a cura dei Dott. ANGELO MARRUCCI
Fin dalla più remota antichità protostorica il Volterrano è sempre stato conosciuto come un territorio ricco di risorse naturali e, come tale, continuamente frequentato e lungamente investigato col preciso scopo di ricercarne e coltivarne gli svariati giacimenti minerari, di sfruttarne le diffuse acque minerali e terapeutiche o, più semplicemente, per tentare di comprendere, studiare e descrivere i suggestivi e inconsueti fenomeni naturali (soffioni, bulicami, putizze , lagoni ecc.) che in esso si riscontrano.
La storia economica legata allo sfruttamento medievale delle risorse minerarie del Volterrano – specialmente per quanto riguarda lo zolfo, l’allume e il vetriolo – è stata, com’è noto, ampiamente ricostruita e documentata da Fiumi (1) il quale ha così permesso di valutare e di determinare con maggior precisione il ruolo fondamentale svolto dall’estrazione e dal commercio di queste materie prime (alle quali bisogna aggiungere il salgemma) nell’economia della zona durante tutto il Medioevo.
Le numerosissime evidenze naturalistiche e minerarie del Volterrano hanno quindi sempre esercitato indiscutibili e rilevanti motivi d’interesse sia, ovviamente, in vista di un loro potenziale sfruttamento economico (2) , sia, ed è ciò che qui ci interessa, sotto l’aspetto della descrizione e dell’enumerazione fenomenologica delle più svariate manifestazioni e produzioni naturali.
A testimonianza di questo aspetto documentario-memorialistico sull’area in esame sta tutta la serie di relazioni redatte .sempre più frequentemente a partire dalla metà del Quattrocento, da viaggiatori, storici, geografi, ufficiali e naturalisti allo scopo di evidenziare, illustrare e valorizzare questo non comune patrimonio di risorse e nel preciso intento sia di incoraggiarne o svilupparne lo sfruttamento sia di indicare, emblematicamente, le vestigia e le tracce delle più antiche attività a tale fine intraprese.
A quanto risulta, la prima di queste relazioni (a noi purtroppo non pervenuta) fu compilata dall’artista volterrano Zaccaria Zacchi (1474-1544) che “descrisse tutto quello che gli venne osservato, non tanto dei residui e artefatti della bella Antichità, quanto ancora le produzioni naturali più ragguardevoli, come acque minerali, miniere, pietre ecc. Il P. Leandro Alberti e il P.Giovannelli hanno veduto questa descrizione manoscritta e ne hanno pubblicato un miserabile compendio, dal quale si viene in cognizione che essa doveva esser bellissima e di somma importanza. Ella non è giammai pubblicata colle stampe, anziché non si sa più dov’ella sia’’ (3). Purtroppo, tutte le ricerche svolte a più riprese nel corso del tempo per rintracciare il documento (a Volterra, a Firenze, a Bologna) sono sempre risultate vane (4), facendo così temere seriamente che esso debba ormai considerarsi, salvo imprevisti, irrimediabilmente perduto. E non si tratta certo di una perdita da poco se pensiamo, per contrasto, che gli analoghi scritti successivi di Leandro Alberti (5) e di Mario Giovannelli (6) parvero al Targioni Tozzetti solo “un miserabile compendio” di quel prezioso originale. In realtà la descrizione data da Leandro Alberti del territorio volterrano, benché forzatamente sintetica (in quanto inserita in un’opera di carattere generale sull’Italia) possiede un duplice motivo di interesse poiché oltre al suo intrinseco valore documentario può forse permetterci di immaginare, seppure a grandi linee, quale doveva essere lo schema di base che ordinava lo scritto di Zaccaria Zacchi: inizialmente la Descrittione di tutta Italia (1550) illustra, procedendo in senso orario, gli immediati dintorni di Volterra (Montebradoni, Portone, Ulimeto, Monte Nero, Monte Voltraio) per poi dirigere l’attenzione verso i borghi sparsi nel territorio a Sud della città, il più ricco di risorse minerarie e di produzioni naturali (Saline, Pomarance, Libbiano, Monterufoli, Montecerboli, Castelnuovo, Leccia, i vari Bagni, Monterotondo, Lustignano). Da qui in avanti, però, la decrizione perde un ordine logico preciso, una direzione di marcia chiara e preordinata; si passa infatti da Spicchiaiola a Silano a S.Dalmazio per poi tornare indietro verso Casole d’Elsa, Mazzolla e Roncolla. Di tutti luoghi citati vengono menzionate le peculiarità naturalistiche o minerarie dedicando solo brevissimi accenni alle attività estrattive eventualmente in atto o alle tracce dei lavori antichi. In altre parole siamo di fronte ad una panoramica del territorio realmente “a volo d’uccello“ che però serve, nonostante tutto, a “fotografare11 quali erano lo stato delle conoscenze sulle produzioni naturali del Volterrano e la situazione del loro sfruttamento alla metà del Cinquecento.
