PANORAMA MINERARIO DEL TERRITORIO VOLTERRANO ALLA METÀ DEL XVII SECOLO

a cura dei Dott. ANGELO MARRUCCI

Fin dalla più remota antichità protostori­ca il Volterrano è sempre stato conosciuto come un territorio ricco di risorse natura­li e, come tale, continuamente frequen­tato e lungamente investigato col preci­so scopo di ricercarne e coltivarne gli sva­riati giacimenti minerari, di sfruttarne le diffuse acque minerali e terapeutiche o, più semplicemente, per tentare di com­prendere, studiare e descrivere i sugge­stivi e inconsueti fenomeni naturali (sof­fioni, bulicami, putizze , lagoni ecc.) che in esso si riscontrano.

La storia economica legata allo sfrutta­mento medievale delle risorse minerarie del Volterrano – specialmente per quan­to riguarda lo zolfo, l’allume e il vetriolo – è stata, com’è noto, ampiamente rico­struita e documentata da Fiumi (1) il quale ha così permesso di valutare e di deter­minare con maggior precisione il ruolo fondamentale svolto dall’estrazione e dal commercio di queste materie prime (alle quali bisogna aggiungere il salgemma) nell’economia della zona durante tutto il Medioevo.

Le numerosissime evidenze naturalistiche e minerarie del Volterrano hanno quindi sempre esercitato indiscutibili e ri­levanti motivi d’interesse sia, ovviamen­te, in vista di un loro potenziale sfrutta­mento economico (2) , sia, ed è ciò che qui ci interessa, sotto l’aspetto della de­scrizione e dell’enumerazione fenomeno­logica delle più svariate manifestazioni e produzioni naturali.

A testimonianza di questo aspetto documentario-memorialistico sull’area in esame sta tutta la serie di relazioni redatte .sempre più frequentemente a partire dal­la metà del Quattrocento, da viaggiatori, storici, geografi, ufficiali e naturalisti allo scopo di evidenziare, illustrare e valoriz­zare questo non comune patrimonio di ri­sorse e nel preciso intento sia di incorag­giarne o svilupparne lo sfruttamento sia di indicare, emblematicamente, le vesti­gia e le tracce delle più antiche attività a tale fine intraprese.

A quanto risulta, la prima di queste rela­zioni (a noi purtroppo non pervenuta) fu compilata dall’artista volterrano Zaccaria Zacchi (1474-1544) che “descrisse tutto quello che gli venne osservato, non tan­to dei residui e artefatti della bella Anti­chità, quanto ancora le produzioni natu­rali più ragguardevoli, come acque mine­rali, miniere, pietre ecc. Il P. Leandro Al­berti e il P.Giovannelli hanno veduto que­sta descrizione manoscritta e ne hanno pubblicato un miserabile compendio, dal quale si viene in cognizione che essa do­veva esser bellissima e di somma impor­tanza. Ella non è giammai pubblicata colle stampe, anziché non si sa più dov’ella sia’’ (3). Purtroppo, tutte le ricerche svol­te a più riprese nel corso del tempo per rintracciare il documento (a Volterra, a Fi­renze, a Bologna) sono sempre risultate vane (4), facendo così temere seriamen­te che esso debba ormai considerarsi, salvo imprevisti, irrimediabilmente perdu­to. E non si tratta certo di una perdita da poco se pensiamo, per contrasto, che gli analoghi scritti successivi di Leandro Al­berti (5) e di Mario Giovannelli (6) parve­ro al Targioni Tozzetti solo “un miserabi­le compendio” di quel prezioso originale. In realtà la descrizione data da Leandro Alberti del territorio volterrano, benché forzatamente sintetica (in quanto inseri­ta in un’opera di carattere generale sul­l’Italia) possiede un duplice motivo di in­teresse poiché oltre al suo intrinseco va­lore documentario può forse permetterci di immaginare, seppure a grandi linee, quale doveva essere lo schema di base che ordinava lo scritto di Zaccaria Zacchi: inizialmente la Descrittione di tutta Italia (1550) illustra, procedendo in senso ora­rio, gli immediati dintorni di Volterra (Montebradoni, Portone, Ulimeto, Monte Ne­ro, Monte Voltraio) per poi dirigere l’atten­zione verso i borghi sparsi nel territorio a Sud della città, il più ricco di risorse mi­nerarie e di produzioni naturali (Saline, Pomarance, Libbiano, Monterufoli, Montecerboli, Castelnuovo, Leccia, i vari Ba­gni, Monterotondo, Lustignano). Da qui in avanti, però, la decrizione perde un ordi­ne logico preciso, una direzione di mar­cia chiara e preordinata; si passa infatti da Spicchiaiola a Silano a S.Dalmazio per poi tornare indietro verso Casole d’Elsa, Mazzolla e Roncolla. Di tutti luoghi citati vengono menzionate le peculiarità natu­ralistiche o minerarie dedicando solo bre­vissimi accenni alle attività estrattive eventualmente in atto o alle tracce dei la­vori antichi. In altre parole siamo di fron­te ad una panoramica del territorio real­mente “a volo d’uccello“ che però ser­ve, nonostante tutto, a “fotografare11 quali erano lo stato delle conoscenze sulle produzioni naturali del Volterrano e la situa­zione del loro sfruttamento alla metà del Cinquecento.

