LA PIEVE DI S. GIOVANNI BATTISTA A POMARANCE

Lavoro che qui presentiamo è stato svolto per sostenere l’esame di Restau­ro Architettonico presso la Facoltà di Ar­chitettura dell’università degli Studi di Fi­renze dalle signorine Roberta Costagli e Maria Patrizia Tamburi. Il lavoro è stato seguito dal Prof. Arch. Giuseppe Crucia­ci Fabozzi, docente alla facoltà.

L’assistenza religiosa che oggi viene chiamata “parrocchia”, corrispondeva anticamente al termine “pieve”, anche se, durante il Medioevo, ben altre e più importanti valenze territoriali e potestali ebbe questo termine, valenze che non so­no più attinenti il nostro termine moderno. L’edificio della pieve sorgeva, per lo più, isolato, agli incroci di strade importanti, per fornire assistenza e rifugio alla gente di passaggio, e per permettere il control­lo da parte della chiesa sulle vie di comu­nicazione più importanti.

Tale edificio conteneva la chiesa, il batti­stero e l’ospizio, ed era dedicato general­mente al Salvatore o alla Madonna, o ai Santi Apostoli, ma più spesso a S. Gio­vanni Battista, come il caso della Pieve di Pomarance. Altre due sono le pievi pre­millenarie che si incontrano venendo dal San Giovanni di Volterra (pieve cittadina), verso la media Valdicecina, aventi in co­mune la dedica a San Giovanni: quella di Silano e quella di Querceto, anch’esse in posizione privilegiata, su strade di comu­nicazione ugualmente importanti. Prose­guendo poi da Pomarance si trova Morba, anch’essa dedicata a San Giovanni. La più antica pieve di Pomarance, quella premillenaria, protoromanica, si trovava in una posizione diversa rispetto a quel­la attuale (che, tra l’altro, aveva il nome di “Ripa Marrancia”). Infatti era situata più a sud rispetto al paese, e si chiama­va “Publico”, a ricordo del territorio, espropriato dai Romani del dittatore Sii­la, e appoderato per i suoi legionari In quei luoghi, oggi detti le “Ripaie”, si tro­vano ancora i nomi di Pieve Vecchia e Piuvico; e lungo quelle strade, che si in­crociano sull’altopiano, chiesette come S. Piero, S. Anna, S. Martino, S. Andrea a Mona e S. Margherita a Lucoli, che for­mavano il primo spazio di pertinenza della pieve.

L’attuale pieve risale alla fine del XII secolo, anche se dell’impianto originario è rimasto ben poco, essendo stata, la chie­sa, completamente ricostruita durante il XIX secolo, dopo aver subito già in pre­cedenza rimaneggiamenti e restauri. Sorge lungo l’asse principale di crinale. Concepita per avere vita autonoma rispet­to agli altri edifici circostanti, con il con­solidarsi dell’edilizia urbana ha perso ta­le autonomia, infatti durante il corso dei secoli le sono state addossate abitazioni. C’è chi ipotizza l’esistenza di una chiesa più piccola entro il perimetro dell’attuale chiesa, che sarebbe stata dedicata a San Cristoforo, e proprietà dei monaci di Ba­dia a Isola. Comunque, il prospetto dell’attuale co­struzione si rivela l’unico resto della pie­ve romanica: probabilmente in esso furo­no riutilizzati elementi della parte inferio­re della facciata dell’edificio del XII seco­lo. Questo presentava caratteri stilistici e impianto di chiara derivazione pisana: le cinque arcate cieche che scandiscono tutta la facciata rimasta intatta nella par­te inferiore; le basi classiche delle semi­colonne con due tori e due scozie e lo schema generale dei rapporti altimetrici delle navate.

Sezione trasversale sull’ingresso della Pieve.

La facciata è in arenaria e nella parte su­periore è stata rifatta nel sec. XVIII. Le cinque snelle archeggiature su semico­lonne assai rilevate e poggianti su un al­to basamento denotano che siamo in pre­senza di una originale pianta basilicale, una dei pochi esempi tra le chiese della Valdicecina.

