Archivi categoria: Pomarance

Descrizione, notizie ed eventi sul borgo di Pomarance.

LA ROCCA SILLANA

Durante l’anno accademico 1987-88 io, con due miei colleghi Alberto Bocelli e Be­nedetto Roventi™, abbiamo discusso la tesi su uno dei monumenti più importan­ti del territorio comunale e dell’intera Al­ta Val di Cecina: la Rocca Sillana.

La tesi è stata indirizzata su diversi cam­pi di ricerca oltre a quello squisitamente architettonico che ha avuto naturalmen­te il maggior rilievo.

La necessità di allargare i punti della ri­cerca è scaturita sin dall’inizio, quando ci siamo resi conto che nonostante la mo­le del monumento e la sua forte presen­za sul territorio, non esisteva nessuno stu­dio organico. Il grande fuori scala che il fortilizio rappresenta nel territorio ci ha su­bito reso cosciente che le risposte ai que­siti che ci ponevamo, come l’epoca in cui è stato costruito, la sua funzione strate­gica, il merchingegno architettonico, ecc., non potevano trovare risposta se non at­traverso una lettura organica del manu­fatto nel territorio e nelle diverse epoche in cui ha assolto la sua funzione.

La ricerca quindi si è sviluppata su tre di­versi piani:

  • Analisi STORICO – GEOGRAFICA del territorio.
  • Inquadramento STORICO – STRATEGI­CO – ECONOMICO nelle diverse epoche e quindi la CAMPAGNA delle RILEVA­ZIONI del Borgo e della Rocca.

Lo scarso materiale bibliografico riguar­dante il nostro territorio ci ha indotto ad intraprendere delle ricerche di fondo con­sultando gli archivi storici comunali di Po­marance, di Castelnuovo V.C. e l’archi­vio di Stato di Firenze che ci hanno forni­to delle notizie, in diverso modo interes­santi, e che a nostro avviso richiedereb­bero una ricerca più qualificata e più det­tagliata. In particolare all’archivio di sta­to di Firenze la ricerca potrebbe avere de­gli indirizzi ben precisi, che sono emersi dal nostro lavoro e sui quali mi sofferme­rò tra poco.

INQUADRAMENTO TERRITORIALE.

Alcuni autori hanno fatto rilevare la pre­senza di numerosi percorsi che collega­vano Volterra (città egemone) con i vari centri del suo dominio sin da epoche re­mote.

Già gli Etruschi e dopo di loro i Romani conoscevano le ricchezze minerarie e ter­mali del nostro territorio. La viabilità da noi definita MINERARIA partiva da Vol­terra, passava per Mazzolla, per la Roc­ca Sillana, toccava Montecastelli e giun­geva a Montieri. A testimonianza del per­corso in epoche arcaiche, ci sono i nume­rosi ritrovamenti di epoca etrusca e roma­na individuati dal Gruppo Archeologico di Pomarance, che colgo l’occasione per ringraziare della cortese collaborazione. Anche in epoca medievale il percorso mi­nerario mantiene, e forse raggiunge, il massimo dei traffici, considerando l’im­portanza delle presenze che vi si affac­ciano quali: il borgo di Mazzolla, La Torraccia di BERIGNONE (rifugio dei Vesco­vi, dove questi per un periodo intorno al XIII see. coniarono MONETA con l’argen­to di Montieri) e Sillano, all’epoca impor­tante e popoloso borgo con castello feu­dale.

Un’altra tappa del percorso era la pieve di S. Quirico e S. Giovanni (detta di Silla­no) dai caratteri architettonici di notevo­le fattura. Il percorso arcaico guadava il fiume Pavone, e qui vi sono delle testimo­nianze quali un piccolo convento con san­tuario, oggi in abbandono, e un fortilizio per la riscossione delle gabelle. Prose­guendo troviamo Montecastelli edificato nel 1249 dal Vescovo Ildebrando, quindi Montalbano, Anqua ed il castello di Fosini, altro importante fortilizio a difesa del­la viabilità in questione e della vallata del Pavone. Si giungeva quindi, prima a Gerfalco e poi a Montieri, all’epoca importan­te centro minerario spesso conteso fra volterrani e senesi. In tutte queste locali­tà citate avvenivano estrazioni minerarie di diverso valore; fatto estremamente im­portante per l’economia volterrana. In particolare la posizione geografica di Sillano, difficilmente offendibile ed in diret­ta visuale su Volterra, suscitò durante il XIV e XV see. l’interesse della Repubblica Fiorentina in pieno sviluppo economi­co e politico.

