In quei luoghi, oggi detti le “Ripaie”, si trovano ancora i nomi di Pieve Vecchia e Piuvico; e lungo quelle strade, che si incrociano sull’altopiano, chiesette come S. Piero, S. Anna, S. Martino, S. Andrea a Mona e S. Margherita a Lucoli, che formavano il primo spazio di pertinenza della pieve.
L’attuale pieve risale alla fine del XII secolo, anche se dell’impianto originario è rimasto ben poco, essendo stata, la chiesa, completamente ricostruita durante il XIX secolo, dopo aver subito già in precedenza rimaneggiamenti e restauri. Sorge lungo l’asse principale di crinale. Concepita per avere vita autonoma rispetto agli altri edifici circostanti, con il consolidarsi dell’edilizia urbana ha perso tale autonomia, infatti durante il corso dei secoli le sono state addossate abitazioni. C’è chi ipotizza l’esistenza di una chiesa più piccola entro il perimetro dell’attuale chiesa, che sarebbe stata dedicata a San Cristoforo, e proprietà dei monaci di Badia a Isola. Comunque, il prospetto dell’attuale costruzione si rivela l’unico resto della pieve romanica: probabilmente in esso furono riutilizzati elementi della parte inferiore della facciata dell’edificio del XII secolo. Questo presentava caratteri stilistici e impianto di chiara derivazione pisana: le cinque arcate cieche che scandiscono tutta la facciata rimasta intatta nella parte inferiore; le basi classiche delle semicolonne con due tori e due scozie e lo schema generale dei rapporti altimetrici delle navate.
La facciata è in arenaria e nella parte superiore è stata rifatta nel sec. XVIII. Le cinque snelle archeggiature su semicolonne assai rilevate e poggianti su un alto basamento denotano che siamo in presenza di una originale pianta basilicale, una dei pochi esempi tra le chiese della Valdicecina.
Gli archi più distanti dal centro della facciata s’impostano su sodi angolari che invece dei capitelli hanno semplici scorniciature. Nell’arcata centrale si apre il portale, semplicissimo, con l’architrave sormontata da una lunetta. L’archivolto è delimitato da una ghiera composta di un cordone a sezione semicircolare. Alcuni elementi decorativi risentono l’influenza della cultura senese, per esempio i capitelli (a più ordini di fogliette o con figurazioni zoomorfiche). Particolare notevole ed inconsueto, per una architettura di derivazione pisano-lucchese, è il fatto che i cunei delle archeggiature laterali non presentano alcuna incorniciatura. Alle primitive tre navate, furono aggiunte nei secoli scorsi ed in diverse fasi, ulteriori costruzioni, come le cappelle laterali terminali che formano un transetto, e proprio all’inizio del 1500 il Battistero, con la facciata adiacente a quella della chiesa. L’artefice di questa modifica fu il pievano economo don Francesco d’Antonio dei Ghezzi di Pomarance, al quale si devono anche la piccola vetrata dell’Annunciazione ed il miglioramento del Presepe. Le mensole che sorreggono il tetto del Battistero furono tolte, molto probabilmente, dall’originale abside e con i loro motivi geometrizzanti e zoomorfici dimostrano ancora una volta la derivazione dalla cultura pisana di quest’edificio.
Già anteriormente a questa data erano state apportate modifiche all’interno; tra il 1441 ed il 1453 il pievano Ludovico Baldinotti fece costruire l’altare maggiore e ribenedire la chiesa, dopo le scorrerie di re Alfonso di Aragona.
Poi non ci furono notevoli modifiche, fino agli anni tra il
1826 ed il 1843, quando il pievano Anton Nicola Tabarrini pensò di dare alla
chiesa un aspetto in linea con i canoni estetici del tempo. I lavori furono
fatti sotto la guida dell ’arch itetto
Francesco Cinci che dotò la chiesa di volte, eresse la cupola all’incrocio del
transetto con la navata centrale e stuccò tutte le colonne di cui fece
smussare i capitelli. Furono eretti, in questa occasione, anche tutti gli
altari barocchi laterali; la decorazione della chiesa fu affidata al pittore
Luigi Ademollo ed al figlio Giovanni.
