LE MINIERE DI RAME DEL PODERE “LA CORTE”

Nel comune di Pomarance le tracce e le testimonianze delle attività minerarie ed estrattive esercitatevi nel corso dei secoli sono estremamente numerose, variamen­te disperse sul territorio ed assai differen­ziate sia per generi di minerali estratti che per tipologia di giacimenti coltivati.

Per quanto riguarda l’escavazione dei mi­nerali di rame ricorderemo, ad esempio, i lavori intrapresi in passato nella zona di Monterufoli, sul Rio Sancherino, a Libbiano, a Micciano e soprattutto, anche per­ché probabilmente si tratta delle più an­tiche ricerche documentate, alla Serra al­la Corte presso Sant’lppolito. Tuttavia di quest’ultimo giacimento cuprifero, ben­ché verosimilmente sia stato il primo ad essere sfruttato nel territorio di Pomaran­ce, non si hanno paradossalmente che in­formazioni assai scarse, di gran lunga in­feriori a quelle, del resto mai abbondan­ti, relative alle altre miniere della zona; an­zi le notizie finora edite sulle miniere del­la Corte sono così sintetiche e la povertà di documenti pubblicati in merito è tale, che queste antiche escavazioni rischia­no oggi di essere completamente dimen­ticate. A riprova di ciò possiamo citare il caso di un recentissimo volume dedica­to ai minerali ed alle miniere della Val di Cecina (1) (una pubblicazione importan­te perché prima ed unica su questo tema): ebbene in essa sono elencate con una certa dovizia di particolari tutte quelle at­tività e ricerche minerarie succedutesi nel corso del tempo nel bacino della Cecina che hanno ottenuto un sia pur minimo ri­sultato; tuttavia la zona della Serra alla Corte viene completamente trascurata. Ma incomprensibilmente ed ingiustamen­te. Vediamo perché.

Ubicazione delle antiche Miniere di Rame della Corte.

