Archivi categoria: Arte e Monumenti

Descrizioni dei monumenti ed opere d’arte della zona di Pomarance ed Alta Val di Cecina.

PALAZZO DE LARDEREL

RESIDENZA NOBILIARE DELL’OTTOCENTO

Il XIX° secolo è stato per Pomarance un importante periodo storico caratteriz­zato da notevoli trasformazioni urbanisti­che nel centro storico che cambiarono ra­dicalmente l’aspetto medioevale o rina­scimentale dei palazzi appartenuti alle an­tiche casate nobiliari o borghesi del luogo. Queste costruzioni ottocentesche procu­rarono la distruzione di antiche testimo­nianze architettoniche creando la nuova immagine di Pomarance che è possibile osservare percorrendo le vie del centro storico ed in particolar modo via Roncalli o dei “Signori”.

Palazzo De Larderel

Sui vari palazzi certamente si impone il grandioso edificio di “Palazzo De Larde­rei”. Attualmente di proprietà comunale ed adibito a sede per l’Ufficio Tecnico e della Comunità Montana della Val di Ce­cina, fu un tempo la residenza autunna­le della nobile famiglia dei De Larderei che lo iniziarono ad opera del “sagace” commerciante Francesco De Larderei su progetto dell’architetto ebanista Magagnini di Livorno. Francesco De Larderei, di origine francese, trapiantatosi a Livorno fin dai primi dell’ottocento, si stabilì nelle nostre zone attorno al 1818 quando fu fondata una società (ved. Chemin – Prat – Lamotte – Larderei) dedita alla estrazio­ne e produzione dell’acido borico conte­nuto nei “lagoni” di Montecerboli. Lago­ni ottenuti a livello dal Comune di Poma­rance ed in seguito in concessione per­petua dal Granduca di Toscana. Il “bo­race”, prodotto richiesto ed esportato in tutto il mondo, permise al conte France­sco, con l’aumento di capitali, di entrare ben presto a far parte della borsa dei Prio­ri del Comune di Pomarance (1833) e di acquistare nel territorio comunale una se­rie di “unità immobiliari” che, ampliate e ristrutturate, sarebbero andate a forma­re il grandioso Palazzo – Fattoria De Lar­derei che ricalca, se pure con un lessico architettonico semplificato, il Palazzo Lar­derei di Livorno. (1)

L’area in cui doveva essere edificato il fabbricato era stata individuata dal “Con­te di Montecerboli”, fin dai primi dell’ot­tocento, all’inizio del paese, nell’antica contrada di borgo tra la porta Massetana e la Cancelleria comunitativa.

Consultando una mappa catastale del pe­riodo leopoldino (1823) è possibile com­prendere quali furono i fabbricati che Francesco De Larderei iniziò a compera­re per la realizzazione del grandioso pro­getto. (fig. 1)

Il primo edificio acquistato fu quello di pro­prietà del Cav. Giovanni Falconcini, per arroto del 6 aprile 1832, (particella cata­stale 279 – 281 – 282 – 283) a cui si ag­giunse due anni più tardi, per arroto del 18 aprile 1835, l’acquisto della casa di Metani Donato addossata all’antico ba­luardo di Porta Massetana (part. cat. 284). Sempre nello stesso anno venne acqui­stata, con arroto del 20 maggio 1835, la casa del Cav. Giuseppe Bardini (part. cat. 282 – 282 bis – 283 bis).

Sei anni dopo fu acquisita anche l’abita­zione di Francesco Funaioli per arroto del 25 maggio 1841, (part. cat. 277 – 278 – 280) insieme ad una cantina dai fratelli Mi­chele e Giuseppe Bicocchi (part. cat. 277 – 278) ed un terreno “sodo lavorativo” dal sig. Beliucci Ermogasto, che era quella porzione di suolo al di fuori delle vecchie mura castellane denominate il “Tribbietto” (2) (part. cat. 279 bis).

Negli stessi anni vennero acquistati dal De Larderei anche una serie di poderi che andarono a formare una tenuta di “beni rurali” nel Comune di Pomarance e che permise al Conte Francesco, in base ad un regolamento catastale del 1829, di fare istanza nel 1843 alle Magistrature di Co­mune per essere sgravato dalle stime im­ponibili sui fabbricati ad uso rurale: (3) “… con /a volontà del nobil conte Cav. Prio­re Francesco De Larderei di Livorno, a possedere come appunto possiede, una tenuta di beni rurali nella Comunità di Po­marance, ebbe desiderio insieme di cor­redarla di necessari comodi per l’agen­zia, e di un comodo per abitare nell’au­tunnali villeggiature. In pertanto che pro­cede all’aggiusto di vari antichi fabbrica­ti quali parte al di fuori, parte al di dentro della porta così detta Massetana della ter­ra di Pomarance, formarano un collega­to di muri, capaci insieme, a soddisfare il di sopra espresso suo desiderio.

E dappoiché tali speciali acquisti furono fatti dopo la stima del nuovo catasto, que­sti sopra dei catastali registri furono in conto, e faccia del prefato sig. Conte De Larderei …per un ammontare totale del­la rendita imponibile di lire 543,97”. (4) Nell’istanza il conte De Larderei dichia­rava che tutti quei fabbricati erano stati utilizzati ad uso di fattoria e “… ridotti in fienili, stalle, rimesse, granai, coppai, tinai, magazzini”, in parte come abitazio­ne dell’agente ed inservienti; in parte ad abitazione propria, ‘‘per tempo della vil­leggiatura”, con un piccolo giardino an­nesso, dichiarando inoltre che nessu­no dei fabbricati riservò per appigionarli o trarne frutto di locazione alcuno …”. Non ci è dato a sapere se “l’aggiusto” dei fabbricati corrisponda all’inizio dei lavori per la realizzazione di Palazzo De Larde­rei; certo è che la situazione urbanistica di questa area cambiò radicalmente nel giro di una decina di anni (1852 ca.) (fig. 2)

Variazione Catastate 1852 c.a. (FIG. 2).

Venne demolito infatti il baluardo di Por­ta Massetana e la casa del Melani; occu­pata la piccola piazzetta detta “Padella”; abbattuti i resti delle mura castellane; am­pliato il fabbricato centrale (part. cat. 282) e costruito un giardino al quale si acce­deva anche attraverso un vicolo dalla “via di Borgo” (tra part. 277 e 280).(5)

Il lotto centrale del Palazzo che secondo gli ambiziosi progetti del De Larderei avrebbe dovuto ricreare lo stesso impo­nente prospetto del palazzo di Livorno, già terminato in quegli anni, indusse lo stesso conte Francesco a proporre alle Magistrature nel 1852 la permuta della Cancelleria in cambio della ristrutturazio­ne a sue spese del Palazzo Pretorio creando ambienti idonei per l’Ufficio del Gonfaloniere e del Cancelliere.

Proposta non molto gradita dai Priori del Comune che avrebbero invece voluto un fabbricato nuovo come risulta da una let­tera del 1853 (6):

A di 25 maggio 1853

Pregiatissimo sig. Gonfaloniere sono onorato della pregiatissima sua in data 20 corrente con la quale V.S. illu­strissima si compiace di parteciparmi la decisione sulla mia proposizione relativa alla Cancelleria Comunitativa. L’opinione dell’ingegnere nulla mi sorprende, Egli si era già pronunciato da più di un anno e prima di avere esaminato le mie piante, lo compatisco per non dire altro.

Al Gent.mo sig. Gonfaloniere dovrà sem­pre convenire, che la mia proposizione era vantaggiosissima alla Comune, e che la cattivissima casa della Cancelleria (ve­niva distrutta fino ai fondamenti) mi sareb­be costato tre volte tanto il suo valore reale.

V.S. si compiace ancora propormi di fa­re costruire una nuova Cancelleria e di darmi la vecchia per la nuova e mi invita a sottoporre il mio progetto.

Mi rincresce doverli dire che non posso accettare simile proposizione, più parti­colarmente perchè il progetto qualunque fosse, avrebbe certamente la disgrazia di stare diversi anni nelle mani dell’ingegne­re, come ha fatto il primo, sarà adunque assai meglio che io rinunzi al mio progetto per non essere ballottato ingiustamente o capricciosamente, quando tutte le mie mire erano per il vantaggio della Comu­nità, l’imbellimento del paese, e far lavo­rare dei disgraziati senza lavori.

Ho l’onore di dichiararmi rispettosa­mente…

Dev.mo servitore F. De Larderei

Trascorsi due anni dalla prima richiesta di permuta il conte De Larderei faceva nuovamente istanza (1855) al Gonfalonie­re di Comune per la cessione della fab­brica di Cancelleria proponendo di pagar­la in contanti con l’aumento del 15% so­pra le stime, oppure costruendo una nuo­va Cancelleria uguale a quella vecchia dettando però una condizione che, se fos­se stata accettata la seconda proposta egli avrebbe iniziato i lavori nella immi­nente primavera e, ”… non solito aggior­nare i suoi divisimenti…” pregava le ma­gistrature a deliberare e risolvere entro il mese di marzo la sua richiesta “… pas­sato il quale, non sarebbe stato più il ca­so di mantenerla …”.

La seconda proposta fu ben presto accor­data ed i lavori del palazzo proseguirono di pari passo con quelli della nuova Can­celleria costruita tra la via Provinciale Massetana e via dei Boschetti. (7) Purtroppo, la morte del conte Francesco De Larderei non permise di poter vedere ultimato il suo grande desiderio che fu ben proseguito dal figlio Federigo, con l’ampliamento dell’ala del palazzo verso Porta Massetana e nella quale venne creato il bellissimo teatrino privato inau­gurato nel 1872.

In quello stesso periodo vennero acqui­stati dal figlio Federigo anche la casa con orto già di Cammillo Fantacci (Part. cat. 273 – 274 – 275) che furono utilizzate in parte per nuove scuderie (attuale Audito­rium). Oggi, percorrendo via Garibaldi, è possibile vedere la facciata principale di Palazzo De Larderei nel suo antico splen­dore dopo il riuscito restauro effettuato nel 1984 ad opera del Comune di Pomaran­ce e nel quale è evidenziato ancora di più il grande stemma in cotto della famiglia De Larderei collocato all’interno del tim­pano centrale in cui si legge: “Raffaello Agresti fece all’lmpruneta nel 1871”.

Jader Spinelli

NOTE BIBLIOGRAFICHE

  1. Il Teatro abbandonato; “Pomarance: tea­tri storici” di G. Cruciani Fabozzi 1985; Ed. La Casa USHER
  2. Cfr. “La Porta Orciolina o Massetana” – La Comunità di Pomarance n° 2 e Supple­mento al n° 2 1988
  3. Patrimonio rurale nel marzo 1843 di Fran­cesco De Larderei: Podere S. Enrico, pod. S. Federigo, pod. Santa Paolina, pod. S. Filiberto, pod. Pogio Montino, Pod. Poggia­momi, pod. Luogonuovo, “Una costruzione non ultimata in aggiunta alla casa colonica dell’antico podere detto Palagetto..”.
  4. Archivio Storico Comunale Pomarance F. 609.
  5. Il giardino era delimitato da una sontuo­sa cancellata in ghisa proveniente dalle fon­derie di Follonica. Questa fu demolita negli anni quaranta come offerta alla Patria per uso bellico.
  6. Archivio Storico Comunale Pomarance F. 159.