Ad arricchire il quadro di queste descrizioni cinquecentesche contribuisce poi un altro documento, stavolta manoscritto: si tratta di una relazione stilata nel 1580 dal Capitano Giovanni Rondinelli e diretta al Granduca di Toscana Francesco de’ Medici (7). In questo rapporto, dopo un’introduzione di carattere storico-geografico relativa a Volterra, dopo aver trattato brevemente della situazione idrica del capoluogo e del territorio e dopo aver descritto le possenti mura volterrane, l’Autore passa ad illustrare la condizione attuale (numero dei fuochi,situazione economica, caratteri produttivi peculiari) dei vari borghi del circondario. È a questo punto che Rondinelli inizia la vera e propria enumerazione delle varie “doti, virtù e ricchezze” del territorio volterrano applicando a tale scopo uno schema tematico- gerarchico che da questo momento in poi è stato spesso adottato da quanti si sono occupati in seguito della questione e che è strutturato in base al seguente criterio ordinatore: miniere d’oro, miniere d’argento, miniere di rame, calcedoni e diaspri, travertini e marmi (broccatelli), sale, allume, vetriolo, zolfi gialli e neri, bagni e lagoni.
Dopo questi due casi, il Cinquecento fornisce la sua ultima trattazione illustrativa del Volterrano con l’ottavo libro della Storia dell’antichissima città di Volterra del volterrano Lodovico Falconcini (1524-1602). In quest’opera, scritta in latino nel 1589 e stampata (tradotta con testo originale a fronte) solamente nel 1876 (8), l’Autore passa tra l’altro in rassegna tutte le località rilevanti sotto l’aspetto storico e naturalistico riportando osservazioni e notizie di grande interesse e offrendo talora al lettore preziose annotazioni e particolari del tutto inediti, come nel caso, ad esempio, delle miniere di Montecastelli e di Querceto o dei Bagni di S.Michele delle Formiche presso Montecerboli.Per comodità del lettore diamo di seguito l’elenco delle località illustrate dal Falconcini ,avendo cura di evidenziare graficamente in corsivo quelle su cui si soffermò maggiormente l’attenzione dell’Autore: Monte Nero, Cozzano, Pignano, Berignone, Pomarance, S.Michele delle Formiche, Montecerboli, Morba, Castelnuovo, Sasso, Lustignano, Leccia, Serrazzano, Libbiano, Micciano, Monterufoli, Montegemoli, Querceto, Montecastelli, Silano, S.Dalmazio, Radicondoli, Montecatini, Buriano, Miemo.
Per quanto riguarda il secolo successivo preferiamo sorvolare sulla già citata Cronistoria di Mario Giovannelli, pubblicata nel 1613, in quanto altro non può essere considerata che una copia piuttosto fedele della già ricordata descrizione di Leandro Alberti.
