a cura del Dott. Angelo Marrucci
“Situata in cima d’un alto ed orrido monte, in mezzo ad immense boscaglie’’ (1), la villa di Monterufoli domina in completa solitudine uno degli ambienti naturali più selvaggi, intatti e suggestivi del volterrano.
Nota soprattutto perché legata alla presenza dei celeberrimi calcedoni, la zona di Monterufoli vanta tuttavia, fra i suoi numerosissimi caratteri d’interesse naturalistico, una diffusione di mineralizzazioni cuprifere così ampia da divenire, specialmente durante il secolo scorso, oggetto di capillari indagini gelogiche e teatro di ripetuti tentativi di sfruttamento minerario. La struttura geologica dell’area, caratterizzata infatti da una spessa ed estesa coltre di terreni alloctoni costituiti per lo più da argille e calcari palombini, da vari membri della Formazione di Lanciala e, soprattutto, da enormi ammassi di rocce ofiolitiche (per lo più in facies di serpentiniti), spiega facilmente, assieme alla stretta contiguità col campo geotermico di Lar- derello (e quindi coi fenomeni idrotermali in esso attivi), la presenza di questo particolare tipo di depositi minerari.
Circa il loro primitivo sfruttamento non esiste finora alcun tipo di documento, motivo per cui si possono soltanto avanzare delle ipotesi che, per quanto attendibili, restano tuttora in attesa di conferma. Secondo Fiumi infatti in epoca protostorica, etrusca e romana “…rame si estraeva ancora dai filoni, non molto persistenti ma ricchi di minerale in superficie, di Montecastelli, Monterufoli e Micciano in Val di Cecina.’’ (2). Anche se finora non sono mai stati rinvenuti reperti che possano far pensare alla presenza di stazioni preistoriche o etrusche nella zona di Monterufoli, si può tuttavia supporre che eventualmente tali giacimenti possano essere stati sfruttati da comunità stanziate nel territorio di Pomarance, di Lustignano o di Rocca Sillana: tutte località da cui provengono suppellettili e sicure testimonianze di carattere archeologico (3).
A differenza inoltre della vicina miniera di Montecatini Val di Cecina (per la quale si conoscono abbastanza bene le vicende dello sfruttamento minerario preottocentesco) e contrariamente ad alcune aree minerarie limitrofe, per quanto riguarda la zona di Monterufoli, se si esclude l’escavazione dei calcedoni iniziata alla metà del XVI secolo, non esistono testimonianze di alcun genere che attestino per questo specifico territorio l’esistenza di una qualsiasi attività estrattiva di minerali di rame dal Medioevo all’ottocento (4). Proprio per tale motivo, per tentare di ricostrure anche per sommi capi la storia mineraria di questa terra, non si può prescindere da un esame accurato delle rare relazioni minerarie ottocentesche, nonché della scarsa documentazione reperibile presso il Distretto del Corpo delle Miniere di Firenze – come pure, soprattutto, dei fondi archivistici conservati presso la Biblioteca Guarnacci di Volterra, dove è infatti depositato l’archivio della famiglia Maffei, proprietaria della Tenuta di Monterufoli fino alla fine dell’Ottocento e per l’interessamento della quale ebbero inizio le prime ricerche minerarie di cui abbiamo notizia per quest’area.
Anche se questa breve ricerca dovrebbe limitarsi a indagare le vicende dello sfruttamento dei depositi cupriferi nel territorio circostante la Fattoria di Monterufoli (e più specificatamente nell’impluvio del Fosso Linari e nei rilievi di Poggio Gabbra, Corno al Bufalo e Poggio di Campora), per costruire un quadro d’insieme più attendibile della topografia storica relativa alle ricerche che hanno interessato questa regione poco conosciuta, è assolutamente necessario prendere contemporaneamente in considerazione anche la contigua zona di Libbiano che con l’area in esame forma, sia per costituzione geologica che per caratteri geografici e morfologici, un territorio assai omogeneo ed uniforme che conviene quindi analizzare nella sua globalità. Prima però di affrontare più in dettaglio questo tema, è indispensabile dare uno sguardo all’oggetto privilegiato di tutta questa storia: le mineralizzazioni cuprifere, la loro origine e la loro distribuzione in questa ristretta zona delle Colline Metallifere: ciò permetterà di comprendere meglio la logica che ha orientato le ricerche succedutesi nel corso del tempo e l’ubicazione di saggi e miniere nella vasta coltre ofiolitica di Monterufoli. È noto infatti che dal punto di vista giacimentologico, le zone che risultano più frequentemente sede di mineralizzazioni cuprifere (per 10 più a calcopirite e pirite) nelle ofioliti (e che quindi sono state ripetutamente ricercate e investigate con grande attenzione) si trovano:
- al contatto tra le ofioliti e le adiacenti formazioni della coltre alloctona
- al contatto tra i diversi membri della serie ofiolitica
- in zone di faglia nelle ofioliti
Circa l’origine della mineralizzazione cuprifera nelle ofioliti essa oggi viene unanimemente considerata primaria di tipo vulcanosedimentario e sviluppata durante il Giurese in zone di apertura oceanica: si tratta, molto schematicamente, di un fenomeno tuttora in atto in prossimità delle dorsali mediooceaniche, ovvero dell’azione esercitata dal moto convettivo dell’acqua marina che circolando surriscaldata nelle fratture della crosta oceanica rende possibile l’accumulo per precipitazione di alcuni tipi di depositi minerari (per lo più a solfuri e ferromanganesiferi). Accade infatti che l’acqua salata, discesa fino a grande profondità attraverso le fratture presenti nella crosta oceanica e riscaldatasi sempre più a causa della temperatura molto elevata connessa alla prossimità e al contatto dei fluidi magmatici provenienti dal mantello, diviene chimicamente aggressiva provocando così la lisciviazione dei metalli pesanti contenuti nelle formazioni rocciose più profonde, il loro trasporto ascensionale in soluzione e, finalmente, la loro rideposizione sul fondo dell’oceano, dove i minerali, concentrandosi progressivamente per precipitazione, possono dare origine a giacimenti e corpi minerari anche di notevole interesse (5). Su questa mineralizzazione primaria sarebbero poi intervenuti fenomeni di minerogenesi secondaria di alterazione, mobilizzazione e arricchimento legati all’attività idrotermale miopliocenica connessa all’Evento Appeninico che avrebbero conferito ai depositi le loro caratteristiche attuali (6).