La Cancelleria era costruita dove attual­mente sono i “Giardinetti” e l’edicola dei giornali; permutata dalla famiglia Bicocchi, per la cessione dell’attuale palazzo comu­nale, fu utilizzata come Ospedale fino al 1935 circa. L’edificio fu minato durante la ritirata delle truppe tedeschenel 1945. (ve­di Rievocazioni Storiche di Edmondo Mazzinghi – La Comunità di Pomarance 1974).

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

IL PALAZZO “BIONDI-BARTOLINI” A POMARANCE

Il palazzo “Biondi Bartolini’’ situato sul­la Piazza De Larderei al numero civico 3, è uno dei più antichi edifici esistenti nel paese di Pomarance.

Ristrutturato nel modo attuale agli inizi dell’ottocento appartenne, fin dai primi anni del XVIII secolo, alla famiglia Biondi che ebbe tra i suoi discendenti Notai, Dot­tori, Priori e Gonfalonieri nelle Magistra­ture del Comune delle Pomarance.

Attualmente conosciuto come il palazzo “Biondi Bartolini”, fu denominato come tale solo attorno al 1830, quando un di­scendente, certo Giuseppe Biondi, spo­sando Donna Violante Bartolini, aggiun­se al proprio cognome quello della mo­glie.

L’edificio, collocato al vigente catasto di Pisa con la particella catastale n° 417, può certamente essere considerato di no­tevole interesse storico per le sue prege­voli opere pittoriche dipinte sulle pareti e nei soffitti delle sale del “piano nobiliare”. Fin dai primi anni dell’ottocento il palaz­zo, ancora detto dei “Biondi”, era indi­cato negli antichi chirografi del tempo “lungo la via di Petriccio” che comincia­va all’incirca dalla “Porta alla Pieve” (o Portone di Petriccio) e terminava alla “Porta Volterrana”.

Facciata del Palazzo Biondi Bartolini nel 1890

Uno dei più antichi documenti che ci con­sente l’individuazione del palazzo è una planimetria del “Catasto Generale della Toscana” o “Catasto Leopoldino” rela­tivo a Pomarance. La piantina catastale, conservata nell’Archivio di Stato di Pisa e datata 1823, consente di verificare l’a­rea occupata dall’immobile ed a questa faremo riferimento nella nostra tratta­zione.(1)

Indicato a quel tempo con la particella ca­tastale n° 316 risultava di proprietà del Sig. Giovan Battista Biondi. Proprietà che fu tramandata, di generazione in genera­zione, fin dall’acquisto (XVIII secolo) di al­cuni beni immobili appartenuti a Cristofano Roncalli, discendente della famiglia Roncalli di Pomarance e pronipote del ce­lebre pittore Crostofano Roncalli detto il “Pomarancio” (1552-1626).

Dall’estimo del Comune di Ripomarance del 1571 risulta che l’immobile, pervenu­to in eredità al Dottor Cristofano Roncal­li, apparteneva al suo bisnonno, Giovan Antonio di Francesco Roncalli da Berga­mo, padre del pittore Cristofano Roncalli. La casa, addossata alle antiche mura ca­stellane del XIII secolo prospicenti la stra­da di Petriccio, confinava, come ancora oggi, con la Canonica della Chiesa di San Giovanni Battista, l’orto della Chiesa e la porta “alla Pieve”; confinazioni importanti che hanno permesso l’individuazione del fabbricato negli estimi del comune di “Ri­pomarance” fin dal XV secolo.

Uno dei documenti attestanti l’apparte­nenza dell’edificio ai Roncalli risale al pri­mo decennio del ’600. Trattasi di un estratto di contratto di vendita immobiliare pubblicato nel 1969 dal Dott. Giovan Bat­tista Biondi su “La Comunità di Pomaran­ce” e conservato nell’Archivio di Stato di Firenze al protocollo n° 19887, carta 45 v., atto 93, nel quale il notaio del tempo, Ser Guasparri del fu Francesco Maffii, certificava, in data 16 maggio 1616, che “… il Cavaliere Cristofano Roncalli delle Pomarance fu Giovan Antonio fece pren­dere possesso dei suoi beni in Pomaran­ce, relitti morendo, il di lui fratello Dona­to”. Tra le varie proprietà compariva an­che la casa, oggetto della nostra ricerca, posta nel castello di Ripomarance in luo­go detto Petriccio confinante: “… a 1° Via, 2° Beni dell’eredi di Bernardino Ron­calli mediante il Portone, 3° Casa della Pieve di San Gio:Battista, 4° Orto della Pieve, a 5° la casa di Bartolomeo Cercignani e se altri confini vi fossero, con le stanze e le botteghe sotto detta casa…”. L’edificio, attaccato come ancora oggi al Portone della Pieve e ricostruito ex novo nel 1884, presentava anticamente due stanze sovrapposte che pervennero ai Roncalli probabilmente da un livello enfiteutico dato dal Comune di Ripoma­rance.

Le stanze erano di necessaria comunica­zione con l’altra casa di Giovan Antonio Roncalli posta al di là della Porta alla Pie­ve in luogo detto “Piazzetta alla Chiesa” (attuale Largo Don Morosini).

La “Lira” o “Estimo” del Comune di Ri­pomarance del 1630, con arroti fino al 1708, conferma l’esistenza di questa uni­tà immobiliare ereditata dai discendenti Roncalli. (2)

La proprietà in quell’anno risulta infatti al­la “posta” di Jacopo, Francesco e Gu­glielmo figli di Cosimo Roncalli.

Cosimo infatti era fratello del pittore Cri­stofano e figlio anche esso di Giovan An­tonio Roncalli. La proprietà è così indica­ta: “… Una casa in detto castello con più botteghe confinata a 10 Via, 2° Pieve, 3° Orto della Pieve, 4° Mura, 5° Bartolomeo Cercignani, 6° Via … stimata lire milleduecentoquarantacinque…”.

Stemma Famiglia Biondi

Alcuni anni più tardi l’appartenenza del­l’edificio passò al dottor Guglielmo Ron­calli ed al fratello prete Francesco Ron­calli. Alla morte di prete Francesco, con testamento del maggio 1683, rogato dal Notaio Gio: Antonio Armaleoni, la proprie­tà dell’immobile fu ereditata, in data 10 maggio 1696, dal Dottor Cristofano Ron­calli, “soldato” (Tenente) Giuseppe Ron­calli e prete Lorenzo Roncalli del fu Gu­glielmo suoi eredi e legittimi nipoti.(3) Nei primi anni del XVIII secolo risulta pro­prietario deH’immobile confinante con la casa della pieve soltanto il dottor Cristo­fano Roncalli; suo fratello, il tenente Giu­seppe Roncalli, era infatti padrone della casa al di là della “Porta alla Pieve” (eredi attuali della Sig.na Federiga Volpi) così descritta nell’estimo del 1716 (4): “… una casa in Petriccio al portone con pozzo a metà con Teodora Ceccherini, confinata a 1° Via, 2° Via, 3° e 4° detta Teodora Ceccherini, 5° Via, 6° Dottor Cristofano Roncalli sopra il Portone stimata scudi 200…”.

Stemma dei Bartolini

La casa del Dottor Cristofano Roncalli fu oggetto di compravendita in data 13 gen­naio 1728 (ab Incarnazione 1729). Lo scritto è riportato nell’articolo del Dottor Biondi Giovan Battista già citato.

Il Contratto conservato all’Archivio di Sta­to di Firenze (Protocollo n° 23922 pag. 169) certifica che il suddetto Dottor Cri­stofano Roncalli aveva lasciato dopo la sua morte molti debiti e che i suoi credi­tori erano riusciti a mandare all’asta pub­blica tutti i suoi beni.

Il 10 giugno 1727 (1728) i detti beni furo­no acquistati all’incanto dall’unico offe­rente, Michele di Cerbone di Michelange­lo Vadorini. Dal rogito si apprende che Pietro o Pier Francesco Biondi (1691-1730), figlio di Giovan Antonio Bion­di e Costanza di Domenico di Sebastia­no del Capitano Pietro Paolo Santucci, di­retto antenato dei Biondi (e quindi degli attuali Biondi Bartolini) acquistò dallo stesso Vadorini la casa oggetto della no­stra ricerca e cioè: “… Una casa dai fon­damenti a tetto, luogo detto Petriccio con­finata a 1 ° Via, 2° Sig. Luogotenente Giu­seppe Roncalli, 3° la Chiesa arcipretale di San Gio:Battista di detta terra, 4° ere­di del quondam Bartolomeo Cercignani et altri….”.

La parte dispositiva del contratto si chiu­deva con la seguente clausola: “… il me­desimo sig. Pietro Francesco Biondi ha promesso e si è obbligato di lasciar go­dere e possedere al sig. Luogotenente Giuseppe Roncalli le due stanze di detta casa che sono poste sopra le camere contigue al Portone (di Petriccio), sua vi­ta durante…”.(5)

Nell’estimo del 1716, con arroti fino al 1805 e conservato nell’Archivio della Bi­blioteca Guarnacci di Volterra, la suddetta proprietà è così indicata: “… Una casa in Petriccio a 1 ° Via, 2° Tenente Giuseppe Roncalli, 3° Casa ed orto della Chiesa, 4° Pasquino Borghetti, 5° Via … stimata scudi 150…”.(6)

In calce è riportata la seguente annota­zione: “…a di. 22 giugno 1729; viene det­ta casa dalla posta di Michele di Cerbo­ne Vadorini, in questo a carta 346, per compra fattane dal sig. Biondi Pietro Francesco per medesimo prezzo di scu­di 100; per rogito di Giovan Pietro Biondi (notaio) del di 13 giugno 1728; visto e re­so accomodato dal sig. Cancelliere Tor­quato Mannaioni…”.

Planimetria catastale del 1823. (Catasto Leopoldino). Palazzo “Biondi” indicato alla particella catastale n° 316

La casa aveva un nuovo confinante, Pa­squino Borghetti, che altro non era che il marito di Maria Cammilla Cercignani fi­glia del “quondam” Bartolomeo. Questi infatti possedeva una casa con più stan­ze con cantina e telaio sotto, in Petriccio confinata a 1° Via, 2° dott. Cristofano Roncalli, 3° orto della Chiesa, 4° mura castellane, 5° e 6° Simone Cercignani del valore di 50 scudi…”.(7)

Dal 22 giugno 1729 i Biondi furono gli uni­ci proprietari di questo immobile. La sud­detta famiglia, che è annotata nell’estimo del Comune di Pomarance fin dal XVII se­colo, risultava proprietaria di diversi beni nella corte di Ripomarance. Secondo lo storico Don Socrate Isolani pare che es­sa provenisse dal “Castello della Pietra” nei pressi di San Gimignano e che alcu­ni suoi membri si fossero stabiliti attorno al XVI secolo nel piccolo castello di San Dalmazio. Giovanni di Giovan Pietro Bion­di (1604-1697), annotato nell’estimo del Comune di Pomarance risulta provenien­te infatti da San Dalmazio.(8)

Questi aveva comprato, in data 6 ottobre 1675, a Pomarance tutti i beni apparte­nuti ad Agnolo Sorbi ed a suo fratello Ba­stiano tra cui una casa posta in Petriccio confinante con lo “Spedale” di San Gio­vanni. Le proprietà risultano successiva­mente essere poste a carico di suo figlio Giovanni Antonio (1670-1730).

Il di lui figlio, Pietro Francesco Biondi (1671-1730) fu l’autore dell’acquisto del­l’antico palazzo appartenuto ai Roncalli che, come già descritto, fu comprato al­l’asta dai Vadorini e poi successivamen­te rivenduto al Biondi nel 1728 (1729).

