E anche quest’anno il Palio è stato
fatto: sia per quelli che ancora continuano a crederci sia per chi ormai non
ci crede più. Le quattro contrade infatti sono ancora una volta scese in piazza
ed hanno dato quanto per loro è stato il massimo dare, anche se in altri anni
hanno esplicato in maniera più elevata la loro potenzialità.
Il CENTRO con il tema “Sognando”, ha
creato uno spettacolo che ci aiuta a dare ancora una volta importanza alle
favole ed ai sogni. Sul loro palco infatti hanno preso anima i personaggi del
grande Disney, simboli di sogni e di fantasie.
Il PAESE NOVO, con “La terra del vicino
è sempre più grassa” ha saputo fondere un classico comportamento umano,
quale quello espresso nel proverbio, con una grande tradizione della nostra
zona: l’alabastro.
Il GELSO, con “Anni Coraggiosi”, ha
fatto rivivere a tutti noi anni di storia moderna, ma non una storia qualunque,
ma la nostra storia e quella del nostro teatro, accompagnata da musica, balli e
arte.
Infine il MARZOCCO con la “Bilancia
della vita” con la quale ha voluto soppesare fantasia e realtà nelle azioni
umane ed in particolar modo nelle azioni di Don Chisciotte della Mancia.
Anche quest’anno il Palio, eseguito con
grande carisma e personalità artistica dalla Signora Emma Biondi della Striscia.
è stato assegnato alla contrada del PAESE NOVO.
E nonostante le polemiche il Palio è ancora vivo; cosa lo dimostra? La vita tra le righe di un articolo di una nostra contradaiola, che quest’anno non ha neppure vinto, ma comunque sia sente vivo dentro di se il battito del Palio:
“Nessuno può negare di essere in qualche
modo legato alla propria terra d’origine, poiché è un legame troppo forte,
direi quasi animale, che radica l’individuo alla sua sfera naturale. E tanto
più se questa parte di terra ha una bandiera, un colore, un simbolo e un’anima
rionale. Impossibile rinunciare a tutto ciò !!! Ebbene si, potremmo definire
il Palio come un vizio, uno dei peggiori vizi a cui un individuo quando si è
attaccato non può più rinunciare: per la sua carica emotiva e coinvolgente, per
le sensazioni che provoca, per le delusioni e per i momenti di follia che
riesce a dare.
Il Palio è cibo di competizione che si condensa in teatro,
costituito da una prassi regolare che scandisce il tempo dell’anno nell’attesa
di un nuovo Palio. Maggio: “l’idea deve essere partorita. Sarà valida? Ma gli
altri chi sa cosa faranno? Ne siamo certi : quest’anno vinceremo!”
Giugno: “Su forza, i primi preparativi: i progetti, il
copione, le musiche.” Luglio: “Firenze, stoffe, colori, velluti, damaschi,
pietre.”
Agosto: prove, prove, prove.
Settembre: “E gli altri? Dai vinceremo! Il progetto, le
stoffe, le pietre, le prove, le musiche.” Gli uomini martellano, le donne
cuciono e ricamano ed i ragazzini?
I ragazzini si insultano e fanno pronostichi sulla
vittoria.
Le strade si vestono di colori e nell’aria non si respira
altro che competizione e amore, un amore per il propio simbolo, insomma, in
poche parole, odore di Palio. I° Domenica di settembre: le campane della chiesa
suonano “a festa” ed i capitani da parata vanno all’altare a prendere la
benedizione del parroco di fortuna e felicità per la propia contrada ed in
tutti cresce ancora di più l’ansia dell’attesa. Vigilia del Palio: gli animi si
accendono, la stanchezza prende il sopravvento, ma …. vinceremo!!!
Seconda Domenica di settembre: E’ il Palio: rullo di
tamburi, squillo di chiarine ed il sole del 2000 che batte e rende lucente lo
splendido velluto dei vestiti medioevali, quasi a farci ricordare quanto la
nostra cultura affondi le sue origini
in quella che una volta fu la misteriosa e rude Toscana medioevale.
Centro, Paese Novo, Gelso,
Marzocco. Marzocco, Centro, Paese Novo, Gelso. Gelso, Marzocco, Centro, Paese
Novo
Tra musiche, applausi, colpi di scena e attese i
palcoscenici si chiudono ed ora la vera attesa: il verdetto.
La sera il piazzone brulica
di gente. Arriva il sindaco, è adrenalina, è adrenalina pura quella che prende
il volo dai corpi di tutti quegli individui che sono li, che tremano, piangono
e amano ”11
Palio mille e novecento……. “ ma come
sappiamo “3 contrade perdono e una vince e sono più quelle
che perdono che quelle che vincono”. Quindi i vincitori esultano e i perdenti
affermano: “Ce l’hanno rubato”.
Ma ciò che ha vinto è stato il teatro, l’arte e l’amore per
la propria bandiera e alla faccia di chi odia il nostro Palio e le nostre
bandiere “per forza o per amore lo dovete rispettò!!”
“Presto è maggio, un nuovo
Palio ci aspetta, un’altra idea deve essere partorita e poi giugno e poi luglio e poi e
poi e poi…”.
Rione Centro: “Sognando “. Rione Paese Novo: “L’erba del vicino è sempre più grassa”. Rione Gelso: “Anni… coraggiosi” Rione Marzocco: ‘La bilancia della vita”
Una
Contradaiola
Come di consuetudine porgiamo i nostri più sinceri
auguri di Buon Natale e Buone feste, da parte del Comitato di redazione, a
tutti i lettori, agli inserzionisti, agli amministratori pubblici e a tutti
coloro che fanno vivere e continuare questa pubblicazione, fiore all’occhiello
di Pomarance.
È stata veramente una faticata riuscire
a coordinare il lavoro editoriale dal mese di Giugno a Ottobre e stampare i 4
numeri; per questo, siamo ancor più gratificati in barba a chi, o a coloro,
che credevano di ostacolarci nell’impresa. Non abbiamo certamente lavorato
nelle migliori condizioni, visti i tempi ristretti, per reperire i testi e
consegnarli in tipografia; per questo va un mio ringraziamento ai
collaboratori della rivista che si sono dati da fare per consegnarci in tempi
utili i loro elaborati.
Siamo comunque soddisfatti per aver
mantenuto fede agli impegni che ci eravamo assunti, come consiglieri della
Associazione “Pro Pomarance”, di continuare questa rivista che è sempre più
apprezzata dai nuovi lettori.
Sicuramente non ci saremmo riusciti se
oltre a tante chiacchiere e prosopopee, non ci fossero state al nostro interno
persone disponibili e responsabili che si sono impegnate più di altre a far
continuare questa rivista come i fratelli Tifoni ed il Bongi. Ma un saluto
particolare è doveroso a colui che volle anni fa la rinascita di questa
rivista, che mi è sempre stato vicino per utili consigli e sempre pronto a
incoraggiarmi nei momenti più difficili.
Saremo di nuovo in edicola anche il
prossimo anno continuando l’inserto del Sillabario, foglio di Poesia e
Letteratura, che sta riscontrando consensi notevoli tra i nostri lettori.
Ma…,
lasciamo spazio ai nostri collaboratori; e….buona lettura!
RISCOPERTE DAGLI ALUNNI DELLA 2a CLASSE ELEMENTARE
Nell’anno scolastico appena concluso, le classi seconde della scuola elementare di Pomarance si sono avventurate in una suggestiva ricerca sul passato: l’origine delle vecchie fonti del paese e gli usi e costumi legati a questi antichi centri di incontro della comunità. I piccoli storici, con la guida delle insegnanti, sono partiti anzitutto dallo studio di fonti scientifiche, quali documenti dell’Archivio Comunale e carte topografiche, utilizzando, inoltre, per gli aspetti antropologico- culturali, anche altri testi, quali “Il Formicaio” della Bibbiani o la stessa pubblicazione “La Comunità di Pomarance”.
