È stato acquistato dal Comune di Pomarance lo storico Teatro dei Coraggiosi. Così, con questa operazione, i due teatri presenti nel centro urbano (Teatro De Larderei – Teatro dei Coraggiosi) appartengono al patrimonio pubblico. In verità esistevano nel territorio comunale tre organismi teatrali, di cui uno purtroppo non più esistente. Sorti dopo la metà del XIX0 secolo nel Comune di Pomarance, risulta organicamente connessa, come gran parte del rinnovo urbano del capoluogo e dello sviluppo insediativo ed infrastrutturale del territorio, all’affermarsi dello sfruttamento industriale dei “lagoni” e dei “soffioni” del comprensorio boracifero e, con esso, alle fortune imprenditoriali della famiglia De Larderei.
Via Gramsci: Facciata Teatro Accademia dei Coraggiosi (1950)
Il primo, in ordine di tempo, di tali teatri, inaugurato
1’8 settembre 1856 con una festa solenne e con un banchetto imbandito a
duecento conviviali, venne realizzato nella corte del palazzo padronale di
Larderello come vera e propria attrezzatura ricreativa aziendale,
prevalentemente destinata alle rappresentazioni sceniche ed alle esecuzioni
musicali dei dipendenti dello stabilimento. L’allestimento di questo spazio
teatrale, come la progettazione di quasi tutti gli interventi edilizi
commissionati da Francesco de Larderei fra il 1845 e la data di morte (1858),
va ascritta all’ebanista ed architetto livornese Ferdinando Magagnini. La
frequente presenza del versatile operatore al servizio dei De Larderei nel
territorio di Pomarance doveva di lì a poco invogliare i membri dell’Accademia
dei Coraggiosi ad affidargli l’incarico di redigere il progetto di un nuovo
edificio teatrale in sostituzione della sala già esistente nell’abitato. Il
nuovo Teatro dei Coraggiosi, verrà inaugurato il 12 ottobre 1862: sotto la
lunetta dell’atrio, di fronte a chi entra, figura ancora una epigrafe
gratulatoria nei riguardi dell’architetto fatta apporre per la circostanza
dagli accademici.
Il fabbricato, che presenta sul fronte stradale una sobria
facciatina in pietra tufacea a tre assi di aperture, rileva al suo interno,
nella contratta sequenza dei vani che precedono la sala assicurando il necessario
sviluppo distributivo per accedere ai diversi ordini di posti, un gustoso
contrappunto di effeti spaziali, sottolineato dalla decorazione geometrica
delle superaci, che accompagnano il fruitore fino alla soglia dell’invaso
teatrale, dall’impianto lievemente a campana, a tre ordini di palchi,
sovrastato dalla appena accennata concavità del soffitto dipinto la cui
complessa armatura lignea emerge come il dorso di una testuggine nel locale
sottotetto. La trasformazione postbellica del teatro in cinematografo ha comportato,
assieme al tamponamento del palco di mezzo per adibirlo a cabina di proiezione,
il deturpamento del proscenio in conseguenza dell’installazione dello schermo.
Con
l’emanazione delle nuove normative in materia di sicurezza, il Teatro dei Coraggiosi
venne definitivamente chiuso ed abbandonato perdendo così l’originaria funzione
culturale e sociale. Inizia così lo storico declino e l’abbandono totale che
avrebbe certamente portato alla definitiva demolizione quale percorso oggetivo
che caratterizza la maggioranza dei teatri italiani costruiti tra la fine del
settecento e la prima metà dell’ottocento.
Nasce da questa amara constatazione il processo necessario di recupero di queste vecchie strutture e la necessità di progettare una destinazione d’uso coerente con la loro storia e con le esigenze culturali della realtà contemporanea. È proprio attraverso queste sollecitazioni determinate dalle Amministrazioni Locali che nasce il progetto F.I.O., progetto integrato per la tutela monumentale, la ristrutturazione e l’uso infrastrutturale dell’edilizia teatrale in Toscana. Con l’approvazione da parte dello Stato del progetto presentato dalla Regione Toscana per una spesa complessiva di 41 miliardi che consente l’intervento e la ristrutturazione di trenta strutture di proprietà pubblica tra le quali figura il Comune di Pomarance con le due strutture teatrali del Teatro De Larderei e Teatro dei Coraggiosi. Senza l’inserimento nel progetto F.I.O. con l’accesso ai finanziamenti previsti dal piano, sarebbe stato impensabile per il Comune pensare ad una operazione del genere. Ora inizieranno i lavori di progettazione e di recupero nell’ambito della politica della rivalutazione dei centri storici e della loro “vivibilità” secondo un nuovo concetto dell’arredo urbano e come momento di aggregazione sociale onde contrastare i segnali di decadimento culturale in atto in tutti i centri urbani e nelle aree matropolitane. Si tratta insomma di far usufruire ai cittadini che vivono lontani dai centri momenti di vita culturali che sono indispensabili per la tenuta complessiva di un territorio in particolar modo per le zone montane.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Giuseppe
Cruciani Fabozzi – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER.
Marco Mayer – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER
Paolo Pierazzini – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER
Il XIX° secolo è stato per Pomarance un importante periodo
storico caratterizzato da notevoli trasformazioni urbanistiche nel centro
storico che cambiarono radicalmente l’aspetto medioevale o rinascimentale dei
palazzi appartenuti alle antiche casate nobiliari o borghesi del luogo. Queste
costruzioni ottocentesche procurarono la distruzione di antiche testimonianze
architettoniche creando la nuova immagine di Pomarance che è possibile
osservare percorrendo le vie del centro storico ed in particolar modo via
Roncalli o dei “Signori”.
Palazzo De Larderel
Sui vari palazzi certamente si impone il grandioso edificio di “Palazzo De Larderei”. Attualmente di proprietà comunale ed adibito a sede per l’Ufficio Tecnico e della Comunità Montana della Val di Cecina, fu un tempo la residenza autunnale della nobile famiglia dei De Larderei che lo iniziarono ad opera del “sagace” commerciante Francesco De Larderei su progetto dell’architetto ebanista Magagnini di Livorno. Francesco De Larderei, di origine francese, trapiantatosi a Livorno fin dai primi dell’ottocento, si stabilì nelle nostre zone attorno al 1818 quando fu fondata una società (ved. Chemin – Prat – Lamotte – Larderei) dedita alla estrazione e produzione dell’acido borico contenuto nei “lagoni” di Montecerboli. Lagoni ottenuti a livello dal Comune di Pomarance ed in seguito in concessione perpetua dal Granduca di Toscana. Il “borace”, prodotto richiesto ed esportato in tutto il mondo, permise al conte Francesco, con l’aumento di capitali, di entrare ben presto a far parte della borsa dei Priori del Comune di Pomarance (1833) e di acquistare nel territorio comunale una serie di “unità immobiliari” che, ampliate e ristrutturate, sarebbero andate a formare il grandioso Palazzo – Fattoria De Larderei che ricalca, se pure con un lessico architettonico semplificato, il Palazzo Larderei di Livorno. (1)
L’area in cui doveva essere edificato il
fabbricato era stata individuata dal “Conte di Montecerboli”, fin dai primi
dell’ottocento, all’inizio del paese, nell’antica contrada di borgo tra la
porta Massetana e la Cancelleria comunitativa.
Consultando una mappa catastale del periodo leopoldino (1823) è possibile comprendere quali furono i fabbricati che Francesco De Larderei iniziò a comperare per la realizzazione del grandioso progetto. (fig. 1)
Il primo edificio acquistato fu quello
di proprietà del Cav. Giovanni Falconcini, per arroto del 6 aprile 1832,
(particella catastale 279 – 281 – 282 – 283) a cui si aggiunse due anni più
tardi, per arroto del 18 aprile 1835, l’acquisto della casa di Metani Donato
addossata all’antico baluardo di Porta Massetana (part.
cat. 284). Sempre nello stesso anno venne
acquistata, con arroto del 20 maggio 1835, la casa del Cav. Giuseppe Bardini (part.
cat. 282 – 282 bis – 283 bis).
Sei anni dopo fu acquisita anche l’abitazione di Francesco Funaioli per arroto del 25 maggio 1841, (part. cat. 277 – 278 – 280) insieme ad una cantina dai fratelli Michele e Giuseppe Bicocchi (part. cat. 277 – 278) ed un terreno “sodo lavorativo” dal sig. Beliucci Ermogasto, che era quella porzione di suolo al di fuori delle vecchie mura castellane denominate il “Tribbietto” (2) (part. cat. 279 bis).
Negli stessi anni vennero acquistati dal De Larderei anche
una serie di poderi che andarono a formare una tenuta di “beni rurali” nel
Comune di Pomarance e che permise al Conte Francesco, in base ad un regolamento
catastale del 1829, di fare istanza nel 1843 alle Magistrature di Comune per
essere sgravato dalle stime imponibili sui fabbricati ad uso rurale: (3)
“… con /a volontà del nobil conte Cav. Priore Francesco De Larderei
di Livorno, a possedere come appunto possiede, una tenuta di beni rurali nella
Comunità di Pomarance, ebbe desiderio insieme di corredarla di necessari
comodi per l’agenzia, e di un comodo per abitare nell’autunnali
villeggiature. In pertanto che procede all’aggiusto di vari antichi fabbricati
quali parte al di fuori, parte al di dentro della porta così detta Massetana
della terra di Pomarance, formarano un collegato di muri, capaci insieme, a
soddisfare il di sopra espresso suo desiderio.