In generale, le mineralizzaioni cuprifere più consistenti si rinvengono sotto forma di filoni impastati, ovvero spaccature riempite di pezzi di rocce verdi e di minerali cupriferi immersi in una pasta steatitosa (una giacitura questa che ben testimonia le violente azioni meccaniche alla quali sono state sottoposte le ofioliti durante la loro messa in posto), e nell’aspetto di filoni iniettati, ossia vene e filoncelli cupriferi che si insinuano nelle rocce ofiolitiche talora impregnandole diffusamente.
Quanto ai minerali che vi si rinvengono si tratta per lo più di calcopirite (o “rame giallo”, di colore giallo ottone, iridescente sulle superfici da tempo esposte all’aria), erubescite o bornite (o “rame paonazzo”, di colore bronzeo, passante al rosso rame nelle fratture fresche e iridescente in quelle esposte all’aria), calcosina o calcocite (o “rame grigio”, di colore grigio scuro) e pirite, ai quali si accompagnano azzurrite, crisocolla (assai frequente e ben riconoscibile per il bel colore verdeazzurro), cuprite e, raramente, rame nativo. La diffusa presenza di mineralizzazioni di rame nella vasta coltre ofiolitica che interessa alcune aree della Toscana è, come accennato, ben conosciuta da tempo e fin da epoche assai remote è stata oggetto di alacri ricerche e di più o meno fortunati tentativi di sfruttamento.
Il periodo
delle maggiori ricerche e delle più
estese coltivazioni si dispiegò comunque fra il 1830 e il 1910 raggiungendo il massimo sviluppo negli anni compresi fra il 1850 e il 1890. A testimonianza di questo febbrile interesse stanno, ad esempio, gli importanti lavori pionieristici di Savi, Caillaux e Perazzi che, sia pure con ovvi limiti, intesero studiare specificatamente la geologia, la petrografia e la giacimentologia generale degli ammassi ofiolitici toscani al fine di valutarne l’effettiva potenzialità mineraria in relazione ai depositi cupriferi in essi inclusi (7); tuttavia, nonostante che a Monterufoli affiori una delle più estese coltri ofiolitiche della Toscana, in questi pur importanti studi non si trova alcun cenno ai giacimenti della zona. A differenza di altri analoghi depositi minerari esistenti nelle vicinanze (Montecatini Val di Cecina, Montecastelli, S.lppolito- Serra alla Corte), le mineralizzazioni cuprifere dell’area di Monterufoli risultano difatti praticamente sconosciute fino alla metà dell’ottocento, quando, cioè, più specifiche, capillari e metodiche si fecero le indagini in tutti gli affioramenti ofiolitici della regione per rilevarne le potenzialità sfruttabili; prima di questo periodo, pertanto, nessun autore vi fa cenno: le relazioni seicentesche sulle produzioni naturali del territorio, ad esempio, le ignorano completamente (8) e anche Targioni Tozzetti che visitò la zona alla metà del Settecento descrivendone a lungo e meticolosamente i calcedoni e i loro affioramenti, si limitò soltanto a citare una “certa miniera di Ferro che si trova presso il Castello di Micciano e altresì certa Terra da far Ferro del medesimo luogo’’, annotando inoltre che nel medesimo monte di Micciano “verosimilmente sono delle vene di rame’’ (9). Per quanto riguarda invece Libbiano, il naturalista ravvisò evidenti analogie geologiche con Caporciano deducendovi pertanto la probabile presenza di vene di rame (10), ma ignorò completamente questa eventuale risorsa nella contigua zona di Monterufoli.