Le tre fonti che principalmente sono state studiate sono
quella anticamente detta “di Cannerj”, o volgarmente “la fonte del Comune”,
quella delle “Peschiere” e quella della “Boldrona”, viste sia come
fonti-abbeveratoi, che come lavatoi. In particolare, quest’ultimo punto ha aperto
la strada a gustosi spaccati sulla vita sociale e sulle abitudini, soprattutto
femminili, legate all’uso delle fonti.
Attraverso i ricordi e le interviste fatte dagli alunni alle persone anziane del paese, sono stati ricostruiti i “canti del Lavatoio”, che avevano sia la funzione di alleviare alle donne il tedioso lavoro del bucato, sia quella di diffusione delle conzoni allora in voga, portate nei paesi dai cantastorie, in assenza di radio e televisione. In un apposito giornalino sono state raccolte le “chiacchiere di lavatoio”, sempre secondo le indicazioni fornite dalle anziane donne intervistate, le quali chiacchiere si sono rivelate straordinariamente attuali, avendo per oggetto, come sempre, pettegolezzi, “scandali” o avvenimenti straordinari della comunità.
Il lavoro si è quindi articolato, in prospettiva interdisciplinare, sull’intera attività scolastica, interessando varie discipline, quali la storia, la geografia, la ricerca linguistica, gli studi sociali, l’educazione all’immagine e l’educazione musicale, mentre i materiali prodotti (elaborati, foto, disegni, ecc.) sono stati per le insegnanti anche uno strumento di verifica sia per l’acquisizione delle conoscenze, sia per gli obiettivi di apprendimento che era manifestazioni “Da Maggio a Maggio”, ed ha riscosso vivo interesse e apprezzamento.
Un doveroso
plauso, quindi, alle insegnanti e agli alunni, dei quali sembra giusto
riportare, qui sotto, i nomi, insieme alla riproduzione di uno dei tanti
elaborati.
Come ormai risaputo, nel Medioevo, non
vi era in Italia città, castello o villaggio ove non fossero fondati sodalizi
che, sia per culto sia per pietà o misericordia, univano persone (fratelli)
che, volontariamente e per impulso di carità, portavano soccorso agli
ammalati, ai morenti, agli appestati. La loro opera, a seconda dei casi di
malattia consisteva sia nelle cure che alla meno peggio potevano essere
prodigate, sia nel trasporto in ospedale o al lazzaretto per mezzo della “ZANA”
(specie di portantina a forma di gerla, ricoperta in tela, da portarsi a
tracolla e atta allo scopo). In altri casi, quelli irrimediabili, “I FRATELLI”
si prodigavano per il funerale ed il seppellimento.
Trasporto dell’ infermo con “ZANA”.
Le origini delle Misericordie Toscane risalgono
intorno al XIII e XIV secolo, quando le varie associazioni di arti e mestieri,
dietro esempio del Comune di Firenze,
1615 dette inizio, a sue proprie spese, ai lavori per una Cappella nei pressi
del baluardo sulla destra di Via della Costarella, all ’interno della cinta
muraria del castello.
La nuova istituzione fu detta “VENERABILE
CONFRATERNITA DEL SS. SACRAMENTO E DELLA CARITÀ”; iniziò il suo operato e si
distinse ben presto in varie occasioni.
Purtroppo in base al Decreto del 21 marzo
1785 il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena, tutte queste benevole organizzazioni
furono soppresse con indignazione e sgomento della popolazione.
Soppresso il Decreto, dopo l’Editto Leopoldino, ripresero le attività di volontariato con varie opere di beneficenza. Anche Pomarance vide nuovamente riformarsi “l’opera assistenziale” soprattutto per volontà del Dr. NICOLA VALCHIEROTTI, avevano affermata la loro vita di azione. Così ovunque si intensificavano queste Compagnie, e Associazioni con un proprio regolamento ed un singolo Statuto appositamente studiato per le caratteristiche del luogo in cui nascevano.
Anche Pomarance si organizzò
per questo Istituto Benevolo, e così, per volere del Sacerdote CESARE GIOVANNI
SANTUCCI, (nipote dell’illustre nostro concittadino Antonio il Cosmografo)
nell’anno
Chiesa della Misericordia.
medico condotto, uomo di singolare pietà, il quale aveva adottata come sua seconda patria la nostra terra. La sua iniziativa si concretizzò rapidamente in una efficiente organizzazione condotta dal medesimo e da altri volenterosi. Durante il triennio della sua carica a Governatore, egli si prodigò per la ricostituzione della Confraternita e per l’ampliamento dell’Oratorio. Per merito suo la vecchia Cappella, di proprietà della sig.ra Anna Fantacci ved. Marchionneschi, in data 24 aprile 1844, con atto di donazione , passò alla Confraternita e fu così possibile dar inizio aH’ampliamento con le oblazioni dei più benefattori.
Con meraviglioso slancio i cittadini di ogni classe si
iscrissero a questa nuova fratellanza prestando la propria opera materiale e
morale. Compilati i relativi capitoli, approvati con Regia Sanzione del 3
gennaio 1845, la Misericordia cominciò subito il suo regolare funzionamento.
Nonostante l’encomiabile impegno dei benefattori non si
riusciva a far fronte a tutte le richieste che si moltiplicavano, così che tre
anni passarono in ritmo crescente di lavoro e di soccorsi. Il mandato di
questo benemerito fondatore era terminato, il suo operato aveva superato ogni
aspettativa e la promessa fatta all’atto della costituzione lo aveva impegnato
al massimo. L’avvio a questa opera era stato eccellente, ma alla scadenza del
primo triennio, il Valchierotti non si presentò alle elezioni volendo
lasciare ad altri volenterosi la libertà di continuare. Regola
ri elezioni videro suo successore il Cav. ADRIANO DE LARDEREL, uomo temprato
nell’esercizio della vita, che aveva dato segno del suo impegno e del suo affetto
per la nostra terra sia con intelletto industriale che religioso (vedi
costruzione caldaie Addane ed interessamento per la istituzione della
Processione Bella a Pomarance). Per dieci anni questo signore attese con
lodevole cura alla benemerita opera che si affermò sempre più. Il maggiore
contributo di umanità si rivelò durante l’epidemia colerica che nell’anno 1855
infestò il pomarancino, e fu ancora più evidente la efficienza dell’organizzazione
e la serietà con cui essa veniva gestita.
Il cav. Adriano de Larderei cessò di vivere alla giovane
età di 35 anni, lasciando rimpianto e cordoglio in tutti quanti lo conobbero.
Con lo stesso zelo e la medesima tenacia seppe ben
imitarlo il di lui fratello conte FEDERIGO DE LARDEREL, il quale si curò
dell’ampliamento di questa Confraternita della SS. Carità facendo in modo di
porla sempre più in vista.
Venne creato anche un abito a mo’ di divisa, a sembianza
di quello già usato dalla istituzione fiorentina: una lunga tunica nera con la
cintola a forma di rosario, un medaglione a giustacuore con l’emblema delle
misericordie e, per mantenere l’anonimato a chi lo indossava, un cappuccio
nero (detto “BUFFO” ) con solo due fori corrispondenti agli occhi. Chi vestiva
questo lugubre indumento non doveva far
sapere all’assistito chi era stato il benefattore, dimodoché non si sentisse
verso di lui debitore nell’eventuale guarigione. A completamento di questa
vestizione era previsto un cappello in feltro a larga tesa che serviva a
proteggere il portantino in caso di pioggia. Se la stagione era mite veniva
tenuto sulla spalla tramite il cordone del sottogola.
