IL GRANO

CNel descrivere le ultime fasi della rac­colta di questo prezioso cereale abbiamo cercato di ricostruire, più fedelmente pos­sibile, i vari momenti, riportando, in alcu­ni casi, la terminologia, così riccamente espressiva, regalataci dalle persone inter­vistate.

Tra gli innumerevoli lavori agricoli la mie­titura è rimasta nella memoria degli an­ziani contadini come uno dei più faticosi. Si faceva all’inizio dell’estate quando le notti sono corte ed i giorni, al contrario, interminabili, poche ore di sonno ed il re­sto a cuocersi nei campi, “da sole a so­le” accompagnati dal verso chiassoso delle cicale e dal canto intermittente e mo­notono del cuculo.

Ogni mietitore usava la sua falce che, fi­no agli inizi del nostro secolo, aveva la la­ma dentata e portava, appeso alla cintu­ra, un corno di bue con dentro, immersa nell’acqua, la pietra per arrotare.

Nel campo ci si disponeva a “passate” (solchi appositamente preparati al mo­mento della semina) e solitamente ci si organizzava a gruppi di tre persone. Chi prendeva la passata centrale era chiama­to “fendarello” poiché iniziava a mietere
per primo e creava spazio per fare “la fi­lata dei balzi”. Gli altri due, oltre che a mietere la loro passata, pensavano a pre­parare la “vetta” per legare il balzo con una manciata di grano divisa in due parti ed annodata dalla parte della spiga.

Una volta finito un campo, si “rimetteva il grano”: prima si formavano i “covoni” ammucchiando i balzi e disponendoli in cerchio fino ad ottenere una corona; suc­cessivamente si “abbarcavano” al cen­tro, costruendo il “montino”. Infine si ca­ricava il grano sui carri e si trasportava sull’aia dove si innalzava la “barca” in at­tesa della trebbiatura. Prima di trebbiare però occorreva preparare l’aia: con le zappe arrotate si toglieva l’erba e si “vac­cinava” il suolo con lo sterco di vacca, poi si innaffiava e si consolidava con la “pu­la” dell’anno precedente; il calore del sole seccava la superficie e la rendeva com­patta.

Nella foto Giuseppe Anichini

Sino alla fine del secolo scorso e, nelle zone difficilmente accessibili, anche suc­cessivamente, il sistema più diffuso per trebbiare il grano era la battitura: si “riz­zavano” i balzi sull’aia e si battevano con una pertica, quindi con le forche di legno

mente diffusa la mezzadria, il raccolto non andava che in minima parte a riem­pire il granaio del contadino. Si comincia­va col togliere il grano per seme, che con­servava il padrone, quel che restava ve­niva diviso a metà. Ogni raccolto permet­teva al contadino di “rimettere il grano per il pane di una mezzannata”, il resto lo do­veva comprare alla fattoria vanificando così i già esigui guadagni ricavati dalla vendita del bestiame. Il fattore inoltre pre­tendeva “il piatto dei galletti per l’aia”, a risarcimento del grano rimasto per terra che il contadino spazzava e raccoglieva accuratamente.

Laura e Silvano

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

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