Il dottor Pietro Francesco Biondi sposan­dosi con … dette la nascita a tre figli: Pom­peo, Francesco (Michelangelo) e Giusep­pe (Maria). Rimasti orfani in tenera età, per la precoce morte del padre, eredita­rono tutti i beni del nonno Giovan Antonio per atto di testamento datato 22 agosto
1734; alla presenza del sig. Tenente Pier Giuseppe Biondi, uno dei tutori e provve­ditori. Tra i vari possedimenti risulta an­che la casa confinante con la Chiesa, og­getto della nostra indagine. In data 13 agosto 1743 venne cancellato dalla “posta” dei beni dei fratelli Biondi il sig. Pompeo “… stante la divisione e cessione fatta a detti fratelli, come appa­re per contratto rogato dal Notaio Anto­nio Nicola Tabarrini…”.(9)

I due fratelli, Francesco e Giuseppe, ri­masti unici proprietari della casa posta lungo la via di Petriccio accanto alla por­ta “alla Pieve”, nel 1760 ricomprarono una piccola stanza “posta nello stasso palazzo di loro dimora”, che era stata venduta molti anni prima a certo Giovan Maria Funaioli per scudi 10.

La riacquisizione della suddetta stanza ad opera di Giuseppe e Francesco Biondi è confermata oltre che nell’estimo del XVIII secolo, anche da un contratto conserva­to nell’archivio privato della famiglia Bion­di Bartolini.(IO) Dal rogito si apprende quanto segue: “…adì 30 maggio 1760 … Qualmente dal già Sig. Pietro Francesco Biondi delle Pomarance fu venduta una stanza a terreno a Francesco e Andrea, fratelli e figli del già Giovan Maria Funaioli di detto luogo … qual stanza è contigua alla casa di proprietà di abitazione di detto signor venditore; luogo detto Petriccio, confinante a 1° Via, 2° Signori Biondi, 3° Portone detto di Petriccio … come per contratto rogato dal Dott. Bernardino Cercignani … ed avendo adesso convenuto e stabilito che il detto padrone di detta stanza, rilasci e conceda la suddetta stan­za alli Signori Francesco e Giuseppe Biondi del prefato Sig. Pietro Francesco Biondi…”.

In un documento successivo del 1779, tratto daH’Archivio Storico di Pomarance, la suddetta casa viene citata come appar­tenente allo stesso Giuseppe Biondi, gon­faloniere in quegli anni nel Comune del­le Pomarance. In una descrizione di “Strade e Fabbriche della Comunità di Pomarance” dello stesso anno infatti, si annotava che dalla via di Petriccio si stac­cava una piccola via denominata “Dietro il canto”, la quale iniziava: “dalla canto­nata del Sig. Giuseppe Biondi a mano dritta, et a sinistra dalla casa del Sig. Can­celliere Incontri, con direzione le­vante…”.(11)

Nello stesso anno i due fratelli Biondi fa­cevano istanza al Comune delle Poma­rance per poter sbassare una torre delle vecchie mura castellane che impediva lu­ce necessaria alla loro abitazione: “… di poi letta un’istanza dei Sig.ri Dottori Giu­seppe e fratello (Francesco) Biondi colla quale domandano di poter sbassare alcu­ne parti di braccia della torre esistente lungo le mura castellane, luogo detto il Tavone, per acquistare l’aria della casa di loro abitazione… Deliberarono perciò di quanto spetta, ed è facoltà del Magi­strato loro, accordarsi il mandato stesso… ‘>(12)

Una sala del piano nobiliare con decorazioni e pitture murali

È ipotizzabile che la suddetta torre posta in località Tavone, altro non fosse che la torre circolare (attualmente conosciuta come “dei Biondi Bartolini”) ubicata nel giardino degli stessi Biondi Bartolini die­tro Via dei Fossi.

Un’altra notizia storica del palazzo risale al 1783, quando il sig. Giuseppe Biondi faceva domanda al comune delle Poma­rance che: “… gli fosse accordata licen­za di fare tre paloni per l’ingresso ad una bottega da esso fatta ai pié della casa di sua abitazione, quale rimane troppo alta dal piano della strada…”.(13)

Attorno al 1785 il fratello Francesco Bion­di lasciava la casa paterna per formarne una propria. Il 15 settembre infatti face­va domanda alle Magistrature del Comu­ne di Pomarance “… di assere ammes­so al godimento dei Priori della Comuni­tà così come ha goduto e gode la sua ca­sa paterna del Gonfalonierato, e Operaio per formare distinta famiglia dagli altri suoi fratelli (Giuseppe e Pompeo)”.(14) Francesco Biondi si stabilì con la propria famiglia nel palazzo posto sulla via di “Borgo” (oggi Roncalli) nel palazzo at­tualmente conosciuto come “dei Ricci”. Nella divisione patrimoniale dei tre fratelli anche il “prete” Pompeo fu liquidato con una retta annuale sul capitale di famiglia; rimase unico possessore dell’immobile il Dottor Giuseppe che morì nell’anno 1799. Con voltura n° 11 e n° 30 dello stesso an­no ed una voltura (n° 9) del 1803 la pro­prietà della casa posta “in Petriccio” e confinante con la casa ed orto della chie­sa, fu ereditata dai suoi tre figli; Dottor Giovan Battista (1756-1826), Tommaso ed Isidoro.(15)

La tutela del patrimonio fu affidata al fra­tello maggiore Giovan Battista Biondi che fu anche il promotore della ristrutturazio­ne del palazzo “Biondi”, così come ci è pervenuto oggi.

La notizia è del 24 maggio 1800; trattasi di una istanza presentata al Comune delle Pomarance dal Dottor Capitano Giovan Battista Biondi ”… colla quale domanda accordarseli la facoltà di poter porre l’antenne (paloni per impalcature) o quanto altro occorra nella necessità in cui si tro­va di dover rifondare le muraglie di sua abitazione posta in Petriccio e domanda di poter occupare lungo le muraglie di es­sa casa un terzo di suolo di strada e piaz­zetta di Petriccio col pagare alla comuni­tà l’occorrente…”.(16)

La conferma di questa ristrutturazione agli albori dell’ottocento è data anche da un documento conservato nell’archivio Biondi Bartolini che tratta di una ricevuta di pagamento ad una “maestranza” ori­ginaria di Firenze e lavorante in Pomaran­ce: “… Adì 9 settembre 1802… lo Pasqua­le Bitossi ho ricevuto dal Sig. Capitano Giovan Battista Biondi la somma di lire 80 tanti sono per opere fatte in sua casa, e mi chiamo contento e soddisfatto in tutto per lire ottanta…”.

La riedificazione comportò anche l’am­pliamento dell’edificio al di là delle vec­chie mura castellane, sul versante dell’or­to della chiesa di Pomarance. “Suolo ca­nonicale” concesso a livello enfiteutico al­la famiglia Biondi, dal parroco Saverio Pandolfini che consentì l’allineamento dell’edificio stesso verso la proprietà del­l’orto della famiglia Biondi. Questa notizia è certificata da un atto di divisione patrimoniale del 1804 tra i fra­telli Biondi e conservato nell’archivio di famiglia: “… essendo che fino dall’anno 1804 l’illustrissimo Vicario, Dottor Tom­maso Biondi del già sig. Giuseppe (Anto­nio) Biondi di Pomarance, entrasse in de­terminazione di provvedere alla divisione
del patrimonio sostante e i beni che rite­neva in comune gli III.mi signori, Capita­no Giovan Battista e Isidoro di detto già Sig. Giuseppe Antonio Biondi di detto luo­go, di lui fratelli, ad essi pervenuti in ere­dità paterna e materna, quanto per ere­dità del defunto Sig. Dottor Francesco Biondi comune zio…”.

Nella descrizione dei beni in divisione è annotata anche: “… la casa di abitazio­ne di loro stessi dividendi, posta in detta terra di Pomarance nella contrada di Petriccio, assieme colla nuova aggiunta eretta sul suolo ortale della chiesa di detto luogo con tutte le sue adiacenze e perti­nenze…”.(17)

Anche se non sono stati ritrovati docu­menti concernenti il contratto di livello enfiteutico per l’occupazione del suolo or­tale della chiesa, la stessa concessione enfiteutica è testimoniata in una relazio­ne della metà del XIX secolo sulle proprie­tà dei Biondi Bartolini nel quale l’edificio è descritto: ”… composto di tre piani da terra a tetto il tutto per la più gran parte di libera proprietà, ma per piccola parte “livello” della Propositura di Pomarance

In quegli anni vennero dipinte e decora­te le stanze ed i soffitti del “piano nobi­liare” in cui furono raffigurati, in stile Im­periale, vedute paesaggistiche di notevoli dimensioni tra le quali è di notevole inte­resse un paesaggio del castello di Poma­rance (fine XVIII secolo) visto dalla zona di Piuvico o Cappella di San Carlino.(18) Giovan Battista ed Isidoro, rimasti unici proprietari del patrimonio di famiglia, in data 30 novembre 1813 addivennero ad una nuova divisione dei loro beni tra cui figuravano alcuni possedimenti ereditati dallo zio paterno, Francesco Biondi.

Nell’atto notarile conservato tra i docu­menti di famiglia Biondi Bartolini è indi­cata anche “… la metà della casa di abi­tazione degli antedetti condividendi posta nella terra di Pomarance, contrada di Petriccio, confinata a 10 strada pubblica, Bartolomeo Fedeli, 3° casa canonicale, 4° orto annesso a detta casa canonica­le, 5° stanze dell’Opera, 6° Annibaie Vadorini con orto e casa e torna a detta via, dentro qual confini restano compresi il ter­razzo ed orto uniti a detta casa dei con­dividendi che vien formata dalle fabbriche urbane descritte in faccia dei medesimi condividendi a carta 198 e 296 di detto estimo di Pomarance, stimata scudi 1000; qui per metà scudi 500…”.

Successivamente la casa pervenne al Ca­pitano Giovan Battista Biondi che morì nel 1826. Questi lasciò eredi dei propri pos­sedimenti i suoi tre figli: Giuseppe, Pie­tro e Jacopo che risultano proprietari, al Catasto Generale della Toscana (1830), deH’immobile posto in Petriccio e descrit­to alla particella catastale n° 316 e 315 (cioè abitazione e orto).

In una successiva divisione patrimoniale tra gli stessi fratelli Biondi, figli di Giovan Battista, le proprietà pervennero (30 aprile 1837) al fratello maggiore Giuseppe; gli altri, Jacopo e Pietro furono liquidati con una cospicua somma di danaro (8000 scudi ciascuno) ed una rendita annuale sui fruttati di interesse sul capitale di fa­miglia. Jacopo si trasferì a Montalcino de­dicandosi alla sua tenuta vinicola e pro­ducendo il famoso “Brunello di Montal­cino”.

L’avvocato Pietro sposando Domira Vadolini dette luogo al ramo dei Biondi da cui discendono il dottor P.G. Biondi ed i suoi figli, Notaio Giovan Battista e Andrea Biondi della Sdriscia.

Il dottor Giuseppe Biondi sposando nel 1830 Donna Violante Bartolini, del Gon­faloniere Bartolino Bartolini e Guglielma Tabarrini, con decreto del 26 febbraio 1830, aggiunse al proprio cognome quello della moglie dal quale è derivata l’attua­le famiglia “Biondi Bartolini”, proprietari ancora oggi dell’ornonimo palazzo situa­to in Piazza de Larderei.