E dappoiché tali speciali acquisti furono fatti dopo la stima del nuovo catasto, questi sopra dei catastali registri furono in conto, e faccia del prefato sig. Conte DeLarderei …per un ammontare totale della rendita imponibile di lire 543,97”. (4) Nell’istanza il conte De Larderei dichiarava che tutti quei fabbricati erano stati utilizzati ad uso di fattoria e “… ridotti in fienili, stalle, rimesse, granai, coppai, tinai, magazzini”, in parte come abitazione dell’agente ed inservienti; in parte ad abitazione propria, ‘‘per tempo della villeggiatura”, con un piccolo giardino annesso, dichiarando inoltre che nessuno dei fabbricati riservò per appigionarli o trarne frutto di locazione alcuno …”. Non ci è dato a sapere se “l’aggiusto” dei fabbricati corrisponda all’inizio dei lavori per la realizzazione di Palazzo De Larderei; certo è che la situazione urbanistica di questa area cambiò radicalmente nel giro di una decina di anni (1852 ca.) (fig. 2)
Variazione Catastate 1852 c.a. (FIG. 2).
Venne demolito infatti il baluardo di Porta Massetana e la
casa del Melani; occupata la piccola piazzetta detta “Padella”; abbattuti i
resti delle mura castellane; ampliato il fabbricato centrale (part.
cat. 282) e costruito un giardino al quale si
accedeva anche attraverso un vicolo dalla “via di Borgo” (tra part. 277 e 280).(5)
Il lotto centrale del Palazzo che secondo gli ambiziosi
progetti del De Larderei avrebbe dovuto ricreare lo stesso imponente prospetto
del palazzo di Livorno, già terminato in quegli anni, indusse lo stesso conte
Francesco a proporre alle Magistrature nel 1852 la permuta della Cancelleria in
cambio della ristrutturazione a sue spese del Palazzo Pretorio creando
ambienti idonei per l’Ufficio del Gonfaloniere e del Cancelliere.
Proposta non molto gradita dai Priori del Comune che
avrebbero invece voluto un fabbricato nuovo come risulta da una lettera del
1853 (6):
A di 25 maggio 1853
Pregiatissimo sig. Gonfaloniere sono onorato della
pregiatissima sua in data 20 corrente con la quale V.S. illustrissima si
compiace di parteciparmi la decisione sulla mia proposizione relativa alla Cancelleria
Comunitativa. L’opinione dell’ingegnere nulla mi sorprende, Egli si era già
pronunciato da più di un anno e prima di avere esaminato le mie piante, lo
compatisco per non dire altro.
Al Gent.mo sig. Gonfaloniere dovrà sempre convenire, che
la mia proposizione era vantaggiosissima alla Comune, e che la cattivissima
casa della Cancelleria (veniva distrutta fino ai fondamenti) mi sarebbe
costato tre volte tanto il suo valore reale.
V.S. si compiace ancora propormi di fare costruire una
nuova Cancelleria e di darmi la vecchia per la nuova e mi invita a sottoporre
il mio progetto.
Mi rincresce doverli dire che non posso accettare simile
proposizione, più particolarmente perchè il progetto qualunque fosse, avrebbe
certamente la disgrazia di stare diversi anni nelle mani dell’ingegnere, come
ha fatto il primo, sarà adunque assai meglio che io rinunzi al mio progetto per
non essere ballottato ingiustamente o capricciosamente, quando tutte le mie
mire erano per il vantaggio della Comunità, l’imbellimento del paese, e far
lavorare dei disgraziati senza lavori.
Ho l’onore di dichiararmi rispettosamente…
Dev.mo servitore F. De Larderei
Trascorsi due anni dalla prima richiesta di permuta il
conte De Larderei faceva nuovamente istanza (1855) al Gonfaloniere di Comune
per la cessione della fabbrica di Cancelleria proponendo di pagarla in
contanti con l’aumento del 15% sopra le stime, oppure costruendo una nuova
Cancelleria uguale a quella vecchia dettando però una condizione che, se fosse
stata accettata la seconda proposta egli avrebbe iniziato i lavori nella imminente
primavera e, ”… non solito aggiornare i suoi divisimenti…” pregava le magistrature
a deliberare e risolvere entro il mese di marzo la sua richiesta “… passato
il quale, non sarebbe stato più il caso di mantenerla …”.
La seconda proposta fu ben presto accordata ed i lavori
del palazzo proseguirono di pari passo con quelli della nuova Cancelleria
costruita tra la via Provinciale Massetana e via dei Boschetti. (7) Purtroppo,
la morte del conte Francesco De Larderei non permise di poter vedere ultimato
il suo grande desiderio che fu ben proseguito dal figlio Federigo, con
l’ampliamento dell’ala del palazzo verso Porta Massetana e nella quale venne
creato il bellissimo teatrino privato inaugurato nel 1872.
In quello stesso periodo
vennero acquistati dal figlio Federigo anche la casa con orto già di Cammillo
Fantacci (Part. cat. 273 – 274 – 275) che furono
utilizzate in parte per nuove scuderie (attuale Auditorium). Oggi, percorrendo
via Garibaldi, è possibile vedere la facciata principale di Palazzo De Larderei
nel suo antico splendore dopo il riuscito restauro effettuato nel 1984 ad
opera del Comune di Pomarance e nel quale è evidenziato ancora di più il
grande stemma in cotto della famiglia De Larderei collocato all’interno del timpano
centrale in cui si legge: “Raffaello Agresti fece all’lmpruneta nel 1871”.
Jader Spinelli
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Il Teatro abbandonato; “Pomarance: teatri storici” di G. Cruciani Fabozzi 1985; Ed. La Casa USHER
Cfr. “La Porta Orciolina o Massetana” – La Comunità di Pomarance n° 2 e Supplemento al n° 2 1988
Patrimonio rurale nel marzo 1843 di Francesco De Larderei: Podere S. Enrico, pod. S. Federigo, pod. Santa Paolina, pod. S. Filiberto, pod. Pogio Montino, Pod. Poggiamomi, pod. Luogonuovo, “Una costruzione non ultimata in aggiunta alla casa colonica dell’antico podere detto Palagetto..”.
Archivio Storico Comunale Pomarance F. 609.
Il giardino era delimitato da una sontuosa cancellata in ghisa proveniente dalle fonderie di Follonica. Questa fu demolita negli anni quaranta come offerta alla Patria per uso bellico.
Archivio Storico Comunale Pomarance F. 159.
La Cancelleria era costruita dove attualmente sono i “Giardinetti” e l’edicola dei giornali; permutata dalla famiglia Bicocchi, per la cessione dell’attuale palazzo comunale, fu utilizzata come Ospedale fino al 1935 circa. L’edificio fu minato durante la ritirata delle truppe tedeschenel 1945. (vedi Rievocazioni Storiche di Edmondo Mazzinghi – La Comunità di Pomarance 1974).
Il palazzo “Biondi Bartolini’’
situato sulla Piazza De Larderei al numero civico 3, è uno dei più antichi
edifici esistenti nel paese di Pomarance.
Ristrutturato nel modo attuale agli
inizi dell’ottocento appartenne, fin dai primi anni del XVIII secolo, alla
famiglia Biondi che ebbe tra i suoi discendenti Notai, Dottori, Priori e
Gonfalonieri nelle Magistrature del Comune delle Pomarance.
Attualmente conosciuto come il palazzo
“Biondi Bartolini”, fu denominato come tale solo attorno al 1830, quando
un discendente, certo Giuseppe Biondi, sposando Donna Violante Bartolini,
aggiunse al proprio cognome quello della moglie.
L’edificio, collocato al vigente catasto di Pisa con la particella catastale n° 417, può certamente essere considerato di notevole interesse storico per le sue pregevoli opere pittoriche dipinte sulle pareti e nei soffitti delle sale del “piano nobiliare”. Fin dai primi anni dell’ottocento il palazzo, ancora detto dei “Biondi”, era indicato negli antichi chirografi del tempo “lungo la via di Petriccio” che cominciava all’incirca dalla “Porta alla Pieve” (o Portone di Petriccio) e terminava alla “Porta Volterrana”.
Facciata del Palazzo Biondi Bartolini nel 1890
Uno dei più antichi documenti che ci consente
l’individuazione del palazzo è una planimetria del “Catasto Generale della
Toscana” o “Catasto Leopoldino” relativo a Pomarance. La piantina catastale,
conservata nell’Archivio di Stato di Pisa e datata 1823, consente di verificare
l’area occupata dall’immobile ed a questa faremo riferimento nella nostra
trattazione.(1)
Indicato a quel tempo con la particella catastale n° 316 risultava di proprietà del Sig. Giovan Battista Biondi. Proprietà che fu tramandata, di generazione in generazione, fin dall’acquisto (XVIII secolo) di alcuni beni immobili appartenuti a Cristofano Roncalli, discendente della famiglia Roncalli di Pomarance e pronipote del celebre pittore Crostofano Roncalli detto il “Pomarancio” (1552-1626).
Dall’estimo del Comune di Ripomarance
del 1571 risulta che l’immobile, pervenuto in eredità al Dottor Cristofano
Roncalli, apparteneva al suo bisnonno, Giovan Antonio di Francesco Roncalli da
Bergamo, padre del pittore Cristofano Roncalli. La casa, addossata alle
antiche mura castellane del XIII secolo prospicenti la strada di Petriccio,
confinava, come ancora oggi, con la Canonica della Chiesa di San Giovanni
Battista, l’orto della Chiesa e la porta “alla Pieve”; confinazioni importanti
che hanno permesso l’individuazione del fabbricato negli estimi del comune di
“Ripomarance” fin dal XV secolo.