Carta mineraria schematica del territorio volterrano alla metà del Seicento

Ad arricchire il quadro di queste descri­zioni cinquecentesche contribuisce poi un altro documento, stavolta manoscritto: si tratta di una relazione stilata nel 1580 dal Capitano Giovanni Rondinelli e diretta al Granduca di Toscana Francesco de’ Medici (7). In questo rapporto, dopo un’in­troduzione di carattere storico-geografico relativa a Volterra, dopo aver trattato bre­vemente della situazione idrica del capo­luogo e del territorio e dopo aver descrit­to le possenti mura volterrane, l’Autore passa ad illustrare la condizione attuale (numero dei fuochi,situazione economica, caratteri produttivi peculiari) dei vari bor­ghi del circondario. È a questo punto che Rondinelli inizia la vera e propria enume­razione delle varie “doti, virtù e ricchez­ze” del territorio volterrano applicando a tale scopo uno schema tematico- gerarchico che da questo momento in poi è stato spesso adottato da quanti si sono occupati in seguito della questione e che è strutturato in base al seguente criterio ordinatore: miniere d’oro, miniere d’ar­gento, miniere di rame, calcedoni e dia­spri, travertini e marmi (broccatelli), sa­le, allume, vetriolo, zolfi gialli e neri, ba­gni e lagoni.

Dopo questi due casi, il Cinquecento for­nisce la sua ultima trattazione illustrativa del Volterrano con l’ottavo libro della Sto­ria dell’antichissima città di Volterra del volterrano Lodovico Falconcini (1524-1602). In quest’opera, scritta in la­tino nel 1589 e stampata (tradotta con te­sto originale a fronte) solamente nel 1876 (8), l’Autore passa tra l’altro in rassegna tutte le località rilevanti sotto l’aspetto sto­rico e naturalistico riportando osservazio­ni e notizie di grande interesse e offren­do talora al lettore preziose annotazioni e particolari del tutto inediti, come nel ca­so, ad esempio, delle miniere di Montecastelli e di Querceto o dei Bagni di S.Mi­chele delle Formiche presso Montecerboli.Per comodità del lettore diamo di segui­to l’elenco delle località illustrate dal Fal­concini ,avendo cura di evidenziare gra­ficamente in corsivo quelle su cui si sof­fermò maggiormente l’attenzione dell’Au­tore: Monte Nero, Cozzano, Pignano, Berignone, Pomarance, S.Michele delle For­miche, Montecerboli, Morba, Castelnuovo, Sasso, Lustignano, Leccia, Serrazzano, Libbiano, Micciano, Monterufoli, Montegemoli, Querceto, Montecastelli, Silano, S.Dalmazio, Radicondoli, Montecatini, Buriano, Miemo.

Per quanto riguarda il secolo successivo preferiamo sorvolare sulla già citata Cro­nistoria di Mario Giovannelli, pubblica­ta nel 1613, in quanto altro non può es­sere considerata che una copia piuttosto fedele della già ricordata descrizione di Leandro Alberti.