Alla morte del dottor Giuseppe Biondi Bartolini, avvenuta nel 1863, gli succedet­tero nella tenuta del patrimonio immobi­liare i suoi figli Bartolino e Giovanni.

Particolare del Castello di Pomarance agli inizi del XIX see. dipinto sulla parete della sala al piano nobiliare.

In quell’anno infatti, e precisamente il 22 maggio, fu stilata una relazione dettaglia­ta del “patrimonio” Biondi Bartolini, dell’Ing. Lorenzo Chiostri che è ben conser­vata nell’archivio di famiglia. Nel mano­scritto di stima dei beni Biondi Bartolini è descritto con minuzia il “palazzo nobi­liare” dai fondi al tetto, il valore degli ar­redi che adornavano le varie stanze: “… Patrimonio lasciato dal Nobil Uomo dott. Giuseppe Biondi Bartolini al 22 maggio 1863… Un palazzo con orto annesso si­tuato in comunità di Pomarance eprecisamente nel paese di tal nome in corri­spondenza della nuova Piazza de Larde­rei, e della via maestra che ne fa, segui­to procedendo verso il centro del paese, composto di tre piani da terra a tetto, il tutto per la più gran parte di libera pro­prietà, ma per piccola parte livello della propositura di Pomarance; di superficie tutto compreso orto e palazzo, braccia 1457 equivalente a mq. 496 e così confi­nato: a 1 ° Piazza de Lardarel, 2° Via, un tempo detta di Petriccio, 3° Via Masca­gni, 4°, 5°, 6°, 7°, 8°, Propositura di Po­marance con fabbricato ed orto, 9°, 10°, 11°, 12°, 13°, Sig. Vadorini Giuseppe con orto e casa. Annesso a detto palaz­zo sta una terrazza a livello del terzo pia­no, costruita sopra un’antica porta del paese, il cui arco da un lato appoggia al palazzo Biondi Bartolini e dall’altro alla casa dei fratelli Bongi… Il piano terreno del suddetto palazzo è composto, come appresso: una piccola bottega con unico ingresso dall’esterno, un corridoio corri­spondente alla porta principale di ingres­so… Il descritto palazzo offre stabilità nel­le sue mura, comodità nelle sue stanze ed eleganza specialmente in quelle del primo piano… Fra queste meritano spe­ciale considerazione la sala ed il salotto da ricevere per le belle pittura che ador­nano le pareti; ma il pavimento a smalto lustrato e figurato a disegno con pietra di vari colori che presenta la sala, accresco­no alla sala stessa un pregio, che la pari­fica alle sale dei palazzi signorili delle cit­tà… Le finestre del piano terreno sono guarnite di inferriate esternamente e di serramento a due imposte di cristalli e scurini internamente. Quelle del piano su­periore sono provvedute d’imposte a cri­stalli e scurini e di persiane; quelle del pri­mo piano a tetto hanno semplicemente le imposte a cristalli e scurini… Al piantario del nuovo estimo della Comunità di Po­marance il suddetto palazzo con orto è fi­gurato dalle particelle n° 315 e 316 della sezione C accese a conto di Biondi Bar­tolini Bartolino e Giovanni del dottor Giu­seppe…”.

Stato attuale del Palazzo Biondi Bartolini indicato alla particella n° 417

Nella relazione dettagliata è annotato che manca il documento del livello corrispo­sto alla Canonica per l’occupazione del suolo destinato alTampliamento dell’edi­ficio avvenuto agli inizi dell’ottocento e che comportava una spesa annua di lire 45,20.

Nel periodo tra il 1863 ed il 1868 Bartoli­no e Giovanni ampliarono i possedimen­ti immobiliari nelle immediate adiacenze della loro abitazione. Infatti in una rela­zione sul “patrimonio attivo e passivo” dei fratelli Bartolini e Giovanni del 22 maggio 1863, confrontato con quello del 10 novembre 1868 risulta, nella voce “ac­quisti di immobili” un pagamento a Giu­seppe Vadorini per “vitalizio di lui casa”, di lire 552. Egli infatti cedette i propri pos­sedimenti (particelle 315 e 314 del Cata­sto Leopoldino) in cambio di una rendita vitalizia. Nell’acquisto come si può osser­vare dalla planimetria catastale (1823-1898) era compresa anche la torre cilindrica o “baluardo” detta del “Tavo- ne” ed un appezzamento di terreno lun­go la via “dei Fossi”.(19)

Dopo la morte del cavalier Bartolino Bion­di Bartolini avvenuta il 28 giugno 1900 le proprietà rurali nonché la casa paterna pervennero, con testamento registrato a Volterra il 20 dicembre 1900, al fratello Giovanni Biondi Bartolini (1838-1904). Da questi, per discendenza diretta fu eredi­tata dal di lui figlio Giulio (1877-1918) dal quale sono pervenute all’attuale Giovan­ni Biondi Bartolini.

Jader Spinelli

NOTE:

  1. Archivio di Stato di Pisa; Planimetria cata­stale della Toscana (Catasto Leopoldino); Uf­ficio fiumi e fossi: Comunità di Pomarance Sez. C n° 2; Scala 1: 1250; 6 maggio 1823.
  2. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 430 (estimo 1630) c. 115 r.
  3. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 430 (estimo 1630) c. 289 v.
  4. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 432 (estimo 1716) c. 2 r.
  5. Dott. Giovan Battista Biondi: “La famiglia Roncalli a Pomarance” in La Comunità di Po­marance 1969.
  6. Biblioteca Guarnacci Volterra, estimo 1716 c. 198 r.
  7. Biblioteca Guarnacci Volterra, estimo 1716 c. 206 r.
  8. Archivio Storico Comunale Pomarance F. 378.
  9. Biblioteca Guarnacci Volterra; estimo 1716 c. 195 r., v.
  10. Archivio Biondi Bartolini (non catalogato)
  11. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 378. Il vicolo “Dietro il Canto”, come è pos­sibile osservare dalla piantina catastale del 1823, lambiva il palazzo Biondi (attuale Bion­di Bartolini) indicato alla particella catastale 316 e il palazzo del Can.re Incontri (part. 448); poi del Panicacci, che era quel grande edificio po­sto nel centro dell’attuale Piazza de Lardarel. Edificio distrutto a carico e spese del Conte de Larderei nel 1860 al quale fu dedicata l’omo­nima piazza.
  12. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 126 c. 123 v.
  13. Archivio Storico Comunale di Pomarance F.127 c. 30 v.
  14. Archivio Storico Comunale di Pomarance F.127 c. 97 r.
  15. Biblioteca Guarnacci Volterra, estimo 1716 c. 195 r.
  16. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 130 c. 13 (1800).
  17. Archivio Biondi Bartolini. Da alcune noti­zie orali del Sovrintendente ai monumenti P.G. Biondi, riportatimi dallo storico Don Mario Boc­ci, pare che durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio, fossero state rinvenute diverse tombe etrusche anche del periodo arcaico. Ne è testimonianza nelle vicinanze una tomba a quattro celle sotto la Canonica databile attor­no al IV secolo A.C.
  18. Gli affreschi che si trovano dipinti sui sof­fitti delle stanze nobiliari e soprattutto le gran­di pitture murali delle sale da ricevimento so­no molto simili, per tecnica e soggetto, a quelle dell’ex Palazzo Ricci, già dei Biondi nel 1800. La parentela che esisteva tra i proprietari dei due palazzi favorì certamente una commissio­ne agli stessi decoratori e pittori per gli abbel­limenti interni. Il Palazzo ex Ricci, attualmen­te di proprietà comunale, fu di proprietà di Francesco Biondi, fratello di Giuseppe che vi andò ad abitare dopo il 1785 quando formò un proprio nucleo familiare. Attorno al 1826 que­sto immobile era assegnato ai fratelli Giovan Carlo e Luigi Biondi del fu Francesco Biondi. In una delle sale affrescate di questo palazzo, utilizzata impropriamente come ambulatorio U.S.L., è impressa una data molto importante per datare l’esecuzione di questi affreschi e quelli conservati in palazzo Biondi Bartolini. Questa è scritta in numeri romani sopra un ca­minetto incassato nel muro e riporta l’anno 1810.
  19. Con la costruzione della nuova Piazza de Larderei nel 1860, l’immobile dei Biondi Bar­tolini accatastato con la particella 316 aveva l’entrata principale indicata al numero civico 44; secondo il “Registro dei possessori di fab­bricati” del 1878 e del 1889 il suo valore era di lire 168, 75.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

LA CROCE DEL BIBBIANI

Circa un anno fa, tramite il libro “IL FORMICAIO” edito da “IL GABBIA­NO” di Livorno, conoscemmo attraver­so i suoi racconti la signora Vittorina Bibbiani in Salvestrini e la sua famiglia. Erano andati via da Pomarance duran­te gli anni venti e, meno che gli intimi, nessuno aveva più avuto rapporti con loro. La famiglia Bibbiani, di pura raz­za contadina, di quei contadini cresciuti con la zappa in mano e senza arnesi meccanici, era vissuta al podere “FOR­MICAIO” sito ad un chilometro dal pae­se lungo la provinciale per Larderello. I Bibbiani con tanto sudore ed altrettan­ta volontà riuscivano a malapena a far fruttare il sassoso terreno, e dai raccon­ti del libro si può ben comprendere qua­li siano stati i sacrifici per far sì che da un piccolo poderetto potessero uscirne, non uno, ma due diplomati. Giustamen­te Aurelio, il fratello della scrittrice, Ra­gioniere e Perito commerciale, mi ha posto in evidenza un interessante arti­colo uscito su La Nazione ad opera di Marzio Barbagli, docente di Sociologia all’università di Bologna. In esso si ri­marca che in quegli anni soltanto lo 0,4% dei contadini riusciva a persegui­re un diploma, un numero esiguo, co­me si può notare, ma fra questi vi era anche quello di Aurelio, che poi, per suo merito, aggiungeva anche quello della sorella Vittorina con il diploma di Maestra Elementare. Una rarità po­tremmo definirla, tanto più da apprez­zare in quanto questi due pomarancini hanno, come si suol dire, tirato fuori frutti proprio dalla zolla.

lo personalmente ho conosciuto questi signori nell’occasione della presenta­zione del libro “IL FORMICAIO” a Rosignano Marittimo il 18 ottobre 1987, tuttavia erano ancora sconosciuti alla maggior parte dei pomarancini e soltan­to con la divulgazione di questo libro essi si sono resi noti ed apprezzati. Ma la signora Bibbiani, in una visita al paese natio, espresse il desiderio di ri­vedere il vecchio podere ed in compa­gnia della sua amica Emma, si recò al Formicaio. Con gran meraviglia consta­tò che la Croce, la famosa Croce, men­zionata nei suoi racconti, non era più al suo posto, non indicava più il vialet­to che conduceva al suo podere. Ne fu rammaricata, e lì per lì, si propose di far tutto il possibile per ricollocare questo segno di cristianità in loco. Carta, pen­na e destrezza nello scrivere, si mise subito all’opera e, prima al Parroco, poi al Vescovo, all’ANAS (visto che oggi la strada non è più Provinciale ma è la Statale 439 SARZANESE VALDERA), poi alle autorità, al proprietario del ter­reno (oggi Fedeli). Un’infinità di lette­re, che messe insieme cominciavano a concretizzare il suo sogno. Anch’io ne ero partecipe, perchè dopo la nostra conoscenza ero tenuto al corrente dell’evolversi dei fatti e delle difficoltà che continuamente si frapponevano al raggiungimento dello scopo. Dopo non po­ca fatica e tanta perseveranza final­mente i suoi scritti cominciavano a frut­tare ed i permessi furono quasi tutti nel­le mani della signora Bibbiani che tor­nò a Pomarance ed ordinò la Croce al falegname. Egli prese l’impegno di co­struirla ma non quello di procurare il le­gno adatto e come lo voleva ed esige­va la signora, così questa interpellò la Guardia Forestale, il cui Maresciallo sig. Visci Vittorio riuscì a procurarglie­lo proprio come lo desiderava.

