LE LUMIERE

Oggi si ottiene l’allume facendo agire l’acido solforico sull’argilla ma un tempo si ricavava in natura: è una pietra che un pò coltiva ancora nelle viscere delle Col­line Metallifere di Larderello: specificatamente nella zona del Sasso Pisano dove abbondava.

È un solfato doppio di potassio e allumi­nio idrato e serviva perlopiù come mor­dente in tintoria ma serviva pure nell’industria della carta e in medicina. Nel 1472 l’allume di “Castel del Sasso” cagionò il Sacco di Volterra da parte dei Fiorentini e, in verità, il Granduca Loren­zo, cioè il “Magnifico” (di cui quest’anno si celebra il quinto centenario della mor­te) non fu tenero con i Volterrani. Secon­do una versione piuttosto opinabile, in quanto presuppone la rivelazione da par­te del Savonarola dei segreti della con­fessione, parrebbe che tra le colpe di cui si macchiò il Magnifico e di cui sentiva ri­morso, vi fosse anche quella del Sacco di Volterra. Ma è passata tant’acqua sot­to i ponti e quel fattaccio è dimenticato. Nel 1483 le allumiere venivano donate al­l’associazione dell’Arte della Lana che le abbandonò presto.

In un documento del 3 dicembre 1471 il cancelliere di Volterra osservava che le cave di allume, attraversando il poggio di Bruciano, andavano in dirittura alla pie­ve di Commessano e da questa, in linea retta, al fiume Cornia, seguitando detto confine fin dove termina la comunità di Volterra con quella di Monterotondo; ma erano giacimenti sporadici e isolati.

Lo sfruttamento delle cave di allume fu ri­preso nel gennaio 1666, su indicazione di Lionardo Signorini che asseriva di aver trovato nuove coltivazioni nella zona del Sasso e di Monterotondo. Furono interes­sati alla coltivazione i fratelli Niccolo e Giovan Battista Signorini, il dottor Giusep­pe Frosini e Francesco Maffei i quali, do­po diversi approcci, formarono la società per lo sfruttamento dell’allume del Sas­so, riservandosi di allargare la coltivazio­ne alla zona di Monterotondo in un secondo tempo.

La società si proponeva di ottenere il per­messo Granducale per venti anni e di eri­gere nella cava del Sasso una fabbrica che lavorasse tutto l’anno con una caldaia di tenuta di almeno duecento barili alla fiorentina, obbligando ciascun socio a sborsare una determinata somma in con­to capitale. Fra l’altro veniva stabilito: – Che la cassa, detta “di Maremma”, stes­se in Volterra, in mano al cav. Francesco Maffei, a suo carico e risico;

  • Che il ministro del negozio sia il dottor Donato Frosini, figlio del dottor Giuseppe;
  • Che gli altri ministri e i lavoratori si deb­bano cercare e trovare di comune accor­do e soddisfazione;
  • Che se si volesse aprire la cava del Frassine presso Monterotondo, si sborsasse­ro nuovi capitali;
  • Che se nascessero divergenze tra i so­ci si rimettessero ad amici comuni della città di Firenze.

Il contratto fu firmato a Firenze il 28 gen­naio 1666 e prevedeva:

  • Di pagare a S.A.S. il Granduca 2.500 du­cati ogni anno, di lire sette per scudo;
  • Di non pagare gabella al Comune di Firenze;
  • Di non transitare, né introdurre nello Sta­to di S.A.S. allume forestiero;
  • Che all’Arte della Lana vengano riser­vate mille cantare di allume all’anno e che detta Arte s’impegni ad acquistarlo, pur­ché sia buono e a buon prezzo;
  • Che sia lecito edificare molini , macelli ed altro e trasportare pietre per l’uso;
  • Che sia lecito pigliar legna in certi bo­schi, passar gabella senza licenza, aver salvacondotti e privilegi;
  • Che siano preferiti nelle conduzioni dei beni comunali e che in caso di peste, guerra e incendi, non paghino;
  • Che non diano ad altri carni, vino, ma­cinati ecc.
  • Che si tengano armi consentite in un massimo di vénti.

Per quanto riguarda le persone che oc­correvano per tirare avanti una caldara che renda seimila cantare d’allume all’an­no erano previste settantaquattro perso­ne così suddivise:

Il ministro/governatore; il dispensiere con l’aiuto; il cappellano; il cassiere; lo scrit­tore; il fattore alla caldara con dodici uo­mini; il focarolo con l’aiutante; il comandatore; il caporale della cava con diciotto uomini; e poi: due persone a net­tare la cava; due carrettieri; tre piazzaioli a innacquare la pietra; sei tagliatori di le­gna; tre a fare casse, manichi e altro; set­te vetturali/cavallari; un capo macchia; due guardie per la bandita; un fornaio; un macellaro; un fabbro; un manescalco; un bastiere e due stallieri.

Detto personale veniva valutato, l’un per l’altro tra il salario e il vitto, in otto scudi al mese.

Occorreva pure tenere un cassiere gene­rale e un ragioniere in Volterra e un’aiu­to per scrivere lettere.

Occorrevano poi ventuno cavalli da ba­sto; quattro cavalli per le carrette e tre da sella la cui spesa era prevista (un caval­lo per l’altro) in due scudi al mese.

La spesa per fare 7.200= cantare all’an­no, rilevata dal Frosini sopra 11.000 = cantare, risultava questa:

Per 2.000= fasci (?) di legna L. 20.000 per ferramenti,

4.000

2.000

17.000

e Firenze lire 5,5 il cantaro L.

Detta spesa importava circa 21 giulii ogni cantaro; se tutto andava favorevole vi sa­rebbe stato un avanzo di 9 giulii il canta­ro. Poiché occorrevano dieci giulii per fare un ducato e questo oscillava intorno alle sette lire, in quel periodo il ducato dove­va valere circa lire 6,1/4.

Infine, a proposito di un certo tipo di spe­se, “per la bocca si farà così”:

Ai ministri la tavola ordinaria (e non si vo­gliono ministri di superbia ma persone uti­li e da poterle maneggiare).

A tutti gli altri se li dà un fiasco di vino e libbre quattro il dì; tre libbre di carne la settimana; due libbre di farina, una libbra di sale e 1/2 libbra di olio ogni settimana. Ai cavalli di sella e di carretta si vuole la stalla con due stallaioli a governarli e ser­virli e per servire i ministri di casa.

Si raggiungono così otto scudi il mese per uomo.

La legna non si conta, essendo servitori e cavalli messi in conto.

Vi erano poi altre spese ordinarie e straor­dinarie che venivano valutate a parte, come i fonditori di caldara, i fabbri e le ferramenta. Tuttavia questa società non ebbe vita lun­ga, poiché si sciolse il 5 dicembre 1668. Subentrò ad essa una nuova società e il Granduca ne concesse l’autorizzazione per venti anni, alle condizioni precedenti. La nuova società si componeva di Niccolo Signorini e Giuseppe Frosini, della vec­chia società, e dei mercanti ebrei residen­ti a Livorno, Abramo Pimentel, Daniel Valentino e Isach Pegna. Ai “cristiani” Si­gnorini e Frosini fu dato il beneficio del­l’accomandita.

Giovanni Batistini

NOTE BIBLIOGRAFICHE

BGV, Arch. Maffei, filze 149 e 169 FIUMI E., L’utilizzazione dei lagoni boraciferi della Toscana, Firenze, dott. Carlo Cya, 1943. PESCETTI L., Storia di Volterra, Volterra, UTA

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

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