Il cavallo Monterufolino sino ai primi del secolo veniva allevato in esclusiva dai Maffei di Volterra nella tenuta di Monterufoli. Nel 1913 tutta la proprietà passava al casato Della Gherardesca che non trascurava l’allevamento del cavallino, anzi lo incrementava e migliorava, arrivando a fissare quelli che sono i caratteri tipici di questo cavallo: mantello morello, altezza compresa fra i 135 ed i 140 centimetri, forte adattabilità ai climi più diversi, longevità e carattere mite. L’animale veniva allevato per la locomozione ed il trasporto, riusciva a vivere con il poco che offrivano il sottobosco e la macchia mediterranea e proprio per questo venne privilegiato dai latifondisti della zona. Purtroppo con il secondo dopoguerra venne ad esaurirsi il ciclo del cavallo strumento di lavoro ed anche il Monterufolino ne subì le conseguenze tanto che, agli inizi degli anni ottanta, si era ridotto a non più di una cinquantina di capi. Il gruppo oggi superstite è stato preso in custodia dalla Comunità Montana dall’allevatore Rolando Celli e collocato in un recinto appositamente costruito, di circa 4 ettari, ricadente nel territorio del Comune di Montecatini V.C. al confine con quello di Pomarance nei pressi del podere Forti di Sopra nell’area demaniale di Monterufoli.
Il Pony di Monterufoli
Il gruppo è composto da tre cavalle gravide, uno stallone e sei puledri di varia età di cui quattro maschi e due femmine. Si cercherà di ricostruire la razza reinsanguando questo pony autoctono toscano lasciato per troppo tempo in balìa di se stesso, tanto che si era quasi perduta la speranza di ritrovarne degli esemplari. Uno dei principali interventi per rinsanguare la razza sarà quello di incrociare le fattrici con stalloni di altre razze come già facevano i Conti Della Gherardesca che, durante l’ultima guerra, possedevano un centinaio di fattrici. I Della Gherardesca introducevano saltuariamente stalloni maremmani, cavalli della Tolta oppure arabi.
Il recupero del cavallo Monterufolino è sempre stato oggetto di discussione nell’ambito della Mostra Zootecnica che la Comunità Montana organizza annualmente a Pomarance. Finalmente siamo in presenza di un progetto inserito ed approvato dalla Regione Toscana nell’ambito del P.I.M. (Piani Integrati Mediterranei) che prevede in prima istanza l’acquisto degli esemplari da parte della Comunità Montana. Il programma di recupero sarà seguito in stretta collaborazione con l’istituto del Germoplasma dell’Università di Milano che già si interessa di altri progetti di recupero di specie di animali in estinzione, tra cui quello della mucca pisana. Sarà inoltre centrale l’impegno dell’Associazione Provinciale degli Allevatori, che seguirà passo per passo la sua realizzazione.
A prima vista potrebbe
sembrare un’inutile impresa, in realtà questo cavallino potrebbe essere
impiegato per avviare i ragazzi alla prima pratica equestre. Le caratteristiche
di animale senza pretese ed il fatto di essere allevato allo stato brado fanno
infatti del pony di Monterufoli un soggetto adatto per la propedeutica equestre.
Per questo gli stalloni da introdurre dovranno avere caratteristiche tali da
non portare all’innalzamento della taglia dell’animale che, per la sua futura
destinazione, è opportuno che rimanga piccolo e con il manto omogeneo e
baioscuro. Speriamo che con la realizzazione del programma, il pony di
Monterufoli fino ad oggi conosciuto solo da pochi addetti ai lavori possa, nel
giro di alcuni anni, diventare un animale conosciuto ed amato da tutti,
specialmente dai bambini.
Già da alcuni anni la Comunità Montana ha dato avvio alla realizzazione di iniziative tendenti ad incrementare le possibilità di fruizione delle risorse ambientali, che costituiscono una notevole attrattiva del nostro territorio. In particolare, in qualità di ente delegato ad esercitare le funzioni amministrative sul patrimonio agricolo – forestale della Val di Cecina, si è concentrata l’attenzione sui complessi forestali più significativi (Berignone – Tatti e Monterufoli), programmando tutta una serie articolata di interventi, che consentiranno al visitatore di poter apprezzare pienamente il vasto repertorio ambientale di cui disponiamo.
In primo luogo si è provveduto a dotare la viabilità principale (che attraversa i due complessi e li collega ai centri abitati limitrofi) di idonea segnaletica e di aree attrezzate per la sosta ed il ristoro. È poi in avanzata fase di realizzazione la costituzione di una vera e propria rete di 25 percorsi naturalistici dove, preferibilmente con l’ausilio di una guida, l’appassionato potrà scoprire gli aspetti più interessanti della vita all’interno del bosco e dove potranno essere apprezzate tutte quelle risorse ambientali che possono sfuggire ad una prima visita con spostamenti sulla viabiltà di collegamento.
In terzo luogo, con particolare riferimento alle crescenti richieste che provengono specialmente dal mondo scolastico, si è cercato di creare delle occasioni di visita localizzate e finalizzate al raggiungimento di obiettivi didattico-educativi di elevato valore. Sono state quindi progettate (e sono in corso di completamento o di esecuzione) interventi specifici per la realizzazione di: Percorsi floristici (sentieri ad anello per il riconoscimento delle principali specie erbacee, arbustive ed arboree), localizzati presso la Fonte della Venella, in Berignone, ed intorno alla “Villa delle cento stanze’’ in Monterufoli; Percorsi faunustici, (dotati di adeguate attrezzature per l’osservazione e la documentazione della fauna selvatica), posti presso il Podere II Pino, in Berignone, e nell’area del Podere Monterufolino e di Campo ai Meli, in Monterufoli.
Allo scopo
di dotare il visitatore di un agile strumento di guida attraverso questo territorio,
è in fase di preparazione una carta degli itinerari naturalistici in scala 1 :
15000, che sarà presto presentata.
La posizione baricentrica del Comune di POMARANCE
all’interno di un territorio regionale di indubbia attrazione
storico-artistica (Pisa, Volterra, Siena, Massa Marittima), la singolare
presenza del fenomeno geotermico, la ricchezza delle bellezze naturali
esistenti, hanno stimolato l’impegno delle Amministrazioni passate ed attuale
a dare impulso allo sviluppo turistico del territorio.
La convinzione profonda di percorrere questo indirizzo
economico ha fatto compiere scelte importanti e qualificanti alla
Amministrazione Pubblica:
il recupero edilizio del Centro Storico del Capoluogo in cui trova degna ubicazione l’albergo “IL POMARANCIO”, il Museo di “Casa Bicocchi”, il “Teatro de Larderei”;
l’attenzione sui centri storici minori, come l’intervento di pavimentazione nel castello di Montecerboli; lo sforzo per contenere dal degrado e preservare la “Rocca Sillana”;
la valorizzazione di vari boschi (Foresta di Monterufoli) con la creazione di percorsi di grande valore paesaggistico, in accordo con la Comunità Montana;
la realizzazione, in sintonia con l’E.N.E.L., di itinerari tra i soffioni baraciferi ed i vecchi lagoni.