Sempre per interessamento del conte Federigo,
si trasformò di nuovo la Chiesetta che venne abbellita con marmi ed ebbe una
nuova pavimentazione. Questa chiesa era già stata consacrata a San Carlo
Borromeo, che ne è patrono, e che conseguentemente dette nome anche alla
piazzetta antistante l’ingresso.
Anche una portantina per il soccorso
agli ammalati fu acquistata, sostituendo la barella a stanghe. Era una
“LETTIGA” su ruote e per alleviare le scosse delle impervie strade aveva le
balestre in modo da ammortizzare gli urti.
Sempre nuove
migliorie per ogni tipo di bisogno venivano usate. Ed anche per i trasporti
funebri venne costruito un carro chiuso con predisposto il posto per il
cocchiere, in modo da poter trasportare il cofano funebre sino all’ultima
dimora. L’ultimo cocchiere, che per anni si impegnò a questa triste cura fu
Dante Spinelli più conosciuto come Dante dell’ortolano che, ad ogni tocco della
campana, era
Campanile della Misericordia.
pronto ad avviarsi con il suo
cavallo ad attaccare il mezzo tenuto presso la sede, e da lì dirigersi presso
l’abitazione dell’estinto. I meno giovani ricorderanno quest’uomo, che sino
all’avvento del mezzo motorizzato, ha scollettato tutti a S. Bastiano.
Per il richiamo dei portantini, in occasione dei funerali,
era usata la campana della Misericordia, posta sul campanile della Chiesa
Parrocchiale (vedi articolo sul n. 3/88 di questa Rivista) che con dei tocchi
particolari avvertiva: se il defunto era uomo, se era donna, se abitava in campagna,
se abitava in paese, se era iscritto alla Misericordia oppure no.
Nel corso degli anni vi è stato un susseguirsi di nomi, di
volenterosi, che con fede e spontanea carità si sono prodigati in questo
misericordioso lavoro.
Trasporto di infermo con “Portantina a stanghe”.
È doveroso ricordare anche i
Governatori, che con lo stesso spirito hanno continuato a dirigere l’istituto
cercando di ampliarlo, ammodernandone le attrezzature per aggiornarsi con
l’evolversi dei tempi. Dopo i due De Larderei, seguì il N. H. Giovanni Biondi
Bartolini che lasciò l’impegno al Cav. Michele Bicocchi e che, conseguentemente,
fu sostituito dal Dr. Giovanni Biondi Bartolini sino ad arrivare ai nostri
tempi con il Sig. Dell’Omo Augusto. A conferma delle notizie più lontane abbiamo
presso la Chiesa della Misericordia delle lapidi che ricordano questi uomini
fino al fondatore iniziale, il Sacerdote SANTUCCI, che con una scritta latina
è così ricordato:
Questo Sacro Edificio
dedicato a Dio alia Divina Madre e aS. Carlo Borromeo Cardinale di Milano, lo innalzò dalle
fondamenta, a proprie spese, prete Cesare di Giovan Matteo di Antonio Santucci,
l’anno di nostra salute 1644.
Nella sacrestia vi è una Acquasantiera a
muro, in marmo, con inciso lo stemma dei Santucci. Inoltre possiamo vedere la
lapide che onora il “secondo fondatore” il dottor Valchierotti, e poi quelle
dei due De Larderei. Le cinque lapidi in marmo scandiscono il tempo come un
libro e oltre ad arricchire la chiesa sono memori degli avvenimenti e
dell’opera di queste degne persone.
La chiesa della misericordia non ha molte
opere di valore, se non un’immagine della Madonna di Montenero dipinta su
specchio, sul retro, nella tavola di sostegno vi è una scritta a penna ed
inchiostro “Il Cavalier Adriano de
Larderei, fratello Governatore, donò alla Compagnia della R.R. Misericordia il
5 settembre 1852”. Sopra il tabernacolo dell’altare vi è un quadro rirpoducente
la Madonna Addolorata alla cui base possiamo leggere “MATER AMABILIS”. Alla pietà ed al merito di Girolamo Bettoni e
di donna Flaminia Covoni nata dei principi Chigi. (Giò Batta Cecchi incisore
dona e consacra, Firenze 1810). Sembra che questo quadro sia stato donato alla
Confraternita dal conte Federigo de Larderei.
L’insieme della chiesa, più volte rimaneggiata,
si presenta assai bene ai fedeli che numerosi vi affluiscono nel mese di novembre
per la Messa Vespertina officiata a nome dei defunti iscritti alla Misericordia
e deceduti nell’annata in corso. Ad avvertire di questa funzione religiosa è
compito delle due campanine poste sulla cella campanaria del piccolo campanile.
Il suono scandito da queste è datato dalla fusione di queste; una porta la data
solamente in numeri romani MLXXX (1530), e l’altra, A.D. MDCCCXV (Anno del
Signore 1815).
Documenti custoditi presso l’archivio
della Confraternita accertano molte di queste notizie e tra le principali vi
è quella del
la Affiliazione alla Confederazione delle Misericordie d’Italia avvenuta
nell’anno 1874.
Il nome odierno è: CONFRATERNITA DELLA MISERICORDIA DI
POMARANCE, con sede sempre in Piazza S. Carlo al numero civico 5, adiacente
alla Chiesa ed al suo patrimonio immobiliare. Oggi questa benemerita è servita
da un parco macchine composto da tre ambulanze che servono per gli
spostamenti, sia di ricovero in ospedale come per bisogni di soccorso stradale
od altro incidente. Inoltre due vetture funzionano per gli Handicappati ed i
dializzati. Unito a queste vetture vi è un carro funebre che completa il
nucleo motorizzato.
Nell’ammodernamento
delle attrezzature sono state acquistate, a
corredo di soccorso, delle sedie snodate atte al prelievo di ammalati
residenti in abitazioni dove vi sono scalinate.
Ad oggi è in allestimento una nuova ambulanza montata su
vettura Volkswagen e che nel giro di breve tempo andrà a sostituire quella più
vecchia e non più idonea e sicura. Il sodalizio che tutt’oggi è assai congruo
è costituito da 358 donne e 294 uomini. A questi valenti Governatori ed a
tutti gli attivi collaboratori che negli anni hanno saputo dare valore e vanto
ad una istituzione basata per la maggior parte sul volontariato, non rimane
che fare le dovute congratulazioni. A quelli presenti ed a quelli futuri, un
augurio per
Interno Chiesa della Misericordia.
Giorgio
saper continuare con lo stesso
spirito sia a governare che ad abbisognarsi in ogni occasione. Inoltre un
augurio a chi potrà ritrovarsi ai festeggiamenti che ovviamente saranno
effettuati nell’anno 2015 in occasione del quattrocentesimo anno di vita.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Archivio Misericordia
di Pomarance.
LE CONFRATERNITE DI
MISERICORDIA IN TOSCANA – Ed. Arti Grafiche San Bernardino SIENA 1926 a cura
del Comm. Dr. U. Patella.
Analisi storica a cura di: Dott.sse ROBERTA COSTAGLI e GIANNA BUONAMICI
INTRODUZIONE
Molti teatri, costruiti a cavallo fra la fine del settecento e la prima metà dell’ottocento, conservano ancora la memoria e la bellezza del vecchio teatro “all’italiana”. Infatti, se la parabola storica del loro declinio e dell’abbandono totale si compie nel dopoguerra, non si è esaurita ancora la memoria culturale che essi rappresentavano nel tessuto storico ed urbano: sono il segno dello spettacolo del passato, ma anche il segno concreto del luogo proprio di quella particolare rappresentazione che era la collettività che si riuniva.