Uno dei documenti attestanti l’appartenenza dell’edificio ai Roncalli risale al primo decennio del ’600. Trattasi di un estratto di contratto di vendita immobiliare pubblicato nel 1969 dal Dott. Giovan Battista Biondi su “La Comunità di Pomarance” e conservato nell’Archivio di Stato di Firenze al protocollo n° 19887, carta 45 v., atto 93, nel quale il notaio del tempo, Ser Guasparri del fu Francesco Maffii, certificava, in data 16 maggio 1616, che “… il Cavaliere Cristofano Roncalli delle Pomarance fu Giovan Antonio fece prendere possesso dei suoi beni in Pomarance, relitti morendo, il di lui fratello Donato”. Tra le varie proprietà compariva anche la casa, oggetto della nostra ricerca, posta nel castello di Ripomarance in luogo detto Petriccio confinante: “… a 1° Via, 2° Beni dell’eredi di Bernardino Roncalli mediante il Portone, 3° Casa della Pieve di San Gio:Battista, 4° Orto della Pieve, a 5° la casa di Bartolomeo Cercignani e se altri confini vi fossero, con le stanze e le botteghe sotto detta casa…”. L’edificio, attaccato come ancora oggi al Portone della Pieve e ricostruito ex novo nel 1884, presentava anticamente due stanze sovrapposte che pervennero ai Roncalli probabilmente da un livello enfiteutico dato dal Comune di Ripomarance.
Le stanze erano di necessaria comunicazione
con l’altra casa di Giovan Antonio Roncalli posta al di là della Porta alla Pieve
in luogo detto “Piazzetta alla Chiesa” (attuale Largo Don Morosini).
La “Lira” o “Estimo” del
Comune di Ripomarance del 1630, con arroti fino al 1708, conferma l’esistenza
di questa unità immobiliare ereditata dai discendenti Roncalli. (2)
La proprietà in quell’anno risulta
infatti alla “posta” di Jacopo, Francesco e Guglielmo figli di Cosimo
Roncalli.
Cosimo infatti era fratello del pittore Cristofano e figlio anche esso di Giovan Antonio Roncalli. La proprietà è così indicata: “… Una casa in detto castello con più botteghe confinata a 10 Via, 2° Pieve, 3° Orto della Pieve, 4° Mura, 5° Bartolomeo Cercignani, 6° Via … stimata lire milleduecentoquarantacinque…”.
Stemma Famiglia Biondi
Alcuni anni più tardi l’appartenenza dell’edificio passò al dottor Guglielmo Roncalli ed al fratello prete Francesco Roncalli. Alla morte di prete Francesco, con testamento del maggio 1683, rogato dal Notaio Gio: Antonio Armaleoni, la proprietà dell’immobile fu ereditata, in data 10 maggio 1696, dal Dottor Cristofano Roncalli, “soldato” (Tenente) Giuseppe Roncalli e prete Lorenzo Roncalli del fu Guglielmo suoi eredi e legittimi nipoti.(3) Nei primi anni del XVIII secolo risulta proprietario deH’immobile confinante con la casa della pieve soltanto il dottor Cristofano Roncalli; suo fratello, il tenente Giuseppe Roncalli, era infatti padrone della casa al di là della “Porta alla Pieve” (eredi attuali della Sig.na Federiga Volpi) così descritta nell’estimo del 1716 (4): “… una casa in Petriccio al portone con pozzo a metà con Teodora Ceccherini, confinata a 1° Via, 2° Via, 3° e 4° detta Teodora Ceccherini, 5° Via, 6° Dottor Cristofano Roncalli sopra il Portone stimata scudi 200…”.
Stemma dei Bartolini
La casa del Dottor Cristofano Roncalli
fu oggetto di compravendita in data 13 gennaio 1728 (ab Incarnazione 1729). Lo
scritto è riportato nell’articolo del Dottor Biondi Giovan Battista già citato.
Il Contratto conservato all’Archivio di
Stato di Firenze (Protocollo n° 23922 pag. 169) certifica che il suddetto
Dottor Cristofano Roncalli aveva lasciato dopo la sua morte molti debiti e che
i suoi creditori erano riusciti a mandare all’asta pubblica tutti i suoi
beni.
Il 10 giugno 1727 (1728) i detti beni
furono acquistati all’incanto dall’unico offerente, Michele di Cerbone di
Michelangelo Vadorini. Dal rogito si apprende che Pietro o Pier Francesco
Biondi (1691-1730), figlio di Giovan Antonio Biondi e Costanza di Domenico di
Sebastiano del Capitano Pietro Paolo Santucci, diretto antenato dei Biondi (e
quindi degli attuali Biondi Bartolini) acquistò dallo stesso Vadorini la casa
oggetto della nostra ricerca e cioè: “… Una casa dai fondamenti a tetto,
luogo detto Petriccio confinata a 1 ° Via, 2° Sig. Luogotenente Giuseppe
Roncalli, 3° la Chiesa arcipretale di San Gio:Battista di detta terra, 4° eredi
del quondam Bartolomeo Cercignani et altri….”.
La parte dispositiva del contratto si chiudeva con la seguente clausola: “… il medesimo sig. Pietro Francesco Biondi ha promesso e si è obbligato di lasciar godere e possedere al sig. Luogotenente Giuseppe Roncalli le due stanze di detta casa che sono poste sopra le camere contigue al Portone (di Petriccio), sua vita durante…”.(5)
Nell’estimo del 1716, con arroti fino al 1805 e conservato
nell’Archivio della Biblioteca Guarnacci di Volterra, la suddetta proprietà è
così indicata: “… Una casa in Petriccio a 1 ° Via, 2° Tenente Giuseppe
Roncalli, 3° Casa ed orto della Chiesa, 4° Pasquino Borghetti, 5° Via …
stimata scudi 150…”.(6)
In calce è riportata la seguente annotazione: “…a di. 22
giugno 1729; viene detta casa dalla posta di Michele di Cerbone Vadorini, in
questo a carta 346, per compra fattane dal sig. Biondi Pietro Francesco per
medesimo prezzo di scudi 100; per rogito di Giovan Pietro Biondi (notaio) del
di 13 giugno 1728; visto e reso accomodato dal sig. Cancelliere Torquato
Mannaioni…”.
Planimetria catastale del 1823. (Catasto Leopoldino). Palazzo “Biondi” indicato alla particella catastale n° 316
La casa aveva un nuovo confinante,
Pasquino Borghetti, che altro non era che il marito di Maria Cammilla
Cercignani figlia del “quondam” Bartolomeo. Questi infatti possedeva una casa
con più stanze con cantina e telaio sotto, in Petriccio confinata a 1° Via, 2°
dott. Cristofano Roncalli, 3° orto della Chiesa, 4° mura castellane, 5° e 6° Simone Cercignani
del valore di 50 scudi…”.(7)
Dal 22 giugno 1729 i Biondi furono gli unici proprietari
di questo immobile. La suddetta famiglia, che è annotata nell’estimo del
Comune di Pomarance fin dal XVII secolo, risultava proprietaria di diversi
beni nella corte di Ripomarance. Secondo lo storico Don Socrate Isolani pare
che essa provenisse dal “Castello della Pietra” nei pressi di San Gimignano
e che alcuni suoi membri si fossero stabiliti
attorno al XVI secolo nel piccolo castello di San Dalmazio. Giovanni di Giovan
Pietro Biondi (1604-1697), annotato nell’estimo del Comune di Pomarance
risulta proveniente infatti da San Dalmazio.(8)
Questi aveva comprato, in data 6 ottobre 1675, a Pomarance
tutti i beni appartenuti ad Agnolo Sorbi ed a suo fratello Bastiano tra cui
una casa posta in Petriccio confinante con lo “Spedale” di San Giovanni. Le
proprietà risultano successivamente essere poste a carico di suo figlio
Giovanni Antonio (1670-1730).
Il di lui figlio, Pietro Francesco Biondi (1671-1730) fu
l’autore dell’acquisto dell’antico palazzo appartenuto ai Roncalli che, come
già descritto, fu comprato all’asta dai Vadorini e poi successivamente
rivenduto al Biondi nel 1728 (1729).
Il dottor Pietro Francesco Biondi sposandosi con … dette la nascita a tre figli: Pompeo, Francesco (Michelangelo) e Giuseppe (Maria). Rimasti orfani in tenera età, per la precoce morte del padre, ereditarono tutti i beni del nonno Giovan Antonio per atto di testamento datato 22 agosto 1734; alla presenza del sig. Tenente Pier Giuseppe Biondi, uno dei tutori e provveditori. Tra i vari possedimenti risulta anche la casa confinante con la Chiesa, oggetto della nostra indagine. In data 13 agosto 1743 venne cancellato dalla “posta” dei beni dei fratelli Biondi il sig. Pompeo “… stante la divisione e cessione fatta a detti fratelli, come appare per contratto rogato dal Notaio Antonio Nicola Tabarrini…”.(9)
I due fratelli, Francesco e Giuseppe, rimasti
unici proprietari della casa posta lungo la via di Petriccio accanto alla porta
“alla Pieve”, nel 1760 ricomprarono una piccola stanza “posta nello stasso
palazzo di loro dimora”, che era stata venduta molti anni prima a certo Giovan
Maria Funaioli per scudi 10.
La riacquisizione della suddetta stanza ad opera di Giuseppe e Francesco Biondi è confermata oltre che nell’estimo del XVIII secolo, anche da un contratto conservato nell’archivio privato della famiglia Biondi Bartolini.(IO) Dal rogito si apprende quanto segue: “…adì 30 maggio 1760 … Qualmente dal già Sig. Pietro Francesco Biondi delle Pomarance fu venduta una stanza a terreno a Francesco e Andrea, fratelli e figli del già Giovan Maria Funaioli di detto luogo … qual stanza è contigua alla casa di proprietà di abitazione di detto signor venditore; luogo detto Petriccio, confinante a 1° Via, 2° Signori Biondi, 3° Portone detto di Petriccio … come per contratto rogato dal Dott. Bernardino Cercignani … ed avendo adesso convenuto e stabilito che il detto padrone di detta stanza, rilasci e conceda la suddetta stanza alli Signori Francesco e Giuseppe Biondi del prefato Sig. Pietro Francesco Biondi…”.