Il podere Corte presso Montecerboli, un tempo appartenente alla Fattoria di S. Ip­polito della famiglia Bicocchi ed oggi pro­prietà del Sig. Gino Cavicchioli, vanta no­bili origini; furono infatti i Medici a farlo costruire alla fine del Quattrocento sulla pendice del Poggio Carnevale che guar­da la Valle del Secolo per farne residen­za e rifugio e “per avere maggiore liber­tà e sicurezza’’ allorché si recavano a fre­quentare le acque del Bagno a Morba (2). A quanto risulta nella zona di Montecer­boli l’estrazione dei minerali era già atti­va almeno fin dal 1395; legata quasi esclusivamente all’escavazione del ve­triolo e dell’allume ed allo sfruttamento dello zolfo prodottosi intorno ai lagoni, es­sa era localizzata soprattutto nel versan­te prospicente il T. Possera (3). Sembra anche che nella zona della Corte i Medi­ci facessero eseguire saggi e tentativi d’escavazione di rame già nel corso del Tre­cento; tuttavia le prime testimonianze a stampa di storici e geografi non sembra­no tenerne conto: Leandro ALBERTI nel 1550 si limita a menzionare appena la col­locazione topografica di Montecerboli (4) e altrettanto farà nel 1613 (e come vedre­mo senza alcuna giustificazione) Mario GIOVANNELLI che si ridurrà a ricopiare semplicemente il passo dell’Alberti (5). In realtà il primo documento che informa esaurientemente sulle potenzialità mine­rarie della zona in esame e sui primi la­vori praticativi, risulta essere una lettera datata 1558 inviata da tale Alessandro CI­NI al Granduca Cosimo I dé Medici per comunicargli la scoperta di un giacimento di rame “presso Casa alla Corte’’. Da questa relazione, di cui si conserva co­pia presso la Biblioteca Guarnacci di Vol­terra (6), si apprende che all’inizio ven­nero rinvenuti “…in pietra nera detta Gab­bro certi filoncini di Marchassita di Rame finissima che durò tre braccia per in giù …” e tre braccia oltre si incontrò “ceneraccio bianco involtovi dentro pezzi grandi di Rame puro’’. Da quanto si apprende lo scavo iniziò dapprima con un fosso che venne affondato nel monte per diciassette braccia; ma il lavoro si mostrò assai pre­sto pericoloso per la cedevolezza delle ar­mature. Pertanto “essendo massime il Monte mineralissimo e perché le spese fatte non fussino col tempo buttate via”, si fece ricorso all’escavazione di due poz­zi “…l’uno per soccorso dell’altro in ca­so che si trovassi acqua (…) e si andaro­no murando man mano che si affondava­no e larghi di diametro sei braccia e di­scosti l’uno dall’altro diciotto braccia. Messi una bocca di pozzo nel fosso, den­tro si trovò el rame e visi fece un palco di panconi di quercia per tirare con li ar­gani coperto con tetto e si seguitò a tro­vare rame per in giù venti braccia”. Con l’aumentare della profondità furono dira­mate a vari piani delle gallerie per segui­re o rintracciare le vene di minerale e “…si sfondò il giorno con una di dette ca­ve per dare esito all’acqua”. Al termine di questi lavori il pozzo più profondo mi­surava 88 braccia e 100 braccia la galle­ria più lunga ed i risultati si erano dimo­strati talmente incoraggianti che CINI con­cludeva: “Si può dire sia cerco quasi niente massime essendosi ito trovando sempre Rame, vena Marcassita, Antimo­nio et altri segni minerali che danno cer­tezza d’esser questo Monte ricco di que­sto puro metallo”. Ma le speranze alimen­tate da questa prima scoperta non si sa­rebbero poi concretizzate in alcuna atti­vità mineraria degna di un pur minimo ri­lievo; basti dire che nel 1580, ovvero ap­pena venti anni dopo la scoperta del gia­cimento della Corte, il capitano Giovanni RONDINELLI, compilando una relazione sul territorio volterrano, a proposito di Montecerboli è assai laconico “…ha 25 fuochi poverissimi, ha i lagoni con due ba­gni, con una miniera di rame e di vetrio­lo” (7). Alla fine del Cinquecento ogni at­tività estrattiva nella zona doveva essere interamente cessata poiché il BALCON­CINI trattando, tra l’altro, dei lagoni di Montecerboli, annota: “Anche in vari siti dei monti esistenti presso le dette lacu­ne è stato trovato il rame ed il piombo; non vi sono però miniere, ma strati super­ficiali di questi metalli, poiché sotto ter­ra, come ci ha insegnato l’esperienza, non è stato trovato niente” (8). Alla metà del XVII secolo, poi, i tentativi di coltiva­zione mineraria intrapresi cent’anni pri­ma erano divenuti addirittura uno sbiadi­to ricordo, affidato soltanto alle vestigia ed alle tracce riscontrabili sul terreno; così infatti scrive il Provveditore Raffaello MAFFEI: “Sono ancora le cave del Rame vicino al Castello di Monte Cerbero, et ai lagoni grandi dei quali ho fatto menzio­ne, et il luogo si dice le Maltagliate. Quivi oltre alla bocca della cava si vedono di­versi pozzi per l’esito dell’aria, onde si co­nosce essere state per lungo tempo eser­citate, et a ’ nostri tempi hanno qué pae­sani trovati sotto terra grossi pani di ra­me lavorato, et uno tra gl’altri ne vederono più di venti scudi” (9).­