Per questo non possono apparire solo come contenitori vuoti ed inagibili, la cui ulteriore ed inevitabile fatiscenza non è che la premessa per la definitiva demolizione, poiché anche in tempi come i nostri (in cui non esiste più un luogo assoluto e privilegiato della rappresentazione) se opportunamente predisposti, possono diventare contenitori specifici per lo spettacolo e la cultura di oggi.
Prospetto Teatro dei Coraggiosi (Foto S. DONATI)
Il problema dei teatri inagibili o comunque da recuperare
è un tema per molti versi complesso e stimolante: da un lato, il valore
storico – artistico delle strutture e il loro ripristino nell’ambito della politica
della rivalutazione dei centri storici, dall’altro la funzione socio –
culturale dell’edificio teatrale, inteso come luogo di produzione, di cultura
e di crescita civile per la società.
Alla luce di queste considerazioni, peraltro ampiamente discusse in anni precedenti e delle quali è dimostrata la validità con i numerosi restauri già conclusi, abbiamo ritenuto interessante affrontare, come lavoro conclusivo degli studi universitari, il tema del restauro e riuso di un teatro quale è quello dell’ex Accademia dei Coraggiosi. Il teatro in questione è collocato nell’ambito del centro abitato di Pomarance ed ivi sorto a suo tempo, per il manifestarsi di particolari istanze di rinnovamento socio – culturali, con lo scopo, per lo più, di portare spettacoli musicali e di prosa là dove ogni altra forma di svago sarebbe venuta altrimenti a mancare; istanze valide ancora oggi, che un totale ripristino della struttura potrebbe soddisfare.
ACCADEMIA
DEI CORAGGIOSI ORGANIZZAZIONE ED ATTIVITÀ
Nel secolo XVIII non vi è cittadina o paese in Italia che non abbia la propria Accademia; a Pomarance esisteva l’Accademia dei Coraggiosi fondata il 31 luglio 1790, che al pari delle altre contemplava nel proprio programma la produzione teatrale. I fondatori dell’Accademia furono: Pietro Biondi, Giuseppe Martini, Giuseppe Marchionneschi, Luigi Gardini, Paolo Cercignani, Gherardo Bardini Mafferi, Pietro Gardini, Niccola Tabarrini, Giulio Cercignani, Michele Bardini, Camillo Fantacci, Isidoro Biondi, Maria Borroni, Bartolino Bartolini, Giovan Battista Biondi, Carlo Incontri, Tommaso Gardini, Filippo Biondi, Marcello Inghirami, Pier Giuseppe Biondi, Ottaviano Falconcini e Giovan
Battista Gardini.
Dietro il nome antico ed illustre di “Accademia”
si nascondevano istituzioni non sempre permanenti o con propri regolamenti
interni che erano però di sovente l’anima culturale dei centri abitati grandi e
piccoli. L’istanza di rinnovamento artistico e sociale è spesso il motore di
questi sodalizi che, nel caso dei centri minori rappresentavano la sola
opportunità di svago, con la partecipazione ad attività teatrali o
l’organizzazione di feste da ballo.
Astrusi, Georgofili, Accalorati,
Intronati, Rozzi sono alcuni nomi di accademie esistenti in Toscana;
appellativi bislacchi ed ironici, forse per segno di vera o falsa modestia,
che sono il frutto del gusto di quei tempi. Le Accademie avevano anche l’usanza
di fregiarsi di uno stemma che spesso riportava un motto ispirato dal nome:
nello stemma dei Coraggiosi è rappresentato un leone rampante con la scritta
“Germoglian frutti ai coraggiosi in seno”.
L’assemblea dell’Accademia dei Coraggiosi,
aveva il diritto di veto sull’ammissione di nuovi componenti, pertanto il
passaggio da una “panca” da un accademico ad altra persona da lui proposta era
sottoposto a votazione. Una volta accettata la proposta, il nuovo accademico
era obbligato al pagamento di una quota corrispondente al valore frazionale del
teatro e della tassa annua di scudi due. Il numero degli accademici arrivò a
venticinque con la costruzione del nuovo teatro, mentre dai rendiconti
annuali sappiamo che fino al 1805 erano ventidue e negli anni successivi fino
al 1810, ventitré. L’invito alle adunanze avveniva tramite l’invio di un
biglietto redatto dal segretario che aveva anche la funzione di redigere
l’ordine del giorno. Nell’Accademia erano previste anche le cariche di Presidente,
Camarlingo e di cinque consiglieri, tutti eletti per votazione dall’assemblea.
Ogni accademico aveva il diritto di esprimersi con un solo voto anche se possedeva
più di un “carato”.
I soci si riunivano per decidere sui
vari lavori di restauro occorrenti al loro teatro, sull’assunzione del
personale di servizio, l’apertura del teatro e per esprimere un giudizio sulle
istanze pervenute da compagnie comiche o di musicanti.
Gli accademici, a turno, dovevano fregiarsi della carica di “Deputato d’ispezione al buon ordine” in occasione di rappresentazioni comiche ed ogni sera il nome della persona incaricata veniva scritto su un apposito cartello posto all’ingresso del teatro. Inoltre, tra le altre mansioni spettanti agli accademici c’era quella di fornire olio per i lumi in occasione di feste o rappresentazioni gratuite: all’ingresso dovevano lasciare una “mazzetta d’olio’’ in mano al custode con apposita firma e in caso di maggior consumo supplire con un’altra.
L’Accademia, nel 1829, stabilì alcune regole a cui doveva
sottostare la compagnia comica in occasione della stagione teatrale che si
svolgeva sempre in autunno: “…un regalo di zecchini dieci a condizione che
in essa sala dia venti recite… di
ricevere la sala del teatrino e quindi di riconsegnarla a suo rischio, nel
medesimo stato detta sala offrirsi, mobili, scenari… far rispettare le panche
esistenti a solo comodo dei signori accademici e loro famiglie… che sia a
carico della comica compagnia la spesa serale (illuminazione e paga al
personale di servizio)… che il regalo di dieci zecchini possa solo ottenersi
dalla comica compagnia metà alla metà delle recite e l’altra metà alla fine’’.
Nel 1840 in occasione dell’istanza promossa dalla
compagnia comica di Ottaviano Novellucci, fu stabilito, inoltre che ogni
compagnia comica ”… presentasse l’elenco all’accademico Nobile Giovanni
Novellucci… quale se l’approverà, la concessione si intenda definitivamente
fatta, in contrario si riterrà non fatta” e l’anno seguente il prezzo
d’ingresso non oltrepassasse Quattro Grazie.
Ogni accademico aveva la facoltà di organizzare feste da
ballo purché si investisse della carica di “Deputato di Ispezione” per
l’intera serata pubblicando poi il proprio nome sul solito cartello, ma aveva
il diritto di nominare un “Maestro di Sala” e di farsi sostituire da un’altro
accademico.
Nel 1834 fa il suo ingresso nell’Accademia, al posto del cedente Ferdinando Cercignani, il conte Ferdinando De Larderei “…il quale lo accettava e richiedeva essere surrugato al cedente in detto posto accademico per godere tutti i favori e sopportare tutti gli oneri ricevuti dal posto medesimo”.
L’aspetto economico rappresentava la nota dolente di questa
associazione, spesso alcuni accademici sono in ritardo nel pagamento della
tassa annuale di due scudi.
Nel 1853, l’Accademia decise di darsi un regolare statuto, a questo proposito fu incaricato l’accademico Venerando Valchierotti di redigere una proposta nel termine di tre mesi, ma di questo statuto, nella documentazione successiva, non viene più fatta menzione.