Veduta Aerea zona Rocca Sillana e Antica Miniera sul Pavone (1940).

Durante il XIII see. e parte del XIV, il ca­stello di Sillano, come altri castelli in que­sto periodo, viene suddiviso in frazioni di proprietà. I documenti attestano la pre­senza di diversi comproprietari, tra cui le famiglie Buonparenti e Aldobrandeschi, il comune di Volterra, i Vescovi e succes­sivamente il comune di Firenze. Durante il XIV see. la famiglia Petroni di Siena vie­ne in possesso della Rocca. Diverse so­no le ipotesi formulate su come questa fa­miglia ne sia venuta in possesso. Il fatto comunque risulta legato ai giochi di po­tere fra le diverse famiglia (guelfe e ghi­belline) che si alternarono alla guida del­la città di Volterra.

ROCCA SILLANA: Vista lato Est della Fortezza (da GORI Antichità Volterra).

La presenza dei Petroni è comunque tol­lerata dai volterrani in relazione ai loro buoni rapporti con la città di Siena, che appoggiava i propri traffici comunali, ver­so il nord Italia ed Europa, sulle infrastrut­ture viarie del territorio volterrano, in al­ternativa a quelle fiorentine con cui il go­verno senese era in continuo conflitto. Sul finire del XIV see. con il famoso episodio di Martincione da Casole, che non è da­to a sapere quanto sia stato fortuito, la Repubblica Fiorentina riesce ad impos­sessarsi del castello di Sillano. Si ipotiz­za che il crescente interesse di Firenze per questa rocca sia dovuto a: la neces­sità di garantirsi un punto d’appoggio che rappresentasse un monito per Volterra, ostile al loro dominio, la possibilità di osta­colare i buoni rapporti accennati tra Vol­terra e Siena, un possibile sbocco al ma­re ed infine l’interesse per lo sfruttamen­to dei giacimenti minerari presenti nella
zona.

Catasto 1822, destinazioni

Nel corso del XV see. la Repubblica Fio­rentina considera, ormai, Volterra un pro­prio dominio; ma quest’ultima, in diverse circostanze, si ribella, ad esempio in oc­casione dell’imposizione del catasto del 1427. Nel 1472 un altro episodio vede na­scere dei contrasti tra Firenze e Volterra relativamente allo sfruttamento di alcune miniere di allume presenti nel territorio. Anche in questa occasione il popolo vol­terrano si rivoltò alla potente Repubblica Fiorentina, e questa nella persona di Lo­renzo il Magnifico, decide di dare una le­zione esemplare e definitiva alla città. All’azione politica intrapresa da Lorenzo il Magnifico, al fine di isolare il Comune dagli altri stati della penisola (Roma, Ve­nezia, ecc.), seguì un’azione strategica di largo respiro, assoldando e rafforzando un numeroso esercito. All’interno di que­sto quadro militare la Rocca Sillana rien­trò nei piani di Lorenzo il Magnifico, che finanziò un’importante opera di ristruttu­razione del fortilizio per adeguarlo al dif­fondersi di nuove tecniche militari (inven­zione delle armi da fuoco).

L’attuale aspetto del fortilizio deriva difatti dall’operazione che fu compiuta in quel­l’epoca e cioè il completo rifodero delle antiche mura. L’impresa fu senza dubbio molto onerosa, viste le proporzioni, in considerazione anche dell’orografia dei luoghi e dell’impiego del cotto; tecnolo­gia quest’ultima del tutto inusuale in quel­l’epoca nel nostro territorio (la fortezza nuova di Volterra, ad esempio, edificata dopo gli avvenimenti in questione e a te­stimonianza dell’egemonia fiorentina, è costruita quasi interamente in pietre).

Spaccato Assonometrico lato Sud-Est

Non ci é stato possibile suffragare le ipo­tesi suddette con scritti dell’epoca a cau­sa delle numerose difficoltà incontrate. La nostra ipotesi pertanto è basata su di una analisi storica, avallata da riferimenti tec­nici da noi determinati grazie al rilievo me­trico dell’organismo architettonico con­frontato con altre fortificazioni della stes­sa epoca ma edificate con tecniche più avanzate. A tale proposito colgo l’occa­sione per invitare l’amministrazione co­munale ad un incontro per definire le po­tenzialità di un approfondimento della ri­cerca all’archivio di Stato di Firenze, in considerazione di un sicuro interesse che questa ha nei confronti dell’importante monumento, indicato dalla variante al P.R.G. come zona archeologica.