Tuttavia, anche se le conoscenze geologiche non erano certo sufficienti per una rapida ed economica prima valutazione delle potenzialità economiche offerte da ogni località con indizi mineralizzati e se pure risultava realmente impossibile valutare le zone caratterizzate da una copertura sedimentaria anche limitata di altri membri alloctoni (a meno di lunghi e onerosi scavi localizzati a caso), è certo che nel periodo compreso fra il 1850 e il primo decennio del Novecento si assiste anche nell’area di Monterufoli a un attento lavoro di rilevamento sistematico con buona valutazione delle possibilità reali e con scelta appropriata finale delle località migliori (11). Anche dal punto di vista storico le prime notizie certe di importanti ricerche di rame intraprese nell’area in oggetto risalgono al 1850 e si riferiscono alle località di Libbiano e di Monterufoli (12). I lavori di effettiva coltivazione mineraria, comunque, raggiunsero il massimo sviluppo e la maggiore estensione nel periodo 18541865, per poi declinare progressivamente, tra stagnazioni, delusioni e abbandoni, fino al 1907, anno in cui l’attività mineraria in questa zona risulta completamente cessata (13). Le ricerche nella zona ripresero poi attivamente nel periodo compreso fra il 1926 e il 1942, quando cioè le impellenti necessità metallurgiche dettate dall’autarchia economica e dall’economia di guerra imposero di riconsiderare a fondo tutte le aree italiane in cui si fossero già svolte ricerche o attività minerarie o in cui comparissero anche soltanto indizi e tracce di mineralizzazioni cuprifere; tuttavia anche questi nuovi tentativi, condotti peraltro con scarsi mezzi e con discutibili approcci metodologici, fallirono, contribuendo così, se non altro, a fugare ogni residua speranza crrca l’eventuale presenza in quest’area di giacimenti economicamente sfruttabili. Al di là infatti della grande diffusione spaziale di mineralizzazioni, tracce e indizi cupriferi di vario genere che vi si riscontra, tutte le ricerche e gli studi qui condotti fino ad oggi hanno quasi sempre portato a localizzare “mineralizzazioni discontinue, con locali concentrazioni distribuite senza regola nelle zona di faglia e nei contatti e sempre d’entità modesta o modestissima’’ (14), individuando, cioè, definitivamente questa zona come un’area ricca di giacimenti poveri o poverissimi in quanto caratterizzata da mineralizzazioni discontinue, scarsamente concentrate, distribuite irregolarmente, di entità assai modesta e a tenore medio o mediobasso.
A questo punto possiamo scendere più in dettaglio e focalizzare l’attenzione su un momento importante: l’inizio delle ricerche e dello sfruttamento dei giacimenti cupriferi in questo territorio. I motivi principali alla base della ripresa ottocentesca delle attività minerarie in quest’area della Toscana sono sinteticamente riconducibili, grosso modo, a tre ordini di fattori:
- un’incipiente industrializzazione in progressivo sviluppo bisognosa di materie prime;
- la vicinanza del polo portuale ed economico di Livorno con la conseguente presenza di nuovi, dinamici ed intraprendenti gruppi imprenditoriali italiani, francesi e inglesi estremamente interessati a finanziare e gestire attività minerarie: un tipo di investimento certo rischioso, ma capace di far realizzare, se iniziato su solide basi scientifiche e su indizi minerari favorevoli, se condotto con grande attenzione ai progressivi sviluppi non disdegnando una certa dose di fortuna, ottimi guadagni;
- l’aperta disponibilità di quasi tutti i proprietari terrieri, finora quasi sempre legati a rendite di tipo agricolo, a concedere permessi di esplorazione e di escavazione nelle loro Tenute a gruppi e società che avrebbero potuto aprire loro nuove fonti di reddito se non di ricchezza, contribuendo inoltre, si auspicava, alla conseguente valorizzazione economica di proprietà e terreni talora del tutto improduttivi.
In Val di Cecina l’impulso più potente impresso a questa “svolta” imprenditoriale da parte di molti proprietari terrieri fu rappresentato senza dubbio dai successi economici che coronarono l’idea di Francesco de Lardarel di investire capitali nell’estrazione dell’acido borico dai lagoni e che, soprattutto, suggellarono la riattivazione della miniera di rame di Montecatini Val di Cecina da parte di Luigi Porte nel 1827, dando l’avvio a un’attività estrattiva destinata a culminare nel giro di pochi anni in una delle miniere più importanti d’Europa.
Fu così che molti proprietari furono spinti a sollecitare, nel caso del rame, esplorazioni e ricerche nei propri possedimenti, ovunque affiorassero terreni ofiolitici o si ravvisassero i minimi indizi di mineralizzazioni cuprifere; furono anni di febbrili ricerche, che permisero, quale che fosse il loro esito, di scandagliare a fondo tutti i terreni interessati dalle ofioliti, valutandone con buona approssimazione le reali potenzialià minerarie. Per quanto riguarda la Tenuta di Monterufoli sappiamo che già dai primi mesi del 1846 i Maffei erano intenzionati a dar luogo a ricerche minerarie nel loro possedimento: ne è testimone una lettera, datata 14 aprile 1846 in cui Giovan Battista Cairoli offre a Giulio Maffei i propri servigi di esperto contabile essendo venuto a conoscenza della “intrapresa che V.S.III.ma va ad eseguire nei di Lei possessi di Monte Rufoli, della escavazione del Minerale Argentifero’’ (15). Nel frattempo, anche nelle tenute circostanti si firmavano accordi e concessioni: il 17 aprile 1846, ad esempio, fu stipulato un contratto fra l’impresa del livornese Enrico Coioli e il Conte Beltrami che autorizzava le ricerche e le escavazioni nei suoi possessi di Serrazzano (16). Durante tutto il resto del 1846 i Maffei ricevettero numerose richieste, ma verosimilmente la famiglia rimase in attesa al fine di valutare le migliori proposte e le condizioni più convenienti; il 26 settembre dello stesso anno, ad esempio, è la volta dei fondatori e