RECUPERO DEL MONTERUFOLINO

Il cavallo Monterufolino sino ai primi del secolo veniva allevato in esclusiva dai Maffei di Volterra nella tenuta di Monte­rufoli. Nel 1913 tutta la proprietà passa­va al casato Della Gherardesca che non trascurava l’allevamento del cavallino, an­zi lo incrementava e migliorava, arrivan­do a fissare quelli che sono i caratteri ti­pici di questo cavallo: mantello morello, altezza compresa fra i 135 ed i 140 cen­timetri, forte adattabilità ai climi più diver­si, longevità e carattere mite. L’animale veniva allevato per la locomozione ed il trasporto, riusciva a vivere con il poco che offrivano il sottobosco e la macchia me­diterranea e proprio per questo venne pri­vilegiato dai latifondisti della zona. Purtroppo con il secondo dopoguerra venne ad esaurirsi il ciclo del cavallo stru­mento di lavoro ed anche il Monterufoli­no ne subì le conseguenze tanto che, agli inizi degli anni ottanta, si era ridotto a non più di una cinquantina di capi. Il gruppo oggi superstite è stato preso in custodia dalla Comunità Montana dall’al­levatore Rolando Celli e collocato in un recinto appositamente costruito, di circa 4 ettari, ricadente nel territorio del Comu­ne di Montecatini V.C. al confine con quello di Pomarance nei pressi del podere Forti di Sopra nell’area demaniale di Mon­terufoli.

Il Pony di Monterufoli

Il gruppo è composto da tre cavalle gra­vide, uno stallone e sei puledri di varia età di cui quattro maschi e due femmine. Si cercherà di ricostruire la razza reinsanguando questo pony autoctono toscano lasciato per troppo tempo in balìa di se stesso, tanto che si era quasi perduta la speranza di ritrovarne degli esemplari. Uno dei principali interventi per rinsan­guare la razza sarà quello di incrociare le fattrici con stalloni di altre razze come già facevano i Conti Della Gherardesca che, durante l’ultima guerra, possedeva­no un centinaio di fattrici. I Della Gherar­desca introducevano saltuariamente stal­loni maremmani, cavalli della Tolta oppu­re arabi.

Il recupero del cavallo Monterufolino è sempre stato oggetto di discussione nel­l’ambito della Mostra Zootecnica che la Comunità Montana organizza annual­mente a Pomarance. Finalmente siamo in presenza di un progetto inserito ed ap­provato dalla Regione Toscana nell’am­bito del P.I.M. (Piani Integrati Mediterra­nei) che prevede in prima istanza l’acqui­sto degli esemplari da parte della Comu­nità Montana. Il programma di recupero sarà seguito in stretta collaborazione con l’istituto del Germoplasma dell’Università di Milano che già si interessa di altri progetti di recupero di specie di animali in estinzione, tra cui quello della mucca pisana. Sarà inoltre centrale l’impegno dell’Associazione Provinciale degli Alle­vatori, che seguirà passo per passo la sua realizzazione.

A prima vista potrebbe sembrare un’inu­tile impresa, in realtà questo cavallino po­trebbe essere impiegato per avviare i ra­gazzi alla prima pratica equestre. Le ca­ratteristiche di animale senza pretese ed il fatto di essere allevato allo stato brado fanno infatti del pony di Monterufoli un soggetto adatto per la propedeutica eque­stre. Per questo gli stalloni da introdurre dovranno avere caratteristiche tali da non portare all’innalzamento della taglia del­l’animale che, per la sua futura destina­zione, è opportuno che rimanga piccolo e con il manto omogeneo e baioscuro. Speriamo che con la realizzazione del programma, il pony di Monterufoli fino ad oggi conosciuto solo da pochi addetti ai lavori possa, nel giro di alcuni anni, diven­tare un animale conosciuto ed amato da tutti, specialmente dai bambini.

Comunità Montana Val di Cecina

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

PERCORSI DIDATTICI FLORISTICI E FAUNISTICI

NELLE AREE DEMANIALI DI MONTERUFOLI E BERIGNONE

Già da alcuni anni la Comunità Monta­na ha dato avvio alla realizzazione di ini­ziative tendenti ad incrementare le pos­sibilità di fruizione delle risorse ambien­tali, che costituiscono una notevole attrat­tiva del nostro territorio. In particolare, in qualità di ente delegato ad esercitare le funzioni amministrative sul patrimonio agricolo – forestale della Val di Cecina, si è concentrata l’attenzione sui complessi forestali più significativi (Berignone – Tatti e Monterufoli), programmando tutta una serie articolata di interventi, che consen­tiranno al visitatore di poter apprezzare pienamente il vasto repertorio ambienta­le di cui disponiamo.

In primo luogo si è provveduto a dotare la viabilità principale (che attraversa i due complessi e li collega ai centri abitati li­mitrofi) di idonea segnaletica e di aree at­trezzate per la sosta ed il ristoro. È poi in avanzata fase di realizzazione la costitu­zione di una vera e propria rete di 25 per­corsi naturalistici dove, preferibilmente con l’ausilio di una guida, l’appassiona­to potrà scoprire gli aspetti più interessan­ti della vita all’interno del bosco e dove potranno essere apprezzate tutte quelle risorse ambientali che possono sfuggire ad una prima visita con spostamenti sul­la viabiltà di collegamento.

In terzo luogo, con particolare riferimen­to alle crescenti richieste che provengo­no specialmente dal mondo scolastico, si è cercato di creare delle occasioni di vi­sita localizzate e finalizzate al raggiungi­mento di obiettivi didattico-educativi di elevato valore. Sono state quindi proget­tate (e sono in corso di completamento o di esecuzione) interventi specifici per la realizzazione di: Percorsi floristici (sentieri ad anello per il riconoscimento delle prin­cipali specie erbacee, arbustive ed arbo­ree), localizzati presso la Fonte della Venella, in Berignone, ed intorno alla “Villa delle cento stanze’’ in Monterufoli; Per­corsi faunustici, (dotati di adeguate attrez­zature per l’osservazione e la documen­tazione della fauna selvatica), posti pres­so il Podere II Pino, in Berignone, e nel­l’area del Podere Monterufolino e di Cam­po ai Meli, in Monterufoli.

Allo scopo di dotare il visitatore di un agile strumento di guida attraverso questo ter­ritorio, è in fase di preparazione una car­ta degli itinerari naturalistici in scala 1 : 15000, che sarà presto presentata.

Comunità Montana Val di Cecina

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

BAGNI DI SAN MICHELE

NOTE SULLE ACQUE TERMALI DELLA ZONA

La posizione baricentrica del Comune di POMARANCE all’interno di un territo­rio regionale di indubbia attrazione storico-artistica (Pisa, Volterra, Siena, Massa Marittima), la singolare presenza del fenomeno geotermico, la ricchezza delle bellezze naturali esistenti, hanno sti­molato l’impegno delle Amministrazioni passate ed attuale a dare impulso allo svi­luppo turistico del territorio.

La convinzione profonda di percorrere questo indirizzo economico ha fatto com­piere scelte importanti e qualificanti alla Amministrazione Pubblica:

  • il recupero edilizio del Centro Storico del Capoluogo in cui trova degna ubicazione l’albergo “IL POMARANCIO”, il Museo di “Casa Bicocchi”, il “Teatro de Larde­rei”;
  • l’attenzione sui centri storici minori, co­me l’intervento di pavimentazione nel ca­stello di Montecerboli; lo sforzo per con­tenere dal degrado e preservare la “Roc­ca Sillana”;
  • la valorizzazione di vari boschi (Foresta di Monterufoli) con la creazione di percor­si di grande valore paesaggistico, in ac­cordo con la Comunità Montana;
  • la realizzazione, in sintonia con l’E.N.E.L., di itinerari tra i soffioni baraciferi ed i vecchi lagoni.

