NELLA CULTURA CONTADINA
Gli abitanti delle nostre campagne erano in larga misura accomunati da una visione estremamente concreta della vita, per cui, a monte di ogni evento, positivo o negativo che fosse, doveva esistere una causa precisa e controllabile.
Talora credevano che qualcuno nascesse già in possesso di connotazioni positive o negative, che identificavano in circostanze concrete o in dati fisici: le donne settimine, nate al settimo mese di gravidanza, oppure settime dopo sei fratelli, e quelle venute alla luce in particolari giorni dell’anno, ad esempio per [’Ascensione, erano ritenute in possesso di doti specifiche per togliere il malocchio e le fatture, segnare “i bachi”, “le storte”, ecc.; era segno di fortuna, inoltre, il ‘‘nascere vestito o con la camicia” cioè con il corpo ricoperto da quella sostanza lattiginosa che facilita l’espulsione del feto al momento del parto (vernice caseosa).

Riguardo a tutto ciò che di negativo poteva accadere nell’arco dell’esistenza, le cause venivano spesso ricercate nel malocchio, nelle fatture e nei cosiddetti “spregi ai santi”.
Il malocchio, secondo questa concezione, è un influsso che proviene propriamente dagli occhi, occhi “mali” cioè cattivi, che può essere emanato con o senza la volontà del proprietario. A scatenarlo spesso basta una lode o un’osservazione, per questo se si afferma “Bello questo bambino!” è rimasta ancora oggi nella tradizione popolare la consuetudine di aggiungere “Che Dio lo benedica!” a mo’ di parafulmine.
Il malocchio si accerta e si “leva” con un rito particolare da farsi a lume di candela: in una scodella d’acqua vengono versate gocce d’olio d’oliva, se l’olio si scompone o scompare, il malocchio c’è; l’operazione va ripetuta fino a che le gocce decidono di galleggiare come di norma (come Dio comanda).

Durante il rito si pronuncia una formula che varia da zona a zona, quelle che seguono le abbiamo tratte da una pubblicazione sulla cultura contadina in Toscana, poiché non è stato possibile, data la segretezza dell’argomento, reperirle direttamente da chi ancora oggi ne fa uso.
Gesù Giuseppe e Maria se è il malocchio se ne vada via, io ti segno,
Dio ti libera,
mi raccomando alla S.S. Trinità che ti ritorni la tua sanità.
Mi rivolgo a Dio e a tutti i Santi che questo male vada indietro e non avanti,
Dio mio sia se hai il malocchio ti vada via.
io ti segno, Dio ti libera.
Ben più grave è la fattura in quanto è definita come “cosa fatta apposta per indurre un male” ed è praticata, secondo la credenza popolare, da persone nate per fare del male.
Un rimedio, ritenuto sicuro per annullare una fattura, consisteva nell’impossessarsi di un indumento del supposto “fattucchiere” e quindi tracciato un cerchio attorno al fornello di cucina, metterlo a bollire. Si da per certo che, l’autore della fattura, non avrebbe tardato a bussare all’uscio, scongiurando di interrompere l’operazione, sentendosi bruciare addosso.

Altra causa di malanni di ogni tipo erano ritenuti gli “spregi ai santi”. Questo tipo di causa veniva spesso diagnosticata da un indovino, che ordinava al peccatore di chiedere scusa al santo offeso, con la speranza di venire ascoltato e perdonato. Oltre ai rimedi esisteva anche una profilassi, che consisteva nel portare addosso oggetti benedetti o amuleti.
Uno dei tanti momenti negativi di crisi e di pericolo è rappresentato dalle malattie. In campagna si aveva rispetto per la medicina quando riusciva a guarire; se non ci riusciva o quando il medico non era a disposizione, non si restava con le mani in mano ma ci si affidava ai rimedi tradizionali.
Bastava che uno dicesse – mi sento male
– gli davano subito l’olio di ricino. Questo era il toccasana per una vasta
gamma di malattie; veniva acquistato in bottiglie da venditori ambulanti, che
periodicamente facevano il giro delle nostre campagne. Allo stesso modo ci si
procuravano le “mignatte”: quando passava il “mignattaio” se ne compravano due
o
tre, si tenevano dentro ad un recipiente di terracotta pieno d’acqua chiuso da
un coperchio forato e si applicavano per curare la polmonite.
Per l’influenza si usava il “pane lavato” o “acqua panata”: si arrostiva una fetta di pane e si metteva in un bicchiere pieno d’acqua, quando era ben zuppato si strizzava e l’acqua, cosi ottenuta, si faceva bere all’ammalato. Lo stesso rimedio si otteneva sostituendo il pane arrostito con il riso.
Per disinfettare tagli e ferite si faceva bollire in un cucchiaio d’ottone qualche goccia d’olio ed un po’ d’aceto, quando l’aceto era evaporato si faceva raffreddare l’unguento e si applicava.
All’inizio dell’estate venivano raccolti i “borsacchi d’olmo”, il liquido che si trova all’interno veniva usato anch’esso come disinfettante e cicatrizzante per le ferite.
Si faceva largo uso di erbe medicinali soprattutto per il “calore” (infiammazione): erba rospa o erba diavola, camomilla, malva, vetriola, assenzio e salvia (amare come il veleno) e erba del calore; per il bruciato era conosciuta un’erba particolare, detta appunto “erba del bruciato” che veniva essicata e fatta bollire nell’olio. Le “storte” si facevano segnare e si curavano applicando la chiara d’uovo montata a neve e fasciando con la stoppa. Quando un bimbo aveva i “bachi” si facevano “segnare” oppure si faceva annusare il petrolio; si usava anche bollire alcuni spicchi d’aglio e far bere l’acqua. Il modo più diffuso di curare l’orzaiolo era di “cucirlo”: si andava dalla persona addetta che infilava un filo bianco o nero nell’ago e, facendo finta di cucire l’occhio verticalmente ed orizzontalmente, diceva delle preghiere segrete e faceva il segno della croce.
Negli esempi fin qui citati abbiamo visto come, nelle nostre campagne, venivano curate alcune comuni malattie, ma vale la pena citarne altre, proprie della cultura contadina, e non riconosciute dalla scienza medica. Una è il “dolore”, inteso non come sintomo, ma come malattia a se stante, simile alla “passione” ed al “crepacuore”; di ciò ci si poteva ammalare ed anche morire.
Quando qualcuno si ammalava, anche gravemente, e non si riusciva a trovare una causa precisa, tradizionalmente la si attribuiva alla “paura”. Si riteneva, infatti, che ha provare un forte spavento poteva entrare in corpo “la paura”, causando malattie anche molto gravi.
In conclusione si può dire che nella cultura contadina c’è la volontà di trovare una spiegazione a tutto e a tutto trovare un rimedio, in un continuo barcamenarsi tra religione, scienza e magia.
LAURA e SILVANO
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.