In verità, sebbene la storia mineraria del Volterrano durante il Seicento non sia molto conosciuta, appare chiaro, come vedremo, che le attività estrattive e commerciali legate alle risorse del sottosuolo dovevano stagnare ancora nello stato di crisi e di abbandono in cui erano venute a trovarsi sempre più nel corso del secolo precedente. Dal 1472 agli ultimi decenni del ’500 la società e l’economia del Volterrano subirono infatti una profonda trasformazione dovuta, tra l’altro, sia alla forzata integrazione politicoistituzionale nello stato fiorentino che alla prolungata fase di progressiva specializzazione che dalla fine del Quattrocento sembra caratterizzare l’economia toscana.
Per quanto ci riguarda direttamente, queste nuove condizioni economico-sociali di necesario riassestamento dei vari settori produttivi segnarono il marcato declino delle attività connesse allo sfruttamento delle risorse minerarie del Volterrano: il commercio dei prodotti minerari del territorio (nella fattispecie il vetriolo e lo zolfo) venne meno, la scoperta dell’allume si rivelò illusoria, mentre l’unica eccezione di tutto rilievo in questo caso di generale abbandono fu rappresentata dall’estrazione del salgemma la cui “industria1‘ conobbe un’interessante continuità produttiva. A questa generalizzata crisi delle attività minerarie della zona si accompagnò inoltre una decisa accentuazione del carattere agricolo dell’economia volterrana e una decisa espansione delle grandi proprietà terriere. (9)
Nel settore minerario questa generale linea di tendenza negativa si protrasse anche nel Seicento, periodo durante il quale la forte contrazione subita dai settori estrattivi (e alla quale certo non fu estranea la terribile pestilenza del 1630) condusse al conseguente ristagno generalizzato o, nella maggior parte dei casi, addirittura alla completa cessazione di questi generi di attività economiche.
Per quanto riguarda ad esempio l’estrazione del rame sappiamo che sia le celeberi miniere di Montecatini Val di Cecina che quelle di Montecastelli dopo il 1630 cessarono la propria attività fino al 1636 quando uno sfortunato tentativo di ripresa dei lavori attuato a Montecatini determinò la chiusura di entrambe le miniere per tutto il secolo. Analogamente, è noto che anche le meno importanti “ramiere” di Montecerboli restarono abbandonate durante tutto il Seicento e che, nella zona, analogo destino toccò pure a tutti i giacimenti fino ad allora più o meno sfruttati di minerali metalliferi. Fortunatamente ad aiutare lo storico e l’economista nello studio e nella ricostruzione di questo aspetto della realtà economica locale seicentesca, esiste presso la Biblioteca Guarnacci di Volterra una relazione manoscritta (10) compilata intorno alla metà del Seicento dal volterrano Raffaello Maffei (1605-1673), Provveditore dei sali e della Fortezza (11). Si tratta di una descrizione abbastanza accurata, e per certi versi originale e dettagliata, relativa alle cose notevoli del Volterrano, alle ricchezze del suo sottosuolo e alle antiche vestigia, ancora visibili, che dallo sfruttamento di quelle notevoli risorse avevano tratto origine.
Dal punto di vista morfologico il mano
scritto si compone di un fascicolo di 13 carte numerate; il testo è incompiuto
e dalle note apposte successivamente sul foglio di guardia che contiene il
fascicolo si rileva che lo scritto era diretto a un religioso. Circa la
datazione essa è sicuramente posteriore al 1625, anno di pubblicazione del De
Mineralibus del volterrano Giovanni Guidi, di cui si trova preciso
riferimento nel testo.
L’argomento della relazione è chiaramente espresso nel titolo conferitogli in seguito: Discorso sopra i residui d’antichità di Volterra. Bagni e acque termali. Saline e acque salse. Minerali, e risulta così ripartito:
- antichità volterrane: cc. 1r – 4r;
- bagni e acque termali: cc. 4v – 8v;
- saline e acque salse: cc. 8v – 10v;
- minerali: cc. 10v – 13v (incompiuto).