amministratori della Società per la ricerca e l’escavazione del carbon fossile di Monte Massi e di Monte Bamboli, che, previe le necessarie e approfondite ricognizioni in loco, richiedono a Giulio Maffei il diritto esclusivo di estrarre “qualunque minerale si ritrovasse liquido o non liquido, escludendo solamente, se casi a Lei piacesse, le Calcedonie ed altre pietre delle quali ella è solita cedere all’l. e fì.Governo’’. Nella lettera si prospettano poi precise condizioni: “…Siamo inoltre in dovere di prevenirla, che essendo uso nostro invariabile, di servirci per i lavori interni ed esterni di Gente di Montagna, non prenderessimo, a nessun costo, impegno di impiegare gente del luogo. I generi per la dispensa, come pure il molto legname occorrente, dovrebbero esserle pagati al prezzo corrente reale della località. I terreni, dovrebbero, mediante indennità pel danno reale, prestarsi a tutto; per case, pozzi, gallerie, strade ecc. vorressimo l’uso dell’acque fluenti ecc. ecc. All’incontro come detto sopra, qualunque danno, verrebbe da noi pagato in contante; ella potrebbe servirsi delle strade, ed in caso di esito infelice e di abbandono dell’impresa, le capanne, le fabbriche ecc. rimarrebbero a pieno di Lei vantaggio senza indennità. Ci permetteremo di fare osservare a V.S.I. che in questo genere di operazioni il proprietario del suolo nulla rimette ma bensì guadagna sicuramente, qualunque sia l’esito dell’impresa. Lo speculatore invece molto rischia e rare volte riesce; e siccome nell’opinione nostra qualunque società si cimenti in lavori di miniere con poche centinaie di migliale di lire corre a sua perdita certa e muore sul più bello per mancanza di capitali; così in caso V.S.I. accolga la nostra domanda sarà necessario che ella sia moderata nelle sue pretensioni, che conceda a noi tutto il comodo di diligentemente fare esplorare i Terreni da uno o più pratici e dopo l’esplorazione, il tempo necessario per organizzare prontamente una società seria…” (17).
A questa interessante e articolta proposta seguiva, tra le altre, quella di Angiolo Ambrosi di Livorno che, in data 16 novembre 1846, chiedeva ai Maffei se erano “intenzionati di entrare in trattative (a condizioni discrete) per i Terreni Metalliferi che posseggono giacché potrebbe essere propizia la presenza a Pomarance del Sig. Gaetano Begni (il quale trovasi colà per fare i saggi nei Terreni da noi acquistati dal Sig.Bicocchi) insieme a quello lll.mo Sig. Cav. Console Claudio Binard…” (18).
Il 10 aprile 1847, finalmente, veniva avanzata la prima richiesta da parte del livornese Enrico Coioli: “…Avendo acquistato i Diritti dal Sig. Gio. Beltrami per Serrazzano, Sig. Conte Guidi per Libbiano, Sig. Bardini per Micciano, ed avendo fatto più volte visitare dette località da Uomini di Scienza dietro i rapporti dei quali hawi fondate speranze di felice resultato, e siccome con tutta franchezza le dico presentare Monterufoli detti eguali indizzi quantunque giudicati nel percorrere i confini, così gradirei che la Società che vado a montare in breve per scavare diversi punti dei Terreni e di cui Diritti son già acquistati potesse effettuare dei tentativi nella precitata Sua Tenuta, divenendo così una Impresa importantissima e di molta entità per quei Paesi…’’ (19).
Nei mesi che seguirono l’interesse di Coioli per questo affare si fece sempre più marcato e preciso: “…sta però a Lei fissare l’interesse che crede rimborsarsi sul minerale greggio che sarà estratto. Voglio lusingarmi che Ella vorrà accordare a me la preferenza in vista delle già da me riportate Concessioni dei Diritti dai SS. Beltrami, Guidi, Bardini ecc., cosa vantaggiosissima anche per il di Lei interesse, poiché in alcuni punti le giaciture ramifere passano da questi e traversano nei di Lei tenimenti… ” (20).
Alla fine del 1847 i Maffei avevano ormai optato per le proposte di Enrico Coioli, che, con una missiva del 17 dicembre, inviò a Giulio Maffei i contratti già stipulati con le famiglie Guidi, Beltrami, Bardini, Pallavicini e Ruggieri “onde possano servire di norma per sceglire fra essi le condizioni che più Le convengono’’ (21).
Per quanto riguarda le località della Tenuta sulle quali sembrò cadere il primitivo interesse dei ricercatori, è di preziosissimo ausilio una lettera del 30 dicembre 1847 del contabile G.B.Cairoli che proponeva come particolarmente idonei alle escavazioni i seguenti luoghi confinari: Gabbrucci, Biancanelle, Poggio Alto e Colle alle Monache (22).
L’accordo con Coioli fu finalmente stipulato il 2 marzo 1848, ma le ricerche, contrariamente ad ogni aspettativa dei Maffei, non ebbero inizio fino al 1854; tuttavia questa situazione assai frustrante non incrinò, almeno inizialmente, i reciproci rapporti, come si rileva assai bene dagli atti relativi al contenzioso sorto più tardi fra i due contraenti per un successivo contratto riguardante la Tenuta di Caselli, di proprietà degli stessi Maffei: “Con atto privato del 2 marzo 1848 i Nobili sigg. Cav. Giulio e Raffaello fratelli Maffei di Volterra, non tanto in nome e per interesse proprio, quanto in nome e per interesse del loro nepote Cav. Niccolò, concessero al sig. Enrico Coioli possidente e negoziante domiciliato a Livorno ivi II diritto di escavare e far suoi tutti i minerali di qualunque specie essi sieno e carbon fossile che esistono o possono esistere sia alla superficie, sia nelle viscere del terreno componente la fattoria o tenuta denominata Monte Bufoli appartenente a detti sigg. cedenti (…) Fra le convenzioni che nel citato atto si stipulavano, vi era ancora questa ivi Dovrà il sig. Coioli o suoi por mano alla esecuzione dei lavori nel tempo e termine di anni due decorrendi da oggi, con dichiarazione che il detto termine spirato, senza che il sig. Coioli abbia posto mano ai detti lavori, s’intenderà esso decaduto, ipso iure et ipso facto, dal diritto di escavazione come sopra cedutogli, senza bisogno d’interpellazione veruna o costituzione in mora.