In un documento successivo del 1779,
tratto daH’Archivio Storico di Pomarance, la suddetta casa viene citata come
appartenente allo stesso Giuseppe Biondi, gonfaloniere in quegli anni nel
Comune delle Pomarance. In una descrizione di “Strade e Fabbriche della
Comunità di Pomarance” dello stesso anno infatti, si annotava che dalla via di
Petriccio si staccava una piccola via denominata “Dietro il canto”, la quale
iniziava: “dalla cantonata del Sig. Giuseppe Biondi a mano dritta, et a
sinistra dalla casa del Sig. Cancelliere Incontri, con direzione levante…”.(11)
Nello stesso anno i due fratelli Biondi facevano istanza al Comune delle Pomarance per poter sbassare una torre delle vecchie mura castellane che impediva luce necessaria alla loro abitazione: “… di poi letta un’istanza dei Sig.ri Dottori Giuseppe e fratello (Francesco) Biondi colla quale domandano di poter sbassare alcune parti di braccia della torre esistente lungo le mura castellane, luogo detto il Tavone, per acquistare l’aria della casa di loro abitazione… Deliberarono perciò di quanto spetta, ed è facoltà del Magistrato loro, accordarsi il mandato stesso… ‘>(12)
Una sala del piano nobiliare con decorazioni e pitture murali
È ipotizzabile che la suddetta torre posta in località
Tavone, altro non fosse che la torre circolare (attualmente conosciuta come
“dei Biondi Bartolini”) ubicata nel giardino degli stessi Biondi Bartolini dietro
Via dei Fossi.
Un’altra notizia storica del palazzo risale al 1783, quando
il sig. Giuseppe Biondi faceva domanda al comune delle Pomarance che: “… gli
fosse accordata licenza di fare tre paloni per l’ingresso ad una bottega da
esso fatta ai pié della casa di sua abitazione, quale rimane troppo alta dal
piano della strada…”.(13)
Attorno al 1785 il fratello Francesco Biondi lasciava la
casa paterna per formarne una propria. Il 15 settembre infatti faceva domanda
alle Magistrature del Comune di Pomarance “… di assere ammesso al
godimento dei Priori della Comunità così come ha goduto e gode la sua casa
paterna del Gonfalonierato, e Operaio per formare distinta famiglia dagli altri
suoi fratelli (Giuseppe e Pompeo)”.(14) Francesco Biondi si stabilì con la
propria famiglia nel palazzo posto sulla via di “Borgo” (oggi Roncalli) nel
palazzo attualmente conosciuto come “dei Ricci”. Nella divisione patrimoniale
dei tre fratelli anche il “prete” Pompeo fu liquidato con una retta annuale sul
capitale di famiglia; rimase unico possessore dell’immobile il Dottor Giuseppe
che morì nell’anno 1799. Con voltura n° 11 e n° 30 dello stesso anno ed una
voltura (n° 9) del 1803 la proprietà della casa posta “in Petriccio” e
confinante con la casa ed orto della chiesa, fu ereditata dai suoi tre figli;
Dottor Giovan Battista (1756-1826), Tommaso ed Isidoro.(15)
La tutela del patrimonio fu affidata al fratello maggiore
Giovan Battista Biondi che fu anche il promotore della ristrutturazione del
palazzo “Biondi”, così come ci è pervenuto oggi.
La notizia è del 24 maggio 1800; trattasi di una istanza presentata al Comune delle Pomarance dal Dottor Capitano Giovan Battista Biondi ”… colla quale domanda accordarseli la facoltà di poter porre l’antenne (paloni per impalcature) o quanto altro occorra nella necessità in cui si trova di dover rifondare le muraglie di sua abitazione posta in Petriccio e domanda di poter occupare lungo le muraglie di essa casa un terzo di suolo di strada e piazzetta di Petriccio col pagare alla comunità l’occorrente…”.(16)
La conferma di questa ristrutturazione
agli albori dell’ottocento è data anche da un documento conservato
nell’archivio Biondi Bartolini che tratta di una ricevuta di pagamento ad una
“maestranza” originaria di Firenze e lavorante in Pomarance: “… Adì 9
settembre 1802… lo Pasquale Bitossi ho ricevuto dal Sig. Capitano Giovan
Battista Biondi la somma di lire 80 tanti sono per opere fatte in sua casa, e
mi chiamo contento e soddisfatto in tutto per lire ottanta…”.
La riedificazione comportò anche l’ampliamento dell’edificio al di là delle vecchie mura castellane, sul versante dell’orto della chiesa di Pomarance. “Suolo canonicale” concesso a livello enfiteutico alla famiglia Biondi, dal parroco Saverio Pandolfini che consentì l’allineamento dell’edificio stesso verso la proprietà dell’orto della famiglia Biondi. Questa notizia è certificata da un atto di divisione patrimoniale del 1804 tra i fratelli Biondi e conservato nell’archivio di famiglia: “… essendo che fino dall’anno 1804 l’illustrissimo Vicario, Dottor Tommaso Biondi del già sig. Giuseppe (Antonio) Biondi di Pomarance, entrasse in determinazione di provvedere alla divisione del patrimonio sostante e i beni che riteneva in comune gli III.mi signori, Capitano Giovan Battista e Isidoro di detto già Sig. Giuseppe Antonio Biondi di detto luogo, di lui fratelli, ad essi pervenuti in eredità paterna e materna, quanto per eredità del defunto Sig. Dottor Francesco Biondi comune zio…”.
Nella descrizione dei beni in divisione è annotata anche: “… la casa di abitazione di loro stessi dividendi, posta in detta terra di Pomarance nella contrada di Petriccio, assieme colla nuova aggiunta eretta sul suolo ortale della chiesa di detto luogo con tutte le sue adiacenze e pertinenze…”.(17)
Anche se non sono stati ritrovati documenti concernenti il contratto di livello enfiteutico per l’occupazione del suolo ortale della chiesa, la stessa concessione enfiteutica è testimoniata in una relazione della metà del XIX secolo sulle proprietà dei Biondi Bartolini nel quale l’edificio è descritto: ”… composto di tre piani da terra a tetto il tutto per la più gran parte di libera proprietà, ma per piccola parte “livello” della Propositura di Pomarance
In quegli anni vennero dipinte e decorate le stanze ed i
soffitti del “piano nobiliare” in cui furono raffigurati, in stile Imperiale,
vedute paesaggistiche di notevoli dimensioni tra le quali è di notevole interesse
un paesaggio del castello di Pomarance (fine XVIII secolo) visto dalla zona di
Piuvico o Cappella di San Carlino.(18) Giovan Battista ed Isidoro, rimasti
unici proprietari del patrimonio di famiglia, in data 30 novembre 1813
addivennero ad una nuova divisione dei loro beni tra cui figuravano alcuni
possedimenti ereditati dallo zio paterno, Francesco Biondi.
Nell’atto notarile conservato tra i documenti di famiglia Biondi Bartolini è indicata anche “… la metà della casa di abitazione degli antedetti condividendi posta nella terra di Pomarance, contrada di Petriccio, confinata a 10 strada pubblica, 2° Bartolomeo Fedeli, 3° casa canonicale, 4° orto annesso a detta casa canonicale, 5° stanze dell’Opera, 6° Annibaie Vadorini con orto e casa e torna a detta via, dentro qual confini restano compresi il terrazzo ed orto uniti a detta casa dei condividendi che vien formata dalle fabbriche urbane descritte in faccia dei medesimi condividendi a carta 198 e 296 di detto estimo di Pomarance, stimata scudi 1000; qui per metà scudi 500…”.
Successivamente la casa
pervenne al Capitano Giovan Battista Biondi che morì nel 1826. Questi lasciò
eredi dei propri possedimenti i suoi tre figli: Giuseppe, Pietro e Jacopo che
risultano proprietari, al Catasto Generale della Toscana (1830), deH’immobile
posto in Petriccio e descritto alla particella catastale n° 316 e 315 (cioè
abitazione e orto).
In una successiva divisione patrimoniale
tra gli stessi fratelli Biondi, figli di Giovan Battista, le proprietà
pervennero (30 aprile 1837) al fratello maggiore Giuseppe; gli altri, Jacopo e
Pietro furono liquidati con una cospicua somma di danaro (8000 scudi ciascuno)
ed una rendita annuale sui fruttati di interesse sul capitale di famiglia.
Jacopo si trasferì a Montalcino dedicandosi alla sua tenuta vinicola e producendo
il famoso “Brunello di Montalcino”.
L’avvocato Pietro sposando Domira Vadolini dette luogo al ramo dei Biondi da cui discendono il dottor P.G. Biondi ed i suoi figli, Notaio Giovan Battista e Andrea Biondi della Sdriscia.
Il dottor Giuseppe Biondi sposando nel
1830 Donna Violante Bartolini, del Gonfaloniere Bartolino Bartolini e
Guglielma Tabarrini, con decreto del 26 febbraio 1830, aggiunse al proprio
cognome quello della moglie dal quale è derivata l’attuale famiglia “Biondi
Bartolini”, proprietari ancora oggi dell’ornonimo palazzo
situato in Piazza de Larderei.
Alla morte del dottor Giuseppe Biondi Bartolini, avvenuta nel 1863, gli succedettero nella tenuta del patrimonio immobiliare i suoi figli Bartolino e Giovanni.
Particolare del Castello di Pomarance agli inizi del XIX see. dipinto sulla parete della sala al piano nobiliare.