L’ultimo lavoro di edificazione (o meglio, in questo caso, di riedificazione) del quale si ha notizia è il rifacimento del campanile, avvenuto nel 1898, ad opera dell’architetto Luigi Bellincioni, di Pontedera. Infatti il vecchio campanile era stato buttato giù, a causa delle gravi lesioni riportate il 19 novembre 1893, in seguito alla caduta di un fulmine.
Come già accennato, una gran parte del ripristino ottocentesco toccò al pittore Luigi Ademollo.
Fu sotto l’arcipretura di Anton Nicola Tabarini (durata dal 1826 al 1843) che ebbe luogo il restauro totale della Parrocchia, ampliata con le cappelle della Madonna e di S. Vittore, e completamente affrescata.
Effettuò quelle pitture l’impresa di Luigi Ademollo (1764 -1839) milanese, autore di affreschi in chiese e palazzi, e di acquafòrti di soggetto storico.
L’archivio parrocchiale conserva sette lettere autografe, inviate da lui, (che si trovava a Firenze), all’arciprete, tra il 27 aprile 1832 ed il 5 gennaio 1837.
Esse riferiscono che il Cavalier Giuseppe del Rosso fu il tramite della proposta di affrescare la chiesa di Pomarance. In un secondo tempo l’Ademollo eseguì ad olio le stazioni della Via Crucis.
Le opere da lui eseguite si possono ammirare tuttora all’interno della pieve.
Esse sono, cominciando da sopra il portone principale e girando in senso orario, le seguenti: Presentazione di Gesù al Tempio, Fuga in Egitto, Strage degli Innocenti, Tentazioni di Gesù nel deserto. Poi nella cappella della Madonna, Adorazione dei Magi, Gesù tra i dottori e nella volta L’Assunzione. Quindi abbiamo: Resurrezione di Lazzaro, Angeli portanti dei segni della passione, alle vele ed ai pennacchi, sotto e presso la cupola. Nel Coro: Entrata di Gesù a Gerusalemme, Cena, Agonia nell’orto, EcceHomo, Salita al Calvario, Resurrezione.
Nella navata sinistra: Visita ad Elisabetta, Gesù ed il centurione; nella cappella di S. Vittore (nella volta) c’è la Trasfigurazione. Quindi Gesù che predica dalla barca di San Pietro, la Samaritana, le Nozze di Cana.
In fondo, San Giuseppe col bambino Gesù.
Nella volta a botte della navata di centro, apparizione di Gesù a Tommaso, Ascensione e discesa dello Spirito Santo.
Non tutte le opere sono policrome, ma molte sono monocrome, anche se pur sempre molto belle.
Morto il Tabarrini, ‘‘nel 1853 furono a spese del popolo fatte porre a scagliola le colonne del Tempio per Carlo Martinetti svizzero, ed il pavimento fu costruito di smalto alla veneziana” come ci informa il visitatore Vescovo Targioni.
Cento anni dopo la ristrutturazione del Tabarrini, il degrado dell’edificio e la sorte delle pitture erano precari. Il restauro, la ripulitura ed il ripristino spettarono al proposto successore, al popolo e ad un pittore senese non ancora provetto.
Carlo Balsini di Stefano fu eletto proposto a Pomarance il 15 marzo 1907. Fu sotto la sua guida che ebbero luogo ulteriori restauri, che si conclusero nel 1933 (il certificato dei lavori eseguiti a regola d’arte dall’agosto 1928 al 25 ottobre 1933 porta la firma dell’lng. Gino Stefanon). Erano stati iniziati nel 1928.
I lavori furono eseguiti dalla ditta Zampini di Siena, con a capo il pittore Gualtiero Anichini coadiuvato dai decoratori Vannucchi, Franci, Biancirdi, Montigiani e Mori.