In questo contesto, trova la sua ragione di esistere anche
l’intervento che da tempo stiamo portando avanti sulle acque termominerali
dei “BAGNI DI SAN MICHELE”.
I BAGNI DI SAN MICHELE sono situati a quota mt. 311,8
s.l.m., si trovano a circa 6 Km. a Sud di Pomarance, a valle della S.S. n°
439 che collega Pisa a Massa Marittima, passando per il Capoluogo, Larderello e
Castelnuovo V.C.
Una strada sterrata conduce agli edifici dei “bagni”,
costruiti al fondo di una incisione dove il Fosso di Radicagnoli riceve le
acque del Botro delle Vignacce. La morfologia del luogo è abbastanza acclive.
I versanti della valle che a monte hanno poca pendenza, in prossimità dei
“bagni” assumono una inclinazione maggiore, per cui la valle si restringe ed
il corso d’acqua inizia un tratto di cammino incassato, con salti e rapide
che si accentuano più a valle.
Nei dintorni dei “bagni” non esistono
edifici colonici o centri abitati, mancano colture agrarie, fa da padrona una
folta macchia mediterranea, tipica della nostra Regione, di straordinaria
bellezza sia per la sua spontaneità sia per l’integrità.
Le prime informazioni sull’esistenza delle acque termali nell’Italia Centrale risalgono ad oltre 2000 anni fa; naturalmente la storia si intreccia spesso con la leggenda, purtuttavia possiamo affermare che già il poeta Lucrezio Caro, vissuto alle soglie dell’era cristiana, parla degli “Averni” e paragona questi fenomeni ad altri simili che avrebbero dovuto trovarsi in Etruria.
Così pure il poeta Tibullo nelle sue “Elegie”, conferma l’esistenza di terme etrusche caratterizzate da acque “molto calde tanto da doversi evitare nella canicola, ma adatte alla stagione primaverile”. Anche Strabone, geologo e umanista greco, contemporaneo di Tibullo accenna più volte, nella sua “Geografia” a manifestazioni termali in Etruria con riferimento alle acque di Volterra e Populonia.
Una ulteriore testimonianza della fiorente attività termale nella Toscana, ci viene dall’architetto Vitruvio, vissuto nel I secolo dopo Cristo, il quale ci dice che “l’Etruria superava per il numero delle terme tutte le altre contrade d’Italia”.
Il documento più importante, per la sua indiscutibile
attendibilità e valore storico, è la TAVOLA PEUTINGERIANA. Si tratta di una
pergamena del 1200 composta da 12 segmenti, larga appena 40 cm. e lunga circa 6 m. e mezzo, rinvenuta alla fine del 1500
nell’abitazione dell’umanista Konrad Peutinger,
in Germania.
In essa sono disegnate due costruzioni massiccie con l’indicazione “Aquae Volaterranae” ed “Aquae Populoniae”.
I BAGNI DI SAN MICHELE, avrebbero dovuto far parte delle “Aquae Volaterranae”, già note ai tempi dei Romani, in quanto il loro vero nome era “Ager Spartacianus”.
Abbiamo oltre alla tavola Peutingeriana, un’altra
“Itineraria” romana, curata dal Miller; infine scritti che documentano storicamente
i fenomeni termali in Toscana. Sarà durante i secoli bui delle invasioni
barbariche che la storia lascia il passo alla leggenda.
Dal IV al XII secolo si sentirà parlare di termalismo
soprattutto negli atti di compra vendita di beni da un signore all’altro. Una
leggenda, che colpisce, da un lato, per la sua ricca fantasia e dall’altro per
la scarsità e povertà di conoscenza scientifica, riguarda la nascita dei
lagoni e fumi di Montecerboli.
La storia di Montecerboli inizia verso il 1000 d.C., e si
racconta che avendo gli abitanti del luogo cacciato dalle loro terre il
demonio, questo si volle vendicare gettando dal suo cocchio in fuga degli oggetti
che cadendo per terra avrebbero aperto delle falle facendo scaturire dal terreno
acque bollenti e gas.
Per quei tempi doveva essere una delle disgrazie più
grandi; infatti il Nasini dice che una delle peggiori maledizioni per il vicino
“nemico” era: “Dio ti mandi un lagone nel campo”.
Dopo il 1000 un vasto rinnovamento religioso, culturale ed
economico pervase tutta la Nazione: rinascono città, riprendono fiorenti i
commerci.
Anche per la nostra zona, tra il XII ed il XIV secolo si
avviano grandi ricostruzioni ed ampliamenti di terme, sia dei Bagni di San
Michele, della Perla che dei Bagni ad Morba.
Dal 1171 per volere del Pontefice Alessandro III i “bagni ad Morba” passano sotto la giurisdizione del piovano della “Plebs ad Morba pellenda”; e furono quei religiosi ad occuparsi di dar vita alle terme e più tardi, nel 1377, a voler erigere il monastero di San Michele alle Formiche, sul colle al di sopra di quei “bagni”. In quei tempi, prima Pomarance, dopo Volterra si impegnarono per dar vita alle terme, ma soprattutto con la Repubblica Fiorentina (1388) si avranno i primi consistenti interventi. Dalla fine del 1300 alle soglie del 1600 sono i nomi di Michele Savonarola, nipote del più celebre Gerolamo, Ugolino da Montecatini, Michele Marullo, Giorgio Agrippa ed altri a darci le informazioni sulle virtù medicamentose e le notizie sugli illustri ospiti venuti “a passar le acque”. Si racconta che Lorenzo dé Medici, sua moglie Clarissa e la madre Lucrezia Tornabuoni, preferissero tra tutte le terme i “bagni di San Michele” e de “La Perla”; e che quando i Medici se ne andavano a fine stagione “tirassen a sé l’uscio e portassen via la chiave”.
Nell’estate del 1464 tutti i membri del consiglio comunale
di Pomarance andarono in “pompa magna” a rendere omaggio ai Medici (forse per
tenerseli buoni).
Tra i grandi personaggi di un tempo, anche Dante Alighieri
deve aver visitato queste zone, perché è molto vicina alla realtà la
descrizione “sulle fumifere acquae
per il vapor che la terra ha nel ventre…” che fa ne ‘‘La Vita Nova”.
I BAGNI DI SAN MICHELE ALLE FORMICHE
hanno avuto avverse fortune e sfortune, ma in complesso hanno corso il loro
destino insieme alle altre terme della zona.
Verso la fine del 1700 i pochi monaci rimasti
a custodia dell’eremo vennero chiamati a Firenze dai padri celestini e nel
1870 vi era nella zona un solo eremita. Nei momenti di massima affluenza si registravano
anche 300 persone al giorno tra locali e povera gente venuta da fuori,
generalmente malati di lebbra, ai quali i padri davano assistenza.
Come nel passato, anche nella storia più
recente le nostre terre hanno avuto l’onore di ospitare personaggi illustri:
tra i visitatori più prestigiosi Larderello si può vantare di aver ricevuto
D’Annunzio, Maria Curie, Enrico Fermi.