In questo contesto, trova la sua ragione di esistere anche l’intervento che da tem­po stiamo portando avanti sulle acque ter­mominerali dei “BAGNI DI SAN MI­CHELE”.

I BAGNI DI SAN MICHELE sono situati a quota mt. 311,8 s.l.m., si trovano a cir­ca 6 Km. a Sud di Pomarance, a valle del­la S.S. n° 439 che collega Pisa a Massa Marittima, passando per il Capoluogo, Larderello e Castelnuovo V.C.

Una strada sterrata conduce agli edifici dei “bagni”, costruiti al fondo di una in­cisione dove il Fosso di Radicagnoli rice­ve le acque del Botro delle Vignacce. La morfologia del luogo è abbastanza ac­clive. I versanti della valle che a monte hanno poca pendenza, in prossimità dei “bagni” assumono una inclinazione mag­giore, per cui la valle si restringe ed il cor­so d’acqua inizia un tratto di cammino in­cassato, con salti e rapide che si accen­tuano più a valle.

Nei dintorni dei “bagni” non esistono edi­fici colonici o centri abitati, mancano col­ture agrarie, fa da padrona una folta mac­chia mediterranea, tipica della nostra Re­gione, di straordinaria bellezza sia per la sua spontaneità sia per l’integrità.

Le prime informazioni sull’esistenza del­le acque termali nell’Italia Centrale risalgono ad oltre 2000 anni fa; naturalmente la storia si intreccia spesso con la leggen­da, purtuttavia possiamo affermare che già il poeta Lucrezio Caro, vissuto alle so­glie dell’era cristiana, parla degli “Aver­ni” e paragona questi fenomeni ad altri simili che avrebbero dovuto trovarsi in Etruria.

Così pure il poeta Tibullo nelle sue “Ele­gie”, conferma l’esistenza di terme etrusche caratterizzate da acque “molto cal­de tanto da doversi evitare nella canico­la, ma adatte alla stagione primaverile”. Anche Strabone, geologo e umanista gre­co, contemporaneo di Tibullo accenna più volte, nella sua “Geografia” a manifesta­zioni termali in Etruria con riferimento al­le acque di Volterra e Populonia.

Una ulteriore testimonianza della fioren­te attività termale nella Toscana, ci vie­ne dall’architetto Vitruvio, vissuto nel I se­colo dopo Cristo, il quale ci dice che “l’Etruria superava per il numero delle terme tutte le altre contrade d’Italia”.

Il documento più importante, per la sua indiscutibile attendibilità e valore storico, è la TAVOLA PEUTINGERIANA. Si trat­ta di una pergamena del 1200 composta da 12 segmenti, larga appena 40 cm. e lunga circa 6 m. e mezzo, rinvenuta alla fine del 1500 nell’abitazione dell’umani­sta Konrad Peutinger, in Germania.

In essa sono disegnate due costruzioni massiccie con l’indicazione “Aquae Volaterranae” ed “Aquae Populoniae”.

I BAGNI DI SAN MICHELE, avrebbero dovuto far parte delle “Aquae Volaterranae”, già note ai tempi dei Romani, in quanto il loro vero nome era “Ager Spartacianus”.

Abbiamo oltre alla tavola Peutingeriana, un’altra “Itineraria” romana, curata dal Miller; infine scritti che documentano sto­ricamente i fenomeni termali in Toscana. Sarà durante i secoli bui delle invasioni barbariche che la storia lascia il passo alla leggenda.

Dal IV al XII secolo si sentirà parlare di termalismo soprattutto negli atti di com­pra vendita di beni da un signore all’altro. Una leggenda, che colpisce, da un lato, per la sua ricca fantasia e dall’altro per la scarsità e povertà di conoscenza scien­tifica, riguarda la nascita dei lagoni e fu­mi di Montecerboli.

La storia di Montecerboli inizia verso il 1000 d.C., e si racconta che avendo gli abitanti del luogo cacciato dalle loro ter­re il demonio, questo si volle vendicare gettando dal suo cocchio in fuga degli og­getti che cadendo per terra avrebbero aperto delle falle facendo scaturire dal ter­reno acque bollenti e gas.

Per quei tempi doveva essere una delle disgrazie più grandi; infatti il Nasini dice che una delle peggiori maledizioni per il vicino “nemico” era: “Dio ti mandi un la­gone nel campo”.

Dopo il 1000 un vasto rinnovamento reli­gioso, culturale ed economico pervase tutta la Nazione: rinascono città, ripren­dono fiorenti i commerci.

Anche per la nostra zona, tra il XII ed il XIV secolo si avviano grandi ricostruzio­ni ed ampliamenti di terme, sia dei Bagni di San Michele, della Perla che dei Ba­gni ad Morba.

Dal 1171 per volere del Pontefice Ales­sandro III i “bagni ad Morba” passano sotto la giurisdizione del piovano della “Plebs ad Morba pellenda”; e furono quei religiosi ad occuparsi di dar vita alle ter­me e più tardi, nel 1377, a voler erigere il monastero di San Michele alle Formi­che, sul colle al di sopra di quei “bagni”. In quei tempi, prima Pomarance, dopo Volterra si impegnarono per dar vita alle terme, ma soprattutto con la Repubblica Fiorentina (1388) si avranno i primi con­sistenti interventi. Dalla fine del 1300 alle soglie del 1600 so­no i nomi di Michele Savonarola, nipote del più celebre Gerolamo, Ugolino da Montecatini, Michele Marullo, Giorgio Agrippa ed altri a darci le informazioni sul­le virtù medicamentose e le notizie sugli illustri ospiti venuti “a passar le acque”. Si racconta che Lorenzo dé Medici, sua moglie Clarissa e la madre Lucrezia Tornabuoni, preferissero tra tutte le terme i “bagni di San Michele” e de “La Perla”; e che quando i Medici se ne andavano a fine stagione “tirassen a sé l’uscio e portassen via la chiave”.

Nell’estate del 1464 tutti i membri del con­siglio comunale di Pomarance andarono in “pompa magna” a rendere omaggio ai Medici (forse per tenerseli buoni).

Tra i grandi personaggi di un tempo, an­che Dante Alighieri deve aver visitato que­ste zone, perché è molto vicina alla real­tà la descrizione “sulle fumifere acquae
per il vapor che la terra ha nel ventre…” che fa ne ‘‘La Vita Nova”.

I BAGNI DI SAN MICHELE ALLE FOR­MICHE hanno avuto avverse fortune e sfortune, ma in complesso hanno corso il loro destino insieme alle altre terme del­la zona.

Verso la fine del 1700 i pochi monaci ri­masti a custodia dell’eremo vennero chia­mati a Firenze dai padri celestini e nel 1870 vi era nella zona un solo eremita. Nei momenti di massima affluenza si re­gistravano anche 300 persone al giorno tra locali e povera gente venuta da fuori, generalmente malati di lebbra, ai quali i padri davano assistenza.

Come nel passato, anche nella storia più recente le nostre terre hanno avuto l’o­nore di ospitare personaggi illustri: tra i visitatori più prestigiosi Larderello si può vantare di aver ricevuto D’Annunzio, Ma­ria Curie, Enrico Fermi.

