CNel descrivere le ultime fasi della raccolta di questo prezioso cereale abbiamo cercato di ricostruire, più fedelmente possibile, i vari momenti, riportando, in alcuni casi, la terminologia, così riccamente espressiva, regalataci dalle persone intervistate.
Tra gli innumerevoli lavori agricoli la mietitura è rimasta nella memoria degli anziani contadini come uno dei più faticosi. Si faceva all’inizio dell’estate quando le notti sono corte ed i giorni, al contrario, interminabili, poche ore di sonno ed il resto a cuocersi nei campi, “da sole a sole” accompagnati dal verso chiassoso delle cicale e dal canto intermittente e monotono del cuculo.
Ogni mietitore usava la sua falce che, fino agli inizi del nostro secolo, aveva la lama dentata e portava, appeso alla cintura, un corno di bue con dentro, immersa nell’acqua, la pietra per arrotare.
Nel campo ci si disponeva a “passate” (solchi appositamente
preparati al momento della semina) e solitamente ci si organizzava a gruppi di
tre persone. Chi prendeva la passata centrale era chiamato “fendarello” poiché
iniziava a mietere
per primo e creava spazio per fare “la filata dei balzi”. Gli altri due, oltre
che a mietere la loro passata, pensavano a preparare la “vetta” per legare il
balzo con una manciata di grano divisa in due parti ed annodata dalla parte
della spiga.

Una volta finito un campo, si “rimetteva il grano”: prima si formavano i “covoni” ammucchiando i balzi e disponendoli in cerchio fino ad ottenere una corona; successivamente si “abbarcavano” al centro, costruendo il “montino”. Infine si caricava il grano sui carri e si trasportava sull’aia dove si innalzava la “barca” in attesa della trebbiatura. Prima di trebbiare però occorreva preparare l’aia: con le zappe arrotate si toglieva l’erba e si “vaccinava” il suolo con lo sterco di vacca, poi si innaffiava e si consolidava con la “pula” dell’anno precedente; il calore del sole seccava la superficie e la rendeva compatta.

Sino alla fine del secolo scorso e, nelle zone
difficilmente accessibili, anche successivamente, il sistema più diffuso per
trebbiare il grano era la battitura: si “rizzavano” i balzi sull’aia e si
battevano con una pertica, quindi con le forche di legno

mente diffusa la mezzadria, il raccolto non andava che in minima parte a riempire il granaio del contadino. Si cominciava col togliere il grano per seme, che conservava il padrone, quel che restava veniva diviso a metà. Ogni raccolto permetteva al contadino di “rimettere il grano per il pane di una mezzannata”, il resto lo doveva comprare alla fattoria vanificando così i già esigui guadagni ricavati dalla vendita del bestiame. Il fattore inoltre pretendeva “il piatto dei galletti per l’aia”, a risarcimento del grano rimasto per terra che il contadino spazzava e raccoglieva accuratamente.
Laura e Silvano
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.