Molto tempo prima che la chimica si elevasse
al rango di “Scienza”, i medici del passato, riuscirono a farci conoscere le
virtù terapeutiche delle acque, pur essendo all’oscuro sulla natura di queste.
Secondo Falloppio, Agricola ed altri naturalisti del 1500, le acque del Bagno
di San Michele “erano valide per curare la podagra e soprattutto nel fugar la
lebbra, per il qual morbo son talmente
efficaci che forse non se ne trova il migliore”.
Sulla composizione chimica i primi dati
certi si avranno solo sul finire del 1700, grazie a due grandi figure del
passato: HOEFER e MASCAGNI.
Tra i tanti lavori eseguiti da Hoefer vale ricordare le analisi dell’acqua “epatica” dei Bagni di San Michele nella quale rinvenne: gas acido carbonico, carbonato di calcio magnesia,
solfo e silice.
A Mascagni spetta invece il primato di
aver rinvenuto in queste acque tracce di mercurio e cinabro, cosa questa ancora oggi non del tutto smentita.
Il Prof. Giuly nei primi del 1800
intraprende una serie di analisi approfondite su tutte le acque dei bagni, i
cui risultati sono stati confermati nel 1840 dal Prof. Matteucci.
Nella seconda metà del 1800, il Targioni
Tozzetti, servendosi di una scienza ormai in fase di decollo da una prima
classificazione, considera le acque termali principalmente carbonato
alcaline, solfuree nonché mediominerali.
Nella prima metà del 1900 il Prof. Bertoni,
direttore dei laboratori della Reale Accademia di Livorno, esegue una serie di
campionamenti e scopre che le acque termali sono composte di altri sette
elementi (tra cui il litio ed il bario), alcuni dei quali si rivelano
importantissimi dal punto di vista terapeutico.
“La presenza di questi microelementi e
delle sostanze già note conferisce una grande efficacia per la cura di
specifiche malattie come quelle della pelle, dei disturbi dell’apparato
digerente e nel compensare certe insufficienze specialmente epatiche e
renali”.
Sul finire degli anni trenta di questo secolo, i chimici Sborgi e Galanti dell’allora Società Boracifera eseguirono altri campionamenti e numerose analisi, confermando quanto aveva già detto il Prof. Bertoni.
Altri sono stati gli studi fatti sulle acque termali della nostra zona e niente è emerso che abbia potuto modificare la natura o le virtù medicamentose di queste acque che, diciamolo pure, attendono ancora di essere maggiormente valorizzate, anche perché a detta di illustri studiosi le nostre sorgenti possono reggere egregiamente il confronto con le più famose acque di Vichy, St. Moritz, Badenbaden e Karsbad. Infine il Prof. Armando Panz dell’ospedale Niguarda di Milano, raccomanda i fanghi sulfurei poiché avrebbero dato buoni risultati nella cura delle rigidità articolari ed in genere utili nel campo della Ortopedia e Traumatologia.
Lo sfruttamento delle sorgenti termali,
è un fatto possibile e credibile e dall’uso che se ne potrà fare dipenderà
l’ulteriore sviluppo della nostra Comunità. Si tratta di una energia che è
tuttora allo stato potenziale ai fini dello sfruttamento, ma che può essere
foriera di sviluppi attualmente non prevedibili.
Tenuto conto della natura chimica delle
nostre sorgenti termali e delle loro virtù terapeutiche, noi Amministratori
lavoriamo perché in un prossimo futuro si possa godere delle “Aquae Volaterranae”, che un tempo dettero sollievo e benessere a
tanta gente.
L’acquisto del “BAGNO DI SAN MICHELE” e di parte del bosco circostante (11 ha) è avvenuto con delibera del Consiglio Comunale del 26 marzo 1985 n° 185. È stata stipulata una apposita convenzione con l’Università di Pisa per lo studio dei fanghi idroterapici. La Regione Toscana ha emesso il Decreto per il permesso di ricerca in data 20/4/1988 ai sensi del R.D. 29/7/1927 n° 1443. Il Dott. Geol. Mario Carriero e l’Arch. Bargelli, ognuno per le proprie specifiche competenze, hanno lavorato e lavorano per riportare i “Bagni di San Michele” ai loro antichi splendori.
Convocato dal Consorzio Schema 39 Bacino Idrico Torrente
Pavone si è tenuta a Pomarance, presso la sede della Comunità Montana,
giovedì 5 luglio scorso, la presentazione preliminare del Progetto tecnico,
economico, finanziario per la costruzione di un invaso sul Torrente Pavone.
Alla riunione del Consiglio di Amministrazione del Consorzio sono stati invitati i sindaci dei comuni cti Volterra, Pomarance, Montecatini V.C., Castelnuovo V.C., Monteverdi M.mo, Radicondoli e Castagneto Carducci, il Presidente deH’Amministrazione Provinciale di Pisa ed il Presidente della Comunità Montana della Val di Cecina.
Lo studio commissionato circa un anno fa al Consorzio
Toscano Costruzioni di Firenze è stato redatto dagli studi D.A.M. di Ravenna e
Idroforma di Firenze. Le caratteristiche tecniche della futura diga,
l’investimento finanziario occorrente, la convenienza economica sono state illustrate
dagli ingegneri D’Alberto e Sanson. L’invaso
posto ad una quata d’imposta di 414 m. sul livello del mare ha un’altezza
massima dal piano di fondazione di 55 m. ed un volume di calcestruzzo di circa
91.000 metri cubi, inclusa la vasca di dissipazione.
La capacità di massimo invaso è di 6,6 milioni di metri
cubi di acqua, a fronte di una portata massima del Torrente di 12 milioni di
metri cubi annui.
L’opera di restituzione provvede a ricondurre nell’alveo del Torrente Pavone una portata modulabile con un massimo di 70 l/sec. per garantire l’equilibrio idrogeologico ed ecologico.
L’opera quindi garantirebbe ottima acqua per i quattro Comuni interessati della Val di Cecina ed il Comune di Monteverdi, oltre eventualmente il fabbisogno potabile dei Comuni di Radicondoli e Castagneto Carducci stimati per complessivi 5 milioni di metri cubi annui nonché una riserva di 2 milioni di metri cubi annui disponibile per altri usi.
Il costo complessivo dell’invaso è stimato
in 56 miliardi complessivamente ivi comprese le opere di adduzione, l’apertura
delle strade di accesso e l’abitazione del custode; il tempo di realizzazione
stimato in 5 anni; l’onere finanziario ritenuto possibile per l’ammortamento
dei costi.
Anche lo studio di valutazione di impatto ambientale, curato dal Prof. Vendegna dell’università agli Studi di Pavia, ha presentato un bilancio soddisfacente dalla sicurezza dell’opera alla necessaria salvaguardia del territorio indicando gli interventi per ristabilire un equilibrio ecologico che permetta una convivenza non conflittuale tra esigenze umane e natura.