Oltre alla ripulitura degli affreschi dell’Ademollo, furono fatte integrazioni nella cappella della Madonna, nel Coro, dipinti medaglioni in San Giovanni, i 4 Evangelisti nella cupola e due figurazioni in San Vittore: Gesù tra i fanciulli e la Moltiplicazione dei pani.
Fu costruita la cappella dei caduti, furono eseguite vetrate policrome a tutte le finestre e furono costruiti sedili a spaglierà il noce lungo tutto il perimetro della chiesa.
Furono aggiunte lumiere grandi e piccole, in fastoso addobbo, per l’illuminazione elettrica.
Sulla base di quanto rilevato attraverso un’accurata analisi dell’edificiodella chiesa di San Giovanni Battista, possiamo dire che attualmente lo stato di conservazione della chiesa è buono, sia per quanto riguarda gli elementi strutturali che gli elementi decorativi. Sarebbe comunque auspicabile una ripulitura degli affreschi e della facciata.
Contemporaneamente alla pubblicazione di tale lavoro, si stanno ultimando i lavori di restauro del campanile, e proprio in questi ultimi giorni, durante la ripulitura della facciata del retro della chiesa, è venuta alla luce, su di essa, una monofora. Finestre simili a quella scoperta le possiamo trovare nelle pareti sopra gli archi delle navate laterali, purtroppo non visibili al visitatore perché con il restauro del 1800 sono state inglobate nello spazio tra la volta centrale a botte ed il tetto.
Tale rivelazione ha ridestato curiosità e nuovi interrogativi sull’originaria posizione e struttura dell’antica chiesa.
Roberta e Maria Patrizia
BIBLIOGRAFIA
Archivio Storico del Comune di Pomarance, Opera di S. Giovanni Battista, Filze 746 e 749.
Archivio Parrocchiale di Pomarance, Corrispondenza fra Luigi Ademollo Pictor ed il preposto Antoniccola Tabarrini, dal 1833 al 1837.
Giovanni Targioni Tozzetti, Relazione d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Forni editore, Bologna.
L. Moretti, R. Stoppani, Chiese romaniche della Val di Cecina, Firenze 1970.
Don Mario Bocci, L’Araldo di Volterra, settimanale della diocesi di Volterra, numero del 7/2/1971.
Don Mario Bocci, Storia religiosa di Pomarance, Notiziario Parrocchiale.
Archivio di Stato di Firenze, Commissione per il restauro delle Chiese parrocchiali, Filza 104/8.
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
ECCEZIONALI FESTE
PER IL 90° ANNIVERSARIO DEL CAMPANILE
23 – 24 – 25 GIUGNO 1989: tre giorni che Pomarance ricorderà per molto tempo. Infatti tutto il paese si è mobilitato per festeggiare il Patrono San Giovanni Battista in occasione del 90° Anniversario della costruzione del Campanile e che è coinciso con la conclusione dei restauri resisi urgenti e necessari. Una festa che ha visto il paese intero stringersi attorno a questo “SEGNO” che, se principalmente di carattere religioso perché richiama con il suono armonioso delle campane i fedeli alla preghiera, è pure il segno ed il simbolo di ogni paese. Il nostro campanile, opera dell’Architetto Luigi Bellincioni di Pontedera, si fa subito notare a tutti per la sua bellezza (stile Rococò apparso in Francia alla fine del XVIII secolo, come evoluzione complessa e raffinata del barocco), e per la sua altezza (42 metri).
La sera del 23 giugno questo simbolo era ben visibile da ogni parte; una totale illuminazione con fari lo faceva risaltare, mentre il suono gioioso delle campane si diffondeva ovunque, arrivando fino alle più lontane famiglie della campagna che nel frattempo avevano acceso i cosiddetti “Fuochi di San Giovanni”. A far corona al Campanile, oltre ai fuochi della campagna, vi erano anche quelli accesi dalle Contrade a Docciarello, a San Sebastiano, all’Aia, ai Collazzi, e la fiaccolata che ha avuto il suo culmine con l’accensione del tripode sul sagrato della Chiesa.