Per quanto riguarda l’aspetto che qui ci interessa fermeremo pertanto l’attenzione sull’ultima parte, intitolata,.appunto, De i Minerali; essa risulta infatti molto interessante sia perché tra le varie sezioni del Discorso del Maffei è senza dubbio la meno conosciuta e la meno citata sia perché rispetto alle altre relazioni (precedenti, coeve o anche successive) di analogo argomento appare in alcuni casi più precisa, più dettagliata e più informata, quindi per noi più utile.
In particolare i punti di novità e di originalità che vi si riscontrano si possono così riassumere:
- la notizia, citata poi da Fiumi (12), che immediatamente sotto la rupe su cui sorge il castello di Fosini, ovvero lungo il Botro Ripenti o Riponti (un piccolo tributario del Pavone) si ebbero anticamente escavazioni di oro. Anche se quasi certamente si trattò di galena argentifera (o meglio, di tetraedrite) tutto ciò appare confermato dal fatto che all’epoca del Maffei le tracce di quell’attività erano ancora riconoscibili sul terreno e che un pezzetto di quel minerale “purgato dal fuoco” era stato lì rinvenuto pochi anni prima. In questo caso, a differenza di quanto accade quasi inevitabilmente in questo genere di relazioni, il Maffei offre un’informazione topograficamente precisa su un lavoro minerario fino ad allora trascurato dai cronisti;
- la testimonianza di antichi lavori intrapresi presso il Monte S.Croce dove analoghe escavazioni di oro e di argento, sebbene citate di sfuggita, appaiono qui finalmente segnalate. La notizia è interessante poiché in precedenza questa località non veniva di solito menzionata nelle trattazioni del genere, sebbene fosse noto che in passato vi erano state svolte ricerche ed attività estrattive (13). Dal Maffei giunge dunque la conferma dell’antichità dei lavori e la testimonianza che ai suoi tempi la “cava” era in attività;
- la suggestiva e prolungata descrizione incentrata sulla riscoperta delle miniere di rame presso Prata, in luogo detto allora Piano di Siedi;
- la conferma che durante il Seicento le miniere di rame attivate nel secolo precedente presso Montecerboli, in luogo detto le Maltagliate, versavano nel più completo stato di abbandono(14);
- la segnalazione di antiche ricerche di rame intraprese sul Poggio di M/emo(15);
- la notizia dell’esistenza di una miniera di piombo presso Montecerboli in luogo detto Botro a Tracolle, dove erano ancora visibili i resti dell’edificio ad essa attiguo e dove si riscontravano abbondanti testimonianze che almeno la prima fusione del minerale doveva avvenire sul luogo;
- una brevissima ma preziosa illustrazione qualitativa delle cave di vetriolo presso Libbiano (in luoghi detti La Giunca e Tigugnano) e la segnalazione di analoghi lavori condotti a Porciniano (16) e alla Striscia (17).
- la generale conferma che alla metà del ’600, tranne le poche eccezioni legate all’estrazione del vetriolo (a Monterotondo M.mo e alla Striscia) e alla produzione del salgemma, l’attività mineraria nel Volterrano versava nel più completo abbandono e che l’estrazione e il commercio dei minerali metallici erano praticamente fermi.
Per tutti questi motivi riteniamo opportuno proporre all’attenzione e alla conoscenza dei lettori questo breve documento che aiuta in qualche modo a far luce su un aspetto molto importante ma non completamente conosciuto della storia economica del Volterrano durante il XVII secolo e che contribuisce, nel suo piccolo, a far meglio comprendere l’evoluzione storica e topografica delle attività estrattive legate ad alcune risorse minerarie del nostro territorio.