Molto tempo prima che la chimica si ele­vasse al rango di “Scienza”, i medici del passato, riuscirono a farci conoscere le virtù terapeutiche delle acque, pur essen­do all’oscuro sulla natura di queste. Secondo Falloppio, Agricola ed altri na­turalisti del 1500, le acque del Bagno di San Michele “erano valide per curare la podagra e soprattutto nel fugar la lebbra, per il qual morbo son talmente efficaci che forse non se ne trova il migliore”.

Sulla composizione chimica i primi dati certi si avranno solo sul finire del 1700, grazie a due grandi figure del passato: HOEFER e MASCAGNI.

Tra i tanti lavori eseguiti da Hoefer vale ricordare le analisi dell’acqua “epatica” dei Bagni di San Michele nella quale rinvenne: gas acido carbonico, carbonato di calcio magnesia, solfo e silice.

A Mascagni spetta invece il primato di

aver rinvenuto in queste acque tracce di mercurio e cinabro, cosa questa ancora oggi non del tutto smentita.

Il Prof. Giuly nei primi del 1800 intrapren­de una serie di analisi approfondite su tut­te le acque dei bagni, i cui risultati sono stati confermati nel 1840 dal Prof. Mat­teucci.

Nella seconda metà del 1800, il Targioni Tozzetti, servendosi di una scienza ormai in fase di decollo da una prima classifi­cazione, considera le acque termali prin­cipalmente carbonato alcaline, solfuree nonché mediominerali.

Nella prima metà del 1900 il Prof. Berto­ni, direttore dei laboratori della Reale Ac­cademia di Livorno, esegue una serie di campionamenti e scopre che le acque ter­mali sono composte di altri sette elementi (tra cui il litio ed il bario), alcuni dei quali si rivelano importantissimi dal punto di vi­sta terapeutico.

“La presenza di questi microelementi e delle sostanze già note conferisce una grande efficacia per la cura di specifiche malattie come quelle della pelle, dei di­sturbi dell’apparato digerente e nel com­pensare certe insufficienze specialmen­te epatiche e renali”.

Sul finire degli anni trenta di questo se­colo, i chimici Sborgi e Galanti dell’allora Società Boracifera eseguirono altri campionamenti e numerose analisi, con­fermando quanto aveva già detto il Prof. Bertoni.

Altri sono stati gli studi fatti sulle acque termali della nostra zona e niente è emer­so che abbia potuto modificare la natura o le virtù medicamentose di queste acque che, diciamolo pure, attendono ancora di essere maggiormente valorizzate, anche perché a detta di illustri studiosi le nostre sorgenti possono reggere egregiamente il confronto con le più famose acque di Vichy, St. Moritz, Badenbaden e Karsbad. Infine il Prof. Armando Panz dell’ospedale Niguarda di Milano, raccomanda i fanghi sulfurei poiché avrebbero dato buoni ri­sultati nella cura delle rigidità articolari ed in genere utili nel campo della Ortopedia e Traumatologia.

Lo sfruttamento delle sorgenti termali, è un fatto possibile e credibile e dall’uso che se ne potrà fare dipenderà l’ulterio­re sviluppo della nostra Comunità. Si trat­ta di una energia che è tuttora allo stato potenziale ai fini dello sfruttamento, ma che può essere foriera di sviluppi attual­mente non prevedibili.

Tenuto conto della natura chimica delle nostre sorgenti termali e delle loro virtù terapeutiche, noi Amministratori lavoria­mo perché in un prossimo futuro si pos­sa godere delle “Aquae Volaterranae”, che un tempo dettero sollievo e benesse­re a tanta gente.

L’acquisto del “BAGNO DI SAN MICHE­LE” e di parte del bosco circostante (11 ha) è avvenuto con delibera del Consiglio Comunale del 26 marzo 1985 n° 185. È stata stipulata una apposita convenzione con l’Università di Pisa per lo studio dei fanghi idroterapici. La Regione Toscana ha emesso il Decreto per il permesso di ricerca in data 20/4/1988 ai sensi del R.D. 29/7/1927 n° 1443. Il Dott. Geol. Mario Carriero e l’Arch. Bar­gelli, ognuno per le proprie specifiche competenze, hanno lavorato e lavorano per riportare i “Bagni di San Michele” ai loro antichi splendori.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

INVASO SUL TORRENTE PAVONE

PRESENTATO IL PROGETTO TECNICO

Convocato dal Consorzio Schema 39 Bacino Idrico Torrente Pavone si è tenu­ta a Pomarance, presso la sede della Co­munità Montana, giovedì 5 luglio scorso, la presentazione preliminare del Proget­to tecnico, economico, finanziario per la costruzione di un invaso sul Torrente Pa­vone.

Alla riunione del Consiglio di Amministra­zione del Consorzio sono stati invitati i sindaci dei comuni cti Volterra, Pomaran­ce, Montecatini V.C., Castelnuovo V.C., Monteverdi M.mo, Radicondoli e Casta­gneto Carducci, il Presidente deH’Amministrazione Provinciale di Pisa ed il Pre­sidente della Comunità Montana della Val di Cecina.

Lo studio commissionato circa un anno fa al Consorzio Toscano Costruzioni di Fi­renze è stato redatto dagli studi D.A.M. di Ravenna e Idroforma di Firenze. Le ca­ratteristiche tecniche della futura diga, l’investimento finanziario occorrente, la convenienza economica sono state illu­strate dagli ingegneri D’Alberto e Sanson. L’invaso posto ad una quata d’imposta di 414 m. sul livello del mare ha un’altezza massima dal piano di fondazione di 55 m. ed un volume di calcestruzzo di circa 91.000 metri cubi, inclusa la vasca di dis­sipazione.

La capacità di massimo invaso è di 6,6 milioni di metri cubi di acqua, a fronte di una portata massima del Torrente di 12 milioni di metri cubi annui.

L’opera di restituzione provvede a ricon­durre nell’alveo del Torrente Pavone una portata modulabile con un massimo di 70 l/sec. per garantire l’equilibrio idrogeo­logico ed ecologico.

L’opera quindi garantirebbe ottima acqua per i quattro Comuni interessati della Val di Cecina ed il Comune di Monteverdi, ol­tre eventualmente il fabbisogno potabile dei Comuni di Radicondoli e Castagneto Carducci stimati per complessivi 5 milio­ni di metri cubi annui nonché una riserva di 2 milioni di metri cubi annui disponibile per altri usi.

Il costo complessivo dell’invaso è stima­to in 56 miliardi complessivamente ivi comprese le opere di adduzione, l’aper­tura delle strade di accesso e l’abitazio­ne del custode; il tempo di realizzazione stimato in 5 anni; l’onere finanziario rite­nuto possibile per l’ammortamento dei co­sti.

Anche lo studio di valutazione di impatto ambientale, curato dal Prof. Vendegna dell’università agli Studi di Pavia, ha pre­sentato un bilancio soddisfacente dalla si­curezza dell’opera alla necessaria salvaguardia del territorio indicando gli inter­venti per ristabilire un equilibrio ecologi­co che permetta una convivenza non con­flittuale tra esigenze umane e natura.