In quell’anno infatti, e precisamente il 22 maggio, fu stilata una relazione dettagliata del “patrimonio” Biondi Bartolini, dell’Ing. Lorenzo Chiostri che è ben conservata nell’archivio di famiglia. Nel manoscritto di stima dei beni Biondi Bartolini è descritto con minuzia il “palazzo nobiliare” dai fondi al tetto, il valore degli arredi che adornavano le varie stanze: “… Patrimonio lasciato dal Nobil Uomo dott. Giuseppe Biondi Bartolini al 22 maggio 1863… Un palazzo con orto annesso situato in comunità di Pomarance eprecisamente nel paese di tal nome in corrispondenza della nuova Piazza de Larderei, e della via maestra che ne fa, seguito procedendo verso il centro del paese, composto di tre piani da terra a tetto, il tutto per la più gran parte di libera proprietà, ma per piccola parte livello della propositura di Pomarance; di superficie tutto compreso orto e palazzo, braccia 1457 equivalente a mq. 496 e così confinato: a 1 ° Piazza de Lardarel, 2° Via, un tempo detta di Petriccio, 3° Via Mascagni, 4°, 5°, 6°, 7°, 8°, Propositura di Pomarance con fabbricato ed orto, 9°, 10°, 11°, 12°, 13°, Sig. Vadorini Giuseppe con orto e casa. Annesso a detto palazzo sta una terrazza a livello del terzo piano, costruita sopra un’antica porta del paese, il cui arco da un lato appoggia al palazzo Biondi Bartolini e dall’altro alla casa dei fratelli Bongi… Il piano terreno del suddetto palazzo è composto, come appresso: una piccola bottega con unico ingresso dall’esterno, un corridoio corrispondente alla porta principale di ingresso… Il descritto palazzo offre stabilità nelle sue mura, comodità nelle sue stanze ed eleganza specialmente in quelle del primo piano… Fra queste meritano speciale considerazione la sala ed il salotto da ricevere per le belle pittura che adornano le pareti; ma il pavimento a smalto lustrato e figurato a disegno con pietra di vari colori che presenta la sala, accrescono alla sala stessa un pregio, che la parifica alle sale dei palazzi signorili delle città… Le finestre del piano terreno sono guarnite di inferriate esternamente e di serramento a due imposte di cristalli e scurini internamente. Quelle del piano superiore sono provvedute d’imposte a cristalli e scurini e di persiane; quelle del primo piano a tetto hanno semplicemente le imposte a cristalli e scurini… Al piantario del nuovo estimo della Comunità di Pomarance il suddetto palazzo con orto è figurato dalle particelle n° 315 e 316 della sezione C accese a conto di Biondi Bartolini Bartolino e Giovanni del dottor Giuseppe…”.
Stato attuale del Palazzo Biondi Bartolini indicato alla particella n° 417
Nella relazione dettagliata è annotato
che manca il documento del livello corrisposto alla Canonica per l’occupazione
del suolo destinato alTampliamento dell’edificio avvenuto agli inizi
dell’ottocento e che comportava una spesa annua di lire 45,20.
Nel periodo tra il 1863 ed il 1868
Bartolino e Giovanni ampliarono i possedimenti immobiliari nelle immediate
adiacenze della loro abitazione. Infatti in una relazione sul “patrimonio attivo
e passivo” dei fratelli Bartolini e Giovanni del 22 maggio 1863, confrontato
con quello del 10 novembre 1868 risulta, nella voce “acquisti di immobili” un
pagamento a Giuseppe Vadorini per “vitalizio di lui casa”, di lire 552. Egli
infatti cedette i propri possedimenti (particelle 315 e 314 del Catasto
Leopoldino) in cambio di una rendita vitalizia. Nell’acquisto come si può osservare
dalla planimetria catastale (1823-1898) era compresa anche la torre cilindrica
o “baluardo” detta del “Tavo- ne” ed un appezzamento di terreno lungo la via
“dei Fossi”.(19)
Dopo la
morte del cavalier Bartolino
Biondi Bartolini avvenuta il 28 giugno 1900 le proprietà rurali nonché la casa
paterna pervennero, con testamento registrato a Volterra il 20 dicembre 1900,
al fratello Giovanni Biondi Bartolini (1838-1904). Da questi, per discendenza
diretta fu ereditata dal di lui figlio Giulio (1877-1918) dal quale sono
pervenute all’attuale Giovanni Biondi Bartolini.
Jader Spinelli
NOTE:
Archivio di Stato di Pisa; Planimetria catastale della Toscana (Catasto Leopoldino); Ufficio fiumi e fossi: Comunità di Pomarance Sez. C n° 2; Scala 1: 1250; 6 maggio 1823.
Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 430 (estimo 1630) c. 115 r.
Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 430 (estimo 1630) c. 289 v.
Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 432 (estimo 1716) c. 2 r.
Dott. Giovan Battista
Biondi: “La famiglia Roncalli a Pomarance” in La Comunità di Pomarance 1969.
Biblioteca Guarnacci
Volterra, estimo 1716 c. 198 r.
Biblioteca Guarnacci
Volterra, estimo 1716 c. 206 r.
Archivio Storico
Comunale Pomarance F. 378.
Biblioteca Guarnacci
Volterra; estimo 1716 c. 195 r., v.
Archivio Biondi
Bartolini (non catalogato)
Archivio Storico
Comunale di Pomarance F. 378. Il vicolo “Dietro il Canto”, come è possibile
osservare dalla piantina catastale del 1823, lambiva il palazzo Biondi (attuale
Biondi Bartolini) indicato alla particella catastale 316 e il palazzo del Can.re Incontri (part. 448);
poi del Panicacci, che era quel grande edificio posto nel centro dell’attuale
Piazza de Lardarel. Edificio distrutto a carico e spese del Conte de Larderei
nel 1860 al quale fu dedicata l’omonima piazza.
Archivio Storico
Comunale di Pomarance F. 126 c. 123 v.
Archivio Storico
Comunale di Pomarance F.127 c. 30 v.
Archivio Storico
Comunale di Pomarance F.127 c. 97 r.
Biblioteca Guarnacci
Volterra, estimo 1716 c. 195 r.
Archivio Storico
Comunale di Pomarance F. 130 c. 13 (1800).
Archivio Biondi
Bartolini. Da alcune notizie orali del Sovrintendente ai monumenti P.G.
Biondi, riportatimi dallo storico Don Mario Bocci, pare che durante i lavori
di ristrutturazione dell’edificio, fossero state rinvenute diverse tombe
etrusche anche del periodo arcaico. Ne è testimonianza nelle vicinanze una
tomba a quattro celle sotto la Canonica databile attorno al IV secolo A.C.
Gli affreschi che si
trovano dipinti sui soffitti delle stanze nobiliari e soprattutto le grandi
pitture murali delle sale da ricevimento sono molto simili, per tecnica e
soggetto, a quelle dell’ex Palazzo Ricci, già dei Biondi nel 1800. La parentela
che esisteva tra i proprietari dei due palazzi favorì certamente una commissione
agli stessi decoratori e pittori per gli abbellimenti interni. Il Palazzo ex Ricci,
attualmente di proprietà comunale, fu di proprietà di Francesco Biondi,
fratello di Giuseppe che vi andò ad abitare dopo il 1785 quando formò un
proprio nucleo familiare. Attorno al 1826 questo immobile era assegnato ai
fratelli Giovan Carlo e Luigi Biondi del fu Francesco Biondi. In una delle sale
affrescate di questo palazzo, utilizzata impropriamente come ambulatorio
U.S.L., è impressa una data molto importante per datare l’esecuzione di questi
affreschi e quelli conservati in palazzo Biondi Bartolini. Questa è scritta in
numeri romani sopra un caminetto incassato nel muro e riporta l’anno 1810.
Con la costruzione
della nuova Piazza de Larderei nel 1860, l’immobile dei Biondi Bartolini
accatastato con la particella 316 aveva l’entrata principale indicata al numero
civico 44; secondo il “Registro dei possessori di fabbricati” del 1878 e del
1889 il suo valore era di lire 168, 75.
L’ESTIMO DELLA SUA FAMIGLIA, POSTE E PASSAGGI DI PROPRIETÀ
Tra le più famose personalità che si sono distinte nel campo artistico a Pomarance, certamente trova collocazione un pittore vissuto nella seconda metà del cinquecento: Niccolò Cercignani. Meglio conosciuto con lo pseudonimo “Pomarancio il Vecchio”, per distinguerlo dall’altro “Pomarancio”, Cristofano Roncalli che la tradizione vuole come suo allievo, ebbe i suoi natali nell’antico castello di “Ripomarance tra il 1530 – 1535. La sua famiglia originaria di Cercignano (Colle vai d’Elsa) si era stabilita in loco dai primi del XVI secolo e risultava possedere diversi beni nella corte di Ripomarance”. Formatosi artisticamente in ambito fiorentino e collocato in quella corrente pittorica denominata “Manierismo” svolse la sua attività artistica prevalentemente nel Lazio e nell’Umbria; in Toscana lavorò solo negli ultimi anni della sua vita nella città di Volterra anche se a Pomarance gli è attribuita una Pala d’Altare conservata nella Chiesa Parrocchiale ed un pregevole volumetto di Disegni che è stato oggetto di una Mostra nel dicembre 1988.
Ben poco sappiamo sulla vita di questo autore antecedentemente alla sua partenza da Pomarance. Fonti storiche affermano che verso il 1564 il Cercignani lasciò Ripomarance per recarsi in Umbria dove si sposò con Teodora Caterucci di Città della Pieve dalla quale ebbe possessi ed alcuni figli tra i quali Antonio che fu abile pittore come il padre. Prendendovi stabile dimora il 31 luglio dello stesso anno, nominò procuratore, per alcuni possedimenti in Pomarance, il notaio Alberto Lupivecchi. Infatti nonostante il suo trasferimento in Umbria, il Cercignani risultava possedere ancora alcuni beni, già citati da Don Mario Bocci (1), che furono venduti poco prima della sua morte a certo Giusto Cheli di Pomarance. Da uno studio accurato sul documento d’estimo con lo stesso Don Mario Bocci, decifrando l’intricata grafia del Cancelliere del tempo nelle varie annotazioni dei cambiamenti di proprietà, sono scaturiti nuovi elementi che contribuiscono, se non altro, a fare un po’ di luce sul passato di questo nostro artista.