Con la decisione di costruire il nuovo teatro viene
compiuta un’accurata stima di tutti i beni mobili e immobili della società,
stabilendo che ”… i soci accademici che non vogliono concorrere alla costruzione
del nuovo teatro saranno liquidati i loro diritti sociali e cesseranno cosi di
far parte dell’Accademia.
Gli anni che seguirono videro l’Accademia sempre più impegnata e strettamente connessa al teatro e alle manifestazioni che vi si svolgevano. Tra i vari regolamenti pubblicati, c’è quello riguardante le “Stanze Accademiche” grazie al quale è possibile dedurre quanto questa associazione andasse sempre più assomigliando ad un circolo ricreativo per signori benestanti e poco rimanesse dell’attivismo letterario e filosofico che contraddistinse le accademie nei decenni trascorsi. Il regolamento prevedeva due occasioni di incontro: i “trattenimenti ordinari” rappresentati da adunanze o giochi e le “feste da ballo”: A queste stanze erano ammessi anche non accademici stante la previa approvazione dell’assemblea ed era stabilito che fossero aperte “…a trattenimento del giuoco, nel carnevale tre giorni di ciascuna settimana, cioè martedì, giovedì e domenica, nell’autunno, e inverno fino al giovedì della Settimana Santa e la domenica di ciascuna settimana e più le feste di intero precetto”. Mentre chi desiserava giocare doveva pagare “una tenue tassa a forma della tariffa nelle mani del custode…” il quale dava poi il denaro al Camarlingo. Grazie anche a questi incassi serali, la società faceva fronte alle numerose spese necessarie per mantenere in piena efficenza un siffatto edificio.
Nella generale revisione degli statuti che viene promossa
alla fine dell’ottocento, c’è la proposta di abrogare due articoli che
garantivano l’uguaglianza tra i vari accademici. Questo causò l’indignazione di
un vecchio accademico, “unico superstite dei compilatori dello statuto” che
fortemente si oppose a questo provvedimento così antidemocratico.
citati articoli (10 e 15) assegnavano un voto per ogni accademico senza distinzione del numero di palchi posseduto; la proposta riformatrice, al contrario, prevedeva un voto per ogni palco di proprietà, negando così “…l’uguaglianza sociale, dell’amministrazione e del valore del voto deliberativo… cioè il predominio della minoranza…”. La volontà dei proponenti era quella di risolvere il ricorrente problema del mancato numero legale nelle adunanze: un assenteismo che dimostra una già viva disaffezione nei confronti dell’Accademia.
Siamo ormai agli inizi del
Novecento ed è tempo di mutamenti sociali, la pressione che viene dagli strati
sociali più poveri della popolazione verso l’Accademia si fa sempre più forte,
come testimonia una lettera datata 15 settembre 1900 i cui firmatari in
rappresentanza della “popolazione meno abbiente, nata e cresciuta a
Pomarance”, chiedevano che il teatro fosse aperto a chiunque desideri partecipare…”:
Questa possibilità, in futuro, non potè più essere negata infrangendo in parte
quell’alone di distinzione culturale e sociale di cui erano investiti gli accademici.
IL VECCHIO TEATRO DEI
CORAGGIOSI
“Dizionario
Geografico, fisico, storico della Toscana” del Repetti riferisce dell’esistenza
di “…un piccolo teatro di proprietà di Un’Accademia dei Terrazzani che
rimonta verso il XIII”. Con molta probabilità si tratta dello stesso teatro
divenuto poi nel luglio del 1730, di proprietà dell’Accademia dei Coraggiosi
in quanto la prima delibera in ordine cronologico, ancora oggi esistente, del
31 Ottobre 1791, rivela la necessità di alcuni lavori “per ben ridurre la
stanza della loro Accademia”. Un ulteriore conferma che la “Stanza” ha svolto
in passato funzione di spazio teatrale si ha con la successiva deliberazione
del 9 Novembre dello stesso anno, dove in un passo recita: “lo infrascritto,
essendo stato onorato dai illustrissimi Soci della Stanza che serviva ad uso
di teatro posto nella terra di Pomarance, a voler unirmi con Essi in società,
ridurla nuovamente ad uso di teatro e di sala da ballo…”.
La “sala delle comiche” si trovava a fianco del palazzo Pretorio, con ingresso dalla piazzetta del Tribunale, nel centro antico, all’interno delle mura castellane: Posta al primo piano sopra un portico dove si apriva l’ingresso aveva il soffitto a volta affrescato, il palcoscenico, un “salotto” ed una stanza di deposito detta delle “panche”.
Nel 1794 furono realizzate opere di rifacimento e dipinti
nuovi scenari da un certo Antonio Niccolini in cambio di una gratifica di
venti lire, vennero anche acquistate diciasette panche in funzione di un riutilizzo
dell’ambiente come sala da ballo. Inoltre è di questi anni l’apertura di una
porta che metteva in comunicazione diretta il teatro col Palazzo Pretorio.
Il trascorrere degli anni, in questo caso tre, tra la fase
propositiva e l’attuazione dei lavori di restauro è un tema ricorrente nella
vita di questo teatro conseguentemente alla mancanza di risorse finanziarie
dell’Accademia.
Per un lungo periodo vi saranno interventi diretti
esclusivamente all’interno del teatro, o meglio alla sala, poiché le attenzioni
di miglioramento formale ignorano, come dettava la consuetudine interventi all’esterno.
Per “trarre un profitto” fu istituito nel 1798 “… il diritto d’esercitar Bottega d’acqua- cedratosa nel salotto annesso alla sala, in occorrenza di spettacoli teatrali e di feste da ballo…” offrendo l’incarico di tenere questo esercizio al migliore offerente. Inizia così il processo di articolazione del luogo teatro: alla vecchia sala comica si è aggiunto un primitivo bar che ancora mantiene la funzione di foyerguardaroba.
Nel 1803 viene decisa la costruzione sopra il salotto, di
una stanza ad uso dei comici che comporterà l’alzamento del tetto, affidando
i lavori agli impresari Razzagli e Bellucci. Le due finistre in facciata
(sopra e sotto) fu stabilito essere uguali a quelle adiacenti in costruzione.
Si deduce, pertanto, che tali lavori sono contemporanei ad altri che si vanno
facendo nel blocco di case a fianco del teatro.
Tre anni dopo, l’Accademia inaugurerà i nuovi lavori con una
rappresentazione comica della compagnia Gatteschi di Volterra.
Col 1834 inizia una lunga stagione di tentativi falliti da parte degli accademici di avere un teatro più grande in stile con i tempi nuovi. Il presidente propose di far visitare lo stabile e sala del teatrino a Loreto Magri, aiuto ingegnere della Comunità di Pomarance, dandogli commissione di redigere un progetto d’ampliamento riguardante la sala e il palcoscenico. Se ciò non fosse stato possibile, il suddetto ingegnere doveva progettare un nuovo teatro con ventiquattro palchetti e con il doppio di grandezza della sala attuale per uso di platea. Ma è del 14 Ottobre 1836 una nota di spesa redatta da Giuseppe Bianciardi per un generale restauro del teatro di cui annotiamo ‘‘…riquadratura della nuova sala, del salotto caffè e rifatto il boccascena nuovo…”. Nonostante i lavori di restauro intrapresi l’anno precedente, è sempre forte l’esigenza di costruire un nuovo teatro, come in questi tempi già se ne andavano costruendo nelle città e nei centri minori, come la vicina Volterra, Piombino, Pontedera, e Buti. Del resto la fine del settecento ha segnato la definitiva rottura col passato, una nuova sensibilità architettonica alimenta il dibattito sulla progettazione dei teatri e i venti innovatori che spirano dalle grandi città irretiscono le menti più sensibili anche di terre lontane.