Ricerca di vene metallifere nel Medioevo (da G. Agricola – De Re Metallica – Basilea, 1556)

In verità, sebbene la storia mineraria del Volterrano durante il Seicento non sia molto conosciuta, appare chiaro, come vedremo, che le attività estrattive e commerciali legate alle risorse del sottosuo­lo dovevano stagnare ancora nello stato di crisi e di abbandono in cui erano ve­nute a trovarsi sempre più nel corso del secolo precedente. Dal 1472 agli ultimi decenni del ’500 la società e l’economia del Volterrano subirono infatti una profon­da trasformazione dovuta, tra l’altro, sia alla forzata integrazione politico­istituzionale nello stato fiorentino che al­la prolungata fase di progressiva specia­lizzazione che dalla fine del Quattrocen­to sembra caratterizzare l’economia to­scana.

Per quanto ci riguarda direttamente, que­ste nuove condizioni economico-sociali di necesario riassestamento dei vari settori produttivi segnarono il marcato declino delle attività connesse allo sfruttamento delle risorse minerarie del Volterrano: il commercio dei prodotti minerari del ter­ritorio (nella fattispecie il vetriolo e lo zol­fo) venne meno, la scoperta dell’allume si rivelò illusoria, mentre l’unica eccezio­ne di tutto rilievo in questo caso di gene­rale abbandono fu rappresentata dall’e­strazione del salgemma la cui “industria1‘ conobbe un’interessante continuità pro­duttiva. A questa generalizzata crisi del­le attività minerarie della zona si accom­pagnò inoltre una decisa accentuazione del carattere agricolo dell’economia vol­terrana e una decisa espansione delle grandi proprietà terriere. (9)

Nel settore minerario questa generale li­nea di tendenza negativa si protrasse an­che nel Seicento, periodo durante il qua­le la forte contrazione subita dai settori estrattivi (e alla quale certo non fu estra­nea la terribile pestilenza del 1630) con­dusse al conseguente ristagno generaliz­zato o, nella maggior parte dei casi, ad­dirittura alla completa cessazione di que­sti generi di attività economiche.

Per quanto riguarda ad esempio l’estra­zione del rame sappiamo che sia le celeberi miniere di Montecatini Val di Cecina che quelle di Montecastelli dopo il 1630 cessarono la propria attività fino al 1636 quando uno sfortunato tentativo di ripre­sa dei lavori attuato a Montecatini deter­minò la chiusura di entrambe le miniere per tutto il secolo. Analogamente, è noto che anche le meno importanti “ramiere” di Montecerboli restarono abbandonate durante tutto il Seicento e che, nella zo­na, analogo destino toccò pure a tutti i giacimenti fino ad allora più o meno sfrut­tati di minerali metalliferi. Fortunatamente ad aiutare lo storico e l’e­conomista nello studio e nella ricostruzio­ne di questo aspetto della realtà econo­mica locale seicentesca, esiste presso la Biblioteca Guarnacci di Volterra una re­lazione manoscritta (10) compilata intor­no alla metà del Seicento dal volterrano Raffaello Maffei (1605-1673), Provvedi­tore dei sali e della Fortezza (11). Si trat­ta di una descrizione abbastanza accu­rata, e per certi versi originale e dettaglia­ta, relativa alle cose notevoli del Volter­rano, alle ricchezze del suo sottosuolo e alle antiche vestigia, ancora visibili, che dallo sfruttamento di quelle notevoli risor­se avevano tratto origine.

Dal punto di vista morfologico il mano­
scritto si compone di un fascicolo di 13 carte numerate; il testo è incompiuto e dalle note apposte successivamente sul foglio di guardia che contiene il fascicolo si rileva che lo scritto era diretto a un re­ligioso. Circa la datazione essa è sicura­mente posteriore al 1625, anno di pubbli­cazione del De Mineralibus del volterra­no Giovanni Guidi, di cui si trova preciso riferimento nel testo.