Il completo abbandono di ogni attività connessa all’escavazione del rame nei pressi della Corte proseguì anche per tut­to il XVIII secolo, tanto che Antonio VIVIANl redigendo un rapporto sullo stato del territorio volterrano, non trovò di meglio, trattando di Montecerboli, che riportare fedelmente il breve passo di Rondinelli sopra menzionato (avendo però cura di ridurre il numero dei fuochi da 25 a 20, (10) mentre il TARGIONI TOZZETTI, che ebbe modo di visitare la zona, potè de­scrivere dettagliatamente i pochi resti os­servabili, traendo tuttavia conclusioni fa­vorevoli per il ripristino e lo sviluppo del­le ricerche in quell’area: ‘‘…per la strada che da Serrazzano conduce a Montecer­boli, dentro ai massi sono scavati a per­pendicolo due larghissimi e profondissi­mi pozzi cilindrici, murati ottimamente e benissimo conservati (…). Nelle pareti si vedono buche, o usciolini, che verosimil­mente introducevano nei cunicoli laterali (…). È fama che da questi luoghi si cavas­se vena di rame (…) e dicono che questo rame si fondeva in queste vicinanze (…). La spesa che è stata necessaria per sca­vare e murare questi due bellissimi Poz­zi, fa conoscere che la miniera dava gran guadagno. Crederei che il ritrovarla va­lesse bene il prezzo dell’opera, benché stante la faccia piana del monte difficil­mente vi si potrebbe lavorare a cava aper­ta come a Caporciano (…). Nelle vicinan­ze non so come si stese bene a acqua ne­cessaria per gli Edifizi; solo si abbonde­rebbe di carbone. Farebbe però di mestie­ri fabbricare di pianta gli Edifizi, i Forni, ed anche le abitazioni per gli Operai, giac­ché non vi è altro che quella Casa da Con­tadino, per quello che io sappia” (11). Tut­tavia questi consigli del Targioni Tozzetti rimasero totalmente inascoltati e le ri­cerche in quest’area del territorio volter­rano, a differenza di quanto stava acca­dendo in altre zone del Granducato di To­scana (in cui si susseguivano intense in­dagini e tentativi di escavazione assai ben visti e stimolati dai Lorena) (12), furono assolutamente nulle per tutto il Settecen­to. Ciò nonostante la rinascita dell’attivi­tà mineraria toscana, iniziata e sviluppa­tasi nel periodo delle riforme lorenesi, an­dò poi propagandosi anche al territorio volterano dove raggiunse il suo culmine nel periodo che va dal 1850 al 1890. Di questi primi vivi fermenti e delle rinnova­te e febbrili ricerche si possono menzio­nare anche alcuni eventi importanti: nel 1827 Luigi Porte riattivò decisamente, con ben fondati e sicuri criteri industriali, la mi­niera di Montecatini Val di Cecina e nel 1833 fu riaperta anche la miniera di Montecastelli; nel frattempo si susseguivano gli studi e le prospezioni dei geologi (Sa­vi, Pilla, Cocquand, Caillaux, Meneghini, Lotti ecc.) nell’intento di accertare la pre­senza di giacimenti economicamente col­tivabili e si accentuava sempre più l’inte­resse di industriali e possidenti italiani e stranieri a investire capitali in questo ge­nere di attività che, a quanto facevano in­tuire le relazioni tecniche dei geologi e de­gli ingegneri, sembrava prospettare otti­mi affari.

Nel 1851 la miniera di S. Ippolito risulta­va già attiva (13); ma è a partire dal 1857 che vi vennero intrapresi i più importanti lavori di esplorazione e di sviluppo. Da al­cuni documenti (14) risulta infatti che con atto del 30 maggio 1857 registrato a Li­vorno il 16 giugno dello stesso anno, fu venduto al Sig. Emilio Fontani “… il dirit­to perpetuo di escavare minerali fossili et …in tutte le estensioni di terreno posse­duto da Michele Bicocchi e quali e quan­ti costituiscono la Fattoria di S. Ippolito”. Fu pertanto fondata una Società in acco­mandita per azioni che prese il nome di “Impresa Marmifera e Carbonifera E. FONTANI & C.” e che si costituì con un capitale sociale di 900.000 lire toscane di­viso in 900 azioni.

La Società iniziò intorno al 1860 l’escavazione del marmo e della lignite, impian­tò una fabbrica di bottiglie e prolungò la propria attività fino al 1900 (come si de­sume da un ultimo bilancio in data 1 gen­naio 1901), dopodiché tutti i diritti sul sot­tosuolo furono restituiti ai Bicocchi.

Per quanto riguarda l’escavazione del ra­me, ricostruire l’andamento cronologico dei lavori condotti in questo periodo risul­ta assai difficile per la scarsità dei dati di­sponibili. Certo è che, però, nel 1874, a quanto riporta JERVIS, i lavori “… pres­so S. Ippolito, ove si fecero delle ricerche per rame molti anni fa in un giacimento di serpentino…” erano fermi ‘‘atteso pen­denze giudiciali” (15).