Ben poco sappiamo sulla vita di questo
autore antecedentemente alla sua partenza da Pomarance. Fonti storiche affermano
che verso il 1564 il Cercignani lasciò Ripomarance per recarsi in Umbria dove
si sposò con Teodora Caterucci di Città della Pieve dalla quale ebbe possessi
ed alcuni figli tra i quali Antonio che fu abile pittore come il padre.
Prendendovi stabile dimora il 31 luglio dello stesso anno, nominò procuratore,
per alcuni possedimenti in Pomarance, il notaio Alberto Lupivecchi. Infatti
nonostante il suo trasferimento in Umbria, il Cercignani risultava possedere
ancora alcuni beni, già citati da Don Mario Bocci (1), che furono venduti poco
prima della sua morte a certo Giusto Cheli di Pomarance. Da uno studio
accurato sul documento d’estimo con lo stesso Don Mario Bocci, decifrando l’intricata
grafia del Cancelliere del tempo nelle varie annotazioni dei cambiamenti di
proprietà, sono scaturiti nuovi elementi che contribuiscono, se non altro, a
fare un po’ di luce sul passato di questo nostro artista.
Nell’Estimo del 1571 (2) è annotato Niccolò
di Antonio Cercignani “dipintor” con gli infrascritti beni:
“Un luogo o vero Podere con casa per
il lavoratore con terre lavorative arborate vignate et sode luogo detto il
Docciarello a 1° via; 2° Martino di Giovanni di Martino, 3° Batista di
Giovanni Antonio Pellegrini, 4° Comune di Ripomaranci et altri confini…
tiene a linea dalla Cappella di Sancto Antonio nella Chiesa di San Michele di
Volterra… ne paga lire stimato L. 1300. A di Novembre (15)96 levato e posto
a Simone di Bartolo a carta 275 per
averlo compro per me Bastiano Ghetti Cancelliere… etc… paga lire…
Una vigna d’opere cinque incirca in detta corte luogo
detto Cardeta a 1 ° via, 2° Bernardino di Piero Cheli, 3° Meo di Pietro
d’Agnolo, 4° Domenico di Marsilio Fantacci stimato L. 100
Tutte queste poste erano sotto la posta del detto Niccolò in questo a 221 e furono levate e poste a Batista Corbolini in questo a 54 per permuta feceno fra di loro et hora si ritornano al detto Niccolò per haverli riavuti per me Bastiano Ghetti Cancelliere…
A di 20 di Gennaio 1596 levata questa posta e messa a
Paulo di Giusto Cheli in questo a 135 per haverla compra rogato Ser Andrea
Sorbi per me Bastiano Ghetti Cancelliere…
Mentre la proprietà della vigna di Cardeta risulta
pervenutagli in eredità dal padre Antonio, assieme ad una casa posta
all’interno di Pomarance, il podere del Docciarello (3) fu acquistato posteriormente
alla sua partenza da Ripomarance, quando cioè si trovava già a Città della
Pieve. Infatti da un Estimo del 1544 il padre di Niccolò Cercignani, chiamato
Antonio e suo fratello Pagolo, figli di Niccolaio di Pagolo (Cercignani)
possedevano, oltre a diversi appezzamenti di terreno, anche una casa posta in
“Piano” confinante con il Cimitero e la Compagnia deila Vergine Maria, ed una
vigna posta in Cardeta, che furono nella divisione dei due fratelli assegnati
ad Antonio. (4) La parte dei beni spettanti a Pagolo fu venduta il 29 maggio
1559 a Giovanni di Damo. (Data che potrebbe indicare la partenza della
famiglia da Pomarance e quindi dello stesso Niccolaio per l’Umbria). Questi
due possedimenti, cioè la casa in Piano e la vigna di Cardeta (5) sono annotati
anche nell’estimo del 1571 alla carta 221 r. in cui è indicato:
Niccolaio di Antonio di Niccolaio Cercignani con i
seguenti beni: una casa in detto Castello alla Pieve a 1 ° via, 2° Gio Piero
e Bernardino di Paulo Chaini, 3° Beni della Compagnia di Sancto Giovanni, 4°
Beni della Compagnia della Vergine Maria Stimato L. 150
Una vigna di opere cinque
incirca in detta corte luogo detto Cardeta confinata a
1° via, 2° Bernardino di Piero Cheli,
3° Meo di Piero d’Agnolo, 4° Domenico di Marsilio Fantacci Stimato L. 100
In fondo alla stessa carta è trascritto anche l’acquisto, da parte del Cercignani, del podere “il Docciarello” il quale risulta essere stato comprato da maestro Ulivieri di maestro Giuliano Contugi il 29 aprile 1586. (6)
Podere “Il Docciarello” (1964).
Il 3 luglio 1588 tutte queste proprietà passarono nuovamente, per permuta con lo stesso Niccolò Cercignani, a Batista di Michelagnolo Corbolini il quale cedette la casa, dove forse nacque il pittore, alla Compagnia della Misericordia. (7) Questa casa, nell’estimo di Batista Corbolini è segnalata con le medesime confinazioni di cui sopra, ma è indicata specificatamente posta “…in detto castello in Piano alla Pieve…”.
ROMA. S. STEFANO ROTONDO Deambulatorio. (Autoritratto di Nicolò?)
Nel 1590 il pittore Niccolò Cercignani
tornò nella sua terra d’origine per circa un triennio dove dipinse a Volterra
alcune pale d’Altare, affreschi e dipinti per le più eminenti famiglie del
luogo.
Nel marzo di quell’anno infatti le prorpietà di Docciarello e Cardeta furono nuovamente permutate dal Corbolini allo stesso pittore e la sua presenza in Ripomarance è confermata anche qualche tempo dopo, quando il ‘‘Maestro Niccolò di Antonio Cercignani”, fa da padrino a Michelangelo di Pietropaolo Santucci (8 luglio 1580).
Dopo il
ritorno definitivo a Città della Pieve, nel 1594, dove ricevette la cittadinanza
onoraria, i beni di Pomarance furono venduti a Giusto Cheli nel gennaio 1596 e
successivamente acquistati da Simone di
Bartolo di Acquaviva. La vendita definitiva delle suddette proprietà coincise
da lì a poco, con la morte del grande “Maestro” che avvenne nell’ottobre dello
stesso anno.
Jader Spinelli
NOTE:
Don Mario Bocci – NOTIZIARIO PARROCCHIALE – 1987
Archivio Storico di Pomarance F. 428 C. 226 r.
Il nome stesso Docciarello sta ad indicare una sorgente di acqua potabile di limitata portata usata per uso domestico fin dai tempi antichi e che si trovava nei pressi deH’omonimo podere II Docciarello. Questo casolare era ubicato sulla via detta dei Fontini nei pressi dell’attuale Ambulatorio Comunale sul luogo dove è stata edificata l’abitazione del sig. Giovanni Rasoini. Nei pressi, un tempo vi era scavata nella roccia tufacea, una Ghiacciaia che serviva per mantenere durante l’anno il ghiaccio al- l’Ospedale di Pomarance.
Archivio Storico di Pomarance F. 427 c. 190 r.
Cardeta è un appezzamento di terreno nei pressi dei poderi Lucoli e Arbiaia.
Archivio Storico di Pomarance F. 428 c. 301 r.
Archivio Storico di Pomarance F. 428 c. 55 r. L’abitazione del Cercignani doveva essere ubicata vicino all’attuale Battistero in prossimità dell’ex palazzo Burroni dove nacque tra l’altro anche la madre del grande anatomico pomarancino Paolo Mascagni.
La mostra del “Cercignani”, che si è svolta nel dicembre u.s., ha destato curiosità, stupore e ammirazione, nei visitatori forestieri più che pomarancini. Molti gli intenditori, i quali si sono soffermati a lungo apprezzando le opere del Cercignani, sia quelle architettoniche che quelle decorative valutando sia quelle in seppia che le altre in colore. Elogiando l’ambiente adatto ed il curato allestimento, iniziando dagli eleganti inviti distribuiti, agli addobbi di tipo robbiano, adattissimi all’occasione, al catalogo illustrato con le dovute presentazioni. Un insieme che era ben intonato sia all’oggetto presentato sia all’epoca risalente al palazzo che la ospitava con il suo elegante stile dei tempi del Vicariato.
Studio di Costume Teatrale
Chi poi ha potuto assistere all’apertura preparata presso l’Hotel “IL POMARANCIO” arricchito dalla presenza delle comparse in costume delle rappresentanze rionali, e con la elaborata presentazione officiata dal Prof. Belardinelli, studioso del nostro concittadino, avendo in mano molte riproduzioni fotografiche del pittore ed altrettante notizie sui luoghi dove il Cercignani ha lavorato lasciando le sue tracce di buon pennello. Comunque l’iniziativa, che questa Associazione Turistica “PRO POMARANCE” ha proposto, ha raggiunto lo scopo prefisso mettendo in movimento gli esperti del ramo per l’attribuzione dei particolari di studio di questo pittore del 500, un po’ accantonato, e non molto conosciuto. I risultati si vedranno nel tempo, l’essenziale è che questa schiera di conoscitori tragga da questa mostra un tipo di lavoro che rivalorizzi il Pomarancio. Quest’anno era, potremmo dire, l’anno del Pomarancio, sia per il Cercignani, sia per il suo allievo, il Roncalli. Per il Roncalli la sua presentazione iniziò con l’apertura del complesso alberghiero a Lui intitolato inserito nella via omonima. Poi il PALIO STORICO DELLE CONTRADE, che nel settembre u.s. aveva per tema argomenti di storia locale e che inevitabilmente venne proposto addirittura da due rioni e così ben presentati da far vincere al Rione GELSO il premio in palio trattando “IL NOSTRO POMARANCIO” articolato su dei quadri viventi dove i figuri si posizionavano su dei disegni incompleti sino a formarne l’immagine completa.