L’argomento della relazione è chiaramen­te espresso nel titolo conferitogli in segui­to: Discorso sopra i residui d’antichità di Volterra. Bagni e acque termali. Saline e acque salse. Minerali, e risulta così ripar­tito:

  • antichità volterrane: cc. 1r – 4r;
  • bagni e acque termali: cc. 4v – 8v;
  • saline e acque salse: cc. 8v – 10v;
  • minerali: cc. 10v – 13v (incompiuto).

Per quanto riguarda l’aspetto che qui ci interessa fermeremo pertanto l’attenzio­ne sull’ultima parte, intitolata,.appunto, De i Minerali; essa risulta infatti molto in­teressante sia perché tra le varie sezioni del Discorso del Maffei è senza dubbio la meno conosciuta e la meno citata sia per­ché rispetto alle altre relazioni (preceden­ti, coeve o anche successive) di analogo argomento appare in alcuni casi più pre­cisa, più dettagliata e più informata, quin­di per noi più utile.

In particolare i punti di novità e di origi­nalità che vi si riscontrano si possono così riassumere:

  1. la notizia, citata poi da Fiumi (12), che immediatamente sotto la rupe su cui sor­ge il castello di Fosini, ovvero lungo il Bo­tro Ripenti o Riponti (un piccolo tributa­rio del Pavone) si ebbero anticamente escavazioni di oro. Anche se quasi cer­tamente si trattò di galena argentifera (o meglio, di tetraedrite) tutto ciò appare confermato dal fatto che all’epoca del Maffei le tracce di quell’attività erano an­cora riconoscibili sul terreno e che un pez­zetto di quel minerale “purgato dal fuo­co” era stato lì rinvenuto pochi anni pri­ma. In questo caso, a differenza di quan­to accade quasi inevitabilmente in que­sto genere di relazioni, il Maffei offre un’informazione topograficamente preci­sa su un lavoro minerario fino ad allora trascurato dai cronisti;
  2. la testimonianza di antichi lavori intra­presi presso il Monte S.Croce dove ana­loghe escavazioni di oro e di argento, seb­bene citate di sfuggita, appaiono qui fi­nalmente segnalate. La notizia è interes­sante poiché in precedenza questa loca­lità non veniva di solito menzionata nelle trattazioni del genere, sebbene fosse noto che in passato vi erano state svolte ricer­che ed attività estrattive (13). Dal Maffei giunge dunque la conferma dell’antichi­tà dei lavori e la testimonianza che ai suoi tempi la “cava” era in attività;
  3. la suggestiva e prolungata descrizio­ne incentrata sulla riscoperta delle minie­re di rame presso Prata, in luogo detto al­lora Piano di Siedi;
  4. la conferma che durante il Seicento le miniere di rame attivate nel secolo pre­cedente presso Montecerboli, in luogo detto le Maltagliate, versavano nel più completo stato di abbandono(14);
  5. la segnalazione di antiche ricerche di rame intraprese sul Poggio di M/emo(15);
  6. la notizia dell’esistenza di una miniera di piombo presso Montecerboli in luogo detto Botro a Tracolle, dove erano anco­ra visibili i resti dell’edificio ad essa atti­guo e dove si riscontravano abbondanti testimonianze che almeno la prima fusio­ne del minerale doveva avvenire sul luogo;
  7. una brevissima ma preziosa illustrazio­ne qualitativa delle cave di vetriolo presso Libbiano (in luoghi detti La Giunca e Tigugnano) e la segnalazione di analoghi lavori condotti a Porciniano (16) e alla Stri­scia (17).
  8. la generale conferma che alla metà del ’600, tranne le poche eccezioni legate al­l’estrazione del vetriolo (a Monterotondo M.mo e alla Striscia) e alla produzione del salgemma, l’attività mineraria nel Volter­rano versava nel più completo abbando­no e che l’estrazione e il commercio dei minerali metallici erano praticamente fermi.
Una miniera del Cinquecento (da G. Agricola – De Re Metallica – Basilea, 1556)

Per tutti questi motivi riteniamo opportu­no proporre all’attenzione e alla cono­scenza dei lettori questo breve documen­to che aiuta in qualche modo a far luce su un aspetto molto importante ma non completamente conosciuto della storia economica del Volterrano durante il XVII secolo e che contribuisce, nel suo picco­lo, a far meglio comprendere l’evoluzio­ne storica e topografica delle attività estrattive legate ad alcune risorse mine­rarie del nostro territorio.