Angelo MARRUCCI
R. MAFFEI – Discorso sopra i residui d’antichità di Volterra.
Bagni e acque termali. Saline e acque salse. Minerali, metà sec.XVII. Volterra, Biblioteca Guarnacci, Ms.5819 (Lll.5.2)
De i Minerali
Ma per dar principio a i Minerali stimo che havendo la P.V. per benignità sua dato piena fede alla mia relazione dell’acque termali che si trovano in questo contorno e sapendo essa molto bene che le qualità peregrine delle quali quest’acque son dotate non d’altronde pervengano loro che da luoghi sotteranei per i quali esse vanno scorrendo prima di venire alla luce, sarà (credo io) senz’altro persuasa che i medesimi luoghi siano ripieni di quelle cose che son atte a contribuire le virtù che di quell’acque si raccontano, e perché queste sono ordinariamente minerali e mezze minerali ne seguirà in necessaria conseguenza che il paese sia abondantemente ripieno di miniere.
E non solamente la ragione ci persuade quanto io le dico, ma le autorità d’infiniti scrittori ce ne fan certi, le quali tutte tralasciando come a Lei molto ben note, mi basterà addurre come men vulgata l’autorità di Gio. Guidi nel principio della sua Mineralogia Legale in queste parole: nulla Urbs, nullave ditio, ne dum huius Provin- ciae, sed totius etiam Italiae, tot tantisque regalibus naturae, ac Dei Optimi Maximi donis abundet, quemadmodum territorium Urbis Volaterrarum constat. Nam praeter Salinarum numerum, et facunditatem adsunt Auri, Argenti, Lapillorum, adsunt AEris, adsunt Aluminis, Sulphuris, Vitreoli, Ferri, Plumbi, Stamni et aliorum fere omnium Mineralium, ita peremnes venae, ut nullus in hac ditione mons emineat, nullus quamvis humilis coll is appareat, qui non aliquam metallicam Venam in sinu eius contineat, atque abscondat (*)•
Ma è superfluo affaticarsi con le ragioni e con le autorità di provare quello che si vede chiaro dall’evidenza del fatto poiché di tutte le sopradette cose l’esperienza ci ammaestra e l’occhio ne è oculato testimonio.
E per dar principio dalle miniere dell’argento e dell’oro dico che se bene non sono state queste ne tempi moderni esercitate, tuttavia e dalle scritture e dalle tradizioni e dalle vestigie di quegli edifizi e dalle cave si viene in cognizione che nel Monte della Nera vicino alla Città tre miglia vi è la vena dell’oro. Similmente in un Monte vicino al Castello di Querceto vicino a qui nove miglia ve n’è un altra vena e si vede esserci stato cavato.Nella Contea di Fosini di questa Diocesi non solo si vede esserci una simil cava in luogo che si chiama Botro Ripenti, ma poch’anni sono un contadino del luogo s’abbatté a trovarne un pezzetto purgato dal fuoco, il che dà chiaro indizio esser già la detta cava stata esercitata. Ma più chiare se ne vedono le vestigie nel territorio di Gerfalco di questo Vescovado, dove in un Monte detto di S.Croce vi sono di presente diverse buche donde si cava la miniera dell’oro e dell’argento, ed io ho veduto alcuni istrumenti antichi di locazioni fatte di beni di questo luogo da i Vescovi di Volterra cum Aurifodinis et Argentifodinis. Né solo delle cave predette trovo riscontri molto chiari, na apparisce in uno istrumento del 13 di settembre 1277 che Messer Tolomeo Tolomei rinunzia a Messer Ranieri Vescovo di Volterra le cave d’Argento di Montieri; anzi che nel 1257 si trova che il Vescovo Galgano II, come dice il Giovannelli, concede a Guido Tolomei licenza di batter moneta nel Comune di Montieri. Apparisce ancora un indulto di Carlo IV Imperatore dato in Pisa (s’io non ho male inetso) sotto il dì 22 maggio 1355 dove esenta Filippo Vescovo di Volterra dal pagamento di 60 marche d’Argento per esser mancate le miniere di Montieri, mediante la peste e la guerra. Queste cave d’Argento in Montieri furono molto famose e furono ritrovate da alcuni de Tolomei Gentil huomini Senesi l’anno 1175 nel tempo apunto che viveva S.Galgano e tuttavia si vedono dette cave et il paese all’intorno pieno di loppe e ceneracci. Ma più cospicue sono le cave del Rame delle quali la più moderna è quella di M.Catini fatta aprire et esercitare fino l’anno 1580 dalla felice memoria del Gran Duca Francesco e poi tralasciata alla sua morte per essersi gl’altri Principi successori più applicati ad altre gloriose imprese. Questa miniera s’estende per lungo tratto sotto le radici d’alti Monti per la schena de quali si vedono molte buche che servivano per l’esalazione de fiati e vi sono diverse caverne più basse per le quali si dava l’esito all’acque. Ma la cava reale ha un ampia bocca in hoggi tutta ripiena d’acqua poiché si può credere che gl’esiti per i quali si smaltisca siano otturati.