Lo studio, completo delle cartografie ne­cessarie, è stato consegnato ai Comuni ed alle Amministrazioni interessate affin­chè facciano pervenire al Consorzio del Pavone le osservazioni e chiarimenti del caso prima della presentazione ufficiale prevista per la fine del corrente anno. La fase ultima di chiarimenti ed informa­tiva avrà ancora come punto di riferimen­to la Comunità Montana quale Ente inter­medio di programmazione del territorio. La decisione definitiva per la costruzione dell’opera dovrà essere frutto di una scel­ta consapevole formatasi dal confronto delle popolazioni, dai soggetti sociali, po­litici ed amministrativi dei quali il Consi­glio di Amministrazione del Consorzio si è sempre doverosamente messo a dispo­sizione.

Comunità Montana Val di Cecina

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

LE ACQUE DEL SOTTOSUOLO DI POMARANCE

Il problema dell’approvvigionamento idrico è stato sempre presente nella sto­ria dell’uomo, tanto da condizionarne lo sviluppo socio – economico. Ancora oggi è facile constatare come le aree più po­vere della terra coincidano spesso con quelle a minor quantitativo di precipitazio­ni annue.

Alle nostre latitudini, dove le piogge risul­tano sufficientemente abbondanti, la pre­senza di “punti d’acqua’’ ha spesso con­dizionato la dislocazione degli insedia­menti abitativi sul territorio. Si capisce quindi come sia importante riuscire ad in­dividuare sempre nuove fonti di approv­vigionamento per poter far fronte al cre­scente fabbisogno idrico causato dall’at­tuale veloce sviluppo, sia industriale che agricolo, e dal continuo incremento del fabbisogno “pro capite’’.

Condizione essenziale perchè nel sotto­suolo siano presenti riserve d’acqua è la esistenza di formazioni rocciose idonee ad ospitarle. La capacità di una roccia di contenere o farsi attraversare dalle acque di infiltrazione è detta “permeabilità”: es­sa può quindi dirsi permeabile per poro­sità quando i pori presenti fra i suoi ele­menti sono fra loro comunicanti o, per­meabile per fessurazione, quando sia in­teressata da fessure generate essenzial­mente dall’azione di fattori di ordine geo­logico.

In Alta Val di Cecina, e quindi anche nel­la zona di Pomarance, sono presenti ter­reni di diversa natura, legati alle varie fa­si geologiche che hanno interessato la Toscana meridionale. Essi si possono suddividere in:

  • Formazioni alloctone
  • Formazioni neoautoctone
  • Depositi continentali recenti

Le Formazioni alloctone, affioranti in zo­ne poco distanti dall’abitato di Pomaran­ce (Gabbri, Larderello, etc.), sono costi­tuite principalmente da alternanze di ar­giniti e bancate calcaree di origine sedi­mentaria e da rocce magmatiche. Nelle rocce sedimentarie, la presenza di una matrice argillosa impermeabile limita no­tevolmente la capacità di immagazzina­mento idrico e fa si che in queste forma­zioni possano essere presenti solo pochi acquiferi di limitata estensione, segrega­ti all’interno della porzione calcarea e si­curamente non interessanti per lo sfrut­tamento.

Le rocce magmatiche, composte essen­zialmente da Gabbri, Serpentine e Diaba­si, si presentano in genere piuttosto fes­surate a causa degli stress a cui sono sta­te sottoposte per l’azione delle spinte le­gate alla dinamica crustale ed, in teoria, dovrebbero possedere una buona per­meabilità. In realtà, essendo piuttosto al­terabili, sotto l’azione degli agenti atmo­sferici si disgregano formando una fine frazione detritica che, trasportata dalle ac­que di infiltrazione, tende ad otturare le fessure diminuendo notevolmente la per­meabilità e quindi la possibilità di sfrut­tamento a fini idrici.

Il colle su cui sorge Pomarance è forma­to dal sovrapporsi più o meno regolare delle “Formazioni neoautoctone”. In par­ticolare l’abitato sorge su di un esteso, an­che se non molto spesso, affioramento di “Calcare detritico” comunemente detto “Tufo”, a causa della friabilità e lavora­bilità che presenta, paragonabili a quelle del vero Tufo di origine vulcanica. Que­sto affioramento si presenta molto frattu­rato e le acque meteoriche possono infiltrarvisi con una certa facilità. Inoltre, la loro azione dissolutiva tende con il tem­po ad allargare le fessure (Carsismo) mi­gliorando ulteriormente la permeabilità. Alla base della formazione del Calcare detritico si trovano i “Conglomerati tra­sgressivi di origine marina”, che a cau­sa della prevalente matrice argillosa risul­tano possedere una scarsa permeabilità. La differenza di permeabilità fra i due ter­reni fa si che, intorno all’abitato di Poma­rance e nelle aree circostanti, sia presen­te tutta una serie di sorgenti, alcune del­le quali perenni, dotate di una buona por­tata (ad esempio La Boldrona, La Fonte, etc.).

Altri eventi sorgivi sono legati alla presen­za di cospicue coperture detritiche molto permeabili. Le frane di crollo, verificatesi in passato nella zona delle Grotte, sono da collegarsi proprio all’azione dissolutiva delle acque di infiltrazione che percolando tendeva­no ad allargare le fessure presenti nell’af­fioramento di “Tufo”, separando in alcuni casi blocchi di grandi dimensioni. Le ac­que di infiltrazione, raggiunta la sottostan­te formazione dei “Conglomerati Tra­sgressivi”, scarsamente permeabile, non potendo proseguire il loro cammino in profondità, tendevano a tornare in super­ficie scorrendo lungo il contatto fra le due formazioni. Questo percolare provocava una dissoluzione dei terreni argillosi po­sti al piede dei blocchi già in precario equilibrio, ed il conseguente loro frana­mento. È stato quindi sufficiente impedire l’infiltrazione delle acque stendendo un manto impermeabile, perchè il susseguir­si dei crolli cessasse.

d = detrito
a = alluvioni
at = alluvioni terrazzati
ps = calcare detritico (tufo)
pc = conglomerati trasgressivi
pa = argille marine
m5a = gessi e argille
m4 = gessi e aqrenarie

Le altre formazioni Neoautoctone sono composte da terreni prevalentemente ar­gillosi e di conseguenza pressoché imper­meabili, certamente non idonei ad esse­re sfruttati per fini idrici.

Si può quindi affermare che Pomarance sorge in una zona in cui i terreni sono scarsamente idonei ad ospitare falde ac­quifere di una certa entità. Infatti, ad ec­cezione dell’affioramento di Calcare detritico (Tufo) su cui è posto il paese, di par­te della formazione dei Conglomerati tra­sgressivi e di alcuni membri arenacei di limitata estensione appartenenti alle altre formazioni, i restanti terreni possono con­siderarsi pressoché impermeabili. Ne de­riva così che gli acquiferi principali risul­tano localizzati nei “Depositi continenta­li recenti” che sono composti dai detriti derivanti dal disfacimento delle varie for­mazioni e dai Depositi alluvionali fluviali. Le coperture detritiche, se molto estese e con spessori adeguati, possono diven­tare sede di acquiferi importanti, soprat­tutto se le rocce da cui derivano non ge­nerano grandi quantità di porzione detritica fine, in particolar modo limo-argillo­sa, che ottura le fessure fra gli elementi litoidi diminuendo la permeabilità. Nella nostra zona, comunque, non esistono co­perture sufficientemente consistenti da contenere acquiferi di un certo interesse. Maggiore rilevanza hanno invece le allu­vioni fluviali, in particolare quelle appar­tenenti al Fiume Cecina che costituisco­no un importante acquifero per la zona di Pomarance, già sfruttato per approvvigio­namento idrico. Questi depositi proven­gono dal disfacimento delle formazioni rocciose presenti soprattutto nella porzio­ne iniziale del corso del fiume (zona Car­lina – Cornate). Essi sono caratterizzati da ciottoli, di diametro in genere dell’ordine
di alcuni decimetri e da una frazione più fine ghiaioso – sabbiosa.