Comunque, per gli anni seguenti, alcuni dati, in verità assai scarni, permettono di delineare l’andamento delle operazioni di ricerca e di estrazione (16):

1882: ‘‘Il signor Emilio Fontani ha conti­nuato i lavori di Sant’lppolito (…). Queste esplorazioni sono imprese da parecchi anni con la speranza di trovare una mi­niera di rame in quella formazione serpentinosa, ove esistono lavori antichi”; 1883: si elencano varie ricerche che ‘‘tranne quella di Sant’lppolito” dettero ‘‘qualche prodotto comunque ne sia po­co importante la qualità”;

1886: ‘‘…nulla fu la produzione delle esplorazioni di S. Ippolito”;

1887: si curò soltanto il mantenimento dei lavori;

1888: è annoverata in esercizio;

1889: figura nel prospetto delle miniere non produttive.

Se non siamo in grado di ricostruire esat­tamente la progressione cronologica delle operazioni condotte in quegli anni è pe­rò possibile conoscere con una certa pre­cisione quali e di quale entità furono i la­vori svolti. Infatti in Palazzo Bicocchi a Po­marance (oggi di proprietà del Comune) si conserva, tra gli altri documenti appar­tenuti ai vecchi proprietari, la copia ma­noscritta di una relazione inedita dal tito­lo Giacimenti di rame di S. Ippolito (To­scana) (17). Il documento, costituito da un fascicolo di 15 pagine formato protocol­lo, figura redatto da tale Ing. CHAUSSEL e risulta ultimato a Saint Etienne in data 27 febbraio 1900.

Podere “La Corte”.

Si tratta, a quanto si evince dal testo, di un’accurata perizia tecnica commissiona­ta per appurare se sussistessero le con­dizioni sufficienti per la prosecuzione e/o l’eventuale ampliamento di quelle ricer­che risultate fino ad allora sfavorevoli. La relazione inizia descrivendo la situa­zione topografica della zona di S. Ippolito e le sue caratteristiche geologiche, per passare poi ad esaminare in dettaglio i va­ri lavori eseguiti “…in due regioni che si distinguono col nome di Antica Miniera e Nuova Miniera”. Di quest’ultima tuttavia non tratteremo sia perché la sua ubica­zione (Acquarella, presso Montecerboli) esula dai limiti della zona della Corte, sia perché i lavori svoltivi, per quanto di una certa entità, risalgono tutti alla fine del se­colo scorso.

Per quanto riguarda l’ANTICA MINIERA, Chaussel distingue quattro pozzi fatti sca­vare dai Medici nei dintorni del Podere della Corte: “… due pozzi gemelli nel luo­go chiamato PIANO DELLE CAVE, non lungi dal Podere della Corte; un pozzo nel posto detto FONTE AL FAME si chiama PESCINA DEL FUOCO a cagione di una esplosione di gas. Uno chiamato DELLA MONNA, dal nome del podere dello stes­so nome situato più a Nord. Questi quat­tro pozzi sono stati scavati e rivestiti in muratura sullo stesso modello”. Gli ulti­mi due pozzi risultarono inaccessibili per­ché pieni d’acqua, mentre “… i due pri­mi, quelli della Corte avevano 51 m. di profondità. Sono stati svuotati per mez­zo di una galleria di scolo e sono stati tro­vati rivestiti di muratura dall’alto in bas­so con tutta cura; gl’ingressi delle galle­rie, a quattro livelli differenti sono a volta ogiva in mattoni. Il diametro dei pozzi è di m. 3.80”.

Come per Targioni Tozzetti così anche per Chaussel “…le operazioni metallur­giche si eseguivano sul luogo stesso per­ché vi si sono ritrovate delle scorie”.

Le prime operazioni intraprese da Fontani portarono al prosciugamento dei due poz­zi, ma non permisero l’esplorazione dei diversi piani; fu riparata soltanto qualche galleria e si rinvenne “una certa quanti­tà di rame piritico”, ma non fu messa “…parlando giustamente, la mano sulla parte produttiva del filone”.