Nel territorio di Monte Rotondo di questa Diocesi vi sono pozzi molto spessi e di quivi ancora fu già cavato il Rame vedendovisi gran quantità di loppe e di Marcassite con segni evidenti della miniera.
Ma sopramodo meravigliose sono le cave del rame nel territorio di Prata anch’egli sottoposto in spirituale a questo Vescovo, ma in temporale territorio senese, dove nel luogo che si chiama piano di Sierli sono quelle famose miniere dette Porta di ferro dalle quali si cavava il Rame con un poco d’Argento e da persona che l’ha riconosciute d’ordine del Serenissimo principe Mattias mi vie referto che entrato egli con sei huomini per li Cavi Reali e per gl’altri minori e camminando per le viscere della terra e talvolta andando carpone e passando molti pericoli d’animali sotterranei e d’acque freddissime e correnti, videro esserci quasi un labirinto di strade e stradelle che dura quasi due miglia senza però potere andare in ogni luogo perché molti viali sono ricoperti dalle rovine. Trovorono ivi la miniera del rame con i suoi filoni e più di 300 pozzi i quali vanno a ferire i Cavi ma per lo più guasti e rovinati et i Cavi medesimi sono grandissimi stanzoni e di vastezza così mostruosa che sarebbe incredibile il dire la loro vastità. Sono ancora le cave del Rame vicino al Castello di Monte Cerbero et a i lagoni grandi de i quali ho fatto menzione et il luogo si dice le Maltagliate. Quivi oltre alla bocca della Cava si vedono diversi pozzi per l’esito dell’aria, onde si conosce essere state per lungo tempo esercitate et a i nostri tempi hanno quei paesani trovati sotto terra grossi pani di Rame lavorato et uno tra gl’altri ne venderono più di venti scudi.
A Miemo luogo parimente di questo territorio in un poggio che si dice il poggio di Miemo sono pur anche le Cave del Rame e tuttavia vi si trovano da quei del luogo dei pezzetti di Rame purgato siche si vede essere state ancor’queste alcune volte esercitate.
Il Piombo trovo essere stato cavato in due luoghi: l’uno a Monte Cerbero luogo detto il botro a Tracolle, e trovo essere stata questa miniera esercitata dalla famiglia de Broccardi circa l’anno 1560, ma in hoggi l’edifizio è rovinato e solo se ne vedono le vestigie e quivi all’intorno quantità di ceneracci; l’altro è nel Comune di Monte Rotondo, ma di questo ne ho poca cognizione.
Delle Cave del ferro non ho notizia se non d’una nel Comune di Castel Nuovo a canto al fiume Pavone, ma non son ben certificato se quivi fusse la miniera o seppure la portassero d’altrove a quocere perché quei Paesani non ne mostrano vestigia. Si vede ben chiaro che quivi era il forno dove il ferro si purgava vedendovisi all’intorno quantità grande di loppe e di purgami.