Tornando alla storia della Rocca, dopo il Sacco di Volterra, perse la sua funzione strategica nei confronti di Volterra perden­do pertanto la sua importanza. Inizia co­sì un lungo periodo di decadenza in cui diviene una dipendenza del Maschio di Volterra.

Intorno al 1600 un fulmine rovinò il due­centesco guardingo ed altre strutture in­terne a cui non fu portato restauro nono­stante le sollecitazioni del castellano al Granduca Leopoldo.

ROCCA SILLANA: Veduta lato Sud-Ovest (1970)

Sul finire del XVIII see. la fortezza venne acquistata da un certo Marco Antonio Ac­ciai (3/7/1781) residente nel borgo di Sillano, che sottopose la Rocca a lenta de­molizione “tetti e materiali… per suo gua­dagno’’. La fortezza ormai è abbandonata ma il borgo annesso continua a soprav­vivere almeno fino al 1842 quando viene trasferita la pieve a Lanciaia e fors’anche al 1860 visto che nelle liste degli “eleg­gibili” nelle elezioni di quell’anno com­paiono ancora le famiglie di Acciai e una di Borghetti residenti a Sillano. Tale bor­go si sviluppava lungo un asse viario in­terno alla cinta muraria che collegava tre camere di accesso edificate probabilmen­te all’epoca del rifodero, sul lato sud – ovest della medesima cinte, alla porta vol­terrana a nord.

Dalla planimetria del 1822 (catasto leopoldino) risulta che la proprietà è suddivisa in cinque partite catastali, tra le quali la chiesa di S. Bartolomeo. A questa appar­tengono la casa del pievano con orto, for­no e piazzetta a pastura posti su un lato della strada e delimitati dalla cinta mura­ria fortificata. Sull’altro lato vi è la chiesa con sagrestia e cimitero annesso. Gli al­tri proprietari hanno accorpato le rima­nenti aree racchiuse, destinandole parte ad uso residenziale e parte ad uso agri­colo. Segno questo di uno stato di abban­dono demografico. La consistenza edili­zia è composta da 15 edifici (più uno di­ruto). La Rocca è definita “DIRUTA”.

Arch. Rodolfo Bertoli

I SIGNORI PADRONI

un racconto di Vittorina Bibbiani Salvestrini

Al mio paese non c’erano contadini proprietari di terre, ma solo mezzadri. La terra suddivisa in tenute, più o meno grandi, apparteneva tutta ai “Signori”, ai padroni. I padroni avevano quasi tutti il palazzo nelle stesse vie, ma abitavano in città e venivano al paese solo a metà estate. Essi erano chiamati padroni, ma in realtà i veri padroni erano i fattori (amministratori) che tartassavano i con­tadini e fregavano il padrone arricchen­dosi piano piano alle sue spalle, spesso diventando più ricchi di lui.

“Fammi fattore una anno……. se non ar­

ricchisco, mi danno!..”.

Il “Signore” più signore era il conte De Larderei ed il suo palazzo era il più grande ed il più bello. Si allungava per un quarto della via Roncalli, dove era l’ingresso ed anche l’abitazione del fat­tore, girava l’angolo dove si spalancava il grande ingresso delle scuderie poste sotto il palazzo e dalla parte opposta si alzava di vari metri sulle “mura”, col suo bel giardinetto pensile e i suoi tre piani. Su questa facciata spiccava lo stemma gentilizio. Era la riproduzione, un po’ ridotta, del palazzo De Larderei di Livor­no.

Il conte era un bel vecchio distinto dalla barba bianca.

Egli, con felice intuito, aveva comprato per una miseria la terra brulla, conside­rata quasi maledetta dei soffioni, dando origine a quello che è diventato poi il complesso industriale di Larderello che da lui ha preso il nome.

Una sua figlia aveva sposato il principe Ginori, aggiungendo ancora lustro alla casata. Mi par di rivedere la principessi­na, quando passava da casa mia a ca­vallo!

Vestita da amazzone ( con la gonna lunga fino ai piedi) sedeva in sella con le gambe a sinistra, i lunghi capelli sciolti, raccolti da una parte, il frustino e le briglie in mano.