Fu scelto il posto giusto dove collocar­la, in modo da non ostacolare il traffico e la visibilità a chi percorreva questa Statale.

Finalmente il 24 settembre 1988, in uno splendido pomeriggio autunnale, la fa­tidica Croce, dopo una suggestiva ce­rimonia officiata dal Proposto don Pie­ro Burlacchini, ed al canto delle vecchie lodi sacre usate per le rogazioni, in lin­gua latina, venne issata in un cippo pre­disposto dopo essere stata benedetta e baciata dai fedeli. La signora Bibbia­ni ringraziò caldamente quantil’avevano aiutata per raggiungere la meta pre­fissa e tutti i presenti alla cerimonia (un centinaio di persone) tra cui il Sindaco Renato Frosali, il Maresciallo Visci, il Presidente dell’Associazione Turistica, le sue colleghe maestre, il fratello sig. Aurelio, la sorella Maria, il figlio con i nipoti. I giovani nipoti consegnarono un cartoncino con effigiata la Croce già
pubblicata sul libro “IL FORMICAIO’’. Così la signora Bibbiani prima con il li­bro ed oggi con la Croce è tornata ce­lebre nella sua terra e come lei i suoi familiari. Terminate le funzioni religio­se il gruppo dei presenti, dietro invito della signora, si è recato presso il Cir­colo ACLI dove è stato offerto un ricco rinfresco.

A questa piccola, ma grande maestra vada, a nome mio e della Redazione di questa Rivista, un augurio di prosperi­tà ed un grazie per aver ripristinato un simbolo di religiosità che, senza la sua tenacia, sarebbe rimasto soltanto nel ri­cordo di pochi.

La CROCE DEL BIBBIANI come la ri­corda Vittoria Silvestrini nel suo libro “IL FORMICAIO”: Posta sulla via Provinciale, all’imboc­co della stradetta della nostra casa, era il punto di riferimento per chi ci cerca­va. Fatta di due grossi tronchi incastra­ti, aveva in alto una tavoletta con la si­billina scritta “I.N.R.I. ” e all’altezza dei piedi un ceppo con un grosso chiodo. Mi rivedevo piccolina abbracciata a quella Croce; risento sulle labbra il con­tatto di quel chiodo bollente d’estate, marmato in inverno, e l’odore agrodolce del catrame! Quanti fiori campe­stri ho messo sul piedistallo, sul chio­do, sulle braccia di quella Croce!

Ma la festa era per le Rogazioni, molti bambini di città non sanno nemmeno cosa sono le Rogazioni, cioè le proces­sioni che si fanno nelle campagne, per tre giorni di seguito, prima dell’Ascen­sione, per impetrare dal Signore un buon raccolto.

…La nostra casa distava dalla via mae­stra un tiro di schioppo e vi si perveni­va mediante una stradella sassosa, fiancheggiata da pergole di viti. All’im­bocco, nera e solenne, su un piedistal­lo di pietra, troneggiava la Croce, la Croce del Bibbiani, la nostra Croce.

Qui si fermavano ogni giorno i postini per prendere il latte; qui arrivavano le signore del paese durante la passeg­giata vespertina, qui veniva il Proposto per le Rogazioni; di qui passavano gli operai delle miniere e di Larderello, i barrocciai, le persone che si recavano alla chiesa, i contadini che si recavano alle fattorie, le lente carovane dei muli quasi sepolti sotto le enormi some di carbone (e attaccato alla coda dell’utlimo, il mulattiere dal volto nero e dai denti bianchi come un negro).

…La Croce era come un balcone per noi ragazzi…

…Dalla via maestra ho visto passare le prime biciclette, le prime automobili… …Nel tardo pomeriggio dei giorni feriali passavano le donne del paese che tor­navano da far legna, dalle macchie lon­tane chilometri e chilometri. La porta­vano in testa, senza reggerla, in enor­mi fastelli a forma di sigaro. Incedeva­no lente, sotto il grave peso, con la cal­za in mano ed il ventre gonfio per l’en­nesima maternità.

Vi passavano, mattina e sera, gli irre­quieti operai delle miniere, che discu­tevano, bestemmiando, di salari, di par­titi, di scioperi, o cantavano “Bandiera Rossa” e …

Ricordi più recenti li rivivo anch’io: la Croce del Bibbiani dei miei tempi. Mi rivedo quando, da ragazzo, in compa­gnia di mia madre mi recavo alla Cro­ce del Bibbiani o Croce di Nebbia, o ad­dirittura, per i più vecchi, alla Croce di Parrucca.

Ricordo quando si arrivava agli olmi, lo­calità tra il piccolo boschetto di querciole che demarcava i confini tra il terre­no del Formicaio e quelli del Valentini, una fila di vecchi olmi (una decina) che costeggiando la strada maestra arriva­vano all’incrocio per le Peschiere. La strada in quel punto era in semicurva e dopo pochi passi si scopriva il pode­re. La Croce, che per l’occasione era resa vistosa dagli innumerevoli e vario­pinti fiori di campo, spiccava in lonta­nanza e, mentre la processione dei fe­deli si avviava pian piano, noi ragazzi si scappava avanti a precedere il grup­po. Il traffico automobilistico era esiguo ed il pericolo era limitato, così i genito­ri ci lasciavano correre per quel breve tratto.

Gli anni passarono e si arrivò al perio­do bellico, al passaggio del fronte. In quelle vicinanze, durante un mitraglia­mento, fu ucciso un soldato tedesco e mani pietose scavarono una fossa ai piedi della vecchia Croce e seppelliro­no questo militare. Un cumulo di terra restò per vario tempo visibile ad indi­carne la sepoltura poi, a guerra finita, tutte le tombe segnalate furono riesu­mate e raccolte in un quadro del cimi­tero di Pomarance riservato a questi soldati.

Passarono ancora degli anni, ed io, co­me tanti altri mi recavo a lavoro a Lar­derello: erano i primi anni del dopoguer­ra ed il mezzo di locomozione più usa­to era la bicicletta. Ricordo che una mattina di piena estate, erano le 3 e 30 ed ero solo per recarmi al primo turno che iniziava alle 5, arrivato agli olmi vi­di nel buio ed al flebile riflesso del mio fanale, una fiammella che si muoveva in prossimità della Croce, pensai a qualcuno che si era fermato ad accen­dere una sigaretta, ma più mi avvicina­vo e più mi rendevo conto che attorno a questa fiaccola non c’era nessuno. Ebbi paura e cominciai a pedalare con più intensità arrivando cosi al Formicaio a velocità sostenuta e passando davan­ti più svelto possibile. Dopo, passata la Pieve Vecchia, mi girai indietro e vidi che la fiammella era proprio dietro di me e mi stava seguendo; accelerai an­cora sempre più sino alla discesa di Mona e questa mi seguiva ancora, fi­nalmente arrivato alla Croce del Bufe­ra essa scomparve per la strada di San Dalmazio.

Avevo 17 anni ed ero anche pauroso, poi solo e a quell’ora mi presi un bello spavento. Arrivato sul luogo di lavoro raccontai l’accaduto e dai più anziani fui anche deriso; “Ma era un fuoco fa­tuo” mi disse uno di loro, poi tutti in­sieme mi spiegarono che era gas che si sprigionava dalla terra dove proba­bilmente vi era stato seppellito qualche animale, (ed io allora ricordai chi vi fos­se stato sepolto) con la calura del gior­no questi gas si incendiano e durante la notte possono essere visti.

La mia è una piccola avventura, ma può coprire il vuoto che si frapponeva fra il tempo delle vecchie Rogazioni ed i nostri tempi.

Giorgio

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

Parco della rimembranza

ONORIAMO I NOSTRI EROICI COMBATTENTI

Con il Bollettino di Guerra n° 1268 delle ore 12 del 4 novembre 1918 dira­mato dal Comando Supremo con firma Armando Diaz, si dichiarava: LA GUERRA E’ FINITA CON LA VITTO­RIA DELL’ITALIA.

Questa guerra denominata Guerra Mondiale, dopo lotte asprissime soste­nute con tenace valore dalle nostre truppe per quarantuno mesi con inizio il 24 maggio 1915, cessava le ostilità.

Anno 1925 – Il monumento in costruzione

Una guerra combattuta alacremente sul terreno aspro delle Alpi Carsiche che ad ogni inverno si accaniva sempre più, dove migliaia di giovani erano rimasti sul terreno insanguinato.

Centinaia di reggimenti dislocati nelle varie zone e nei vari settori con mostrine di colore disuguale ad indicar­ne il corpo di appartenenza. Tutti, a loro modo, Alpini, Genieri, Artiglieri, Fanti, Bersaglieri, Cavalleggeri, (ed alle prime esperienze) l’Autocentro e l’Avia- zione, dislocati su Km. di fronte, con la Marina sulle coste di Trieste e Monfal- cone. I pezzi di artiglieria, i grossi semoventi, dovevano esser portati sulle irte cime con dislocazioni precarie e mancanti di strade di accesso. Fu tra­mite trincee e mulattiere che le artiglie­rie, smontate nel limite del possibile, poterono essere portate ad elevate quote e posizionate a rilevanti altezze da permettere lo sparo. Centinaia di questi giovani, spesso con imboscate, con attacchi improvvisi rimanevano sul terreno conteso.

Dopo la data del 4 novembre si attendeva con ansiosità il ritorno di questi militari, di questi ragazzi che erano stati mandati sul confine alpino a difesa del nostro stivale.

Gli italiani erano in delirio per questa vittoria, gli Ufficiali, i soldati stessi erano soddisfatti del loro operato e del loro sacrificio.

Chi era ad attenderli aveva riserbato per loro le più belle manifestazioni di simpatia e di compiacimento. Suoni di campane, di fanfare, ricevimenti civili e funzioni religiose. Incontri con fiori e baci offerti da belle ragazze. Era insomma il momento riservato a questi eroi che ogni giorno con tradotte veni­vano riportati alle loro località, alle loro case.

Purtroppo non fu per tutti così; infatti nei giorni a seguire cominciarono a giungere non più uomini, ma telegram­mi con nomi che andavano ad accre­scere il numero delle liste dei soldati che non sarebbero più tornati. Dopo mesi i conteggi terminarono, lasciando il posto a numeri che si assommarono per poter essere interpretati:

600.000 Caduti

1.000.000 Feriti 500.000 Mutilati

Molte le madri straziate dal dolore accompagnate dalle giovani spose e dagli orfani che magari non avevano nemmeno conosciuto il loro padre.

Più il tempo passava più ci si accor­geva del vuoto lasciato dalla loro man­canza.

Chi aveva le responsabilità comincia­va a sentirne sempre più le colpe.