Dall’anno 1848 nel quale si faceva la concessione del diritto di escavare nella tenuta di Monte Rufoli, si giungeva ai primi del 1854 senza che il sig. Coioli non solo non avesse posto mano ai lavori, ma neppure intrapreso alcuno studio, fatto nessun tentativo. Sebbene in questo stato di cose avrebbero potuto i sigg. Maffei promuovere l’azione che loro competeva e domandare conseguentemente che fosse dichiarato decaduto il sig. Coioli dal diritto di escavare minerali ecc. non dimeno vollero piuttosto con successivo atto privato de’ 25 febbraio 1854 rinnuovare la già fatta concessione della tenuta di beni denominata Monte Rufoli. Al 25 febbraio 1854 dunque, il sig. Coioli ha diritto di escavare e far suoi i minerali che ritrovar si possono in quella parte dei beni Maffei, che è compresa sotto l’appellativo di Monte Rufoli…” (23).
E i lavori ebbero finalmente inizio subito dopo, come testimonia infatti una “Nota dell’opre fatte alla Cava del Rame di Monterufoli” e relativa al periodo 18 marzo – 31 maggio 1854; vi furono impiegati complessivamente 4 operai: Giuseppe Castelli, Domenico Belli, Brizzolo Berni e Domenico Barzotti (24). Ma sull’esatta ubicazione di questa primo saggio non si hanno notizie. Certo è però che nel giugno del 1854 i lavori erano attivi alla Galleria della Fonte al Fico e nel 1856 si erano estesi alla ‘‘Cava del Botro de Linari del Corno al Bufalo” (25) dove si manifestavano gli indizi più importanti e che offriva in assoluto le migliori prospettive. Fu qui infatti che si sviluppò la cosiddetta Miniera del Caggio, la più importante di tutta la zona.
in quest’area le ricerche di Coioli vennero a contatto con quelle condotte dalla Società Mineraria AngloToscana, un’impresa con sede a Livorno, che aveva acquistato i diritti per la zona di Libbiano (soprattutto per la più antica Miniera del Castagno) e per parte dell’alveo del Trossa. A dirigere i lavori di questa società era addirittura l’ing. Giuseppe Meneghini, uno dei maggiori geologi italiani dell’epoca nonché autore di alcune delle pochissime relazioni geologicominerarie pubblicate sulla zona, ben coadiuvato sul posto dall’ing. Lorenzo Chiostri di Pomarance, già responsabile tecnico della miniera della Faggeta presso Miemo (26) e insignito di una menzione onorevole all’Esposizione Internazionale di Londra del 1862 “per la sua carta geologica del distretto di Libbiano e pei campioni che l’accompagnano’’ (27).
Per quanto riguarda gli accordi intercorsi fra i Maffei e il Coioli, sappiamo che ai primi andava l’8°/o sulla quantità di minerale ‘‘estratta a bocca di pozzo”; il minerale ricevuto venivo stoccato nei magazzini della Fattoria di Monterufoli dove, una volta “imbottato”, era pronto ad essere spedito per la vendita (28). A tale proposito una minuta informa di un possibile affare con Guglielmo Miller, rappresentante della Società Mineraria AngloToscana, che prospettò ai Maffei una vendita del loro minerale in Inghilterra al prezzo di “circa 17 lire sterline la tonnellata, ossiano lire 425”, da cui, detratte le spese di spedizione sarebbe risultato un utile netto di lire 77 la tonnellata (29). I lavori presso il Caggio ebbero inizio, come si è detto, nel 1856 e si prolungarono fino al 1865 raggiungendo la massima intensità negli anni 18581862; delle grandi speranze accese in questo periodo fanno fede ad esempio i cataloghi delle varie e frequenti Esposizioni campionarie alle quali erano soliti partecipare massicciamente tutti coloro che avessero intrapreso attività di carattere minerario o che comunque avessero interessi scientifici o economici legati alle risorse naturali e al loro sfruttamento: all’Esposizione Italiana di Firenze del 1861 troviamo presenti Lorenzo Chiostri con una collezione di minerali cupriferi delle miniere di Libbiano, Enrico Coioli con minerali di rame, Emilio Fontani di Livorno (divenuto nel 1857 concessionario esclusivo per le ricerche nell’area di S.IppolitoSerra della Corte, di proprietà della famiglia Bicocchi) con saggi di rame, la Società Anglo-Toscana, rappresentata da Guglielmo Miller, con minerali cupriferi e Niccolò Maffei con una collezione di marmi e alabastri e con una di calcedoni e diaspri (30). Quest’ultimo fu addirittura premiato con una medaglia all’Esposizione londinese del 1862 “per la notabile bellezza della calcedonia da lui recentemente scoperta e per la sua collezione di minerali’’ (31), incentrata, per lo più, su campioni di “rame, ferro, antimonio e carbonfossile” (32), mentre il Coioli ricevette una menzione onorevole “perla sua nuova scoperta di lignite, creduta di qualità superiore del Podernuovo” (33).