Tutto era lindo, luccicante, impeccabile: dall’abito al cavallo, ai finimenti, al ri­spettoso scudiero in divisa che le caval­cava un po’ dietro.

Per noi bimbetti di campagna era il plus – ultra della signorilità e li guardavamo con ammirazione mista a un po’ d’invi­dia. Il fattore del Conte era un signore con la barba, robusto, altero e taciturno che incuteva a tutti soggezione.

Era lui il vero padrone di tutta la contea. Sua moglie, lasignoraGiulia, era bellae dolce e non usciva mai. Il fattore, forse geloso, doveva essere un tiranno anche con lei. Aveva anche un figlio; bello e dolce come la mamma, che studiava in città. Di fronte alla sua stanza, dall’altra parte della strada, c’era il giardino pen­sile del signor Mugnaini. Sua figlia Ma­ria, dolce e timida, uscita da poco dal collegio, si sedeva a ricamare sotto il pergolato. Attraverso l’aere cominciaro­no a partire prima sguardi furtivi, poi sorrisi, poi saluti….e poi divennero sposi felici.

lo conoscevo abbastanza il palazzo per­chè mamma , prima della venuta dei “Signori”, andava a dare una mano alla “casiera”, e alla” sora “ Caterina.

E mentre loro facevano le pulizie, io perlustravo lunghi corridoi e le innume­revoli camere con i letti a baldacchino ed i rispettivi, eleganti salottini con tante morbide poltrone e graziosi soprammo­bili. Di questi quello che più mi incantava era, sotto una campana di vetro, una chioccia a grandezza naturale che cova­va una bella nidiata di pulcini dorati e birichini.

La cucina era immensa; grande acqua­io, grande camino, grandi tavole. Ad una colonna c’era appeso un macinino, anzi un macinone. E alle pareti tanti rami luccicanti e nelle vetrine cristalliere scin­tillanti. Ma il Conte era un uomo sempli­ce, mangiava nel tinello aperto sulla cu­cina e dormiva in una cameretta a pian terreno, quasi spoglia. Il suo letto era senza baldacchino e ai piedi di esso c’era un inginocchiatoio.

Altri palazzi ,come ed esempio quelli dei Fabbricotti,dei Galli Tassi o dei Bicocchi erano più modesti.

Ricordo che una figlia dei Bicocchi ave­va sposato un avvocato francese ed era andata ad abitare a Nizza.

Nell’estate, anche lei veniva in villeggia­tura al paese di Pomarance con le figlie; e queste, per la passeggiata vespertina, qualche volta passavano, eleganti, da­vanti al “Formicaio”, accompagnate dal­la istitutrice francese, conversando in questa lingua.

Un loro zio, la sera delle sue nozze avvenute in città, portò al paese una giovane sposa, bella , gentile e candida come un giglio. La mattina presto quan­do il proposto aprì la chiesa, se la trovò alla porta piangente, disperata, che chie­deva di confessarsi; riteneva di aver commesso un gran peccato mortale e voleva ritornare dalla sua mamma.

Non sapeva nulla del matrimonio. Forse credeva davvero che i bambini li portas­se la cicogna.

Fu compito non facile per il proposto consolarla, erudirla e convincerla a ritor­nare a palazzo a compiere i suoi doveri di sposa!

Altri tempi!

I nostri padroni erano i Signori Fabbri­cotti.

Abitavano a Massa Carrara dove si era­no arricchiti con le cave di marmo. Pos­sedevano al paese una vastissima tenu­ta ed un bel palazzo, anchesso col giar­dino pensile.Avevano una grande villa con giardino e scuderie a Livorno, villa che porta ancora il loro nome.

Erano buoni e munifici, specialmente la signora, morta quasi in odore di santità. Ogni anno ella faceva allestire una gran­de fiera di beneficenza per offrire, così a tutti doni, senza umiliare.

Il loro arrivo era annunziato dal festoso suono della banda comunale ( proprio come nel “Gattopardo”).

Poi venne la guerra 1915-18 e peggio ancora il dopoguerra; e i suoni si tramu­tarono in fischi. E i signori non vennero più.

Il Principe Ginori e F. De Larderei nello stabilimento di Larderello con i loro dipendenti (1900 circa)

Vittorina Bibbiani Salvestrini

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.