La galleria di scolo fatta scavare da Fon­tani misurava 289 m., ma tale lunghezza era insufficiente, secondo Chaussel, a rin­tracciare il filone coltivato dagli antichi la­vori, che, presumibilmente, si trovava “al di là degli antichi pozzi”. La galleria di scolo è ancora oggi in ottimo stato di con­servazione ed il suo ingresso è ben visi­bile sul margine sinistro del Bottello del­la Guardiola, un piccolissimo affluente del Secolo; nelle immediate vicinanze fu po­sto l’ingresso della Galleria di S. Miche­le, vhe venne collegata con uno dei pozzi. Dall’attenta osservazione degli antichi la­vori anche Chaussel trasse la convinzio­ne che vi si dovesse essere estratta una “…una discreta quantità di minerale poi­ché i quattro piani sembra presentino una rete importante di gallerie”. Proprio per questo motivo Fontani concentrò i propri sforzi di preferenza sui pozzi antichi, che, oltretutto, “gli era facile prosciugare con gallerie, a cagione della loro posizione elevata”.

Complessivamente vennero scavati circa 1000 m. di gallerie, di cui 425 m. attorno ai due pozzi antichi e 375 m. con attac­chi dall’esterno. Tuttavia, nonostante tutta questa serie di tentativi e di ricerche i ri­sultati non furono confortanti, tanto che – scrive Chaussel – “…nessun luogo ha mostrato, malgrado molte spese, un filo­ne ben distinto del quale si possa misu­rare lo spessore e giudicare la ricchez­za”. Proprio per questo, secondo Chaus­sel, si sarebbe resa necessaria una se­rie di ricerche metodiche e ben ordinate anche perché sarebbe stata senza dub­bio coronata “con moltissime probabilità da successo”.

Dei lavori fatti intraprendere da Fontani all’esterno della miniera esistono ancora oggi i resti degli edifici fatti costruire “…fra gli antichi pozzi e la galleria di scolo, so­pra una spianata molto ben esposta”, per alloggiarvi gli operai e per stabilirvi un uf­ficio, la direzione ed i magazzini.

Per quanto riguarda infine l’escavazione di nuove gallerie, oltre alle già menziona­te, è da ricordare quella detta DELL’AC­QUA CALDA, situata ad est della galle­ria di scolo, sulla sponda destra del T. Se­colo, ma il cui ingresso franò dopo poco tempo. All’incirca nel 1907 il liquidatore della So­cietà Aw. Raffaele Tuccimei effettuò un’i­spezione alla miniera che trovò comple­tamente abbandonata; in quell’occasio­ne egli compilò un detagliato e prezioso rapporto in cui descrisse minuziosamen­te lo stato attuale della miniera (lunghez­za e direzione di ogni galleria, mineraliz­zazioni e rocce incontrate durante le ope­razioni di scavo ecc.), facendo soprattut­to riferimento alle ricerche svolte negli an­ni 1885 – 1888 e fornendo così un’esatta “fotografia” dello sviluppo definitivo rag­giunto dai lavori. (18)

Da quel periodo in poi è infatti cessata ogni escavazione di rame nei dintorni del­la Corte, anche se successivamente vi si sono susseguite, pur in modo saltuario, ricerche e prospezioni di vario genere in­tese ad accertare con metodi sempre più raffinati la presenza nella zona di concen­trazioni utili di minerale. Tra queste ricer­che ricorderemo, ad esempio, quelle mol­to recenti condotte dalle Società Montecatini Edison (poi Solmine) e RIMIN nel­le aree di S. Michele e del T. Secolo du­rante il periodo 1972 – 1981, con risultati che, a quanto sembra, inducono (per la concentrazione estremamente dispersa e caoticamente diffusa di mineralizzazioni comunque di tenore medio-basso e di scarsa entità) ad accantonare ogni spe­ranza di rinvenire un giacimento tale da risultare oggi economicamente sfrutta­bile.

Esterno Galleria di Scolo.

Come abbiamo detto, nella zona della Corte si possono ancora osservare uno dei pozzi (magnificamente conservato) e la galleria di scolo (parzialmente allaga­ta) oltre ai resti degli edifici di servizio e a tutta una serie di tracce di pozzetti, trin­cee e gallerie che ben testimoniano l’in­tensità delle ricerche che, sulla scia delle grandi speranze alimentate dall’abbon­dante presenza d’indizi apparentemente favorevoli e confortate dall’avallo delle pe­rizie tecniche, vennero svolte anche in quest’area; speranze che però, come ac­cadde pressoché ovunque nei giacimen­ti cupriferi associati alle ofioliti delle Col­line Metallifere, andarono quasi sempre deluse, conducendo alla forzata e pro­gressiva cessazione dell’attività minera­ria legata all’estrazione del rame.