Angelo MARRUCCI

R. MAFFEI – Discorso sopra i residui d’an­tichità di Volterra.

Bagni e acque termali. Saline e acque sal­se. Minerali, metà sec.XVII. Volterra, Bi­blioteca Guarnacci, Ms.5819 (Lll.5.2)

De i Minerali

Ma per dar principio a i Minerali stimo che havendo la P.V. per benignità sua dato piena fede alla mia relazione dell’acque termali che si trovano in questo contorno e sapendo essa molto bene che le quali­tà peregrine delle quali quest’acque son dotate non d’altronde pervengano loro che da luoghi sotteranei per i quali esse vanno scorrendo prima di venire alla lu­ce, sarà (credo io) senz’altro persuasa che i medesimi luoghi siano ripieni di quelle cose che son atte a contribuire le virtù che di quell’acque si raccontano, e perché queste sono ordinariamente mi­nerali e mezze minerali ne seguirà in ne­cessaria conseguenza che il paese sia abondantemente ripieno di miniere.

E non solamente la ragione ci persuade quanto io le dico, ma le autorità d’infiniti scrittori ce ne fan certi, le quali tutte tra­lasciando come a Lei molto ben note, mi basterà addurre come men vulgata l’au­torità di Gio. Guidi nel principio della sua Mineralogia Legale in queste parole: nulla Urbs, nullave ditio, ne dum huius Provin- ciae, sed totius etiam Italiae, tot tantisque regalibus naturae, ac Dei Optimi Maximi donis abundet, quemadmodum territorium Urbis Volaterrarum constat. Nam praeter Salinarum numerum, et facunditatem adsunt Auri, Argenti, Lapillorum, adsunt AEris, adsunt Aluminis, Sulphuris, Vitreoli, Ferri, Plumbi, Stamni et aliorum fere omnium Mineralium, ita peremnes venae, ut nullus in hac ditione mons emineat, nullus quamvis humilis coll is appareat, qui non aliquam metallicam Venam in sinu eius contineat, atque abscondat (*)•

Ma è superfluo affaticarsi con le ragioni e con le autorità di provare quello che si vede chiaro dall’evidenza del fatto poiché di tutte le sopradette cose l’esperienza ci ammaestra e l’occhio ne è oculato testi­monio.

E per dar principio dalle miniere dell’ar­gento e dell’oro dico che se bene non so­no state queste ne tempi moderni eser­citate, tuttavia e dalle scritture e dalle tra­dizioni e dalle vestigie di quegli edifizi e dalle cave si viene in cognizione che nel Monte della Nera vicino alla Città tre mi­glia vi è la vena dell’oro. Similmente in un Monte vicino al Castello di Querceto vici­no a qui nove miglia ve n’è un altra vena e si vede esserci stato cavato.Nella Con­tea di Fosini di questa Diocesi non solo si vede esserci una simil cava in luogo che si chiama Botro Ripenti, ma poch’an­ni sono un contadino del luogo s’abbatté a trovarne un pezzetto purgato dal fuo­co, il che dà chiaro indizio esser già la det­ta cava stata esercitata. Ma più chiare se ne vedono le vestigie nel territorio di Gerfalco di questo Vescovado, dove in un Monte detto di S.Croce vi sono di presen­te diverse buche donde si cava la minie­ra dell’oro e dell’argento, ed io ho vedu­to alcuni istrumenti antichi di locazioni fat­te di beni di questo luogo da i Vescovi di Volterra cum Aurifodinis et Argentifodinis. Né solo delle cave predette trovo riscon­tri molto chiari, na apparisce in uno istrumento del 13 di settembre 1277 che Mes­ser Tolomeo Tolomei rinunzia a Messer Ranieri Vescovo di Volterra le cave d’Argento di Montieri; anzi che nel 1257 si tro­va che il Vescovo Galgano II, come dice il Giovannelli, concede a Guido Tolomei licenza di batter moneta nel Comune di Montieri. Apparisce ancora un indulto di Carlo IV Imperatore dato in Pisa (s’io non ho male inetso) sotto il dì 22 maggio 1355 dove esenta Filippo Vescovo di Volterra dal pagamento di 60 marche d’Argento per esser mancate le miniere di Montie­ri, mediante la peste e la guerra. Queste cave d’Argento in Montieri furono molto famose e furono ritrovate da alcuni de To­lomei Gentil huomini Senesi l’anno 1175 nel tempo apunto che viveva S.Galgano e tuttavia si vedono dette cave et il pae­se all’intorno pieno di loppe e ceneracci. Ma più cospicue sono le cave del Rame delle quali la più moderna è quella di M.Catini fatta aprire et esercitare fino l’an­no 1580 dalla felice memoria del Gran Du­ca Francesco e poi tralasciata alla sua morte per essersi gl’altri Principi succes­sori più applicati ad altre gloriose impre­se. Questa miniera s’estende per lungo tratto sotto le radici d’alti Monti per la schena de quali si vedono molte buche che servivano per l’esalazione de fiati e vi sono diverse caverne più basse per le quali si dava l’esito all’acque. Ma la ca­va reale ha un ampia bocca in hoggi tut­ta ripiena d’acqua poiché si può credere che gl’esiti per i quali si smaltisca siano otturati.