Lo studio, completo delle cartografie necessarie, è stato consegnato ai Comuni ed alle Amministrazioni interessate affinchè facciano pervenire al Consorzio del Pavone le osservazioni e chiarimenti del caso prima della presentazione ufficiale prevista per la fine del corrente anno. La fase ultima di chiarimenti ed informativa avrà ancora come punto di riferimento la Comunità Montana quale Ente intermedio di programmazione del territorio. La decisione definitiva per la costruzione dell’opera dovrà essere frutto di una scelta consapevole formatasi dal confronto delle popolazioni, dai soggetti sociali, politici ed amministrativi dei quali il Consiglio di Amministrazione del Consorzio si è sempre doverosamente messo a disposizione.
Il problema dell’approvvigionamento idrico è stato sempre presente nella storia dell’uomo,
tanto da condizionarne lo sviluppo socio – economico. Ancora oggi è facile
constatare come le aree più povere della terra coincidano spesso con quelle a
minor quantitativo di precipitazioni annue.
Alle nostre latitudini, dove le piogge risultano
sufficientemente abbondanti, la presenza di “punti d’acqua’’ ha spesso condizionato
la dislocazione degli insediamenti abitativi sul territorio. Si capisce quindi
come sia importante riuscire ad individuare sempre nuove fonti di approvvigionamento
per poter far fronte al crescente fabbisogno idrico causato dall’attuale
veloce sviluppo, sia industriale che agricolo, e dal continuo incremento del
fabbisogno “pro capite’’.
Condizione essenziale perchè nel sottosuolo
siano presenti riserve d’acqua è la esistenza di formazioni rocciose idonee ad
ospitarle. La capacità di una roccia di contenere o farsi attraversare dalle
acque di infiltrazione è detta “permeabilità”: essa può quindi dirsi
permeabile per porosità quando i pori presenti fra i suoi elementi sono fra
loro comunicanti o, permeabile per fessurazione, quando sia interessata da
fessure generate essenzialmente dall’azione di fattori di ordine geologico.
In Alta Val di Cecina, e quindi anche
nella zona di Pomarance, sono presenti terreni di diversa natura, legati alle
varie fasi geologiche che hanno interessato la Toscana meridionale. Essi si
possono suddividere in:
Formazioni alloctone
Formazioni
neoautoctone
Depositi continentali
recenti
Le Formazioni alloctone, affioranti in
zone poco distanti dall’abitato di Pomarance (Gabbri, Larderello, etc.), sono costituite principalmente da alternanze di arginiti
e bancate calcaree di origine sedimentaria e da rocce magmatiche. Nelle rocce
sedimentarie, la presenza di una matrice argillosa impermeabile limita notevolmente
la capacità di immagazzinamento idrico e fa si che in queste formazioni
possano essere presenti solo pochi acquiferi di limitata estensione, segregati
all’interno della porzione calcarea e
sicuramente non interessanti per lo sfruttamento.
Le rocce magmatiche, composte essenzialmente
da Gabbri, Serpentine e Diabasi, si presentano in genere piuttosto fessurate
a causa degli stress a cui sono state sottoposte per l’azione delle spinte legate
alla dinamica crustale ed, in
teoria, dovrebbero possedere una buona permeabilità. In realtà, essendo
piuttosto alterabili, sotto l’azione degli agenti atmosferici si disgregano
formando una fine frazione detritica che, trasportata dalle acque di
infiltrazione, tende ad otturare le fessure diminuendo notevolmente la permeabilità
e quindi la possibilità di sfruttamento a fini idrici.
Il colle su cui sorge Pomarance è formato dal sovrapporsi più o meno regolare delle “Formazioni neoautoctone”. In particolare l’abitato sorge su di un esteso, anche se non molto spesso, affioramento di “Calcare detritico” comunemente detto “Tufo”, a causa della friabilità e lavorabilità che presenta, paragonabili a quelle del vero Tufo di origine vulcanica. Questo affioramento si presenta molto fratturato e le acque meteoriche possono infiltrarvisi con una certa facilità. Inoltre, la loro azione dissolutiva tende con il tempo ad allargare le fessure (Carsismo) migliorando ulteriormente la permeabilità. Alla base della formazione del Calcare detritico si trovano i “Conglomerati trasgressivi di origine marina”, che a causa della prevalente matrice argillosa risultano possedere una scarsa permeabilità. La differenza di permeabilità fra i due terreni fa si che, intorno all’abitato di Pomarance e nelle aree circostanti, sia presente tutta una serie di sorgenti, alcune delle quali perenni, dotate di una buona portata (ad esempio La Boldrona, La Fonte, etc.).
Altri eventi sorgivi sono legati alla presenza di cospicue coperture detritiche molto permeabili. Le frane di crollo, verificatesi in passato nella zona delle Grotte, sono da collegarsi proprio all’azione dissolutiva delle acque di infiltrazione che percolando tendevano ad allargare le fessure presenti nell’affioramento di “Tufo”, separando in alcuni casi blocchi di grandi dimensioni. Le acque di infiltrazione, raggiunta la sottostante formazione dei “Conglomerati Trasgressivi”, scarsamente permeabile, non potendo proseguire il loro cammino in profondità, tendevano a tornare in superficie scorrendo lungo il contatto fra le due formazioni. Questo percolare provocava una dissoluzione dei terreni argillosi posti al piede dei blocchi già in precario equilibrio, ed il conseguente loro franamento. È stato quindi sufficiente impedire l’infiltrazione delle acque stendendo un manto impermeabile, perchè il susseguirsi dei crolli cessasse.
d = detrito a = alluvioni at = alluvioni terrazzati ps = calcare detritico (tufo) pc = conglomerati trasgressivi pa = argille marine m5a = gessi e argille m4 = gessi e aqrenarie
Le altre formazioni Neoautoctone sono
composte da terreni prevalentemente argillosi e di conseguenza pressoché impermeabili,
certamente non idonei ad essere sfruttati per fini idrici.
Si può quindi affermare che Pomarance sorge in una zona in cui i terreni sono scarsamente idonei ad ospitare falde acquifere di una certa entità. Infatti, ad eccezione dell’affioramento di Calcare detritico (Tufo) su cui è posto il paese, di parte della formazione dei Conglomerati trasgressivi e di alcuni membri arenacei di limitata estensione appartenenti alle altre formazioni, i restanti terreni possono considerarsi pressoché impermeabili. Ne deriva così che gli acquiferi principali risultano localizzati nei “Depositi continentali recenti” che sono composti dai detriti derivanti dal disfacimento delle varie formazioni e dai Depositi alluvionali fluviali. Le coperture detritiche, se molto estese e con spessori adeguati, possono diventare sede di acquiferi importanti, soprattutto se le rocce da cui derivano non generano grandi quantità di porzione detritica fine, in particolar modo limo-argillosa, che ottura le fessure fra gli elementi litoidi diminuendo la permeabilità. Nella nostra zona, comunque, non esistono coperture sufficientemente consistenti da contenere acquiferi di un certo interesse. Maggiore rilevanza hanno invece le alluvioni fluviali, in particolare quelle appartenenti al Fiume Cecina che costituiscono un importante acquifero per la zona di Pomarance, già sfruttato per approvvigionamento idrico. Questi depositi provengono dal disfacimento delle formazioni rocciose presenti soprattutto nella porzione iniziale del corso del fiume (zona Carlina – Cornate). Essi sono caratterizzati da ciottoli, di diametro in genere dell’ordine di alcuni decimetri e da una frazione più fine ghiaioso – sabbiosa.