Per meglio delineare l’evoluzione e la distribuzione dell’attività mineraria nell’area di Monterufoli è comunque preferibile far ricorso a un’analisi più ravvicinata, considerando cioè le varie località interessate dalle ricerche.
Infatti dal punto di vista topografico, anche se la distribuzione delle manifestazioni interessa tutta l’area in esame, ritrovandosi, ad esempio, “lungo i torrenti Trossa e Secolo ai botri del Confine, di Linari, del Castagno, dello Zuccherino e dei Fichi, alle Capanne, al Corno al Bufalo, al Caggio, a Grotta di Castri e in vari altri siti…’’ (34), per quanto riguarda più in particolare l’ubicazione delle vecchie ricerche e dei più importanti lavori (e quindi delle maggiori mineralizzazioni) si può ricorrere al seguente schema:
ZONA DI LIBBIANO – Si tratta soprattutto della cosiddetta Miniera del Castagno, ubicata nell’impluvio del Botro di S. Barbara, a Sud di M. Alto. Le notizie su questa miniera sono scarsissime: certo è che nel 1850 risultava già attiva (35).
La mineralizzazione era costituita per lo più da vene di calcopirite e d’erubescite che impregnavano un filone di gabbro.
Di proprietà della Società Mineraria Anglo-Toscana (o Anglo-ltalian Mining Company), intorno al 1860 sembrava offrire grandi speranze. Nel fondo della valle fu scavata una lunga galleria da cui furono poi dipartite varie traverse e una discenderia che dava accesso a un secondo piano di avanzamento. Tra i lavori più importanti sono segnalati un pozzo profondo 150 m. e una galleria lunga 900. La miniera risultava ancora attiva nel 1874 (36). Di essa si può osservare oggi l’imbocco di una galleria armata in muratura, sulla sponda destra del Botro di S. Barbara presso la confluenza col T. Trossa; dallo scavo (ostruito da una frana dopo pochi metri) fuoriesce un discreto flusso d’acqua che attraversa l’antistante piazzale di discarica per poi finire nel Trossa. Altri lavori furono eseguiti all’Aia al Cerro (“pozzo Samuele”) e al Poggio di Frontosini dove fu spinta una galleria (37).
ZONA DI MONTERUFOLI – Quella circostante Monterufoli rappresenta senza dubbio l’area in cui si sono maggiormente concentrate le ricerche e i tentativi di coltivazione mineraria in quanto proprio qui compaiono particolarmente numerose e consistenti le mineralizzazioni di rame.
Presso Botticella furono eseguiti ripetutamente saggi e lavori superficiali ma sempre con mediocri risultati. Le mineralizzazioni comprendono qui calcopirite, erubescite e malachite e risultano incluse nelle serpentine. Non vi si riscontrano tracce di escavazioni in sotterraneo, ma solo i resti di un fabbricato.
Al Carbonaione, sul versante NNO di Poggio Montorsi, circa 1 Km. a Nord della Fattoria di Monterufoli, un filone di gabbro incluso nelle serpentine e mineralizzato a pirite e calcopirite fu esplorato da due gallerie con imbocco limitrofo. Una di esse, benché quasi compietamente ostruita è ancora oggi osservabile assieme alla piccola discarica antistante.
Nella stessa zona furono eseguiti poi altri lavori sulle pendici meridionali del Poggio Gabbra e a varie altezze sulla sponda destra dell’Adio rivolti a esplorare il contatto fra le serpentine e l’adiacente flysch alloctono.All’Ortaccio sembra invece che siano stati eseguiti solo scavi esterni e con mediocri risultati. I minerali dominanti risultano essere qui la pirite e la pirrotina (o “pirite magnetica”) con minime tracce di rame.
Alla Fonte al Fico, presso Monterufolino, le ricerche e le escavazioni risultano, come accennato, già attive nel 1854. Qui vennero scavate due gallerie che esplorarono il solito contatto fra gabbro e membri alloctoni adiacenti riscontrando piccoli globuli di calcopirite.
Tracce e mineralizzazioni sono segnalate inoltre presso il Mulino di Campora, presso la Fonte di Malentrata, nel Botro della Chiusa (poco a NE della Fattoria di Monterufoli) e presso il Poggio di Campora (38).
I lavori che tuttavia assunsero indubbiamente il maggior rilievo e il più considerevole sviluppo furono quelli localizzati, come noto, nell’area del Caggio-Fosso Linari. In questa zona infatti furono intrapresi ingenti lavori di ricerca sia da parte della società livornese di Enrico Coioli che dall’Angloltalian Mining Company e che si concretizzarono poi nell’attivazione di una vera e propria miniera impostata su vari cantieri vicini, dei quali si possono osservare ancora i pochi ma significativi resti murari. Furono scavati tre pozzi (Guglielmo Edoardo. Miller, Stewart) e tutta una serie di gallerie intese a congiungere tra loro i tre pozzi e ad esplorare il giacimento in profondità (39). A ridosso di ogni pozzo fu costruito un locale circolare del raggio di 4 m. in cui furono collocati argani di servizio e maneggi azionati prima da cavalli e quindi da macchine a vapore alimentate col combustibile proveniente dalla vicina miniera di lignite di VillettaPoder Nuovo, gestita dal Coioli.