Nel territorio di Monte Rotondo di questa Diocesi vi sono pozzi molto spessi e di quivi ancora fu già cavato il Rame vedendovisi gran quantità di loppe e di Marcassite con segni evidenti della miniera.

Ma sopramodo meravigliose sono le ca­ve del rame nel territorio di Prata anch’e­gli sottoposto in spirituale a questo Vesco­vo, ma in temporale territorio senese, do­ve nel luogo che si chiama piano di Sierli sono quelle famose miniere dette Porta di ferro dalle quali si cavava il Rame con un poco d’Argento e da persona che l’ha riconosciute d’ordine del Serenissimo principe Mattias mi vie referto che entra­to egli con sei huomini per li Cavi Reali e per gl’altri minori e camminando per le viscere della terra e talvolta andando car­pone e passando molti pericoli d’animali sotterranei e d’acque freddissime e cor­renti, videro esserci quasi un labirinto di strade e stradelle che dura quasi due mi­glia senza però potere andare in ogni luo­go perché molti viali sono ricoperti dalle rovine. Trovorono ivi la miniera del rame con i suoi filoni e più di 300 pozzi i quali vanno a ferire i Cavi ma per lo più guasti e rovinati et i Cavi medesimi sono gran­dissimi stanzoni e di vastezza così mo­struosa che sarebbe incredibile il dire la loro vastità. Sono ancora le cave del Ra­me vicino al Castello di Monte Cerbero et a i lagoni grandi de i quali ho fatto men­zione et il luogo si dice le Maltagliate. Qui­vi oltre alla bocca della Cava si vedono diversi pozzi per l’esito dell’aria, onde si conosce essere state per lungo tempo esercitate et a i nostri tempi hanno quei paesani trovati sotto terra grossi pani di Rame lavorato et uno tra gl’altri ne ven­derono più di venti scudi.

A Miemo luogo parimente di questo ter­ritorio in un poggio che si dice il poggio di Miemo sono pur anche le Cave del Ra­me e tuttavia vi si trovano da quei del luo­go dei pezzetti di Rame purgato siche si vede essere state ancor’queste alcune volte esercitate.

Il Piombo trovo essere stato cavato in due luoghi: l’uno a Monte Cerbero luogo det­to il botro a Tracolle, e trovo essere stata questa miniera esercitata dalla famiglia de Broccardi circa l’anno 1560, ma in hoggi l’edifizio è rovinato e solo se ne ve­dono le vestigie e quivi all’intorno quan­tità di ceneracci; l’altro è nel Comune di Monte Rotondo, ma di questo ne ho po­ca cognizione.

Delle Cave del ferro non ho notizia se non d’una nel Comune di Castel Nuovo a can­to al fiume Pavone, ma non son ben cer­tificato se quivi fusse la miniera o seppu­re la portassero d’altrove a quocere per­ché quei Paesani non ne mostrano vesti­gia. Si vede ben chiaro che quivi era il for­no dove il ferro si purgava vedendovisi al­l’intorno quantità grande di loppe e di pur­gami.