La visita dei rappresentanti della Soprintendenza ha
esposto i suoi progetti riguardo ad una riproposta di queste riproduzioni
fotografiche con la possibilità di affiancarvi anche gli originali, e per dar
ancora più risalto e valore alla cosa l’inserimento nello stesso ambiente di
due dipinti, sempre del Cercignani, che si trovano momentaneamente presso la
Pinacoteca Comunale di Volterra per i restauri di cui abbisognavano.
La curiosità di questi particolari che si trovavano da
svariati anni presso l’Archivio Storico Comunale, riposti sin dal lontano 1925,
anno in cui il sindaco di allora Sig. Onorato Biondi aveva acquistato ad
un’asta di Milano è stata finalmente messa sul piatto d’argento e posta
all’attenzione degli studiosi.
Restiamo in attesa di eventuali sviluppi riguardo alla promessa della Soprintendenza ed all’ulteriore apporto della Amministrazione Comunale che si espresse di unanime accordo per questa iniziativa e disposta affinchè tutto potesse rendere onore ad un cittadino illustre. Noi dell’Associazione “PRO POMARANCE’’ saremmo ben lieti e disposti ad adoperarsi in ogni modo perchè questa riproposta venga ancora ampliata e maggiormente divulgata in modo che possa essere iniziato uno studio didattico rimasto incompleto.
Studio di Calzare
Augurandoci che presto si possa rivedere aperta questa
ricca presentazione e che si renda possibile trasformarla in mostra permanente
con apertura programmata.
Il Consiglio tutto, dopo quanto sopra, si dichiara soddisfatto per la riuscita di questa iniziativa che è stata per l’Associazione Turistica un vero successo. Perchè questa mostra riuscisse nel suo intento era necessario l’apporto esterno, e grazie all’Amministrazione Comunale che si è prodigata mettendoci a disposizione un ambiente creato ad hoc ed offrendoci ospitalità per tutto il mese dell’apertura. Un sentito ringraziamento quindi al Sindaco ed al suo seguito che si sono dimostrati sensibili a tale iniziativa.
Un ringraziamento tutto
particolare dobbiamo farlo al Prof. Belardinelli che si è dimostrato
disponibile sin dal primo momento per aiutarci in questa impresa di ricerca
esterna riguardo al nostro Cercignani, dimostrandoci ancor di più quanto
questo cittadino fosse stimato negli ambienti dove operò. Oltre ai
ringraziamenti, a questo egregio signore, dobbiamo fargli le più sentite
congratulazioni per questa eccellente esposizione.
Sabato 5 giugno 1993 nei locali dell’Oratorio di Pomarance, alla presenza delle massime autorità locali è avvenuta l’intitolazione della scuola media di Pomarance che è stata intitolata “ Scuola Media Paolo Mascagni”.
La scuola,
che ha subito varie ristrutturazione ed ampliamenti durante questi anni, conserva
ancora il nucleo originario costruito nei primi anni del ‘900 ed utilizzato
anticamente come scuola elementare maschile e femminile.La scuola era
originariamente dedicata al grande statista pomarancino Marco Tabarrini effigiato
in una scultura bronzea, in alto sulla facciata della scuola, opera di Luigi
Bonucci detto il Falugi. (Oggi nell’ufficio del Sindaco) Negli anni sessanta
la scuola elementare fu trasferita nei pressi della villa dei Collazzi e la
scuola, utilizzata prima quale sede dell’ Istituto Tecnico Industriale ed in
seguito come Scuola Media, era praticamente senza denominazione. Dedicata al
grande anatomico Paolo Mascagni, che fu uno dei primi a scoprire l’acido
borico nei Soffioni di Montecerboli, i suoi studi furono messi in pratica da
Francesco de Larderei, fondatore dell’industria Boracifera di Larderello, ed
al quale è stata di recente intitolata la Scuola media di Larderello.
ragazzi della Scuola
media di Pomarance hanno allestito nell’occasione uno spettacolo teatrale
dedicato a Paolo Mascagni e realizzato alcune ricerche storiche che hanno ispirato
una deliziosa filatrocca ed il soggetto per una storia a fumetti dedicata al
grande anatomista.
Dedicato a Mascagni
Da Aurelio
ed Elisabetta in un lontano dì nacque Mascagni, forse…in un freddo giovedì.
Era Gennaio e la neve fioccava, fioccava; ma su Pomarance una stella brillava.
1735 iniziava il suo
cammino e Paolo Mascagni correva incontro al suo destino.
Papà Aurelio non viveva in grande agiatezza per cui mandò
Paolo dall’Abate Casamarte… con fierezza.
L’Abate era probabilmente
un pò noioso e mancava di fantasia ma a Paolo interessavano la Scienza e
l’Anatomia.
Dolce era Pomarance sì, ma paese piccolo e sperduto così
Siena dette a Paolo, adolescente, il benvenuto.
Siena era
grande e c’era pure l’università e li Paolo superò gli esami con estrema
facilità. A soli venti anni in Medicina sì laureò, ma il suo mestiere mai
esercitò.
Sapete a …Paolo non interessavano le belle ragazze.
A 22 anni infatti è dissertore e seziona cadaveri a tutte
le ore!!!
Che progressi da quel lontano dì quando lo studio sui
testi classici quasi finì!
Era il 1400
quando l’Anatomia iniziava il suo lungo cammino che fu poi brillante illuminato
dallo scenziato pomarancino.
Ma a Paolo
ritorniam, che dal Granduca Leopoldo fu chiamato e professore di Scienze e di
Anatomia fu nominato!
Il vecchio maestro Tabarrini
se ne andò e Paolo, il giovane, il nuovo posto occupò.
E il prof.
Mascagni iniziò subito i suoi studi sui vasi linfatici non ancora conosciuti.
Certo anche i Francesi
detterto un grande aiuto, ma solo da Paolo un concreto risultato fu ottenuto.
Dissero i Francesi:
‘‘Determiner et demontrer le sistème des vaisseaux lymphatiques”
e Paolo trovò la proposta très chic!
E cominciò a lavorare, lavorare duramente per ottenere un risultato
altrettanto eccellente.
Quattro lunghi anni, trecento disserzioni… e finalmente
Paolo ha risultati buoni.
Sui vasi
linfatici scrive pure un prodromo cosicché da tutti è considerato un grand’
uomo. È il 1787 e Paolo completa l’opera con grande maestria: ‘‘Vasoruma
lymphaticorum corpus humani historia et iconografia” e, oltre che esperto
dissestore, si scopre anche abile disegnatore: 27 tavole sul corpo umano fa
realizzare e l’ammirazione di tutta Europa riesce a catturare.
Grande era
di queste il valore artistico e scientifico, ma, per gli inesperti, sarebbe
stato meno complicato un geroglifico!
Disse Mascagni: “Il sistema
linfatico scorre ovunque nel corpo in un momento e ad esso è legata la funzione
dell’assorbimento”.
Nei trenta
anni successivi Paolo cominciò i preparativi: volle scrivere la “Grande
Anatomia” che fu poi eseguita con sublime maestria.
Ciro Santi e Antonio
Serantoni lavoravano da Domenica al Lunedi per fare belle tavole su rame che
piacessero a tutto il reame. Com ’eran belle…
in bianco e nero, a colori… facevan gola a tutti i professori!
Ma il
nostro Paolo faceva tante altre cose talune anche estrose.
La chimica, la fisica e
l’agricoltura non gli facevan di certo paura e la geologia era la sua più
folle pazzia.
L’Inferno della futura
Larderello a lui piaceva più di un gioiello e tra i fumi ed il vapore egli,
imperterrito, studiava a tutte le ore.
Si
preoccupò persino di estrarre l’acido borico, la qual cosa in futuro sarebbe
stata un evento storico!
Ma i capitali… mai trovò
così l’idea abbandonò.
La
Rivoluzione fu tumultuosa:
LIBERTÈ, EGALITÈ,
FRATERNITÈ… ca irà ed a Mascagni divampano idee di Libertà. Ferdinando III,
duca di Lorena, nel 1779 se ne va e Mascagni a Siena aderisce alla nuova Municipalità,rivelandosi
così non solo grande “artista”, ma anche convinto politico attivista.
Ma voi sapete che mutevole è
la storia umana e che alcuni eventi capricciosi talvolta emana: come il mese di
marzo, come un venticello primaverile che ti scompiglia i capelli e poi va a
scomparire.
Eh sì!…
È proprio il Fato che domina la vita degli uomini, delle cose e degli animali,
soffocando a volte anche le idee più geniali.
La Storia è un eterno fluire
e rifluire per andare incontro all’avvenire.
Ebbene… i Fancesi, sconfitti, sgomberavan la regione e
dei Toscani, fedeli al Granduca, violenta fu la reazione.
Mascagni di “giacobinismo” fu accusato ed il 28 Giugno 1779
a Siena fu arrestato.
Gli intellettuali, morti per i loro pensieri ci insegnano
che le idee fanno la storia di oggi e di ieri.
Tanta fatica
hanno durato, ma, grazie a loro, qualcosa è cambiato!
Nel 1800… di nuovo i Francesi tornan sulla scena e
Mascagni, libero, abbandona Siena.
Dalla Regina Maria Luisa, dopo un anno, a Firenze fu
inviato e lì proseguì il suo importate operato.
Sssss… in
realtà la sovrana a Firenze lo volle portare per farlo elegantemente
vigilare!!!
Ma la morte purtroppo arriva per tutti e, come spesso
avvien, anche Mascagni non potrò veder pubblicati i suoi “frutti”.
Postuma fu
pubblicata la “Grande Anatomia, uno dei suoi più egregi lavori, oggetto di ammirazione
e di studio da parte di insigni professori.
Il 20
Ottobre 1815 a Castelletto Paolo Mascagni morì, forse pensando ai suoi passati
dì. Forse come Roncisvalle Orlando il Mascagni cercò di scampar la morte
duellando o forse , avendo manipolato tante “anime morte” Paolo capì che
la fine della sua vita era ormai alle porte.