Questo clima aleggiava anche negli ambienti culturali di
Pomarance e traspare dai toni enfatici di entusiastica adunanza del 1 ottobre
1837 “…Dietro la vostra ragione e io, tutti rendiamo fatto il teatro, pensare
dunque che l’incertezza nega, e la risolutezza afferma che ben ci convenne il
nome di Coraggiosi, come ci converrà quello di ben affetti al vostro
paese…”. Accantonata l’idea di un nuovo teatro, nel 1842 viene dato incarico
all’ingegnier Ricci di preparare un progetto di restauro per l’attuale teatro,
ma tale progetto verrà respinto.
Sempre quell’anno viene stabilito di inoltrare una
supplica al Regio Trono per la sua approvazione alla costruzione di un nuovo
teatro, facendosi promotore dell’iniziativa il conte Francesco De Larderei.
Negli anni successivi il vecchio teatro fu ripetutamente sottoposto a restauri
e modifiche, ma il Municipio di Pomarance, nell’occasione di dover trattare
della riforma delle scuole Comunali, si propose di fare acquisto del teatro di
Pomarance e sue stanze annesse, era il 31 dicembre 1860.
Questa iniziativa decretò la fine del vecchio teatro dei
Coraggiosi e, finalmente, l’avvio del nuovo, in quanto con la cospicua somma
realizzata dalla vendita fu attuato un concreto piano finanziario.
La stima di parte, del teatro, fu affidata all’architetto Magagnini di Livorno, mentre il municipio incaricò l’ingegner Gaetano Niccoli. La relazione del Niccoli documenta lo stato e consistenza del vecchio teatro dei Coraggiosi che dopo secoli di vita, il 25 febbraio 1861 era così composto: ingresso sulla piazzetta del tribunale, scala in pietra che portava alla, “Sala”, a destra del pianerottolo di sbarco la “Stanza delle Panche” trasformata col tempo in salotto guardaroba, la “stanza del caffè” ed infine il palcoscenico con annessa una stanza irregolare dalla quale si accedeva in una soffitta ad uso degli attori per mezzo di una scala. Le stanze accademiche furono acquistate dal Municipio per lire tremilaseicentoquarantacinque e sessanta centesimi.
DELIBERA
RIGUARDANTE LA COSTRUZIONE DEL NUOVO TEATRO
La lettera del 31 dicembre 1860 inviata dal municipio di Pomarance all’Accademia dei Coraggiosi fu letta nell’adunanza del 14 gennaio 1861 e in quel giorno venne finalmente deliberata, non solo la costruzione di un nuovo teatro, ma anche le modalità di attuazione del medesimo: due accademici stilarono la bozza di un programma in undici punti comprendente tra gli altri la spesa economica prevista, il denaro che ogni accademico doveva versare, l’assegnazione dei palchetti e la formazione di una commissione incaricata di seguire i lavori di costruzione. Il teatro doveva essere costruito fuori della porta Volterrana davanti alla casa del sig. Fantacci su disegno dell’architetto Ferdinando Magagnini.
ESCURSUS STOIRICO DELLE VICENDE
COSTRUTTIVE
La costruzione del nuovo
teatro prese l’avvio il primo marzo 1861 su terreno di proprietà in parte
dell’accademico Giuseppe Bicocchi e in parte dell’accademico Carlo Tabarrini;
i quali poi vendettero all’Accademia: il primo braccia quadre
millecentosettantasette ossiano ari quattro e deciari ottantaquattro, il
secondo braccia quadre ottocentodieci, ossiano ari
due, centiari settantacinque e deciari novanta.
Il permesso del Comune per la costruzione di detto teatro
è datato 26 settembre 1861, mentre la richiesta del medesimo risale solo al 9
giugno 1861: appare evidente che si trattava di pura formalità, non solo
perché i lavori erano già iniziati da diversi mesi, ma anche per gli accordi
già stipulati tra il Comune e l’Accademia in seguito alla vendita del suo
vecchio teatro.
Il finanziamento dei lavori di costruzione avvenne anche
tramite alcuni prestiti contratti con persone benestanti della zona, in quanto
il ricavato della suddetta vendita era insufficiente e fu liquidato in più
anni.
Il “Giornale dei lavori” in particolare ed altra
documentazione ancora oggi disponibile, costituiscono l’ossatura portante di
questa analisi sulle vicende costruttive inerenti l’edificazione del nuovo
teatro dei Coraggiosi.
Il giornale prende avvio col Marzo 1861 documentando le
fasi iniziali fatte di piccone, mine, calcina, carrette con materiale di risulta
e di tante giornate di lavoro per preparare le fondamenta.
Il teatro poggia su un banco di roccia tufacea che fu
spianata sia facendo brillare mine che utilizzando dei “ferri per battere il
masso”.
Fino agli inizi di Luglio si continuò a lavorare sul “masso” per preparare gli sbancamenti necessari su cui poggiare i muri portanti. Dopodiché si iniziarono a tirare su i muri e come nella logica dei tempi, i materiali da costruzione vennero reperiti sul mercato locale, in luoghi nelle vicinanze di Pomarance. I mattoni, mattoncini e quadricci provenivano dalla vicina fornace del Gabbro, mentre a Poggiamonti era situata la cava da cui provenivano le bozze grandi per le “cantonate” e le piccole per la muratura mista delle pareti esterne.
Al 14 Luglio risale il primo pagamento per la fornitura di
scalini di pietra, in questo caso dodici, da parte di una persona del luogo, un
certo Garfagnini Luigi e con cadenza di circa venti giorni verrà effettuato
il saldo di altre forniture: la prima ancora di dodici e le altre di
ventiquattro. Considerando che per la buona gestione di un cantiere il
materiale viene fatto arrivare in un periodo di poco precedente al suo
utilizzo, il saldo degli scalini di pietra fa supporre il tempo occorso per la
realizzazione delle strutture verticali e dei solai dei tre ordini.
I solai hanno struttura portante in legno, composta di
travi e travicelli reperiti sul mercato di diverse località: Lajatico, Gabbro,
Castelnuovo e Livorno. Due fatture della ditta di legname “Aghib e Rocah” di
Livorno documentano che ne inviarono un grosso quantitativo a Pomarance,
ordinato da Ferdinando Magagnini e pagato dal conte Federigo De Larderei, il
quale fu successivamente rimborsato dal Camarlingo Carlo Tabarrini. In quel tempo
per la fornitura di legname eccedente i cinque metri, era uso ricorrere al mercato
esterno e la scelta di Livorno è da attribuire al progettista, appunto livornese
e forse anche, per la comodità nei pagamenti, alla presenza in detta città di
un accademico illustre come il De Larderei. Sempre in questo periodo e
precisamente l’undici agosto, iniziarono i lavori di costruzione della
facciata ripulendo lo scasso fatto nel “masso” e ponendo poi nelle fondamenta
“una memoria scritta in carta pecora, con custodia in piombo ed una moneta
d’oro Romana”.
Con la costruzione delle strutture verticali, dei solai e
delle volte prese l’avvio l’opera di copertura della fabbrica che fu probabilmente
ultimata verso la fine di novembre, poiché è registrato il pagamento di una
merenda con la quale si festeggia, “come è di costruirne” questa occasione.
Conclusa questa fase ne iniziò una altrettanto lunga,
quella di completamento e rifinitura. Il 16 marzo 1862 venne stilata una
perizia sui lavori ancora mancanti e di conseguenza una stima del denaro necessario
per portare a compimento l’opera.