Vengo adesso alle Cave deH’Allume del­le quali una ne è vicina ai sopradetto luo­go ove ho detto che si purgava il ferro e

vi si vedono tuttavia quattro fornelli mu­rati per servizio d’essa fabrica d’Allume et ivi contiguo in un picciolo monticello vi son molte buche profonde donde si ca­vava la terra alluminosa, e queste Cave furono esercitate dalla famiglia de Pallini di Castel Nuovo circa l’anno 1570.

Nel Comune del Sasso vi sono quelle Ca­ve d’Allume memorabili per haver dato causa alla guerra di Volterra et alla per­dita della sua libertà l’anno 1472. Erano queste fertilissime vedendovisi grandis­simi residui di fornelli e d’habitazioni e molti monacelli di terra colata.

A Monte Rotondo vi è una bella Cava d’Allume la quale fu dismessa quando Ariadeno Barbarossa famoso Console Turco prese a infestare i nostri mari per­ché allora restò interrotto l’esito della mer­canzia, tanto più essendo occorse in quei tempi le guerre di Siena mediante le quali hebbero queste miniere l’ultimo tracollo. Parimente in detto territorio vi è un altra bella miniera d’Allume dove il Botro del­la Dirutta mette nel fiume Risecco da una parte del Monte Leo luogo detto la Maio­nica, e questa cava fu esercitata lungo tempo, ma poi tralasciata per interesse delle Cave della Tolfa nello stato della Chiesa.

Pagina manoscritto di R. Maffei

Non meno è abondante questo territorio di Vetriolo perché una miniera se ne tro­va nel Comune del Sasso vicino al Castel­lo un quarto di miglio, ma in hoggi le bu­che sono ripiene e più non s’esercitano. Nel Comune di Libbiano v’erano due ca­ve di Vetriolo: l’una si dice la Giunca, e vi si vedono ancora i fondamenti dell’edifizio e due profondissime buche dalle quali si cavava la terra; l’altra pure in detto Comune chiamata le Cave di Tigugnano, e di questa ho una memoria nella quale si dice che queste cave fossero molto mi­gliori che quelle dette di sopra della Giun­ca perché in queste l’acqua non dava im­pedimento e la terra era migliore facendovisi il Vetriolo senza ferro oltre all’es­sere il paese più comodo per la terra e per le legna e la terra medesima più fe­conda di miniera questa che quella.

A Monte Rotondo vi sono due Cave di Ve­triolo le quali si sono esercitate a i tempi nostri et anco in parte s’esercitano al pre­sente da i Baldassarrini di quel luogo; l’una per essere assai attaccata all’allume et al solfo fa molta feccia, ma col fuoco si purga e se ne fa buon Vetriolo. L’altra pure in detto Comune luogo detto il Lago partecipa anche essa un poco di solfo; ca­vasi in terra e non in Marcassita et è sti­mato questo Vetriolo molto buono per la tinta della seta perché è dolce al pari d’ogn’altro.

A Serrazzano ancora sono simili Cave ma non s’ha memoria quando sono state esercitate.

A Porcignano villa cinque miglia di qui lon­tano ve ne sono cave molto buone le quali à tempi nostri sono state esercitate da Gentil huomini di questa Città ma poi tra­lasciate perché la fertitilità e la bontà di quelle della Sdriscia l’ha superate. Que­ste dunque della Sdriscia che sono nel Vescovado di Volterra ma nel Contado di Firenze sono le più famose et esercitate e che tuttavia s’esercitano con frutto et uti­le grande, e se bene da parecchi anni in­dietro erano in disastro furono.poi median­te l’industria e la diligenza de Sig.ri Attavanti di Firenze rimesase in stato florido nel quale si mantengono ancora con fabricare quantità grande di Vetriolo.