Fra gli impianti esterni della miniera del Caggio un tempo adibiti a servizi, uffici e magazzini, ed oggi diroccati, si possono tuttora rinvenire piccoli campioni del minerale scavato, in pieno accordo con quanto riferisce una relazione del 1927: “In una stanza scoperchiata è ancora del minerale scelto che era messo in sacchetti per condurlo al mare e esportarlo. I sacchetti sono marciti, ma del minerale si trova ancora colà” (40). La cernita del minerale veniva fatta a mano sulle piazzuole antistanti la miniera.
Si può quindi ben comprendere come i resti di questi impianti, benché quasi completamente invasi dalla vegetazione, costituiscano comunque ancora oggi una testimonianza di grande interesse per l’archeologia industriale e la storia mineraria del nostro territorio.
Come già accennato, la miniera fu attivata nel 1856 e i lavori proseguirono fino al 1865, localizzandosi principalmente nei pressi della confluenza fra Trossa e Linari, sulla sponda sinistra del Trossa (dove furono scavate gallerie taverse e discenderie per molte decine di metri) (41) e, soprattutto, nell’area della testata del Linari. In questo periodo furono estratte circa 1001. di minerale (42). Nel 1885 l’abbandono di queste miniere doveva essere totale dato che nell’edizione del F.119 della carta topografica d’Italia alla scala 1:25.000 pubblicata nel luglio 1885 esse compaiono raffigurate addirittura come ruderi. Se si trascura la breve riattivazione che ebbe luogo intorno al 1905, per assistere a una ripresa d’interesse per queste coltivazioni bisogna giungere al periodo 19381942, quando nuove ricerche furono condotte nella stessa zona dal Conte Ugolino della Gherardesca che divenuto proprietario della Tenuta di Monterufoli era vivamente interessato a saggiarne e a sfruttarne tutte le ricchezze del sottosuolo.
I lavori si concentrarono soprattutto a circa 80 m. dalla confluenza del Linari col Trossa e sulla destra del Botro Corno al Bufalo, in prossimità della confluenza di questo col Linari, luogo questo di mineralizzazione importante.
Lungo le sponde dei botri Linari e Corno al Bufalo furono provocate numerose frane e furono eseguiti piccoli scavi per rintracciare la mineralizzazione cuprifera e piritifera inclusa nelle serpentine a contatto con l’adiacente flysch alloctono. Questa si presentava in vene dello spessore di 25 cm. in gran parte alterate. Il tenore in rame comunque risultò del 29,6%, il più elevato di tutta l’area (43).
Anche oggi qui si rinvengono importanti mineralizzazioni ad alto tenore consistenti soprattutto in calcocite, pirite e calcopirite nella forma di vene, noduli e impregnazioni; esse tuttavia risultano di interesse scientifico-collezionistico assai limitato in quanto si presentano sempre in abito massivo. Nei pressi si osserva anche una breve galleria di ricerca lunga circa 15 m. e terminante in un pozzo allagato.
Sempre in questa zona, altri lavori furono eseguiti nel 185960 sulla destra del Trossa presso la confluenza col Secolo (area interessante per la grande ricchezza di tracce e di effumazioni di rame) e sulla riva destra del Secolo sul versante meridionale del Poggio delle Sugherello, ma queste ricerche sotterranee, intraprese nonostante “l’affluenza straordinaria dell’acqua e la posizione selvaggia e lontana del luogo’’ (44), non fornirono i risultati sperati e furono quindi abbandonate. Ulteriori esplorazioni furono condotte anche lungo il Botro del Confine, ma fornirono risultati scoraggianti.
Oggi questi giacimenti hanno perduto tutto il loro interesse economico, tutta quell’“aura” che li aveva resi così appetibili alle ricerche passate e ai ripetuti tentativi di coltivazione. Le più approfondite conoscenze geologiche e minerarie, le esperienze progressivamente accumulate e le radicalmente diverse condizioni economiche e industriali del Paese hanno infatti sancito per queste miniere, al pari di tutti gli altri anloghi depositi toscani, il definitivo abbandono, risultando ormai purtroppo evidente che “le speranze di trovare nei terreni ofiolitici della Toscana un deposito cuprifero d’indiscutibile valore industriale devono considerarsi del tutto perdute” (45).
Resta però del tutto intatto il singolare fascino di questi scarsi resti: mura diroccate, pozzi, saggi e gallerie che ben testimoniano il lavoro e la fatica dell’uomo in un ambiente ostile e impervio, oggi reso ancora più tale dal completo spopolamento dei luoghi; esili tracce e labili storie che una natura aspra, selvaggia e incontaminata sta progressivamente obliando alla nostra memoria.