La ricarica degli acquiferi sia fluviali che non, è assicurata dalle pioggie che in Val di Cecina pur non essendo abbondantissime, raggiungono mediamente i 1000 mm. annui nelle zone a quote più elevate ed i 700 – 800 mm. nelle altre. Il regime delle precipitazioni presenta due massimi, uno autunnale (ottobre – novembre) e l’altro primaverile (marzo – aprile) ed un periodo secco che spesso inizia a maggio e si protrae fino a settembre. La percentuale di acqua che riesce ad infiltrarsi nel terreno dipende da molti fattori quali: temperatura, vegetazione, evaporazione, ruscellamento, etc.; dal loro mutuo combinarsi ne deriva che il periodo autunnale è il più favorevole per la ricarica delle falde acquifere poiché, a parità di precipitazioni, la quantità di pioggia che si infiltra è maggiore.
impianto di perforazione.
Le conseguenze di periodi anomali di siccità, di cui quello appena trascorso è un esempio, sono molteplici. Normalmente il livello della falda acquifera subisce delle variazioni in relazione all’alternarsi delle stagioni ed alla abbondanza delle precipitazioni, oscillando però sempre intorno ad un valore medio. Quando le piogge vengono a mancare per lunghi periodi, esse si deprimono più del normale ed il ritiro delle acque va ad interessarte livelli di terreno che in condizioni normali risultano saturi. A differenza dei terreni compresi nella fascia di oscillazione della falda, che per così dire si sono adattati al suo periodico innalzarsi ed abbassarsi, quelli più profondi, normalmente saturi, reagiscono al ritiro compattandosi in modo pressoché irreversibile sotto il peso dei carichi sovrastanti, con una riduzione della luce dei pori prima “sostenuti” dalla presenza dell’acqua. Quanto ora detto vale ovviamente per terreni coerenti ed incoerenti, privi di scheletro litico.
La presenza di sovraccarichi rappresentati
ad esempio da edifici, può accentuare il processo di compattamento; si possono
così determinare elevati valori di cedimento tali da poter pregiudicare la stabilità
del fabbricato stesso. In questi casi si assiste al manifestarsi di fratture e
crepe che si allargano fino a che il terreno non raggiunge il nuovo stato di
equilibrio. Il tempo necessario perchè ciò si verifichi risulta molto
variabile ed è in funzione della permeabilità dei terreni: più il terreno è
permeabile maggiore sarà la velocità di compattazione e viceversa.
Come già detto l’abitato di Pomarance sorge su un affioramento di Calcare defatico di buone caratteristiche fisico – meccaniche. Tuttavia in alcune aree (ad esempio la fascia che inizia alla Burraia e termina alla Boldrona passando per l’Oratorio e la Piazza del Mercato), vuoi per accumulo di consistenti coperture detritiche dovute all’azione erosiva delle acque meteoriche, vuoi per la presenza di contatti con la sottostante formazione dei Conglomerati trasgressivi, la perdita di acqua da parte dei terreni ha probabilmente causato, e presumibilmente continuerà a causare data la attuale siccità, sensibili cedimenti a carico degli edifici ivi esistenti.
Anche lo sfruttamento indiscriminato della falda acquifera
per mezzo di pozzi ad uso privato aggrava il fenomeno di compattamento anomalo
dei terreni. Lo sfruttamento dei pozzi da parte di privati, se praticato su
larga scala, è dannoso sia perchè non è possibile controllare direttamente la
quantità di acqua emunta (più il periodo è secco e più si sfrutta il pozzo)
sia perchè spesso i pozzi si rivelano veicoli di inquinamento chimico e/o
battericologico. È probabile che i cedimenti verificatisi nella zona
dell’oratorio siano dovuti, in parte al susseguirsi negli ultimi anni di periodi
siccitosi ed in parte anche all’eccessivo emungimento, con relativo abbassamento
del livello della falda idrica, dovuto proprio al proliferare di nuovi pozzi.
Rimediare ai danni provocati agli edifici dal compattamento del terreno per perdita
di acqua non è semplice e risulta per lo più costoso. Qui di seguito sono indicate
in maniera del tutto schematica alcune tipologie di intervento.
Nel caso che l’edificio poggi su un terreno omogeneo, sia
verticalmente che lateralmente, si può eseguire un irrigidimento della struttura
tramite cordolo perimetrale ancorato alle vecchie fondazioni. Ciò permette
all’edificio stesso di “sprofondare” senza che si verifichino lesioni dannose
alle fondazioni.
Se il substrato resistente si trova a profondità non
eccessiva, si possono adottare pali opportunamente dimensionati in modo da
permetterne il giusto incastro nel substrato stesso trasformando così l’edificio
in una sorta di “palafitta”.
Quando la costruzione poggia su terreni con differenti
caratteristiche fisico – meccaniche, le conseguenze del compattamento sono
più gravi poiché le parti dell’edificio che insistono su terreni diversi
subiscono cedimenti di diversa entità che sottopongono la struttura a
sollecitazioni non omogeneamente distribuite molto pericolose per la sua integrità.
In conclusione, anche se in condizioni normali nella nostra zona non vi sono pressanti problemi di approvigionamento, risulta comunque necessario operare un razionale sfruttamento delle risorse idriche, sviluppando anche a livello individuale, una cultura volta al risparmio. Il periodo di siccità appena trascorso ha inoltre dimostrato come sia necessaria una gestione delle risorse idriche fondata su una pianificazione quanto meno a livello regionale che possa garantire una loro equa distribuzione su tutto il territorio superando le divisioni campanilistiche ed incrementando la ricerca di nuovi acquiferi.
“Fenomeni naturali che si ripetono nella storia dei tempi”
Questo il concetto espresso dal prof. Barberi, uno dei maggiori esperti di vulcanologia, nel Consiglio Comunale aperto in piazza, promosso dall’Amministrazione Comunale di Pomarance sugli eventi tellurici registrati a Pomarance, Larderello, Montecerboli.San Dalmazio, dal 20 Marzo al 2 Aprile 1993.
Un fenomeno che ha destato preoccupazione negli abitanti del luogo tenendo impegnate le varie forze dell’ordine, la Protezione Civile e l’Amministrazione Comunale, a dare assistenza e informazioni corrette ai cittadini.
Il Prof. Barberi al Consiglio Comunale aperto
Spavento e preoccupazione per questi fenomeni naturali in
una zona che non è considerata a grande rischio sismico e che ha visto per
alcuni giorni molti cittadini residenti a Larderello e Montecerboli.San
Dalmazio e Pomarance, dormire all’aperto.
Il fenomeno tellurico, che ha raggiunto la massima
magnitudo alle 21,48 di Sabato 20/3 (2,8.Richter, V°-VI° grado della Scala Mercalli), a detta degli esperti
non dovrebbe preoccupare più di tanto se le abitazioni sono costruite con
normali caratteristiche di resistenza, dato che viene eslusa la possibilità
che in questa zona si possano verificare fenomeni distruttivi di particolare
gravità.