Si arrivò agli anni venti. Promossi dalla Casa Regnante e dal nascente Partito, si istituirono comitati per l’ese­cuzione di monumenti che a seconda delle località si rendevano più o meno consistenti. Roma, che era la capitale, mise a disposizione il VITTORIANO: il monumento dedicato a Vittorio Ema­nuele Il e da poco terminato (1885- 1911). Così alla base della statua equestre del Re venne messa la salma di un soldato ignoto come simbolo da cui poi questo prese il nome. Il monu­mento detto Altare della Patria, dopo la grande scalea vista da Piazza Venezia, mostra una fiaccola perenne protetta quotidianamente da due soldati che vi montano la guardia. Tutta l’Italia si impegnò a seguire questo esempio e, dalle grandi città fino ai piccoli paesi e alle più sperdute borgate, si cercò con qualsiasi forma e con ogni mezzo di glorificare il sacrificio dei soldati che vi avevano abitato.

Anche Pomarance si prodigò per questa realizzazione e ne dette incari­co ad un apposito Comitato presieduto prima dal sig. Aurelio Funaioli e poi dal sostituto e nuovo eletto Sindaco, sig. Onorato Biondi, nonché dai sottoelen­cati sigg. NASTI Gennaro, BICOCCHI Dott. Michele, BALSINI Don Carlo Pro­posto, FILIPPI Zeffiro, CERCIGNANI Ivo, BIONDI Dott. Pietro Giuseppe, VOLPI Gino (BIAGINI Egisto, LAZZERI Giuseppina, GUASCONI Giovanna, BARACHINO Eda, CANCELLIERI Giu­seppina, tutte facenti parte del corpo Insegnanti). Fino dai primi mesi del 1923, aderendo alle istruzioni superiori delle Autorità Didattiche, iniziarono le sottoscrizioni. Non poche furono, come sempre succede quando c’è da tirar fuori i soldi, le polemiche e le reazioni.

L’incarico del progetto andò al Prof. Architetto Francesco NOTARI di Siena, insegnante presso le classi di Belle Arti e Professore di disegno architettonico.

La base del monumento con i medaglioni di Luigi Bonucci  

Sempre su interessamento del Prof. Notari furono presi accordi con lo scal­pellino GARFAGNINI Quintilio di Poma­rance che prese l’impegno della fornitu­ra di pietrame tufaceo da prelevarsi dalle Cave delle Valli.

Per l’esecuzione dei lavori d’arte fu dato incarico a tal BANCHINI Oscar, livornese dimorante a Siena, coadiuva­to dai Sigg. SARTINI Ugenio e Onofrio e da BACCONI Orazio e figlio di Rapo- lano. Mentre le colonne, tre di un sol pezzo e della lunghezza di tre metri e mezzo, più alcuni lavori d’arte, vennero eseguiti dai fratelli Luigi e Quintilio GARFAGNINI.

I lavori di fusione dei medaglioni da applicare sul dado di base e dell’aquila da apporre sulla guglia, furono affidati allo scultore BONUCCI (Falugi) di Pomarance.

Iniziò così l’approntamento dei basa­menti che vennero eseguiti dove era stata la Cappella Mortuaria di San Rocco (demolita il 16 maggio 1872), sita nel terreno di proprietà della Chie­sa Parrocchiale. Nel sottostante terreno i componenti della Sezione Combatten­ti, stavano allestendo il PARCO DELLA RIMEMBRANZA con tutti i dovuti riguardi di tutti i commilitoni mancanti all’appello.

Mentre il Monumento era arrivato al montaggio del dado di base, nel centro di questo, in un vuoto appositamente creato, venne inserita una pergamena racchiusa in una bottiglia di vetro bleu portante la seguente iscrizione:

CIVIUM PRO PATRIA

BELLO INTER NATIONES GESTO CADUCORUM

POSTERITATI AD MEMORIAM PRODENDAM

POPULUS RIPOMARANCIUS

PRIMARIUM HUIUS MONUMENTI LAPIDEM

VICTORIO EMANUELE III

DEI GRATIA ITALORUM REGE

HONORATO JOANNES BAPTISTAE VINCENTI BIONDI

SINDICO

ANNO REPARATAE SALUTIS MCMXXVI

POSUIT

(Petrus Joseph Joannis Baptistae Petri Biondi Nob. Voi. Doct. Hanc Memoriam Dictavit).

Fu un lavoro assai lungo, sia per il reperimento dei fondi sia per la mano­dopera interessata; l’approntamento dei giardinetti che attorniavano in sim­metriche aiuole il monumento, veniva­no con amore preparate e curate dal combattente Leontino DELL’OMO che rimase custode sino alle sue possibi­lità.

Pian piano tutto prendeva forma, furono piantati i 79 cipressi in egual numero dei soldati non tornati a casa e ad ogni gambo fu posta una targhetta metallica smaltata con inciso il nome di un caduto. A questo punto ritengo doveroso ricordare con un elenco i nomi di questi Eroi:

BALDESCHI Nello. BALDESCHI Luigi, BALDINI Antonio, BARGELLI Armindo, BARGELLI Francesco. BAR- TALONI Pietro, BENUCCI Quintilio, BIANCHI Natale, BIANCHI Dante, BIANCHI Giuseppe, BIBBIANI Luigi. BICCHIELLI Arturo, BIONDI BARTOLI- Nl Giulio, BOCCI Giulio, BUCALOSSI Virgilio. BUCALOSSI Gino, BUFALINI Ugo, BURCHIANTI Igino, BURCHIANTI Dante, CALAMASSI Giuseppe, CALVA- Nl Giuseppe, CIGNI Arturo, CIPRIANI Tersilio, CORBOLINI Armando, COSTAGLI Mario, COSTAGLI Ulderigo, COSTAGLI Leontino, COSTAGLI Primo, DELL’OMO Igino, DELL’OMO Primo, FABIANI Giuseppe, FABIANI Tersilio, FEDELI Angiolo, FILIPPI Anto­nio, FORNARI Alessandro, FRANCHI Sabatino, FRIZZI Alvino, FRIZZI Enzo, GARFAGNINI Giovanni, GAZZARRI Tersilio, GAZZARRI Balduino, GAZ­ZARRI Amedeo, GAZZARRI Amerigo, GONNELLI Fidalmino, GREMIGNI Ter­silio, GREMIGNI Eugenio, GUERRIERI Rizzieri, LESSI Renzo, MANGHETTI Antonio, MANGHETTI Arturo, MAZZIN- GHI Albino, MAZZINGHI Giulio, MICHELOTTI Giovanni, MICHELOTTI Ulderigo, PETTORALI Umberto, PINI Enrico, PUCCI Egisto, RASOINI Gio­vanni, RIBECHINI Giuseppe. RIGHI Adolfo, RINALDI Piero, ROSSI Miche­le. ROSSI Cherubino, SALVINI Eliseo, SALVINI Quintilio, SALVINI Primo, SANTI Secondo, SPINELLI Giuseppe. SPINELLI Gennaro, SPINELLI Pietro, SPINELLI Angiolino, TANI Edoardo, TICCIATI Fioravante. TICCIATI Giusep­pe, TOFANI Tersilio, TONELLI Attilio. TRAFELI Guido, VALENTINI Secondo. VON BERGER Riccardo.

Finalmente tutto fu pronto per l’inau­gurazione; il 4 novembre 1926 si potè presentare ai concittadini ciò che per volere di taluni si era riusciti a fare.

L’imponente monumento con i suoi dieci metri e mezzo di altezza con il suo caratteristico colore del tufo, tro­neggiava tra il verde delle siepi che attorniavano le aiuole nelle quali spic­cavano variopinte zinie.

A far rispettare il luogo, oltre a Leon­tino, ci pensava Primo Guardia (Vigile Urbano) temuto sia dai piccoli che dai grandi per le ramanzine che non rispar­miava a nessuno.

Le panchine dislocate quà e là nei punti più in ombra erano ricercate sia dai giovani che dagli anziani e costitui­vano un piacevole luogo d’incontro e di conversazione.

La strada che vi conduceva, a partire dal Teatro, era stata sistemata con una fila di lampioni posizionati con apposite colonnette in getto, sul muretto fian­cheggiante il lato della Cecina. Così sia la sera sia il giorno questa strada deno­minata poi Via dell’impero, divenne passeggiata abituale di tutti.

Le colonne e la guglia

Le spese per la realizzazione di tutto questo, raggiunsero la strabiliante cifra di lire 71.734,20 raccapezzata con offerte di una apposita sottoscrizione, con una fiera di beneficienza creata PRO MONUMENTO, da varie rappre­sentazioni drammatiche effettuate nel Teatro dei Coraggiosi dai dilettanti del luogo, dall’Amministrazione Comunale, dall’Amm.ne Provinciale, dalla Società Boracifera Larderello, dai Sigg. Bicoc- chi, dagli Eredi Ricci, dal Marchese Antinori e dalla raccolta delle Maestre presso le scuole. Da aggiungere a tutto la manodopera prestata dalla Associa­zione Nazionale Combattenti locale, che si prodigò in misura encomiabile. Da considerare che contemporanea­mente fu fatta la Cappella dei Caduti nella Parrocchia, voluta da Don Balsini.

Al tutto mancarono solo le quattro colonnette previste agli angoli del riquadro di base, ma anche queste furono in breve realizzate, posizionate e non pagate. I Garfagnini che ne erano stati commissionati furono talmente indignati da venire a diverbio con i committenti. Non riuscendo a spuntare la situazione escogitarono un sistema intimidatorio. Notte tempo, scalpello e mazzuolo, si ricarono sul posto scavando una nicchia dove minacciarono di posizionare una mina da loro usata in cava. La cosa non fece effetto ed il debito si dilungava, final­mente per porre fine alla situazione le colonnette furono sostituite da quattro bombe di aereo, che svuotate della loro potenzialità furono infisse con le alette in basi quadrangolari ed unite tra loro, alle estremità, da catene pendenti agganciate a campanelle avvitate nei fori delle spolette.

Iniziò il conflitto della guerra ‘40 – ‘45 e la carestia di materiale ferroso ad uso bellico arrivò anche al monumento, così le quattro bombe di acciaio torna­rono ancora una volta in uso sottraen- dole al loro sacro incarico.

II monumento: foto attuale

Nel 1946, a fine guerra, con gli stessi intenti, nel sottostante PARCO DELLA RIMEMBRANZA, al centro dei cipressi fu eretto un cippo a ricordare i morti civili e militari di questa seconda Guer­ra Mondiale. Sulla base del cippo sono scritti i nomi di queste persone di cui ritengo giusto ricordare i nomi:

CADUTI MILITARI: CALVANI Dino, CASANOVI Eraldo, CORBOLINI Aldo. COSTAGLI Leontino. FABIANI Umber­to, FILIPPI Bruno. GARFAGNINI Ivo, MORI Bruno, MUGNAINI Ivo, RIGHI Adolfo, SENESI Corrado, SOCCI Amaddio, SPINELLI Attilio.

CADUTI CIVILI: BRUNETTI Bruna, CAPPELLINI Giuseppe, FEDELI Valdo, FROSALI Bruno, FROSALI Secondo, PINESCHI Attilio, ROSSI Pietro, ROSSI Mario.

Nell’occasione furono nuovamente ordinate le quattro colonnette, rimesse al loro posto e questa volta pagate.

Ad oggi sembra che l’impegno non sia troppo mantenuto, basti vedere lo stato in cui si trova; non più aiuole per i bambini, è rimasto soltanto il cartello “PARCO GIOCHI BIMBI”; i cipressi dei caduti hanno perduto le loro targhette che avevano dato luogo al nome PARCO DELLA RIMEMBRANZA. Vi si vede qualche anziano sulle panchine, motorini in sosta e nella buona stagio­ne qualche giovane innamorato.