Angelo MARRUCCI
NOTE BIBLIOGRAFICHE
- G.TARGIONI TOZZETTI – Relazioni d’alcu- ni viaggi fatti in diverse parti della Toscana. 2. ed. Firenze, Stamperia Granducale, till (1769), p.314;
- E.FIUMI – La facies arcaica del territorio volterrano, in “Studi Etruschi”, a.XXIX (1961), p.282;
- Idem, ad es. p.262 n.25 e p.283 n.80;
- cfr. ad es. E.FIUMI – L’utilizzazione dei lagoni boraciferi della Toscana nell’industria medievale. Firenze, Cya, 1943; L.ALBERTI – Descrittione di tutta Italia. In Bologna, per Anseimo Giaccarelli, 1550, cc.4752 e A.MARRUCCl – Panorama minerario del territorio volterrano alla metà del XVII secolo, in “La Comunità di Pomarance”, anno IV n.3, 1990, pp.22-26;
- cfr. G.MARINELLI – // magmatismo recente in Toscana e le sue implicazioni minerogenetiche. Mem. Soc. Geol. It., 25, pp. 111-124 e P.RONA – Giacimenti minerari da sorgenti termali oceaniche, in “Le Scienze”, n.211, marzo 1986, pp.62-82;
- G.TANELLI – Mineralizzazioni metallifere e minerogenesi della Toscana. Mem. Soc. Geol. It., 25, p.99;
- P.SAVI – Delle rocce ofiolitiche della Toscana e delle masse metalliche in esse contenute, in “Nuovo giornale dèLetterati”, 183839; A.CAILLAUX – Memoria sopra li depositi di Rame contenuti nelle Montagne Serpentinose della Toscana ecc., in “Nuovi annali delle scienze naturali ecc.” – t.ll e III, Bologna, 1850; C.PERAZZI – Intorno ai giacimenti cupriferi contenuti nei monti serpentinosi dell’Italia centrale. Torino, Stamperia Reale, 1864;
- cfr. A.MARRUCCI cit.
- cfr. nota 1, p.348;
- Idem, pp.340-341;
- cfr. ad es. L.PILLA – Ricerche geologiche sopra i segni di depositi ramiferi che compariscono nel territorio di Serrazzano e Libbiano. Livorno, 1849; H.COQUAND – Sui giacimenti serpentino cuprici di Libbiano e Serrazzano-, G.MENEGHINI – Rapporto sulle miniere di Libbiano. Livorno, Sardi, 1859; id. – Secondo rapporto sui giacimenti ramiferi di Libbiano. Livorno, Sardi, 1860; id. – Rapporto sui lavori eseguiti in Libbiano dalla Società Mineraria Anglo- Toscana durante l’annata sociale 1860-61. Livorno, Sardi, 1861 ; id. – Minerali di rame della miniera del Caggio in Monterufoli, 1865;
- Rapporto generale della Pubblica Esposizione dei prodotti naturali e industriali della Toscana fatta in Firenze nel novembre 1850. Firenze, Tip. della Casa di Correzione, 1851, p.65;
- L.DE LAUNAY – La metallogenie de /’Italie e des regi ones avoisinantes. Notes sur la Toscane minière et Tile d’Elbe. Mexico, X Geol. Conv., p.50;
- F.ARISI ROTA & L.VIGHI – Le manifestazioni cuprifere nelle rocce verdi, in: La Toscana meridionale. Fondamenti geologico minerari per una prospettiva di valorizzazione delle risorse naturali. Rend. S.I.M.P., 27 (fase, sp.). p.362;
- B.G.V., Archivio Maffei, filza 87;
- Ibidem;
- Ibidem;
- Ibidem;
- Ibidem;
- Ibidem;
- Ibidem;
- Ibidem;
- Corte R. d’Appello di Lucca – Maffei e Cojoli. Memoria. Lucca, Tip. di B.Cavenotti, 1860, pp.12;
- B.G.V., Archivio Maffei, filza 109;
- Ibidem: le date si rilevano da varie ricevute di consegna di arnesi e legnami.
- cfr. L.CHIOSTRI – Rapporto sulla miniera della Faggeta nei monti di Miemo comune di MonteCatini in Val di Cecina. Livorno, Sardi, 1853;
- Esposizione Internazionale dell’anno 1862. Regno d’Italia. Elenco degli espositori premiati. Londra, Eyre e Spottiswoode, 1862, p.6;
- B.G.V., Archivio Maffei, filza 109: “Registro del minerale ricevuto dal Sig. Enrico Cojoli di Livorno…”;
- Ibidem;
- Esposizione italiana agraria, industriale e artistica tenuta in Firenze nel 1861. Catalogo officiale. Firenze, Tip. Barbèra, 1862, pp.147148, 152 e 155;
- cfr. nota 27, p.5;
- B.G.V., Archivio Maffei, filza 109;
- cfr. nota 27, p.6;
- A.D’ACHIARDI – Mineralogia della Toscana. Pisa, Nistri, 1872-73, t.ll, p.298;
- cfr. nota 12, ibidem;
- cfr. G. JERVIS –1 tesori sotterranei d’Italia. Torino, Loescher, 1874, t.ll, p.424;
- G.MENEGHINI – Secondo rapporto sui giacimenti ramiferi di Libbiano. Livorno, Sardi, 1860, p.7;
- B.LOTTI – Geologia della Toscana. Roma, Mem. Descr. Carta Geol. d’lt., XIII, 1910, p.251;
- cfr. nota 37, p.5;
- E.CORTESE – Giacimenti cupriferi italiani, in: “Nuovi annali dell’agricoltura del Ministero dell’Economia Nazionale, 1927, pp.481-482;
- cfr. nota 14, p.369;
- cfr. nota 38, pp.38-39;
- cfr. nota 40, p.482;
- cfr. nota 37, p.6;
- G.CAROBBI, F.RODOLICO –1 minerali della Toscana. Saggio di mineralogia regionale. Firenze, Olschki, 1976, p.46.
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.