Un riferimento a quanto sopra accennato degli eventi che si ripetono lo possiamo trovare da documentazioni archivistiche che sono state riportate in epoche diverse, sino ai nostri giorni.
I primi dati storici del fenomeno tellurico nella zona di
Pomarance sono riscontrabili dalle pubblicazioni dello storico E. Mazzinghi
sulla “Comunità di Pomarance”. Elementi che hanno permesso agli esperti di
trarre varie conclusioni statistiche sulla conoscenza dei terremoti nella
nostra zona almeno fin dai primi dell’ottocento.
Una delle
prime scosse avvertite, e di particolare gravità,tanto da essere annotata in
una deliberazione comunale, risale al
17 dicembre
1802:
“In questa notte si sono sentite sei scosse di terra”.
Il 25 Dicembre dello stesso anno la scossa si ripetè:
“..In questa mattina circa le ore 10 si è sentita una
scossa terribile di terra non mai più sentita, ha fatto suonare la campana
dell’orologio e diversi campanelli, che à messo grande spavento e dopo ne sono
venute due sole…’’.
Alcuni giorni più tardi, 30 dicembre 1802: “..la terra
tutta la notte in moto tra piccole e grosse scosse, si sono sentite nella
notte da circa 20 scosse”.
La terra tremò anche nei primi giorni
dell’anno successivo:
gennaio 1803:
Si odono scosse di terra…
Gennaio 1803:
“…seguitonno le scosse, si è per
tre giorni tenuto esposto il S.S.Sacramento…”
Altri movimenti tellurici interessarono Pomarance ed il
Volterrano il 18 ottobre 1804, il 2 maggio 1805,il 16 settembre 1806, il 2
aprile 1814 e 1’11 settembre 1822.
Una pausa tellurica si ebbe fino al 1842 e precisamente fino al 18 agosto. In questo dì, ed il 25 novembre dello stesso anno, il fenomeno si ripetè con epicentro localizzato tra Libbiano, Fosini, Serrazzano e Montecerboli. Notizie di altre scosse sono registrate nelle delibere comunali di Pomarance dopo un’arco di 50 anni ed esattamente il 12 novembre 1893 in cui sono annotati notevoli danni alle abitazioni, tra cui il Municipio di Pomarance, che venne rinforzato con delle catene nei punti più lesionati. Altre scosse di notevole intensità furono registrate il 21 marzo 1925, con una intensità del Vl° grado Mercalli nella zona di Larderello che subì altre scosse il 9 febbraio 1930, il 16 novembre 1931, il 23 maggio 1932 ed il 1 febbraio del 1933. Più gravi furono le conseguenze del terremoto avvertito e ancora vivo nel ricordo dei vecchi pomarancini, nel 1948 e 1949 con epicentro Lardello per una potenza tellurica del V°-VI° grado Mercalli. Ancora nel pomarancino si avvertirono scosse di una certa gravità nel 1970 ed esattamente il 19 agosto, come recita una relazione del tecnico comunale F.Bargelli in cui veniva descritta la zona più colpita nel territorio comunale che interessò i paesi di Lustignano e Serrazzano e dove vennero evacuate anche delle famiglie per le gravi lesioni riportate agli edifici. Questo evento del 1970,probabilmente il più forte ricordato (VII0 grado Mercalli),ebbe come epicentro la zona di Lago Boracifero e provocò gravi danni anche a Monterotondo Marittimo.
Il Prof. Barberi illustra il fenomeno tellurico
CRONISTORIA DEL SISMA DAL 20/3 AL 2/4 1993
L’inizio
È sabato 20 Marzo .Un pomeriggio apparentemente tranquillo in tutta la Val di Cecina. La maggior parte della gente sta cenando quando, alle 20,19 si avverte molto chiaramente una scossa seguita a breve distanza da alte due, alle 20,27 e alle 20,33, tutte e tre registrate anche dall’istituto Nazionale di Geofisica. Si saprà poi che alcuni ne hanno udite altre già nel pomeriggio e che la prima della serie è stata registrata dagli strumenti dell’Enel alle 14,49.
La scossa più forte
Dopo la scossa delle 20,33 (2,3/2,4 di magnitudo della scala
Richter) la gente ha cominciato a
manifestare serie preoccupazioni, iniziarono le telefonate ai carabinieri, ai
vigili del Fuoco, all’Enel e ai referenti del Comune, per avere notizie sull’evento
che però non si era ancora manifestato in tutta la sua forza.
Ma non tardò molto. Alle 21,48 un boato, seguito da una forte scossa, per fortuna durata solo pochi secondi, fece sussultare anche i più “indifferenti” e la gente di Pomarance, Montecerboli, Larderello e San Dalmazio si riversò nelle strade. A Castelnuovo si seppe successivamente che avvene più o meno la stessa cosa. La scossa fu sentita fino a Radicondoli, Volterra, Cecina e Livorno. L’osservatorio dell’I.N.G. (1st. Naz. Geofisica) la classificò a 3,5 gradi Richter, mentre i rilevatori dell’Enel registrarono due eventi quasi contemporanei con magnitudo 2,8 Richter.
La rete ENEL
La sofisticata rete sismica dell’Enel, composta da 26 stazioni di rilevamento sparse in tutta l’area geotermica,installate negli ultimi anni ’70 per il controllo della sismicità legata alla reiniezione dei fluidi geotermici, classificò quella delle 21,48 il ventunesimo evento, con epicentro compreso fra la zona del Gabbro ed il centro abitato di Pomarance, a 5-6 Km. di profondità. In tutto la rete Enel ha registrato poi 181 scosse, l’ultima delle quali alle 15,29 (ora solare) del 2 Aprile.
Allettamento della protezione civile
Fin da subito fu creato uno stretto collegamento tra la Stazione dei Carabinieri, il Corpo dei Vigili del Fuoco ed i principali referenti del Comune, quindi fu allertata la Prefettura di Pisa che a sua volta mobilitò la Protezione Civile. Furono tra l’altro messe in preallarme strutture di Volontariato della provincia ed anche fuori provincia. Anche l’Enel fu bersagliato di telefonate per conoscere le caratteristiche dell’evento; queste misero in difficoltà i tecnici del centro sismico del Laboratorio di Larderello impegnati nella elaborazione e nell’interpretazione dei dati provenienti dalle varie stazioni di rilevamento,emessi in pratica quasi ininterrottamente da Sabato pomeriggio in poi.
Il Comune
Dopo una
rapida consultazione tra i vari organi interessati fu deciso di creare un unico
punto di riferimento e di coordinamento, con sede nel Municipio che fu allo
scopo immediatamente aperto e presidiato 24 ore su 24, per una settimana, da
amministratori e tecnici comunali; ciò
al fine di fornire precise notizie e indicazioni alla gente, anche tramite un filo diretto con l’Enel, onde evitare distorsioni dei fatti ed opposti eccessi, quali possibili sottovalutazioni
o esagerate preoccupazioni. Gli stessi VV.FF. e Carabinieri, in continua
perlustrazione del territorio, facevano riferimento al Comune portando notizie
sulla situazione nei centri interessati e confortando la gente con notizie
precise sull’evolversi della situazione.