Ciò nonostante, di tutte queste vicende, di tutta questa storia “minore” del terri­torio volterrano, non rimangono oggi che poche vestigia, scarsi resti isolati ormai prossimi a scomparire, testimoni silenzio­si e schivi di entusiasmi, di delusioni, di fallimenti, pallidi ricordi affidati alla me­moria di pochi (19).

Angelo Marrucci

Galleria di Scolo.
Interno Galleria “a volta ogiva’.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

  1. R. NANNONI, M. CAPPERI, Miniere e minerali della Val di Cecina, Ceci­na Gruppo Mineralogico Cecinese, 1988.
  2. S. ISOLANI, L’Abbazia di Monteverdi e la Madonna del Frassine in Val di Cornia, Castelfiorentino, Tip. Giovannelli, 1937, p. 161.
  3. M. BOCCI, Curiosità storico minera­rie del circondario di Volterra, VOL­TERRA, anno VI, n. 12, dicembre 1969, pp. 20 – 22.
  4. L. ALBERTI, Descrittione di tutta Ita­lia, in Bologna, per Anseimo Giaccarelli, 1550, c. 50 r.
  5. M. GIOVANNELLI, Cronistoria dell’Antichità e Nobiltà di Volterra, Pisa, Fon­tani, 1613, p. 60.
  6. B. G.V.,Ms. 5706, filza 41 b, doc. 15, Lettera d’Alessandro Cini sulla cava del Rame della Casa alla Corte nel Comune di Montecerboli.
  7. B. G. V., Ms. 8467, Descrizione del­l’antica e nobile città di Volterra fatta da Giovanni Rondinelli capitano l’an­no 1580, c. 5.
  8. L. Falconcini, Storia dell’antichissima città di Volterra, Volterra, Sborgi, 1876, p. 557.
  9. B. G. V., Ms. 5819, R. MAFFEI, Discor­so sopra i residui d’antichità di Volter­ra. Bagni e acque termali. Saline e ac­que salse. Minerali, c. 12 r.
  10. B. G. V., Ms. 9343, A. VIVIANI Bre­ve ragionamento sopra lo stato Anti­co, Moderno ed Economico della Cit­tà di Volterra p. 17.
  11. G. TARGIONI TOZZETTI, Relazione d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, 2 ed. Firenze, Stam­peria Granducale, 1769 – 74, t. Ili, pp.
  12. 387 – 389. G. MORI, L’estrazione dei minerali nel Granducato di Toscana durante il periodo di riforme (1737 -1790), in Studi di storia dell’industria, 2 ed. Ro­ma, Editori Riuniti, 1976, pp. 83 – 141.
  13. Rapporto generale della Pubblica Esposizione dei prodotti naturali e in­dustriali della Toscana fatta in Firen­ze nel 1850, Firenze, Tip. della Ca­sa di Correzione, 1851, p. 65.
  14. Corpo delle Miniere, Distretto di Fi­renze, Permessi e Concessioni, Pro­vincia di Pisa, Fase. Ili 22, Miniera di lignite e rame – S. Ippolito.
  15. G. JERVIS, I tesori sotterranei d’Ita­lia, Torino, Loescher, 1874, tomo II, p. 425.
  16. CORPO DELLE MINIERE, Relazio­ne sul servizio minerario, anni 1880 – 1983.
  17. Desidero ringraziare il sindaco di Po­marance Prof. Renato Frosali e l’Arch. Florestano Bargelli per aver­mi cortesemente consentito di con­sultare il documento e, non ultimo, l’amico Jader Spinelli per avermene dato notizia.
  18. cfr. nota 14.
  19. Un ringraziamento particolare al Sig. Gino Cavicchioli, proprietario del Po­dere della Corte, per l’ineguagliabi­le cortesia e la sicura competenza con cui ha fornito indispensabili in­dicazioni.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

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