Speriamo che non si aspetti un’altra guerra a risistemare il tutto e che que­sto articolo stimoli chi di competenza a provvedere.

Giorgio

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

VINCENZO TAMAGNI A POMARANCE

UNA MADONNA CON BAMBINO NELLA SALA DELLA EX PRETURA

Madonna con bambino – Vincenzo Tamagni (particolare)

Nell’ex Palazzo della Pretura di Poma­rance, situato nel centro storico di Poma­rance in Piazza Cavour, sono conservati dei pregevoli affreschi cinquecenteschi tra i quali desta l’ammirazione l’immagi­ne della Vergine con il Bambino.

Dipinta su una parete dell’ antica sala consiliare, già del vicariato di Val di Ce­cina, è il soggetto centrale di tre raffigu­razioni racchiuse in altrettante lunette sot­tovolta rappresentanti da una parte San Giovanni Battista e dall’altra un Santo Ve­scovo di una città di fiume( forse San Zenobi di Firenze) restaurate per conto del Comune di Pomarance nel luglio del 1976 da Walter Benelli di Pisa (delibera Com.le N. 125 del 25 Giugno 1976.

L’opera è del pittore di San Gimignano, Vincenzo Tamagni che lavorò per alcuni anni a Pomarance tra il 1524 ed il 1528 realizzando una serie di opere ; alcune delle quali conservate nella chiesa Par­rocchiale di Pomarance.

Le tre lunette affrescate sono corredate al di sotto da una iscrizione in versi latini che è atto di consacrazione del popolo verso la Madonna: “A te questi pegni di amore devoto pone questo popolo. Pro­teggi o vergine da tutti i mali, sii luce nei suoi consigli e in tutte le cose, guida e di­fesa” (traduzione di Don Mario BOCCI). È probabile, infatti, che l’effige di Maria e dei Santi fosse stata commissionata in se­guito ad un voto fatto nell’ epoca della pe­ste che imperversò in Val di Cecina nel 1522-24-26-28. Vincenzo Tamagni, nato il 10 aprile 1492, definito “ragazzo prodigio” del ’500, nel 1510 firmava un ciclo di affreschi mariani a Montalcino nella chiesa di San Francesco. Lavorò a Roma nelle Logge Vaticane co­me aiuto di Raffaello da Urbino e pur avendo avuto influenze pittoriche del Peruzzi, del Ghirlandaio, di Filippo Lippi e del Sodoma rimase un autore di ripetizio­ni un pò meccaniche che sono indizio di un “Raffaellismo superficiale“(Nicole Dacos Crifo) e di una singolare “arcaicità11 di ipostazione (Antonio Caleca).

Sala della ex Pretura

Nel 1524 dipingeva un affresco nell’Oratorio della Annunziata( attuale Battistero) della chiesa di San Giovanni Battista di Pomarance dove è raffigurato I’ Eterno Padre con angeli musicanti, scene dell’ Annunciazione e della Visitazione come ornamento del presepe in terracotta attri­buito a Zaccaria Zacchi da Volterra. Queste figurazioni dovevano servire a completare il racconto evangelico della Notte Santa, di cui lo scultore volterrano aveva già colto, nelle sue sculture policro­me il momento più alto.Sul fondale il pit­tore ha accostato in un’unica composizio­ne l’annuncio dei pastori e la fantasiosa cavalcata dei Magi preceduti dai loro scu­dieri. Nel sottarco è dipinto l’Eterno Pa­dre contorato da serafini e angeli musi­canti, che accompagnano coi loro stru­menti il canto della “Gloria”.

L’anno successivo, 1525, eseguiva una tavola ad olio rffigurante la Madonna e i Santi, collocata attualmente nella cappel­la di San Giovanni Battista (Don Mario Bocci, Notizie della Comunità Parrocchia­le di Pomarance; 1991).

Pochi anni prima della sua morte, avve­nuta dopo il 1529, eseguì anche una tavola ad olio raffigurante San Giuseppe che gli fu commissionata dal Comune di Ripomarance per Cappella di “San Joset” come attestano alcuni pagamenti del quadro nell’anno 1528: ‘‘A Vincendo Ta­magni pictor pella tavola di Sancto Jo­seph Lire 35;

Al comune e per lui al dipintor per conto della tavola di Sancto Joseph…”. (Arch. Stor. Com.le Pomarance F.632; c.386 r.). È probabile che questa opera sia quella collocata nel Palazzo Barberini di Roma, trafugata nel secolo scorso, venne cedu­ta al monte di Pietà di Roma che la riven­dette nel 1875.

Jader Spinelli

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

LA PIEVE DI S. GIOVANNI BATTISTA A POMARANCE

Lavoro che qui presentiamo è stato svolto per sostenere l’esame di Restau­ro Architettonico presso la Facoltà di Ar­chitettura dell’università degli Studi di Fi­renze dalle signorine Roberta Costagli e Maria Patrizia Tamburi. Il lavoro è stato seguito dal Prof. Arch. Giuseppe Crucia­ci Fabozzi, docente alla facoltà.

L’assistenza religiosa che oggi viene chiamata “parrocchia”, corrispondeva anticamente al termine “pieve”, anche se, durante il Medioevo, ben altre e più importanti valenze territoriali e potestali ebbe questo termine, valenze che non so­no più attinenti il nostro termine moderno. L’edificio della pieve sorgeva, per lo più, isolato, agli incroci di strade importanti, per fornire assistenza e rifugio alla gente di passaggio, e per permettere il control­lo da parte della chiesa sulle vie di comu­nicazione più importanti.

Tale edificio conteneva la chiesa, il batti­stero e l’ospizio, ed era dedicato general­mente al Salvatore o alla Madonna, o ai Santi Apostoli, ma più spesso a S. Gio­vanni Battista, come il caso della Pieve di Pomarance. Altre due sono le pievi pre­millenarie che si incontrano venendo dal San Giovanni di Volterra (pieve cittadina), verso la media Valdicecina, aventi in co­mune la dedica a San Giovanni: quella di Silano e quella di Querceto, anch’esse in posizione privilegiata, su strade di comu­nicazione ugualmente importanti. Prose­guendo poi da Pomarance si trova Morba, anch’essa dedicata a San Giovanni. La più antica pieve di Pomarance, quella premillenaria, protoromanica, si trovava in una posizione diversa rispetto a quel­la attuale (che, tra l’altro, aveva il nome di “Ripa Marrancia”). Infatti era situata più a sud rispetto al paese, e si chiama­va “Publico”, a ricordo del territorio, espropriato dai Romani del dittatore Sii­la, e appoderato per i suoi legionari In quei luoghi, oggi detti le “Ripaie”, si tro­vano ancora i nomi di Pieve Vecchia e Piuvico; e lungo quelle strade, che si in­crociano sull’altopiano, chiesette come S. Piero, S. Anna, S. Martino, S. Andrea a Mona e S. Margherita a Lucoli, che for­mavano il primo spazio di pertinenza della pieve.

L’attuale pieve risale alla fine del XII secolo, anche se dell’impianto originario è rimasto ben poco, essendo stata, la chie­sa, completamente ricostruita durante il XIX secolo, dopo aver subito già in pre­cedenza rimaneggiamenti e restauri. Sorge lungo l’asse principale di crinale. Concepita per avere vita autonoma rispet­to agli altri edifici circostanti, con il con­solidarsi dell’edilizia urbana ha perso ta­le autonomia, infatti durante il corso dei secoli le sono state addossate abitazioni. C’è chi ipotizza l’esistenza di una chiesa più piccola entro il perimetro dell’attuale chiesa, che sarebbe stata dedicata a San Cristoforo, e proprietà dei monaci di Ba­dia a Isola. Comunque, il prospetto dell’attuale co­struzione si rivela l’unico resto della pie­ve romanica: probabilmente in esso furo­no riutilizzati elementi della parte inferio­re della facciata dell’edificio del XII seco­lo. Questo presentava caratteri stilistici e impianto di chiara derivazione pisana: le cinque arcate cieche che scandiscono tutta la facciata rimasta intatta nella par­te inferiore; le basi classiche delle semi­colonne con due tori e due scozie e lo schema generale dei rapporti altimetrici delle navate.

Sezione trasversale sull’ingresso della Pieve.

La facciata è in arenaria e nella parte su­periore è stata rifatta nel sec. XVIII. Le cinque snelle archeggiature su semico­lonne assai rilevate e poggianti su un al­to basamento denotano che siamo in pre­senza di una originale pianta basilicale, una dei pochi esempi tra le chiese della Valdicecina.

Gli archi più distanti dal centro della fac­ciata s’impostano su sodi angolari che in­vece dei capitelli hanno semplici scorni­ciature. Nell’arcata centrale si apre il por­tale, semplicissimo, con l’architrave sor­montata da una lunetta. L’archivolto è de­limitato da una ghiera composta di un cor­done a sezione semicircolare. Alcuni elementi decorativi risentono l’in­fluenza della cultura senese, per esempio i capitelli (a più ordini di fogliette o con figurazioni zoomorfiche). Particolare no­tevole ed inconsueto, per una architettu­ra di derivazione pisano-lucchese, è il fatto che i cunei delle archeggiature la­terali non presentano alcuna incornicia­tura. Alle primitive tre navate, furono ag­giunte nei secoli scorsi ed in diverse fa­si, ulteriori costruzioni, come le cappelle laterali terminali che formano un transet­to, e proprio all’inizio del 1500 il Battiste­ro, con la facciata adiacente a quella della chiesa. L’artefice di questa modifica fu il pieva­no economo don Francesco d’Antonio dei Ghezzi di Pomarance, al quale si devo­no anche la piccola vetrata dell’Annunciazione ed il miglioramento del Presepe. Le mensole che sorreggono il tetto del Bat­tistero furono tolte, molto probabilmente, dall’originale abside e con i loro motivi geometrizzanti e zoomorfici dimostrano ancora una volta la derivazione dalla cul­tura pisana di quest’edificio.

Capitello con figura zoomorfa.

Già anteriormente a questa data erano state apportate modifiche all’interno; tra il 1441 ed il 1453 il pievano Ludovico Baldinotti fece costruire l’altare maggiore e ribenedire la chiesa, dopo le scorrerie di re Alfonso di Aragona.

Poi non ci furono notevoli modifiche, fino agli anni tra il 1826 ed il 1843, quando il pievano Anton Nicola Tabarrini pensò di dare alla chiesa un aspetto in linea con i canoni estetici del tempo. I lavori furo­no fatti sotto la guida dell ’arch itetto Fran­cesco Cinci che dotò la chiesa di volte, eresse la cupola all’incrocio del transet­to con la navata centrale e stuccò tutte le colonne di cui fece smussare i capitel­li. Furono eretti, in questa occasione, an­che tutti gli altari barocchi laterali; la de­corazione della chiesa fu affidata al pit­tore Luigi Ademollo ed al figlio Giovanni.

L’ultimo lavoro di edificazione (o meglio, in questo caso, di riedificazione) del quale si ha notizia è il rifacimento del campani­le, avvenuto nel 1898, ad opera dell’ar­chitetto Luigi Bellincioni, di Pontedera. In­fatti il vecchio campanile era stato butta­to giù, a causa delle gravi lesioni riporta­te il 19 novembre 1893, in seguito alla ca­duta di un fulmine.

Come già accennato, una gran parte del ripristino ottocentesco toccò al pittore Lui­gi Ademollo.