Vengo adesso alle Cave deH’Allume delle quali una ne è
vicina ai sopradetto luogo ove ho detto che si purgava il ferro e
vi si vedono tuttavia quattro fornelli murati per servizio d’essa fabrica d’Allume et ivi contiguo in un picciolo monticello vi son molte buche profonde donde si cavava la terra alluminosa, e queste Cave furono esercitate dalla famiglia de Pallini di Castel Nuovo circa l’anno 1570.
Nel Comune del Sasso vi sono quelle Cave d’Allume memorabili per haver dato causa alla guerra di Volterra et alla perdita della sua libertà l’anno 1472. Erano queste fertilissime vedendovisi grandissimi residui di fornelli e d’habitazioni e molti monacelli di terra colata.
A Monte Rotondo vi è una bella Cava d’Allume la quale fu dismessa quando Ariadeno Barbarossa famoso Console Turco prese a infestare i nostri mari perché allora restò interrotto l’esito della mercanzia, tanto più essendo occorse in quei tempi le guerre di Siena mediante le quali hebbero queste miniere l’ultimo tracollo. Parimente in detto territorio vi è un altra bella miniera d’Allume dove il Botro della Dirutta mette nel fiume Risecco da una parte del Monte Leo luogo detto la Maionica, e questa cava fu esercitata lungo tempo, ma poi tralasciata per interesse delle Cave della Tolfa nello stato della Chiesa.
Non meno è abondante questo territorio di Vetriolo perché una miniera se ne trova nel Comune del Sasso vicino al Castello un quarto di miglio, ma in hoggi le buche sono ripiene e più non s’esercitano. Nel Comune di Libbiano v’erano due cave di Vetriolo: l’una si dice la Giunca, e vi si vedono ancora i fondamenti dell’edifizio e due profondissime buche dalle quali si cavava la terra; l’altra pure in detto Comune chiamata le Cave di Tigugnano, e di questa ho una memoria nella quale si dice che queste cave fossero molto migliori che quelle dette di sopra della Giunca perché in queste l’acqua non dava impedimento e la terra era migliore facendovisi il Vetriolo senza ferro oltre all’essere il paese più comodo per la terra e per le legna e la terra medesima più feconda di miniera questa che quella.
A Monte Rotondo vi sono due Cave di Vetriolo le quali si sono esercitate a i tempi nostri et anco in parte s’esercitano al presente da i Baldassarrini di quel luogo; l’una per essere assai attaccata all’allume et al solfo fa molta feccia, ma col fuoco si purga e se ne fa buon Vetriolo. L’altra pure in detto Comune luogo detto il Lago partecipa anche essa un poco di solfo; cavasi in terra e non in Marcassita et è stimato questo Vetriolo molto buono per la tinta della seta perché è dolce al pari d’ogn’altro.
A Serrazzano ancora sono simili Cave ma non s’ha memoria quando sono state esercitate.
A Porcignano villa cinque miglia di qui lontano ve ne sono cave molto buone le quali à tempi nostri sono state esercitate da Gentil huomini di questa Città ma poi tralasciate perché la fertitilità e la bontà di quelle della Sdriscia l’ha superate. Queste dunque della Sdriscia che sono nel Vescovado di Volterra ma nel Contado di Firenze sono le più famose et esercitate e che tuttavia s’esercitano con frutto et utile grande, e se bene da parecchi anni indietro erano in disastro furono.poi mediante l’industria e la diligenza de Sig.ri Attavanti di Firenze rimesase in stato florido nel quale si mantengono ancora con fabricare quantità grande di Vetriolo.