Havendo io de sali parlato altra volta re­stami solamente a dire circa la miniera di zolfo. Di questo se ne trovano di due sor­te cioè il nero et il giallo. Il nero non è pun­to inferiore al giallo nelle sue qualità et di questo se ne trova assai nel contado di Libbiano et in particolare in una posses­sione che si chiama Fonte Bagni et si tro­va in miniera pura che per lo più ha poco bisogno d’esser purgata dal fuoco. Furo­no queste miniere di zolfo esercitate già dalla famiglia de Guidi di questa Città i quali ne traevano buon profitto, ma in hoggi…

NOTE BIBLIOGRAFICHE

  1. E.FIUMI – L’utilizzazione dei lagoni boraciferi della Toscana nell’industria medievale. Firenze, Dott. Car­lo Cya, 1943.
  2. Cfr. anche A.MENICONI – Studi antichi e recenti sulle miniere medievali in Toscana: alcune conside­razioni, in: “Ricerche Storiche”, anno XIV, n.1, gennaio-aprile 1984, pp.203-226.
  3. G.TARGIONI TOZZETTI – Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana. 2.ed., Firenze, Stamperia Granducale, t.lll, 1769, p.104.
  4. Cfr. in proposito R.S.MAFFEI – Di Zaccaria Zacchi pittore e scultore volterrano (1474-1544). Volterra, Sborgi, 1905, p.17.
  5. L.ALBERTI – Descrittione di tutta Italia. In Bologna, per Anseimo Giaccarelli, 1550 (territorio volterrano: cc. 49r-51v).
  6. M.GIOVANNELLI – Cronistoria dell’antichità e no­biltà di Volterra. In Pisa, appresso Giouanni Fontani, 1613 (territorio volterrano: pp. 59-67).
  7. Descrizione dell’antica e nobile città di Volterra fatta da Giovanni Rondinelli Capitano l’anno 1580. Volter­ra, Biblioteca Guarnacci, Ms.8467 (LXII.7.16).
  8. L.FALCONCINI – Storia dell’antichissima città di Vol­terra. Scritta latinamente da Lodovico Falconcini e vol­tata in italiano dal Sac.Berardo Berardi. Firenze- Volterra, Sborgi, 1876 (territorio volterrano: pp.539-597).
  9. cfr. A.K.ISAACS – Volterra nel Cinquecento: alcu­ne prospettive di ricerca, in: “Bollettino storico pisa­no”, anno LVIII, 1989, pp.189-205.
  10. R.MAFFEI – Discorso sopra i residui d’antichità di Volterra. Bagni e acque termali. Saline e acque sal­se. Minerali, metà sec. XVII. Volterra. Biblioteca Guar­nacci, Ms.5819 (Lll.5.2).
  11. Per la vita e le opere del Provveditore Raffaello Maffei cfr. R.S.MAFFEI – Vita di Raffaello Maffei. In: Storia volterrana del Provv. Raffaello Maffei, a cura di Annibaie Cinci. Volterra, Sborgi, 1887, pp. VII-LX.
  12. E.FIUMI, op. cit., p.71.
  13. Cfr. B.LOTTI – Descrizione geologico-mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. Mem. Descr. Carta Geol. d’lt.,vol.VIII, Roma, 1893, pp.114-115 e id. – Geologia della Toscana. Mem. Descr. Carta Geol. d’lt., vol. XIII, Roma, 1910, pp.334-335.
  14. Cfr. in proposito A.MARRÙCCI – Le miniere di ra­me del Podere ‘‘La Corte”, in: “La Comunità di Po­marance”, anno III, 1989, n.2, pp.10-13.
  15. Si veda anche M.BOCCI – Curiosità storico­minerarie del circondario di Volterra, in: “Volterra”, an­no VI, n.12, dicembre 1967, pp.20-22.
  16. Cfr. in proposito G.BATISTINI – / vetrioli nelle zo­ne del volterrano, in: “Rassegna Volterrana”, LXIII-LIV, 1987-1988, pp.3-19.
  17. Sulle cave della Striscia si veda G. TARGIONI TOZZETTI, op. cit., pp.112-117 e S.ISOLANI – Storia politica e religiosa dell’antica comunità di Montigno- so Valdelsa. Volterra, Tip. Carnieri, 1919, pp.120-123. *) I.GUIDI – De Mineralibus. Venetiis, apud Thomam Ballionum, MDCXXV, p.1

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

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