La costruzione del plafone (che copre la platea) fu affidata, a nota, a maestranze già operanti come il falegname Ferdinando Funaioli e il capo muratore Giovanni Mazzinghi. La progettazione del meccanismo degli scenari venne chiesto inizialmente al macchinista del teatro La Pergola di Firenze,ingegnere Cenovitti che però fu scartato, in quanto ritenuto troppo costoso. Così anche questo incarico venne affidato al falegname Funaioli, il quale aveva “in altro teatro attentamente esaminato tali meccanismi”. Nel mese di agosto 1862 sono annotati diversi pagamenti per l’acquisto di doccioni, ma anche l’ultima fornitura di pianelle, mezzane e tegole per completare il pavimento e la copertura della soffitta, stavolta provenienti dalla fornace Larderei di Lucoli; dopodiché sono i piccoli lavori di rifinitura e d’arredo a comparire sempre più frequentemente, del resto il giorno dell’inaugurazione era ormai prossimo.
Con il 12 ottobre 1862, giorno dell’inaugurazione, non si
concluse il ciclo dei lavori ed acquisti per il nuovo teatro; il “giornale”
tra gli altri, riporterà ancora: l’acquisto di alcune porte, di gran parte dell’arredo,
la posa in opera dell’infissi in legno, la scala in legno che porta alla graticciata,
la lucidatura dello stucco della sala, la riquadratura dei palchetti ed altri
piccoli lavori di rifinitura.
La pittura dell’interno dei palchetti fu stabilito di
realizzarla con “colore andante” e semplice riquadratura realizzata da entrambi
i pittori pisani chiamati ad operare in questo teatro, Riccardo Torricini e
Giuseppe Martini; il trattamento a stucco lucido fu realizzato dal solo
Martini, che era appunto “maestro di stucco lucido”, in cinque giornate di lavoro.
Il pittore Torricini ebbe un ruolo più importante, di mano sua sono le
pitture del foyer, dell’atrio d’ingresso, delle stanze accademiche e il
riattamento degli scenari del vecchio teatro; in quanto alla pittura della
volta della sala non è sicura l’attribuzione al Torricini, in quanto l’uso di
determinati colori farebbe supporre una sua più tarda realizzazione.
Il penultimo pagamento, il 31 gennaio 1868, riguarda il “casotto del Bigliettinaio” costruito da Ferdinando Funaioli già incaricato di tutti i lavori di falegnameria del nuovo teatro.
Il giorno 18 ottobre 1868 il “giornale dei lavori” chiude i
valori totali di alcuni materiali e denaro impiegati nella costruzione del
Teatro dei Coraggiosi. La chiusura del giornale, non significò ovviamente, la
fine dei lavori all’edificio teatrale, sia per la complessità del medesimo che
impone continue riparazioni, sia per gli adattamenti e le trasformazioni
conseguenti il pratico utilizzo o l’evoluzione tecnologica che si impone col
trascorrere degli anni.
Se i lavori di costruzione si possono considerare
conclusi, così non è stato per gli arredi e gli abbellimenti che sono proseguiti
ancora per lunghi anni. Nelle nicchie poste nell’atrio d’ingresso solo con
l’inizio del 1884 vi trovarono collocazione i primi busti di marmo e questo
anche grazie all’iniziativa di un giovane studente dell’Accademia di Belle
Arti di Firenze, Ezio Ceccarelli di Campiglia Marittima che si prestò più per
gloria che per denaro.
Il 23 settembre del 1886 un professionista di Volterra
Luigi Guarnieri, stilò una “relazione sullo stato del teatro di Pomarance”
dichiarando, dopo una breve descrizione dell’edificio riguardante in particolare
le strutture portanti ed il “sistema antincendio”, che “l’insieme del teatro è
in perfetta regola e nulla vi è da temere in rapporto alla statica” e proseguendo
poi con alcuni suggerimenti per “l’ordine e la sicurezza pubblica”. Se dal
punto di vista statico il teatro non presentava irregolarità, diversamente era
per gli
infissi e per le superfici esterne dei vari ambienti che presentavano altresì
un degrado già avanzato. Pertanto, l’anno dopo, fu deciso un grande restauro
di cui rimane a testimonianza il “rendiconto delle spese e delle entrate” per
restauri occorsi al teatro di Pomarance l’anno 1888. In occasione di tali
lavori l’accademico Florestano De Larderei, il 4 ottobre, chiese ed ottenne
dal corpo accademico “di far rimuovere con tutte le cautele opportune, la
parete di divisione” tra i due palchi di sua proprietà (il n° 11 e 12 del primo
ordine).
Negli anni che seguirono si registrarono solo lavori di
manutenzione ordinaria fino ad arrivare al 1914, anno in cui furono
realizzate alcune opere per improvvisare un cinema. I lavori per l’impianto
del cinematografo riguardarono soprattutto il palco reale che fu adattato a
cabina di proiezione, smontando l’apparato decorativo e foderando la porta di
banda stagnata.
L’anno seguente fu installata l’illuminazione elettrica in
sostituzione di quella a petrolio, limitatamente agli spazi ad uso pubblico,
con un’unica eccezione del “salotto accademico”.
Gli interventi successivi saranno incentrati per la
trasformazione del teatro in cinema, soprattutto dettati da ragioni di “Botteghino”
visti i buoni incassi di quegli ultimi anni. Così il 4 aprile 1959, per aumentare
il numero dei posti a sedere, fu deciso l’arretramento dello schermo e l’abbattimento
del palcoscenico con i suoi camerini sottostanti ormai inutilizzati da lungo
tempo.
Il mese successivo iniziarono i lavori di ampliamento della platea affidati alla ditta Moretti di Pomarance, su progetto dell’ing. arch. Beliucci di Ponsacco.
DESCRIZIONE DEL NUOVO TEATRO
Il teatro sorge fuori della porta Volterrana, sulla via
provinciale, lungo la direttrice di crescita del paese.
All’esterno l’edificio è abbellito da una facciata in
pietra tufacea, articolata in due parti: la parte inferiore “a bugnato” con le
tre porte d’accesso sormontate da un doppio cornicione, mentre quella superiore,
coronata da un cornicione più “importante”, ha un ordine di tre finestroni e
si distingue per un diverso trattamento dell’apparato murario.
Il teatro, al suo interno, è strutturato in quarantaquattro
palchi divisi in tre ordini, distribuiti lungo una pianta a ferro di cavallo.
Dalla porta centrale di facciata si accede ad un atrio di ingresso, ampiamente decorato. In questo spazio, dal lato sinistro si può accedere al caffè, che è a contatto diretto con la strada, infatti per molti anni svolse la sua funzione anche nei giorni di chiusura del teatro. La biglietteria è posta alla destra dell’atrio d’ingresso, anch’essa ha l’accesso diretto dalla strada. Dall’atrio si passa successivamente al foyer e da questo superati pochi scalini, si entra nella platea.
Due vani scala, simmetricamente disposti alle due estremità del foyer, distribuiscono il pubblico ai tre ordini dei palchi. Al secondo ordine sono collocate le stanze accademiche, sono stanze ampie e molto luminose grazie ai grandi finestroni che si aprono sulla facciata principale del teatro.
Sostanzialmente
il teatro riflette l’immagine di allora e risulta facile immaginare i giorni
luminosi dei primi anni di attività, l’eleganza del pubblico e il rumoroso
chiacchericcio che precede sempre una rappresentazione teatrale, magari con un
tono più alto per il clima di entusiastica scoperta di un pubblico non ancora
avvezzo a simili occasioni di ritrovo, lo stesso che forse ancora oggi si
respira in occasione delle grandi prime.