Havendo io de sali parlato altra volta restami solamente a dire circa la miniera di zolfo. Di questo se ne trovano di due sorte cioè il nero et il giallo. Il nero non è punto inferiore al giallo nelle sue qualità et di questo se ne trova assai nel contado di Libbiano et in particolare in una possessione che si chiama Fonte Bagni et si trova in miniera pura che per lo più ha poco bisogno d’esser purgata dal fuoco. Furono queste miniere di zolfo esercitate già dalla famiglia de Guidi di questa Città i quali ne traevano buon profitto, ma in hoggi…
NOTE BIBLIOGRAFICHE
- E.FIUMI – L’utilizzazione dei lagoni boraciferi della Toscana nell’industria medievale. Firenze, Dott. Carlo Cya, 1943.
- Cfr. anche A.MENICONI – Studi antichi e recenti sulle miniere medievali in Toscana: alcune considerazioni, in: “Ricerche Storiche”, anno XIV, n.1, gennaio-aprile 1984, pp.203-226.
- G.TARGIONI TOZZETTI – Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana. 2.ed., Firenze, Stamperia Granducale, t.lll, 1769, p.104.
- Cfr. in proposito R.S.MAFFEI – Di Zaccaria Zacchi pittore e scultore volterrano (1474-1544). Volterra, Sborgi, 1905, p.17.
- L.ALBERTI – Descrittione di tutta Italia. In Bologna, per Anseimo Giaccarelli, 1550 (territorio volterrano: cc. 49r-51v).
- M.GIOVANNELLI – Cronistoria dell’antichità e nobiltà di Volterra. In Pisa, appresso Giouanni Fontani, 1613 (territorio volterrano: pp. 59-67).
- Descrizione dell’antica e nobile città di Volterra fatta da Giovanni Rondinelli Capitano l’anno 1580. Volterra, Biblioteca Guarnacci, Ms.8467 (LXII.7.16).
- L.FALCONCINI – Storia dell’antichissima città di Volterra. Scritta latinamente da Lodovico Falconcini e voltata in italiano dal Sac.Berardo Berardi. Firenze- Volterra, Sborgi, 1876 (territorio volterrano: pp.539-597).
- cfr. A.K.ISAACS – Volterra nel Cinquecento: alcune prospettive di ricerca, in: “Bollettino storico pisano”, anno LVIII, 1989, pp.189-205.
- R.MAFFEI – Discorso sopra i residui d’antichità di Volterra. Bagni e acque termali. Saline e acque salse. Minerali, metà sec. XVII. Volterra. Biblioteca Guarnacci, Ms.5819 (Lll.5.2).
- Per la vita e le opere del Provveditore Raffaello Maffei cfr. R.S.MAFFEI – Vita di Raffaello Maffei. In: Storia volterrana del Provv. Raffaello Maffei, a cura di Annibaie Cinci. Volterra, Sborgi, 1887, pp. VII-LX.
- E.FIUMI, op. cit., p.71.
- Cfr. B.LOTTI – Descrizione geologico-mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. Mem. Descr. Carta Geol. d’lt.,vol.VIII, Roma, 1893, pp.114-115 e id. – Geologia della Toscana. Mem. Descr. Carta Geol. d’lt., vol. XIII, Roma, 1910, pp.334-335.
- Cfr. in proposito A.MARRÙCCI – Le miniere di rame del Podere ‘‘La Corte”, in: “La Comunità di Pomarance”, anno III, 1989, n.2, pp.10-13.
- Si veda anche M.BOCCI – Curiosità storicominerarie del circondario di Volterra, in: “Volterra”, anno VI, n.12, dicembre 1967, pp.20-22.
- Cfr. in proposito G.BATISTINI – / vetrioli nelle zone del volterrano, in: “Rassegna Volterrana”, LXIII-LIV, 1987-1988, pp.3-19.
- Sulle cave della Striscia si veda G. TARGIONI TOZZETTI, op. cit., pp.112-117 e S.ISOLANI – Storia politica e religiosa dell’antica comunità di Montigno- so Valdelsa. Volterra, Tip. Carnieri, 1919, pp.120-123. *) I.GUIDI – De Mineralibus. Venetiis, apud Thomam Ballionum, MDCXXV, p.1
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.