Gli archi più distanti dal centro della fac­ciata s’impostano su sodi angolari che in­vece dei capitelli hanno semplici scorni­ciature. Nell’arcata centrale si apre il por­tale, semplicissimo, con l’architrave sor­montata da una lunetta. L’archivolto è de­limitato da una ghiera composta di un cor­done a sezione semicircolare. Alcuni elementi decorativi risentono l’in­fluenza della cultura senese, per esempio i capitelli (a più ordini di fogliette o con figurazioni zoomorfiche). Particolare no­tevole ed inconsueto, per una architettu­ra di derivazione pisano-lucchese, è il fatto che i cunei delle archeggiature la­terali non presentano alcuna incornicia­tura. Alle primitive tre navate, furono ag­giunte nei secoli scorsi ed in diverse fa­si, ulteriori costruzioni, come le cappelle laterali terminali che formano un transet­to, e proprio all’inizio del 1500 il Battiste­ro, con la facciata adiacente a quella della chiesa. L’artefice di questa modifica fu il pieva­no economo don Francesco d’Antonio dei Ghezzi di Pomarance, al quale si devo­no anche la piccola vetrata dell’Annunciazione ed il miglioramento del Presepe. Le mensole che sorreggono il tetto del Bat­tistero furono tolte, molto probabilmente, dall’originale abside e con i loro motivi geometrizzanti e zoomorfici dimostrano ancora una volta la derivazione dalla cul­tura pisana di quest’edificio.

Capitello con figura zoomorfa.

Già anteriormente a questa data erano state apportate modifiche all’interno; tra il 1441 ed il 1453 il pievano Ludovico Baldinotti fece costruire l’altare maggiore e ribenedire la chiesa, dopo le scorrerie di re Alfonso di Aragona.

Poi non ci furono notevoli modifiche, fino agli anni tra il 1826 ed il 1843, quando il pievano Anton Nicola Tabarrini pensò di dare alla chiesa un aspetto in linea con i canoni estetici del tempo. I lavori furo­no fatti sotto la guida dell ’arch itetto Fran­cesco Cinci che dotò la chiesa di volte, eresse la cupola all’incrocio del transet­to con la navata centrale e stuccò tutte le colonne di cui fece smussare i capitel­li. Furono eretti, in questa occasione, an­che tutti gli altari barocchi laterali; la de­corazione della chiesa fu affidata al pit­tore Luigi Ademollo ed al figlio Giovanni.

L’ultimo lavoro di edificazione (o meglio, in questo caso, di riedificazione) del quale si ha notizia è il rifacimento del campani­le, avvenuto nel 1898, ad opera dell’ar­chitetto Luigi Bellincioni, di Pontedera. In­fatti il vecchio campanile era stato butta­to giù, a causa delle gravi lesioni riporta­te il 19 novembre 1893, in seguito alla ca­duta di un fulmine.

Come già accennato, una gran parte del ripristino ottocentesco toccò al pittore Lui­gi Ademollo.

Fu sotto l’arcipretura di Anton Nicola Tabarini (durata dal 1826 al 1843) che eb­be luogo il restauro totale della Parroc­chia, ampliata con le cappelle della Ma­donna e di S. Vittore, e completamente affrescata.

Effettuò quelle pitture l’impresa di Luigi Ademollo (1764 -1839) milanese, autore di affreschi in chiese e palazzi, e di ac­quafòrti di soggetto storico.

L’archivio parrocchiale conserva sette let­tere autografe, inviate da lui, (che si tro­vava a Firenze), all’arciprete, tra il 27 apri­le 1832 ed il 5 gennaio 1837.

Esse riferiscono che il Cavalier Giusep­pe del Rosso fu il tramite della proposta di affrescare la chiesa di Pomarance. In un secondo tempo l’Ademollo eseguì ad olio le stazioni della Via Crucis.

Le opere da lui eseguite si possono am­mirare tuttora all’interno della pieve.

Esse sono, cominciando da sopra il por­tone principale e girando in senso orario, le seguenti: Presentazione di Gesù al Tempio, Fuga in Egitto, Strage degli Innocenti, Tenta­zioni di Gesù nel deserto. Poi nella cap­pella della Madonna, Adorazione dei Ma­gi, Gesù tra i dottori e nella volta L’Assun­zione. Quindi abbiamo: Resurrezione di Lazzaro, Angeli portanti dei segni della passione, alle vele ed ai pennacchi, sotto e presso la cupola. Nel Coro: Entrata di Gesù a Gerusalemme, Cena, Agonia nel­l’orto, EcceHomo, Salita al Calvario, Re­surrezione.