La stampa
Anche la stampa nei giorni del sisma ha giocato un ruolo sostanzialmente positivo in quanto ha fornito ai cittadini informazioni generalmente corrette, contribuendo alla non facile gestione del problema. Questo va detto perchè purtroppo spesso non è cosi, non sempre si privilegia lo spirito di servizio verso il diritto dei cittadini ad una corretta informazione. In questa occasione dobbiamo dare atto di questo spirito, favorito anche dalle disponibilità deH’Amm.ne Comunale a fornire continue notizie e aggiornamenti,riconosciuto con reciprocità dagli stessi corrispondenti giornalisti.
11 Prof. Barberi, la Regione Toscana e la Prefettura
La Domenica mattina alle 8, a meno di 12 ore dalla scossa principale, fu richiesto telefonicamente dal Sindaco alla Prefettura, di convocare urgentemente un coordinamento tecnico-scentifico per valutare il fenomeno e decidere le necessarie misure da prendere, concordando per ciò di interpellare il Prof. Barberi, notoriamente uno dei massimi esperti di terremoti, Docente dell’università di Pisa, Dip. Scienze della Terra e membro dello stesso Gruppo Nazionale Grandi Rischi il Prof.Barberi, rintracciato telefonicamente nell propria abitazione pisana verso le 1 di domenica 21, dimostrando grande responsabilità e sensibilità, assicurò al Sindaco ed alla Prefettura il proprio interessamento. Chiese che gli venissero inviati i dati in possesso dell’Enel e nel primo pomeriggio si recò all’università per esaminarli insieme a quelli già in suo possesso dall’I.N.G. Si rese disponibile quindi ad una riunione in prefettura per le ore 12 di lunedi 22, che egli stesso preparò in collaborazione coi funzionari del dipartimento Ambiente della Regione e che si effettuò in seguito presieduta dal Prefetto stesso, Dott. A. MARINO.
(Dagli esiti di tale riunione fu emesso un comunicato stampa del Comune di Pomarance alla popolazione locale che viene integralmente riportato a parte). Nel contempo l’Assessore all’Àmbiente E. Monarca, si mise più volte in contatto telefonico con il Comune, incaricando i tecnici della Protezione Civile di seguire il fenomeno come di competenza e preannunciando la sua personale partecipazione al Consiglio Comunale aperto di martedì 23 marzo 1993. Successivamente convocò una nuova riunione in Regione per fare il bilancio della situazione e decidere i provvedimenti successivi.
Il Prof. Scandone
La gente, il Consiglio Comunale in piazza
Comportamento esemplare quello della gente. Comprensibilmente preoccupati, molti
hanno dormito fuori per qualche notte, (in auto o in roulotte) facendo la
spola con il Comune per avere notizie e poi ritornare ad informare i “compagni
di sventura”. Molti si sono avvicendati al Presidio Comunale, mettendosi
a disposizione per ogni necessità ed offrendo in molti casi una preziosa
collaborazione. Particolarmente efficace la partecipazione dei cittadini alla
divulgazione capillare del comunicato emesso il pomeriggio del Lunedì 22/3
firmato dal Prof. Barberi e dal Sindaco G. Pacini, che ha contribuito non poco a tranquillizzare le persone.
Il Consiglio Comunale aperto allestito dai dipendenti comunali in poche ore, con grande impegno; uno scenario perfetto all’aperto, nella piazza antistante il municipio, completo di tavoli, sedie, transenne, illuminazione, altoparlanti, lavagna lumisosa, tutto a disposizione degli illustri ospiti dai quali tutti ci attendevamo maggiori certezze e rassicurazioni. Le quali non sono mancate e così la gente, dopo l’iniziativa, ha potuto dormire un pò più tranquilla. Il Prof. Barberi per primo, poi il Prof. Scandone e I’Arch. Ferrini,in presenza del Consiglio Comunale e dell’Assessore E. Monarca, hanno illustrato le nozioni scientifiche del fenomeno con grande semplicità, e con la precisa volontà di farsi capire dalla gente comune aiutandosi in questo con la proiezione di schede e diagrammi sulla lavagna luminosa. Qualcuno l’ha definita una lezione universitaria di alto valore scentifico, fatta omaggio a tutti i cittadini che hanno manifestato apprezzamento per la risposta delle istituzioni e le iniziative assunte in così breve tempo dall’inizio del sisma.
I danni
Molte sono
state le segnalazioni di piccole lesioni, soprattutto negli edifici più vecchi;
tuttavia, dopo un primo accertamento dei tecnici comunali e dei VV.FF. di Pisa,
l’unica situazione che ha destato qualche preoccupazione è stata individuata
nel palazzo comunale della ex Pretura, situato nel centro storico del
capoluogo, in prossimità della “frana delle Grotte” già a suo tempo
provocata da circostanze simili.
La preoccupazione, più che le lesioni agli immobili, peraltro lievi, derivava dalla instabilità geologica del terreno sottostante per il cui consolidamento sono peraltro stanziati 500.000.000 di lire sulla Legge 183 ed il Genio Civile di Pisa sta predisponendo i relativi progetti esecutivi. Cosicché a scopo precauzionale, veniva disposta l’evacuazione provvisoria dell’Ufficio di Collocamento e di 4 famiglie. Successivamente, dopo più approfonditi accertamenti statici e geologici effettuati da tecnici del Genio Civile ed a sisma ormai esaurito, il provvedimento fu revocato e l’immobile è ritornato ad essere regolarmente abitato.