SPETTACOLI E
MANIFESTAZIONI AL TEATRO DEI CORAGGIOSI
L’attività del Teatro dei Coraggiosi è
suddivisa in due periodi: il primo prende avvio con la stagione inaugurale di
prosa dell’autunno 1862 per concludersi con i bombardamenti tedeschi del 1944,
che segnano anche l’inizio del secondo periodo caratterizzato dal lento
declinio delle attività del teatro.
La prima stagione teatrale aprì con rappresentazioni
della “Compagnia comica Gagliardi e Antinori”, e per la sera d’inaugurazione
del teatro portarono in scena la commedia “Suor Teresa”.
Il contratto
con le varie Compagnie avveniva per mezzo di istanze presentate dalle stesse
all’Accademia, oppure attraverso l’agente teatrale o su sollecitudine di qualche
amico di accademici che aveva assistito alle rappresentazioni di una certa
compagnia. Comunque la scelta ricadeva sempre su compagnie conosciute o per le
quali qualche personalità stimata garantiva per loro.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
REPETTI, Dizionario Geografico, fisico, storico
della Toscana, Firenze, 1841, vol.
IV.
E. MAZZINGHI, Rievocazioni Storiche di Pomarance,
in «Rivista Comunità di Pomarance».
C. ORESTI. L. ZANGHERI, Architetti e ingegneri
nella Toscana dell’ottocento, Firenze, Uniedit, 1978, pp. 48-49.
GIUSEPPE CRUCIANI-FABOZZI, La committenza De
Larderei e l’opera di Ferdinando Magagnici, dal «Bollettino degli
Ingegneri», n° 10/1982, I parte.
GIUSEPPE CRUCIANI-FABOZZI, cit., n°
5/1983, Il parte.
AA.VV., Teatri, Luoghi di spettacolo e Accademiche
a Montepulciano e in Valdichiana, Montepulciano, Editori Del Frigo, 1984.
M. BUSCARNO, P. PIERAZZANI, Il teatro abbandonato,
Firenze, La Casa HSHER, 1985. «Professione: Architetto», nn.
10-11-12/1987, Firenze, Alinea, pp. 2-49.
«Recuperare, edilizia, design, impianti», n. 37/1988, pp. 588-593.
AA.VV., La fabbrica del Goldoni. Architettura
e cultura teatrale a Livorno (1658-1847), Venezia, Cataloghi Marsilio,
1989.
AA.VV., Teatri storici in Emilia Romagna,
Bologna, 1st. Beni Culturali, Regione Emilia Romagna. 1989.
AA.VV., L’Architettura teatrale nella
provincia di Siena, Roma, Giunta Regionale Toscana, 1990.
È stato acquistato dal Comune di Pomarance lo storico Teatro dei Coraggiosi. Così, con questa operazione, i due teatri presenti nel centro urbano (Teatro De Larderei – Teatro dei Coraggiosi) appartengono al patrimonio pubblico. In verità esistevano nel territorio comunale tre organismi teatrali, di cui uno purtroppo non più esistente. Sorti dopo la metà del XIX0 secolo nel Comune di Pomarance, risulta organicamente connessa, come gran parte del rinnovo urbano del capoluogo e dello sviluppo insediativo ed infrastrutturale del territorio, all’affermarsi dello sfruttamento industriale dei “lagoni” e dei “soffioni” del comprensorio boracifero e, con esso, alle fortune imprenditoriali della famiglia De Larderei.
Via Gramsci: Facciata Teatro Accademia dei Coraggiosi (1950)
Il primo, in ordine di tempo, di tali teatri, inaugurato
1’8 settembre 1856 con una festa solenne e con un banchetto imbandito a
duecento conviviali, venne realizzato nella corte del palazzo padronale di
Larderello come vera e propria attrezzatura ricreativa aziendale,
prevalentemente destinata alle rappresentazioni sceniche ed alle esecuzioni
musicali dei dipendenti dello stabilimento. L’allestimento di questo spazio
teatrale, come la progettazione di quasi tutti gli interventi edilizi
commissionati da Francesco de Larderei fra il 1845 e la data di morte (1858),
va ascritta all’ebanista ed architetto livornese Ferdinando Magagnini. La
frequente presenza del versatile operatore al servizio dei De Larderei nel
territorio di Pomarance doveva di lì a poco invogliare i membri dell’Accademia
dei Coraggiosi ad affidargli l’incarico di redigere il progetto di un nuovo
edificio teatrale in sostituzione della sala già esistente nell’abitato. Il
nuovo Teatro dei Coraggiosi, verrà inaugurato il 12 ottobre 1862: sotto la
lunetta dell’atrio, di fronte a chi entra, figura ancora una epigrafe
gratulatoria nei riguardi dell’architetto fatta apporre per la circostanza
dagli accademici.
Il fabbricato, che presenta sul fronte stradale una sobria
facciatina in pietra tufacea a tre assi di aperture, rileva al suo interno,
nella contratta sequenza dei vani che precedono la sala assicurando il necessario
sviluppo distributivo per accedere ai diversi ordini di posti, un gustoso
contrappunto di effeti spaziali, sottolineato dalla decorazione geometrica
delle superaci, che accompagnano il fruitore fino alla soglia dell’invaso
teatrale, dall’impianto lievemente a campana, a tre ordini di palchi,
sovrastato dalla appena accennata concavità del soffitto dipinto la cui
complessa armatura lignea emerge come il dorso di una testuggine nel locale
sottotetto. La trasformazione postbellica del teatro in cinematografo ha comportato,
assieme al tamponamento del palco di mezzo per adibirlo a cabina di proiezione,
il deturpamento del proscenio in conseguenza dell’installazione dello schermo.
Con
l’emanazione delle nuove normative in materia di sicurezza, il Teatro dei Coraggiosi
venne definitivamente chiuso ed abbandonato perdendo così l’originaria funzione
culturale e sociale. Inizia così lo storico declino e l’abbandono totale che
avrebbe certamente portato alla definitiva demolizione quale percorso oggetivo
che caratterizza la maggioranza dei teatri italiani costruiti tra la fine del
settecento e la prima metà dell’ottocento.
Nasce da questa amara constatazione il processo necessario di recupero di queste vecchie strutture e la necessità di progettare una destinazione d’uso coerente con la loro storia e con le esigenze culturali della realtà contemporanea. È proprio attraverso queste sollecitazioni determinate dalle Amministrazioni Locali che nasce il progetto F.I.O., progetto integrato per la tutela monumentale, la ristrutturazione e l’uso infrastrutturale dell’edilizia teatrale in Toscana. Con l’approvazione da parte dello Stato del progetto presentato dalla Regione Toscana per una spesa complessiva di 41 miliardi che consente l’intervento e la ristrutturazione di trenta strutture di proprietà pubblica tra le quali figura il Comune di Pomarance con le due strutture teatrali del Teatro De Larderei e Teatro dei Coraggiosi. Senza l’inserimento nel progetto F.I.O. con l’accesso ai finanziamenti previsti dal piano, sarebbe stato impensabile per il Comune pensare ad una operazione del genere. Ora inizieranno i lavori di progettazione e di recupero nell’ambito della politica della rivalutazione dei centri storici e della loro “vivibilità” secondo un nuovo concetto dell’arredo urbano e come momento di aggregazione sociale onde contrastare i segnali di decadimento culturale in atto in tutti i centri urbani e nelle aree matropolitane. Si tratta insomma di far usufruire ai cittadini che vivono lontani dai centri momenti di vita culturali che sono indispensabili per la tenuta complessiva di un territorio in particolar modo per le zone montane.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Giuseppe
Cruciani Fabozzi – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER.
Marco Mayer – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER
Paolo Pierazzini – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
La Storia Continua
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