La ricarica degli acquiferi sia fluviali che non, è assicurata dalle pioggie che in Val di Cecina pur non essendo abbondantis­sime, raggiungono mediamente i 1000 mm. annui nelle zone a quote più eleva­te ed i 700 – 800 mm. nelle altre. Il regi­me delle precipitazioni presenta due mas­simi, uno autunnale (ottobre – novembre) e l’altro primaverile (marzo – aprile) ed un periodo secco che spesso inizia a mag­gio e si protrae fino a settembre. La percentuale di acqua che riesce ad in­filtrarsi nel terreno dipende da molti fat­tori quali: temperatura, vegetazione, eva­porazione, ruscellamento, etc.; dal loro mutuo combinarsi ne deriva che il perio­do autunnale è il più favorevole per la ri­carica delle falde acquifere poiché, a pa­rità di precipitazioni, la quantità di piog­gia che si infiltra è maggiore.

impianto di perforazione.

Le conseguenze di periodi anomali di sic­cità, di cui quello appena trascorso è un esempio, sono molteplici. Normalmente il livello della falda acquifera subisce delle variazioni in relazione all’alternarsi delle stagioni ed alla abbondanza delle preci­pitazioni, oscillando però sempre intorno ad un valore medio. Quando le piogge vengono a mancare per lunghi periodi, esse si deprimono più del normale ed il ritiro delle acque va ad interessarte livel­li di terreno che in condizioni normali ri­sultano saturi. A differenza dei terreni compresi nella fascia di oscillazione della falda, che per così dire si sono adattati al suo periodico innalzarsi ed abbassar­si, quelli più profondi, normalmente saturi, reagiscono al ritiro compattandosi in mo­do pressoché irreversibile sotto il peso dei carichi sovrastanti, con una riduzione del­la luce dei pori prima “sostenuti” dalla presenza dell’acqua. Quanto ora detto va­le ovviamente per terreni coerenti ed in­coerenti, privi di scheletro litico.

La presenza di sovraccarichi rappresen­tati ad esempio da edifici, può accentua­re il processo di compattamento; si pos­sono così determinare elevati valori di ce­dimento tali da poter pregiudicare la sta­bilità del fabbricato stesso. In questi casi si assiste al manifestarsi di fratture e cre­pe che si allargano fino a che il terreno non raggiunge il nuovo stato di equilibrio. Il tempo necessario perchè ciò si verifi­chi risulta molto variabile ed è in funzio­ne della permeabilità dei terreni: più il ter­reno è permeabile maggiore sarà la ve­locità di compattazione e viceversa.

Come già detto l’abitato di Pomarance sorge su un affioramento di Calcare de­fatico di buone caratteristiche fisico – mec­caniche. Tuttavia in alcune aree (ad esempio la fascia che inizia alla Burraia e termina alla Boldrona passando per l’Oratorio e la Piazza del Mercato), vuoi per accumulo di consistenti coperture detritiche dovute all’azione erosiva delle acque
meteoriche, vuoi per la presenza di con­tatti con la sottostante formazione dei Conglomerati trasgressivi, la perdita di acqua da parte dei terreni ha probabil­mente causato, e presumibilmente con­tinuerà a causare data la attuale siccità, sensibili cedimenti a carico degli edifici ivi esistenti.

Anche lo sfruttamento indiscriminato della falda acquifera per mezzo di pozzi ad uso privato aggrava il fenomeno di compatta­mento anomalo dei terreni. Lo sfruttamen­to dei pozzi da parte di privati, se prati­cato su larga scala, è dannoso sia perchè non è possibile controllare direttamente la quantità di acqua emunta (più il perio­do è secco e più si sfrutta il pozzo) sia per­chè spesso i pozzi si rivelano veicoli di in­quinamento chimico e/o battericologico. È probabile che i cedimenti verificatisi nel­la zona dell’oratorio siano dovuti, in par­te al susseguirsi negli ultimi anni di pe­riodi siccitosi ed in parte anche all’ecces­sivo emungimento, con relativo abbassa­mento del livello della falda idrica, dovu­to proprio al proliferare di nuovi pozzi. Rimediare ai danni provocati agli edifici dal compattamento del terreno per per­dita di acqua non è semplice e risulta per lo più costoso. Qui di seguito sono indi­cate in maniera del tutto schematica al­cune tipologie di intervento.

Nel caso che l’edificio poggi su un terre­no omogeneo, sia verticalmente che la­teralmente, si può eseguire un irrigidi­mento della struttura tramite cordolo pe­rimetrale ancorato alle vecchie fondazio­ni. Ciò permette all’edificio stesso di “sprofondare” senza che si verifichino le­sioni dannose alle fondazioni.

Se il substrato resistente si trova a pro­fondità non eccessiva, si possono adot­tare pali opportunamente dimensionati in modo da permetterne il giusto incastro nel substrato stesso trasformando così l’edi­ficio in una sorta di “palafitta”.

Quando la costruzione poggia su terreni con differenti caratteristiche fisico – mec­caniche, le conseguenze del compatta­mento sono più gravi poiché le parti del­l’edificio che insistono su terreni diversi subiscono cedimenti di diversa entità che sottopongono la struttura a sollecitazioni non omogeneamente distribuite molto pe­ricolose per la sua integrità.

In conclusione, anche se in condizioni normali nella nostra zona non vi sono pressanti problemi di approvigionamento, risulta comunque necessario operare un razionale sfruttamento delle risorse idriche, sviluppando anche a livello indi­viduale, una cultura volta al risparmio. Il periodo di siccità appena trascorso ha inoltre dimostrato come sia necessaria una gestione delle risorse idriche fonda­ta su una pianificazione quanto meno a livello regionale che possa garantire una loro equa distribuzione su tutto il territo­rio superando le divisioni campanilistiche ed incrementando la ricerca di nuovi ac­quiferi.

Rossi Dott. Stefano

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

TERREMOTO A POMARANCE

“Fenomeni naturali che si ripetono nella storia dei tempi”

Questo il concetto espresso dal prof. Barberi, uno dei maggiori esperti di vul­canologia, nel Consiglio Comunale aperto in piazza, promosso dall’Amministrazione Comunale di Pomarance sugli eventi tellurici registrati a Pomarance, Larderello, Montecerboli.San Dalmazio, dal 20 Marzo al 2 Aprile 1993.

Un fenomeno che ha destato preoccupa­zione negli abitanti del luogo tenendo im­pegnate le varie forze dell’ordine, la Pro­tezione Civile e l’Amministrazione Comu­nale, a dare assistenza e informazioni corrette ai cittadini.

Il Prof. Barberi al Consiglio Comunale aperto

Spavento e preoccupazione per questi fe­nomeni naturali in una zona che non è considerata a grande rischio sismico e che ha visto per alcuni giorni molti citta­dini residenti a Larderello e Montecerbo­li.San Dalmazio e Pomarance, dormire al­l’aperto.