Accertamenti, sismicità e censimento di vulnerabilità sismica degli edifici
Primo impegno operativo assunto dalla Regione Toscana fin dal primo incontro in Prefettura, e confermato poi al consiglio comunale aperto del giorno successivo, fu quello di avviare da subito una indagine a campione su varie tipologie di edifici presenti nei centri più colpiti e cioè a Pomarance, Montecerboli e San Dalmazio. Cosi, già dal mercoledì 24/3, i tecnici della R.T. e del Genio Civile di Pisa rafforzati da altri tecnici del Genio Civile di Livorno e Grosseto, hanno iniziato il lavoro in stretta collaborazione con l’Amm.ne Comunale. Scopo dell’indagine: verificare il grado di vulnerabilità sismica a cui sono soggette le nostre costruzioni ed in base a questo individuare le possibili precauzioni da prendere. Sono stati esaminati una quarantina di edifici, per ciascuno dei quali è stata compilata una scheda a seguito di sopralluoghi ed esame di progetti, planimetrie ed altre documentazioni. Le schede sono state poi elaborate presso il D.to Ambiente della Regione Toscana, d’intesa con il Gruppo Nazionale “Difesa dai Terremoti” del C.N.R. diretto dal Prof. Petrini. In una successiva riunione tenutasi presso la sede della Regione Toscana 1’8 Aprile u.s., presenti tra gli altri l’assessore Monarca, l’arch. Ferrini, il prof. Petrini, il Comune di Pomarance, è stato fatto il punto della crisi sismica dopo 20 giorni, da cui è emerso quanto segue:
a) la zona geotermica mantiene le sue caratteristiche di zona a “bassa sismicità”. Il prof. Petrini afferma che i Terremoti in Toscana non preoccupano certo a Pomarance o Larderello, anzi a Larderello, per le sue caratteristiche storiche, se si trovassero alcune risorse per finanziare adeguate ricerche, potrebbe diventare un laboratorio strutturale valido per tutto il territorio nazionale;
b) a relazione sugli esiti del censimento di vulnerabilità sismica degli edifici deve essere ancora completata. Tuttavia, nonostante il campione limitato dovuto a carenza di risorse e personale per l’indagine, alcune indicazioni possono essere già evidenziate, in particolare il prof. Petrini ha ipotizzato a grandi linee una situazione degli edifici in cui circa il 20% si colloca in una fascia di vulnerabilità molto bassa, il 60% in una fascia media e solo il restante 20% è nella fascia alta e cioè soggetta a conseguenze a fronte di terremoti simili. Se ne può dedurre che, non considerando la normativa sismica, in quanto trattasi di zona classificata non sismica, si rende consigliabile l’individuazione di taluni accorgimenti, particolarmente nei casi di ristrutturazione di vecchi edifici, da individuare meglio al termine degli studi indicati;
c) attività industriali dell’Enel, reiniezione, sismicità e controlli: su questi aspetti l’Amm.ne Comunale ha chiesto fin dal primo incontro in Prefettura, un approfondimento scientifico delle correlazioni tra i fenomeni ed il ripristino di adeguati controlli esterni all’Enel. Sul primo aspetto, relazione reiniezione-sismicità, il prof. Petrini, pur confermando l’interpretazione già formulata dai proff. Barberi e Scandone a favore del carattere naturale del fenomeno e quindi tendente ad escludere relazioni negative di causa-effetto con le attività Enel, ha assicurato ulteriori approfondimenti di analisi scientifiche in merito, da effettuare congiuntamente al Prof. Barberi e al Prof. Scandone.
Per quanto riguarda i controlli, al di là delle competenze oggi Ministeriali, (’Assessore Monarca ha ipotizzato la ricostituzione di un apposito gruppo di Lavoro, deliberato dalla Giunta Regionale, non escludendo di ripristinare la convenzione col C.N.R. per completare i controlli sugli aspetti energetici, idrici e sismici.
L’allora sindaco G. Pacini.
Conclusioni
Ogni esperienza è una lezione. Anche da una vicenda tragica si possono trarre spunti positivi. In questo caso che conlusioni possiamo trarne?
Senza
enfasi e senza drammi. Con realismo.
Il Terremoto non si prevede e non si previene, può ripetersi in ogni momento.La storia sismica della zona, così come ci è stata scientificamente illustrata, porterebbe ad escludere la possibilità che si verifichino eventi devastanti, di intensità superiori a quelli che si sono già verificati. Simili eventi però possono ripetersi. E noi oggi siamo più preparati per affrontarli, più consci e consapevoli del fenomeno, più convinti della necessità, al di là di prescrizioni o imposizioni, di rafforzare le difese dei nostri edifici in ogni occasione utile (costruzioni o ristrutturazioni). Per il futuro quindi, continuiamo ad approfondire la nostra cultura e le nostre conoscenze, a pretendere risposte e controlli, ma soprattutto ricordiamoci che ai problemi generali dobbiamo dare sempre risposte collettive e solidali. Solo così saremo tutti più garantiti.
Arch. Ferrini.
COMUNICATO DIFFUSO DAL COMUNE ALLA POPOLAZIONE E ALLA STAMPA COMUNE DI POMARANCE PISA
Si è
tenuta alle ore 12 di stamani 22 Marzo 1993 in Prefettura a Pisa una riunione
per esaminare la situazione connessa con la crisi sismica in atto nella zona di
Pomarance. Alla riunione, presieduta dal Prefetto, hanno partecipato i Proff.
F. Barberi e P. Scandone, il Sindaco e altri amministratori del Comune di
Pomarance, funzionari della Regione Toscana, Dei Vigili del Fuoco e dell’Enel.
La
sequenza è iniziata alle ore 14,49 del 20 Marzo ed alle ore 13 del 22 marzo si
erano registrate un totale di 105 scosse. L’epicentro è spostato di pochi Km. a
sudest del paese di Pomarance. La massima magnitudo è stata registrata alle
21,48 del 20 marzo (intorno a 3 scala Richter corrispondente ad una intensità Mercalli del V° grado).
Sette
eventi hanno avuto una magnitudo compresa tra 2 e 2,8, l’ultimo dei quali registrato
alle ore 1,54 del 22/3 .
Tutte
le scosse hanno una magnetudo inferiore a 2. L’esame della Sismicità storica
dell’area indica che una crisi sismica simile all’attuale è avvenuta alla fine
del 1802, con 33 scosse avvertite, massima intensità pari al V° grado, epicentro
presso Pomarance, durata 17 giorni. Altre sequenze minori sono avvenute nel
1934 (14 scosse, intensità massima V° grado, epicentro Larderello, durata 1
giorno) e nel 1946 (8 scosse, intensità massima Vl° grado, epicentro
Larderello-Pomarance, durata 2 giorni).
Si sono
poi avute nella zona scosse isolate con massima intensità del Vll° grado
(Agosto 1970) e altre sette scosse con massima intensità del Vl° grado. Più
energetici (intensità massima del VII°-Vili0 grado) tre terremoti
avvenuti nella zona di Travale molti anni fa, nel 1501, 1502 e 1724.
Nel’insieme la sismicità dell’area appare modesta tanto che il Comune di Pomarance non è classificato come sismico. Sulla base di questi dati si può concludere che la sequenza sismica in atto può continuare ancora per alcuni giorni, ma è poco probabile che venga superata l’intensità del V°- Vl° grado. Una tale intensità all’epicentro non può provocare alcun danno ad edifici con normali caratteristiche di resistenza. Possono essere danneggiate solo le costruzioni fatiscenti. Allo scopo di valutare la vulnerabilità sismica degli edifici di Pomarance, la Regione Toscana, d’intesa con il Gruppo Nazionale per la Difesa dei Terremoti delCNR,
realizzerà un intervento urgente con squadre di tecnici specialisti. Da un
esame preliminare dei dati presentati dall’Enel sembra potersi escludere ogni
relazione di causa effetto tra la crisi sismica attuale e le operazioni
industriali al campo geotermico di Larderello.
In ogni caso sono stati richiesti all’Enel tutti i dati in
questione che verranno esaminati approfonditamente nei prossimi giorni.
Martedì sera si terrà a Pomarance un incontro dei proff. Barberi e Scandone e
i funzionari della Regione Toscana con il consiglio Comunale e la Popolazione,
nel quale verranno illustrate le caratteristiche della crisi sismica e le misure
di intervento già decise.
Prof. BARBERI – Sindaco G. PAONI
Il Direttore Responsabile J. Spinelli e la Redazione in collaborazione con il Sindaco Graziano Pacini
Grafico del sisma dal 20 marzo al 2 aprile 1993
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
La Storia Continua
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