Una folla enorme ha fatto ala al passaggio dei tedofori rivestiti dei colori delle Contrade, arrivati contemporaneamente con le loro fiaccole accese davanti alla Chiesa.
Le Contrade quella sera si erano date veramente da fare per una illuminazione folcloristica delle strade ove sarebbero passati i tedofori con le fiaccole. Uno spettacolo meraviglioso che hanno potuto godere in modo particolare coloro che quella sera erano saliti sul Campanile.
Una bella serata culminata poi, con un applaudito Concerto d’Organo del Maestro Attilio Baronti.
Attorno al Campanile ed in unione a San Giovanni le feste sono continuate. Il giorno 24 giugno, è venuto fra noi il Vescovo Mons. Bertelli, i Sacerdoti, sono intervenute le Autorità Civili e Militari e si è ripetuta la Solenne Processione in onore di San Giovanni Battista.
Un grande concorso di fedeli ed una partecipazione straordinaria della gente nell’ornare il tragitto della Processione con drappi alle finestre e soprattutto con ornamenti floreali veramente belli da sembrare tutto un tappeto grande, ove il profumo delle ginestre ed il colore dorato si evidenziavano in modo eccezionale. Una festa religiosa arricchita, nel pomeriggio, dallo spettacolo del Gruppo Musici e Sbandieratori di Pomarance e, dopo cena, dal Concerto del Corpo Filarmonico “G. Puccini”.
Ma ogni festa è sempre un ricordo del passato e del presente. Per questo motivo, la domenica 25 giugno, giornata conclusiva delle feste, dopo la Santa Messa celebrata dal Vicario e cantata dalla Corale Pomarancina, si è svolta, nel pomeriggio, nel vecchio Campo Sportivo del Piazzone, una partita diralcio tra le Vecchie Glorie e l’attuale squadra della U.S. Pomarance. Una occasione che ha fatto ritrovare e giocare insieme gli atleti che avevano militato diversi anni fa nella squadra del Pomarance ed i nostri giovani giocatori; una partita che ha divertito tutti i presenti.
Tre giorni di festa, quindi, tre giorni di gioia e soprattutto una occasione per stare serenamente insieme attorno al simbolo del paese, al nostro “BEL CAMPANILE”.
Mi è capitato di definire questa festa “UNA BELLA SINFONIA” dove tutti avete collaborato insieme alla Parrocchia. Ebbene: al termine delle feste, ringraziando l’Associazione Turistica Pro Pomarance, il suo Presidente per la generosa collaborazione e per l’opportunità concessami di scrivere questo articolo sulla loro Rivista, esprimo viva riconoscenza a tutto il paese ed in modo particolare alle Contrade che veramente hanno collaborato in modo encomiabile; al Comune per l’illuminazione; alla Banda per il Concerto; alla Corale Pomarancina per i canti eseguiti durante le Sante Messe Solenni; al Gruppo Musici e Sbandieratori per lo spettacolo; alle Vecchie Glorie ed all’ll.S. Pomarance per la partita di calcio; al Comando della Forestale per la realizzazione dei fuochi; al Comando dei Carabinieri e dei Vigili Urbani per il servizio d’ordine; a tutte le Autorità Civili e Militari; ai bambini delle Terze e Quarte con i loro Insegnanti ed all’artigiano Rossi Armando che hanno collaborato alla mostra allestita nel Battistero e, naturalmente, ai Membri dei Consigli Pastorale e degli Affari Economici Parrocchiali che mi sono stati vicini e a tutti coloro che, in modo anonimo, ma non meno evidente, mi hanno aiutato al buon svolgimento di tutte le feste.
Il Campanile che ci ha riunito, sia sempre un forte e dolce richiamo ad operare uniti per il bene del nostro paese e della nostra Comunità.
Don Piero Burlacchini
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.