Il fenomeno tellurico, che ha raggiunto la massima magnitudo alle 21,48 di Saba­to 20/3 (2,8.Richter, V°-VI° grado della Scala Mercalli), a detta degli esperti non dovrebbe preoccupare più di tanto se le abitazioni sono costruite con normali ca­ratteristiche di resistenza, dato che vie­ne eslusa la possibilità che in questa zo­na si possano verificare fenomeni distrut­tivi di particolare gravità.

Un riferimento a quanto sopra accenna­to degli eventi che si ripetono lo possia­mo trovare da documentazioni archivistiche che sono state riportate in epoche di­verse, sino ai nostri giorni.

I primi dati storici del fenomeno tellurico nella zona di Pomarance sono riscontra­bili dalle pubblicazioni dello storico E. Mazzinghi sulla “Comunità di Pomaran­ce”. Elementi che hanno permesso agli esperti di trarre varie conclusioni statisti­che sulla conoscenza dei terremoti nella nostra zona almeno fin dai primi dell’ot­tocento.

Una delle prime scosse avvertite, e di par­ticolare gravità,tanto da essere annotata in una deliberazione comunale, risale al

17 dicembre 1802:

“In questa notte si sono sentite sei scos­se di terra”.

Il 25 Dicembre dello stesso anno la scos­sa si ripetè:

“..In questa mattina circa le ore 10 si è sentita una scossa terribile di terra non mai più sentita, ha fatto suonare la cam­pana dell’orologio e diversi campanelli, che à messo grande spavento e dopo ne sono venute due sole…’’.

Alcuni giorni più tardi, 30 dicembre 1802: “..la terra tutta la notte in moto tra picco­le e grosse scosse, si sono sentite nella notte da circa 20 scosse”.

La terra tremò anche nei primi giorni del­l’anno successivo:

  1. gennaio 1803:

Si odono scosse di terra…

  • Gennaio 1803:

“…seguitonno le scosse, si è per tre giorni tenuto esposto il S.S.Sacramento…”

Altri movimenti tellurici interessarono Po­marance ed il Volterrano il 18 ottobre 1804, il 2 maggio 1805,il 16 settembre 1806, il 2 aprile 1814 e 1’11 settembre 1822.

Una pausa tellurica si ebbe fino al 1842 e precisamente fino al 18 agosto. In que­sto dì, ed il 25 novembre dello stesso an­no, il fenomeno si ripetè con epicentro lo­calizzato tra Libbiano, Fosini, Serrazzano e Montecerboli. Notizie di altre scos­se sono registrate nelle delibere comunali di Pomarance dopo un’arco di 50 anni ed esattamente il 12 novembre 1893 in cui sono annotati notevoli danni alle abitazio­ni, tra cui il Municipio di Pomarance, che venne rinforzato con delle catene nei pun­ti più lesionati. Altre scosse di notevole intensità furono registrate il 21 marzo 1925, con una in­tensità del Vl° grado Mercalli nella zona di Larderello che subì altre scosse il 9 feb­braio 1930, il 16 novembre 1931, il 23 maggio 1932 ed il 1 febbraio del 1933. Più gravi furono le conseguenze del ter­remoto avvertito e ancora vivo nel ricor­do dei vecchi pomarancini, nel 1948 e 1949 con epicentro Lardello per una po­tenza tellurica del V°-VI° grado Mercalli. Ancora nel pomarancino si avvertirono scosse di una certa gravità nel 1970 ed esattamente il 19 agosto, come recita una relazione del tecnico comunale F.Bargelli in cui veniva descritta la zona più colpita nel territorio comunale che interessò i paesi di Lustignano e Serrazzano e dove vennero evacuate anche delle famiglie per le gravi lesioni riportate agli edifici. Questo evento del 1970,probabilmente il più forte ricordato (VII0 grado Mercal­li),ebbe come epicentro la zona di Lago Boracifero e provocò gravi danni anche a Monterotondo Marittimo.

Il Prof. Barberi illustra il fenomeno tellurico

CRONISTORIA
DEL SISMA DAL
20/3 AL 2/4 1993

L’inizio

È sabato 20 Marzo .Un pomeriggio appa­rentemente tranquillo in tutta la Val di Ce­cina. La maggior parte della gente sta ce­nando quando, alle 20,19 si avverte mol­to chiaramente una scossa seguita a bre­ve distanza da alte due, alle 20,27 e alle 20,33, tutte e tre registrate anche dall’i­stituto Nazionale di Geofisica. Si saprà
poi che alcuni ne hanno udite altre già nel pomeriggio e che la prima della serie è stata registrata dagli strumenti dell’Enel alle 14,49.

La scossa più forte

Dopo la scossa delle 20,33 (2,3/2,4 di ma­gnitudo della scala Richter) la gente ha cominciato a manifestare serie preoccu­pazioni, iniziarono le telefonate ai cara­binieri, ai vigili del Fuoco, all’Enel e ai re­ferenti del Comune, per avere notizie sul­l’evento che però non si era ancora ma­nifestato in tutta la sua forza.

Ma non tardò molto. Alle 21,48 un boato, seguito da una forte scossa, per fortuna durata solo pochi secondi, fece sussultare anche i più “indifferenti” e la gente di Po­marance, Montecerboli, Larderello e San Dalmazio si riversò nelle strade. A Castelnuovo si seppe successivamente che avvene più o meno la stessa cosa. La scos­sa fu sentita fino a Radicondoli, Volterra, Cecina e Livorno. L’osservatorio dell’I.N.G. (1st. Naz. Geofisica) la classificò a 3,5 gradi Richter, mentre i rilevatori del­l’Enel registrarono due eventi quasi con­temporanei con magnitudo 2,8 Richter.

La rete ENEL

La sofisticata rete sismica dell’Enel, com­posta da 26 stazioni di rilevamento spar­se in tutta l’area geotermica,installate ne­gli ultimi anni ’70 per il controllo della si­smicità legata alla reiniezione dei fluidi geotermici, classificò quella delle 21,48 il ventunesimo evento, con epicentro compreso fra la zona del Gabbro ed il centro abitato di Pomarance, a 5-6 Km. di profondità. In tutto la rete Enel ha re­gistrato poi 181 scosse, l’ultima delle qua­li alle 15,29 (ora solare) del 2 Aprile.

Allettamento della protezione civile

Fin da subito fu creato uno stretto colle­gamento tra la Stazione dei Carabinieri, il Corpo dei Vigili del Fuoco ed i princi­pali referenti del Comune, quindi fu aller­tata la Prefettura di Pisa che a sua volta mobilitò la Protezione Civile. Furono tra l’altro messe in preallarme strutture di Vo­lontariato della provincia ed anche fuori provincia. Anche l’Enel fu bersagliato di telefonate per conoscere le caratteristiche dell’even­to; queste misero in difficoltà i tecnici del centro sismico del Laboratorio di Larde­rello impegnati nella elaborazione e nel­l’interpretazione dei dati provenienti dal­le varie stazioni di rilevamento,emessi in pratica quasi ininterrottamente da Saba­to pomeriggio in poi.

Il Comune

Dopo una rapida consultazione tra i vari organi interessati fu deciso di creare un unico punto di riferimento e di coordina­mento, con sede nel Municipio che fu al­lo scopo immediatamente aperto e pre­sidiato 24 ore su 24, per una settimana, da amministratori e tecnici comunali; ciò

al fine di fornire precise notizie e indica­zioni alla gente, anche tramite un filo di­retto con l’Enel, onde evitare distorsioni dei fatti ed opposti eccessi, quali possi­bili sottovalutazioni o esagerate preoccu­pazioni. Gli stessi VV.FF. e Carabinieri, in continua perlustrazione del territorio, facevano riferimento al Comune portan­do notizie sulla situazione nei centri inte­ressati e confortando la gente con noti­zie precise sull’evolversi della situazione.