Fu sotto l’arcipretura di Anton Nicola Tabarini (durata dal 1826 al 1843) che eb­be luogo il restauro totale della Parroc­chia, ampliata con le cappelle della Ma­donna e di S. Vittore, e completamente affrescata.

Effettuò quelle pitture l’impresa di Luigi Ademollo (1764 -1839) milanese, autore di affreschi in chiese e palazzi, e di ac­quafòrti di soggetto storico.

L’archivio parrocchiale conserva sette let­tere autografe, inviate da lui, (che si tro­vava a Firenze), all’arciprete, tra il 27 apri­le 1832 ed il 5 gennaio 1837.

Esse riferiscono che il Cavalier Giusep­pe del Rosso fu il tramite della proposta di affrescare la chiesa di Pomarance. In un secondo tempo l’Ademollo eseguì ad olio le stazioni della Via Crucis.

Le opere da lui eseguite si possono am­mirare tuttora all’interno della pieve.

Esse sono, cominciando da sopra il por­tone principale e girando in senso orario, le seguenti: Presentazione di Gesù al Tempio, Fuga in Egitto, Strage degli Innocenti, Tenta­zioni di Gesù nel deserto. Poi nella cap­pella della Madonna, Adorazione dei Ma­gi, Gesù tra i dottori e nella volta L’Assun­zione. Quindi abbiamo: Resurrezione di Lazzaro, Angeli portanti dei segni della passione, alle vele ed ai pennacchi, sotto e presso la cupola. Nel Coro: Entrata di Gesù a Gerusalemme, Cena, Agonia nel­l’orto, EcceHomo, Salita al Calvario, Re­surrezione.

Nella navata sinistra: Visita ad Elisabet­ta, Gesù ed il centurione; nella cappella di S. Vittore (nella volta) c’è la Trasfigu­razione. Quindi Gesù che predica dalla barca di San Pietro, la Samaritana, le Nozze di Cana.

In fondo, San Giuseppe col bambino Gesù.

Nella volta a botte della navata di centro, apparizione di Gesù a Tommaso, Ascen­sione e discesa dello Spirito Santo.

Non tutte le opere sono policrome, ma molte sono monocrome, anche se pur sempre molto belle.

Pianta della Pieve con indicazione della pavimentazione

Morto il Tabarrini, ‘‘nel 1853 furono a spe­se del popolo fatte porre a scagliola le co­lonne del Tempio per Carlo Martinetti svizzero, ed il pavimento fu costruito di smalto alla veneziana” come ci informa il visitatore Vescovo Targioni.

Cento anni dopo la ristrutturazione del Tabarrini, il degrado dell’edificio e la sorte delle pitture erano precari. Il restauro, la ripulitura ed il ripristino spettarono al pro­posto successore, al popolo e ad un pit­tore senese non ancora provetto.

Carlo Balsini di Stefano fu eletto propo­sto a Pomarance il 15 marzo 1907. Fu sot­to la sua guida che ebbero luogo ulterio­ri restauri, che si conclusero nel 1933 (il certificato dei lavori eseguiti a regola d’ar­te dall’agosto 1928 al 25 ottobre 1933 por­ta la firma dell’lng. Gino Stefanon). Era­no stati iniziati nel 1928.

Particolare Mosaico Centrale.

I lavori furono eseguiti dalla ditta Zampi­ni di Siena, con a capo il pittore Gualtie­ro Anichini coadiuvato dai decoratori Vannucchi, Franci, Biancirdi, Montigiani e Mori.

Oltre alla ripulitura degli affreschi dell’Ademollo, furono fatte integrazioni nella cappella della Madonna, nel Coro, dipin­ti medaglioni in San Giovanni, i 4 Evan­gelisti nella cupola e due figurazioni in San Vittore: Gesù tra i fanciulli e la Molti­plicazione dei pani.

Fu costruita la cappella dei caduti, furo­no eseguite vetrate policrome a tutte le finestre e furono costruiti sedili a spaglierà il noce lungo tutto il perimetro della chiesa.

Furono aggiunte lumiere grandi e picco­le, in fastoso addobbo, per l’illuminazio­ne elettrica.

Sulla base di quanto rilevato attraverso un’accurata analisi dell’edificiodella chie­sa di San Giovanni Battista, possiamo di­re che attualmente lo stato di conserva­zione della chiesa è buono, sia per quanto riguarda gli elementi strutturali che gli ele­menti decorativi. Sarebbe comunque au­spicabile una ripulitura degli affreschi e della facciata.

Particolare della monofora.

Contemporaneamente alla pubblicazione di tale lavoro, si stanno ultimando i lavori di restauro del campanile, e proprio in questi ultimi giorni, durante la ripulitura della facciata del retro della chiesa, è ve­nuta alla luce, su di essa, una monofora. Finestre simili a quella scoperta le pos­siamo trovare nelle pareti sopra gli archi delle navate laterali, purtroppo non visi­bili al visitatore perché con il restauro del 1800 sono state inglobate nello spazio tra la volta centrale a botte ed il tetto.

Tale rivelazione ha ridestato curiosità e nuovi interrogativi sull’originaria posizio­ne e struttura dell’antica chiesa.

Roberta e Maria Patrizia

BIBLIOGRAFIA

Archivio Storico del Comune di Pomaran­ce, Opera di S. Giovanni Battista, Filze 746 e 749.

Archivio Parrocchiale di Pomarance, Cor­rispondenza fra Luigi Ademollo Pictor ed il preposto Antoniccola Tabarrini, dal 1833 al 1837.

Giovanni Targioni Tozzetti, Relazione d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Forni editore, Bologna.

L. Moretti, R. Stoppani, Chiese romani­che della Val di Cecina, Firenze 1970.

Don Mario Bocci, L’Araldo di Volterra, set­timanale della diocesi di Volterra, nume­ro del 7/2/1971.

Don Mario Bocci, Storia religiosa di Po­marance, Notiziario Parrocchiale.

Archivio di Stato di Firenze, Commissio­ne per il restauro delle Chiese parrocchiali, Filza 104/8.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

ECCEZIONALI FESTE

PER IL 90° ANNIVERSARIO DEL CAMPANILE

23 – 24 – 25 GIUGNO 1989: tre giorni che Pomarance ricorderà per molto tem­po. Infatti tutto il paese si è mobilitato per festeggiare il Patrono San Giovanni Bat­tista in occasione del 90° Anniversario della costruzione del Campanile e che è coinciso con la conclusione dei restauri resisi urgenti e necessari. Una festa che ha visto il paese intero stringersi attorno a questo “SEGNO” che, se principalmen­te di carattere religioso perché richiama con il suono armonioso delle campane i fedeli alla preghiera, è pure il segno ed il simbolo di ogni paese. Il nostro campanile, opera dell’Architetto Luigi Bellincioni di Pontedera, si fa subi­to notare a tutti per la sua bellezza (stile Rococò apparso in Francia alla fine del XVIII secolo, come evoluzione comples­sa e raffinata del barocco), e per la sua altezza (42 metri).

La sera del 23 giugno questo simbolo era ben visibile da ogni parte; una totale illu­minazione con fari lo faceva risaltare, mentre il suono gioioso delle campane si diffondeva ovunque, arrivando fino alle più lontane famiglie della campagna che nel frattempo avevano acceso i cosiddetti “Fuochi di San Giovanni”. A far corona al Campanile, oltre ai fuochi della cam­pagna, vi erano anche quelli accesi dalle Contrade a Docciarello, a San Sebastia­no, all’Aia, ai Collazzi, e la fiaccolata che ha avuto il suo culmine con l’accensione del tripode sul sagrato della Chiesa.

1898: Lavori per la costruzione del Campanile

Una folla enorme ha fatto ala al passag­gio dei tedofori rivestiti dei colori delle Contrade, arrivati contemporaneamente con le loro fiaccole accese davanti alla Chiesa.

Le Contrade quella sera si erano date ve­ramente da fare per una illuminazione fol­cloristica delle strade ove sarebbero pas­sati i tedofori con le fiaccole. Uno spetta­colo meraviglioso che hanno potuto go­dere in modo particolare coloro che quella sera erano saliti sul Campanile.

Una bella serata culminata poi, con un applaudito Concerto d’Organo del Mae­stro Attilio Baronti.

Attorno al Campanile ed in unione a San Giovanni le feste sono continuate. Il gior­no 24 giugno, è venuto fra noi il Vescovo Mons. Bertelli, i Sacerdoti, sono interve­nute le Autorità Civili e Militari e si è ripe­tuta la Solenne Processione in onore di San Giovanni Battista.

Un grande concorso di fedeli ed una par­tecipazione straordinaria della gente nell’ornare il tragitto della Processione con drappi alle finestre e soprattutto con or­namenti floreali veramente belli da sem­brare tutto un tappeto grande, ove il pro­fumo delle ginestre ed il colore dorato si evidenziavano in modo eccezionale. Una festa religiosa arricchita, nel pomeriggio, dallo spettacolo del Gruppo Musici e Sbandieratori di Pomarance e, dopo ce­na, dal Concerto del Corpo Filarmonico “G. Puccini”.

Ma ogni festa è sempre un ricordo del passato e del presente. Per questo moti­vo, la domenica 25 giugno, giornata con­clusiva delle feste, dopo la Santa Messa celebrata dal Vicario e cantata dalla Co­rale Pomarancina, si è svolta, nel pome­riggio, nel vecchio Campo Sportivo del Piazzone, una partita diralcio tra le Vec­chie Glorie e l’attuale squadra della U.S. Pomarance. Una occasione che ha fatto ritrovare e giocare insieme gli atleti che avevano militato diversi anni fa nella squadra del Pomarance ed i nostri giovani giocatori; una partita che ha divertito tut­ti i presenti.

Tre giorni di festa, quindi, tre giorni di gioia e soprattutto una occasione per sta­re serenamente insieme attorno al sim­bolo del paese, al nostro “BEL CAMPA­NILE”.

Mi è capitato di definire questa festa “UNA BELLA SINFONIA” dove tutti ave­te collaborato insieme alla Parrocchia. Ebbene: al termine delle feste, ringrazian­do l’Associazione Turistica Pro Pomarance, il suo Presidente per la generosa col­laborazione e per l’opportunità concessa­mi di scrivere questo articolo sulla loro Ri­vista, esprimo viva riconoscenza a tutto il paese ed in modo particolare alle Con­trade che veramente hanno collaborato in modo encomiabile; al Comune per l’il­luminazione; alla Banda per il Concerto; alla Corale Pomarancina per i canti ese­guiti durante le Sante Messe Solenni; al Gruppo Musici e Sbandieratori per lo spettacolo; alle Vecchie Glorie ed all’ll.S. Pomarance per la partita di calcio; al Co­mando della Forestale per la realizzazio­ne dei fuochi; al Comando dei Carabinieri e dei Vigili Urbani per il servizio d’ordine; a tutte le Autorità Civili e Militari; ai bam­bini delle Terze e Quarte con i loro Inse­gnanti ed all’artigiano Rossi Armando che hanno collaborato alla mostra allestita nel Battistero e, naturalmente, ai Membri dei Consigli Pastorale e degli Affari Econo­mici Parrocchiali che mi sono stati vicini e a tutti coloro che, in modo anonimo, ma non meno evidente, mi hanno aiutato al buon svolgimento di tutte le feste.

Il Campanile che ci ha riunito, sia sem­pre un forte e dolce richiamo ad operare uniti per il bene del nostro paese e della nostra Comunità.

Don Piero Burlacchini

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.