Nella navata sinistra: Visita ad Elisabet­ta, Gesù ed il centurione; nella cappella di S. Vittore (nella volta) c’è la Trasfigu­razione. Quindi Gesù che predica dalla barca di San Pietro, la Samaritana, le Nozze di Cana.

In fondo, San Giuseppe col bambino Gesù.

Nella volta a botte della navata di centro, apparizione di Gesù a Tommaso, Ascen­sione e discesa dello Spirito Santo.

Non tutte le opere sono policrome, ma molte sono monocrome, anche se pur sempre molto belle.

Pianta della Pieve con indicazione della pavimentazione

Morto il Tabarrini, ‘‘nel 1853 furono a spe­se del popolo fatte porre a scagliola le co­lonne del Tempio per Carlo Martinetti svizzero, ed il pavimento fu costruito di smalto alla veneziana” come ci informa il visitatore Vescovo Targioni.

Cento anni dopo la ristrutturazione del Tabarrini, il degrado dell’edificio e la sorte delle pitture erano precari. Il restauro, la ripulitura ed il ripristino spettarono al pro­posto successore, al popolo e ad un pit­tore senese non ancora provetto.

Carlo Balsini di Stefano fu eletto propo­sto a Pomarance il 15 marzo 1907. Fu sot­to la sua guida che ebbero luogo ulterio­ri restauri, che si conclusero nel 1933 (il certificato dei lavori eseguiti a regola d’ar­te dall’agosto 1928 al 25 ottobre 1933 por­ta la firma dell’lng. Gino Stefanon). Era­no stati iniziati nel 1928.

Particolare Mosaico Centrale.

I lavori furono eseguiti dalla ditta Zampi­ni di Siena, con a capo il pittore Gualtie­ro Anichini coadiuvato dai decoratori Vannucchi, Franci, Biancirdi, Montigiani e Mori.

Oltre alla ripulitura degli affreschi dell’Ademollo, furono fatte integrazioni nella cappella della Madonna, nel Coro, dipin­ti medaglioni in San Giovanni, i 4 Evan­gelisti nella cupola e due figurazioni in San Vittore: Gesù tra i fanciulli e la Molti­plicazione dei pani.

Fu costruita la cappella dei caduti, furo­no eseguite vetrate policrome a tutte le finestre e furono costruiti sedili a spaglierà il noce lungo tutto il perimetro della chiesa.

Furono aggiunte lumiere grandi e picco­le, in fastoso addobbo, per l’illuminazio­ne elettrica.

Sulla base di quanto rilevato attraverso un’accurata analisi dell’edificiodella chie­sa di San Giovanni Battista, possiamo di­re che attualmente lo stato di conserva­zione della chiesa è buono, sia per quanto riguarda gli elementi strutturali che gli ele­menti decorativi. Sarebbe comunque au­spicabile una ripulitura degli affreschi e della facciata.

Particolare della monofora.

Contemporaneamente alla pubblicazione di tale lavoro, si stanno ultimando i lavori di restauro del campanile, e proprio in questi ultimi giorni, durante la ripulitura della facciata del retro della chiesa, è ve­nuta alla luce, su di essa, una monofora. Finestre simili a quella scoperta le pos­siamo trovare nelle pareti sopra gli archi delle navate laterali, purtroppo non visi­bili al visitatore perché con il restauro del 1800 sono state inglobate nello spazio tra la volta centrale a botte ed il tetto.

Tale rivelazione ha ridestato curiosità e nuovi interrogativi sull’originaria posizio­ne e struttura dell’antica chiesa.

Roberta e Maria Patrizia

BIBLIOGRAFIA

Archivio Storico del Comune di Pomaran­ce, Opera di S. Giovanni Battista, Filze 746 e 749.

Archivio Parrocchiale di Pomarance, Cor­rispondenza fra Luigi Ademollo Pictor ed il preposto Antoniccola Tabarrini, dal 1833 al 1837.

Giovanni Targioni Tozzetti, Relazione d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Forni editore, Bologna.

L. Moretti, R. Stoppani, Chiese romani­che della Val di Cecina, Firenze 1970.

Don Mario Bocci, L’Araldo di Volterra, set­timanale della diocesi di Volterra, nume­ro del 7/2/1971.

Don Mario Bocci, Storia religiosa di Po­marance, Notiziario Parrocchiale.

Archivio di Stato di Firenze, Commissio­ne per il restauro delle Chiese parrocchiali, Filza 104/8.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

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