La stampa

Anche la stampa nei giorni del sisma ha giocato un ruolo sostanzialmente positi­vo in quanto ha fornito ai cittadini infor­mazioni generalmente corrette, contri­buendo alla non facile gestione del pro­blema. Questo va detto perchè purtrop­po spesso non è cosi, non sempre si pri­vilegia lo spirito di servizio verso il diritto dei cittadini ad una corretta informazio­ne. In questa occasione dobbiamo dare atto di questo spirito, favorito anche dal­le disponibilità deH’Amm.ne Comunale a fornire continue notizie e aggiornamen­ti,riconosciuto con reciprocità dagli stes­si corrispondenti giornalisti.

11 Prof. Barberi, la Regione Toscana e la Prefettura

La Domenica mattina alle 8, a meno di 12 ore dalla scossa principale, fu richiesto te­lefonicamente dal Sindaco alla Prefettu­ra, di convocare urgentemente un coor­dinamento tecnico-scentifico per valuta­re il fenomeno e decidere le necessarie misure da prendere, concordando per ciò di interpellare il Prof. Barberi, notoriamen­te uno dei massimi esperti di terremoti, Docente dell’università di Pisa, Dip. Scienze della Terra e membro dello stes­so Gruppo Nazionale Grandi Rischi il Prof.Barberi, rintracciato telefonicamente nell propria abitazione pisana verso le 1 di domenica 21, dimostrando grande responsabilità e sensibilità, assicurò al Sindaco ed alla Prefettura il proprio inte­ressamento. Chiese che gli venissero in­viati i dati in possesso dell’Enel e nel pri­mo pomeriggio si recò all’università per esaminarli insieme a quelli già in suo pos­sesso dall’I.N.G. Si rese disponibile quin­di ad una riunione in prefettura per le ore 12 di lunedi 22, che egli stesso preparò in collaborazione coi funzionari del dipar­timento Ambiente della Regione e che si effettuò in seguito presieduta dal Prefet­to stesso, Dott. A. MARINO.

(Dagli esiti di tale riunione fu emesso un comunicato stampa del Comune di Poma­rance alla popolazione locale che viene integralmente riportato a parte). Nel contempo l’Assessore all’Àmbiente E. Monarca, si mise più volte in contatto telefonico con il Comune, incaricando i tecnici della Protezione Civile di seguire il fenomeno come di competenza e prean­nunciando la sua personale partecipazio­ne al Consiglio Comunale aperto di mar­tedì 23 marzo 1993. Successivamente convocò una nuova riunione in Regione per fare il bilancio della situazione e de­cidere i provvedimenti successivi.

Il Prof. Scandone

La gente, il Consiglio Comunale in piazza

Comportamento esemplare quello della gente. Comprensibilmente preoccupati, molti hanno dormito fuori per qualche not­te, (in auto o in roulotte) facendo la spola con il Comune per avere notizie e poi ri­tornare ad informare i “compagni di sven­tura”. Molti si sono avvicendati al Presi­dio Comunale, mettendosi a disposizio­ne per ogni necessità ed offrendo in mol­ti casi una preziosa collaborazione. Par­ticolarmente efficace la partecipazione dei cittadini alla divulgazione capillare del comunicato emesso il pomeriggio del Lu­nedì 22/3 firmato dal Prof. Barberi e dal Sindaco G. Pacini, che ha contribuito non poco a tranquillizzare le persone.

Il Consiglio Comunale aperto allestito dai dipendenti comunali in poche ore, con grande impegno; uno scenario perfetto al­l’aperto, nella piazza antistante il muni­cipio, completo di tavoli, sedie, transen­ne, illuminazione, altoparlanti, lavagna lumisosa, tutto a disposizione degli illustri ospiti dai quali tutti ci attendevamo mag­giori certezze e rassicurazioni. Le quali non sono mancate e così la gente, dopo l’iniziativa, ha potuto dormire un pò più tranquilla. Il Prof. Barberi per primo, poi il Prof. Scandone e I’Arch. Ferrini,in pre­senza del Consiglio Comunale e dell’Assessore E. Monarca, hanno illustrato le nozioni scientifiche del fenomeno con grande semplicità, e con la precisa volon­tà di farsi capire dalla gente comune aiu­tandosi in questo con la proiezione di schede e diagrammi sulla lavagna lumi­nosa. Qualcuno l’ha definita una lezione universitaria di alto valore scentifico, fat­ta omaggio a tutti i cittadini che hanno manifestato apprezzamento per la rispo­sta delle istituzioni e le iniziative assunte in così breve tempo dall’inizio del sisma.

I danni

Molte sono state le segnalazioni di piccole lesioni, soprattutto negli edifici più vecchi; tuttavia, dopo un primo accertamento dei tecnici comunali e dei VV.FF. di Pisa, l’u­nica situazione che ha destato qualche preoccupazione è stata individuata nel palazzo comunale della ex Pretura, situa­to nel centro storico del capoluogo, in prossimità della “frana delle Grotte” già a suo tempo provocata da circostanze si­mili.

La preoccupazione, più che le lesioni agli immobili, peraltro lievi, derivava dalla in­stabilità geologica del terreno sottostan­te per il cui consolidamento sono peral­tro stanziati 500.000.000 di lire sulla Leg­ge 183 ed il Genio Civile di Pisa sta pre­disponendo i relativi progetti esecutivi. Cosicché a scopo precauzionale, veniva disposta l’evacuazione provvisoria dell’Ufficio di Collocamento e di 4 famiglie. Successivamente, dopo più approfonditi accertamenti statici e geologici effettuati da tecnici del Genio Civile ed a sisma or­mai esaurito, il provvedimento fu revoca­to e l’immobile è ritornato ad essere re­golarmente abitato.

Accertamenti, sismicità e censimento di vulnerabilità sismica degli edifici

Primo impegno operativo assunto dalla Regione Toscana fin dal primo incontro in Prefettura, e confermato poi al consi­glio comunale aperto del giorno succes­sivo, fu quello di avviare da subito una in­dagine a campione su varie tipologie di edifici presenti nei centri più colpiti e cioè a Pomarance, Montecerboli e San Dalma­zio. Cosi, già dal mercoledì 24/3, i tecni­ci della R.T. e del Genio Civile di Pisa raf­forzati da altri tecnici del Genio Civile di Livorno e Grosseto, hanno iniziato il la­voro in stretta collaborazione con l’Amm.ne Comunale. Scopo dell’indagi­ne: verificare il grado di vulnerabilità si­smica a cui sono soggette le nostre co­struzioni ed in base a questo individuare le possibili precauzioni da prendere. So­no stati esaminati una quarantina di edi­fici, per ciascuno dei quali è stata compi­lata una scheda a seguito di sopralluoghi ed esame di progetti, planimetrie ed al­tre documentazioni. Le schede sono sta­te poi elaborate presso il D.to Ambiente della Regione Toscana, d’intesa con il Gruppo Nazionale “Difesa dai Terremo­ti” del C.N.R. diretto dal Prof. Petrini. In una successiva riunione tenutasi pres­so la sede della Regione Toscana 1’8 Apri­le u.s., presenti tra gli altri l’assessore Mo­narca, l’arch. Ferrini, il prof. Petrini, il Co­mune di Pomarance, è stato fatto il pun­to della crisi sismica dopo 20 giorni, da cui è emerso quanto segue:

a) la zona geotermica mantiene le sue ca­ratteristiche di zona a “bassa sismicità”. Il prof. Petrini afferma che i Terremoti in Toscana non preoccupano certo a Poma­rance o Larderello, anzi a Larderello, per le sue caratteristiche storiche, se si tro­vassero alcune risorse per finanziare ade­guate ricerche, potrebbe diventare un la­boratorio strutturale valido per tutto il ter­ritorio nazionale;

b) a relazione sugli esiti del censimento di vulnerabilità sismica degli edifici deve essere ancora completata. Tuttavia, no­nostante il campione limitato dovuto a ca­renza di risorse e personale per l’indagi­ne, alcune indicazioni possono essere già evidenziate, in particolare il prof. Petrini ha ipotizzato a grandi linee una situazio­ne degli edifici in cui circa il 20% si collo­ca in una fascia di vulnerabilità molto bas­sa, il 60% in una fascia media e solo il restante 20% è nella fascia alta e cioè soggetta a conseguenze a fronte di ter­remoti simili. Se ne può dedurre che, non considerando la normativa sismica, in quanto trattasi di zona classificata non si­smica, si rende consigliabile l’individuazione di taluni accorgimenti, particolar­mente nei casi di ristrutturazione di vec­chi edifici, da individuare meglio al termi­ne degli studi indicati;

c) attività industriali dell’Enel, reiniezione, sismicità e controlli: su questi aspetti l’Amm.ne Comunale ha chiesto fin dal pri­mo incontro in Prefettura, un approfondi­mento scientifico delle correlazioni tra i fenomeni ed il ripristino di adeguati con­trolli esterni all’Enel. Sul primo aspetto, relazione reiniezione-sismicità, il prof. Pe­trini, pur confermando l’interpretazione già formulata dai proff. Barberi e Scan­done a favore del carattere naturale del fenomeno e quindi tendente ad esclude­re relazioni negative di causa-effetto con le attività Enel, ha assicurato ulteriori ap­profondimenti di analisi scientifiche in me­rito, da effettuare congiuntamente al Prof. Barberi e al Prof. Scandone.

Per quanto riguarda i controlli, al di là del­le competenze oggi Ministeriali, (’Asses­sore Monarca ha ipotizzato la ricostituzio­ne di un apposito gruppo di Lavoro, deli­berato dalla Giunta Regionale, non esclu­dendo di ripristinare la convenzione col C.N.R. per completare i controlli sugli aspetti energetici, idrici e sismici.

L’allora sindaco G. Pacini.

Conclusioni

Ogni esperienza è una lezione. Anche da una vicenda tragica si possono trarre spunti positivi. In questo caso che conlusioni possiamo trarne?

Senza enfasi e senza drammi. Con reali­smo.

Il Terremoto non si prevede e non si pre­viene, può ripetersi in ogni momento.La storia sismica della zona, così come ci è stata scientificamente illustrata, portereb­be ad escludere la possibilità che si veri­fichino eventi devastanti, di intensità su­periori a quelli che si sono già verificati. Simili eventi però possono ripetersi. E noi oggi siamo più preparati per affrontarli, più consci e consapevoli del fenomeno, più convinti della necessità, al di là di pre­scrizioni o imposizioni, di rafforzare le di­fese dei nostri edifici in ogni occasione uti­le (costruzioni o ristrutturazioni). Per il futuro quindi, continuiamo ad ap­profondire la nostra cultura e le nostre co­noscenze, a pretendere risposte e con­trolli, ma soprattutto ricordiamoci che ai problemi generali dobbiamo dare sempre risposte collettive e solidali. Solo così sa­remo tutti più garantiti.

Arch. Ferrini.

COMUNICATO DIFFUSO DAL COMUNE ALLA POPOLAZIONE E ALLA STAMPA COMUNE DI POMARANCE PISA

Si è tenuta alle ore 12 di stamani 22 Mar­zo 1993 in Prefettura a Pisa una riunione per esaminare la situazione connessa con la crisi sismica in atto nella zona di Po­marance. Alla riunione, presieduta dal Prefetto, hanno partecipato i Proff. F. Bar­beri e P. Scandone, il Sindaco e altri am­ministratori del Comune di Pomarance, funzionari della Regione Toscana, Dei Vi­gili del Fuoco e dell’Enel.

La sequenza è iniziata alle ore 14,49 del 20 Marzo ed alle ore 13 del 22 marzo si erano registrate un totale di 105 scosse. L’epicentro è spostato di pochi Km. a su­dest del paese di Pomarance. La massi­ma magnitudo è stata registrata alle 21,48 del 20 marzo (intorno a 3 scala Richter corrispondente ad una intensità Mercalli del V° grado).

Sette eventi hanno avuto una magnitudo compresa tra 2 e 2,8, l’ultimo dei quali re­gistrato alle ore 1,54 del 22/3 .

Tutte le scosse hanno una magnetudo in­feriore a 2. L’esame della Sismicità stori­ca dell’area indica che una crisi sismica simile all’attuale è avvenuta alla fine del 1802, con 33 scosse avvertite, massima intensità pari al V° grado, epicentro pres­so Pomarance, durata 17 giorni. Altre se­quenze minori sono avvenute nel 1934 (14 scosse, intensità massima V° grado, epicentro Larderello, durata 1 giorno) e nel 1946 (8 scosse, intensità massima Vl° grado, epicentro Larderello-Pomarance, durata 2 giorni).

Si sono poi avute nella zona scosse iso­late con massima intensità del Vll° gra­do (Agosto 1970) e altre sette scosse con massima intensità del Vl° grado. Più energetici (intensità massima del VII°-Vili0 grado) tre terremoti avvenuti nella zona di Travale molti anni fa, nel 1501, 1502 e 1724.

Nel’insieme la sismicità dell’area appa­re modesta tanto che il Comune di Poma­rance non è classificato come sismico. Sulla base di questi dati si può concludere che la sequenza sismica in atto può con­tinuare ancora per alcuni giorni, ma è po­co probabile che venga superata l’inten­sità del V°- Vl° grado. Una tale intensità all’epicentro non può provocare alcun danno ad edifici con normali caratteristi­che di resistenza. Possono essere dan­neggiate solo le costruzioni fatiscenti. Allo scopo di valutare la vulnerabilità si­smica degli edifici di Pomarance, la Re­gione Toscana, d’intesa con il Gruppo Nazionale per la Difesa dei Terremoti del CNR, realizzerà un intervento urgente con squadre di tecnici specialisti. Da un esame preliminare dei dati presentati dal­l’Enel sembra potersi escludere ogni re­lazione di causa effetto tra la crisi sismi­ca attuale e le operazioni industriali al campo geotermico di Larderello.

In ogni caso sono stati richiesti all’Enel tutti i dati in questione che verranno esa­minati approfonditamente nei prossimi giorni. Martedì sera si terrà a Pomaran­ce un incontro dei proff. Barberi e Scan­done e i funzionari della Regione Tosca­na con il consiglio Comunale e la Popo­lazione, nel quale verranno illustrate le ca­ratteristiche della crisi sismica e le misu­re di intervento già decise.

Prof. BARBERI – Sindaco G. PAONI

Il Direttore Responsabile J. Spinelli e la Reda­zione in collaborazione con il Sindaco Grazia­no Pacini

Grafico del sisma dal 20 marzo al 2 aprile 1993

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.