Certo la sua
mente non perì, ma brillante e deduttiva, volò verso una nuova prospettiva.
Se le tavole di Mascagni, dal vero, volete ammirare a
Pisa, di corsa, vi dovete recare.
Noi vi
diciam ohe sono nel bel mezzo della città alla Facoltà di Medicina
dell’università.
Noi l’abbiam viste e vi garantiamo che esse descrivon particolareggiatamente il corpo umano. Si trovan collocate in un lungo corridoio: in verità il luogo è un pò ombreggiato, ma la loro bellezza lo rende artisticamente colorato.
Se ben ci pensiam, Mascagni un messaggio ce l’ha dato;
è quello che
già Dante aveva sottolineato: “Fatti non foste a viver come bruti,ma per seguir
virtute e canoscenza”.
Ma… adesso
basta con le dotte citazioni, di Mascagni certamente ricorderem le grandi
azioni! A lui la nostra scuola abbiam intitolato perchè il suo nome, dalle
nuove generazioni, sia sempre ricordato.
È tardi.
Poniamo fine a questa filastrocca semiseria scritta per
star insieme e per raccontare… per comunicare e per scherzare…
per imparare e per divertire…
e tutti insieme gioire.
È stato un gioco, una scommessa, una gran voglia di fantasia, per salutare tutti con simpatia.Scuola Media di Pomarance Classe Seconda Sez. A. – Anno scolastico ’92-93
Da tempo questa rivista “La Comunità di Pomarance” ha preso
la bella iniziativa di ricordare i nostri paesani più significativi per
riproporli a chi li ha conosciuti e per farli conoscere ai nostri ragazzi e
giovani che li sentono nominare.
Fra queste persone ha un posto di rilievo la figura di Mons. Vezio Dell’Omo deceduto il 15 settembre 1984 dopo breve malattia, a seguito di una operazione chirurgica.
Ma chi era Mons. Vezio? La risposta più scontata e
immediata mi sembra questa: era un nostro concittadino, un autentico e vero
pomarancino, molto attaccato al paese dove era voluto tornare ad abitare. Mons.
Vezio era nato, infatti, a Pomarance il 18 giugno 1910 figlio di Giovanni e di
Dei Teresa. A 12 anni era entrato nel Seminario Vescovile di Volterra ove il 17
marzo 1934 fu ordinato sacerdote da Mons. Dante Maria Munerati. Il giorno
successivo, domenica 18 marzo 1934, celebrò la sua prima Messa Solenne all’altare
maggiore della nostra Chiesa Parrocchiale attorniato da familiari e paesani.
Proprio perché molto attaccato alla sua Chiesa ed alle tradizioni, allorché
scadevano i cinquanta anni di vita sacerdotale mi chiese espressamente di
poter celebrare la Santa Messa solenne delle sue NOZZE D’ORO SACERDOTALI
proprio all’altare maggiore, nella forma liturgica con la quale l’aveva
celebrata in quel primo giorno.
Appena sacerdote, il 23 maggio 1934 fu nominato parroco di Sant’lppolito ove, oltre al ministero sacro, svolse la funzione di maestro. Gli anziani di quei luoghi ricordano ancora di aver appreso le prime nozioni da questo sacerdote-maestro.
Con Bolla Vescovile del 17 marzo 1942, Mons. Vezio fu trasferito alla Parrocchia di Sasso Pisano ed infine, il 3 aprile 1951, fu nominato Priore di Sant’Agostino a Volterra. In tale Parrocchia è rimasto fino al 1 settembre 1980: il Vescovo aveva accettato le dimissioni a seguito delle sue precarie condizioni di salute. Ma il dover lavorare per il Signore ardeva in lui. Per questo motivo dal 1981, fino al momento della sua morte, prestò servizio come Vicario Parrocchiale, nella limitrofa Parrocchia di Libbiano ove ha profuso tempo, energie e passione per le opere artistiche li presenti che portò a restaurare.
Durante il periodo volterrano. Mons. Vezio fu chiamato a svolgere altri incarichi oltre a quello di parroco. Fu insegnante nel Seminario Diocesano (ricordo di aver ricevuto lezioni da lui nella scuola media); fu assistente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica e degli Uomini di Azione Cattolica. Il 31 luglio 1962 divenne Direttore dell’ufficio Amministrativo Diocesano, un incarico che ha svolto sempre con grande impegno e scrupolosità perché, diceva, le cose che amministro non sono mie, ma della Chiesa e quindi dobbiamo non solo conservarle, ma migliorarle.
Per il suo impegno e donazione alla Chiesa, il 31 ottobre 1958 fu associato al Capitolo della Cattedrale di Volterra con il titolo di Canonico Primicerio e, a seguito della sua rinuncia a Priore di Sant’Agostino, fu elevato alla dignità di Canonico Proposto. Con questa onorificenza tornò in mezzo a noi venendo ad abitare con i suoi parenti in Via XXV Aprile, dando una mano anche in Parrocchia per le Confessioni e le Sante Messe.
Mons. Vezio che da piccolo era tanto vivace, da adulto era divenuto di una precisione e puntualità eccezionali. Si poteva stare tranquilli che quando diceva una cosa, la portava a termine.
Ma il suo carattere “pomarancino” era rimasto
ben vivo anche sotto la veste talare. Infatti, con fare e dire arguti, narrava
episodi “di quei tempi” e ricordava i “vecchi pomarancini” con ilarità e con i
soprannomi che allora, ma anche oggi, si usavano.
Il “suo Pomarance” lo aveva sempre nel
cuore e per questo ha voluto ritornarvi e qui è stato sepolto nella Cappella
del Cimitero accanto al suo Proposto Don Carlo Balsini e a Mons. Giulio
Paoletti.
Sulla tomba, semplice come era di carattere, vi è una sua fotografia rivestito dei paramenti sacerdotali e una breve scritta: MONS. VEZIO DELL’OMO, CANONICO DELLA CATTEDRALE. Una vita spesa per la Chiesa Volterrana, un attaccamento alla sua Chiesa Pomarancina.
Pontificale di S.E. Card. Luigi Capello
Desidero terminare questo articolo con
un ricordo personale. Appena fui eletto Proposto di Pomarance, mentre ancora
nessuno conosceva la mia nomina, mi pervenne una sua lettera con la quale, da
Pomarancino, dava il benvenuto al suo nuovo Proposto. Quel gesto mi fece
impressione e piacere.
Ora dal Cielo, con il suo fare arguto e
faceto, certamente ci ricorderà tutti, nome per nome e noi desideriamo
ricordarlo ancora. a distanza di cinque anni dalla sua morte, con la gioia sul
volto come lo vedemmo nel giorno delle sue NOZZE D’ORO SACERDOTALI, mentre,
con animo giovanile e lieto salì i gradini dell’altare di San Giovanni Battista
che già gli preparava la salita ai gradini della gloria eterna.
Il 15 maggio 1979, Mons. Giulio
Paoletti, Proposto da 26 anni della nostra Parrocchia San Giovanni Battista
in Pomarance, decedeva presso Albinia in un incidente stradale insieme
all’autista Sprugnoli Cassiano.
La notizia del tragico incidente giunse
al Comando dei Carabinieri nel primo pomeriggio di quel giorno provocando in
tutti i pomarancini dolore e sgomento.
Ma chi era Mons. Giulio Paoletti?
Nato a Casole d’Elsa il 24 marzo 1913,
fu ordinato sacerdote il 24 novembre 1935 da S. E. Mons. Dante Maria Munerati.
Dapprima parroco di Collalto dal 1936 al
settembre 1937, in tale data fu trasferito a Pignano dove rimase fino al 13 marzo 1946. Successivamente andò a Bibbona dove esercitò il suo ministero sacerdotale fino al 13 maggio 1953, allorché venne a Pomarance come Proposto.
È rimasto tra noi fino al momento
dell’incidente del 15 maggio 1979, mentre si recava all’Argentario a visitare
il luogo ove avrebbe desiderato portare i ragazzi con le loro famiglie per la
consueta gita parrocchiale.
Sono trascorsi dieci anni da quel doloroso
evento e credo sia giusto e doveroso ricordare alla Comunità intera questo sacerdote
che ha dedicato tante energie per
bene di Pomarance.
Mons. Giulio Paoletti: per i nostri bambini più piccoli è una persona che viene loro ricordata da noi grandi come colui che ha costruito l’Oratorio Parrocchiale; per i giovani, adulti e anziani é una persona con la quale si sono condivisi tanti momenti lieti, quali battesimi, cresime, prime comunioni, matrimoni e momenti tristi, quali funerali ed altri eventi dolorosi. Per tutti, Mons. Paoletti è stato un punto di riferimento. Infatti Monsignore ha amato Pomarance ed ha dato tutto se stesso per il bene e la crescita di questo paese. Ha vissuto in mezzo a noi con semplicità di vita, senza imporre, ma proponendo a tutti il messaggio evangelico con uno stile di vita fatto di cose semplici e piccole. Un richiamo, credo, che valga ancor oggi per tutti noi.
Ricordare un Sacerdote, il Proposto,
Monsignore, come ormai tutti lo chiamavano, è ricordarlo come prete fedele a
Dio, fedele alla Chiesa, fedele al suo popolo.
A questo popolo ha lasciato la sua testimonianza, ha lasciato come segno tangibile
l’Oratorio Parrocchiale dedicato all’apostolo dei giovani San Giovanni Bosco.
Già, i giovani. Di lì sono passati e passano ancor oggi i nostri bambini, ragazzi e giovani. Mons. Paoletti, confidando nell’aiuto di Dio, nel maggio 1958 vi pose la prima Pietro. Cinque anni di lunghe fatiche, di preoccupazioni, ma finalmente nel 1963 l’Oratorio Parrocchiale fu pronto e spalancò le porte ai nostri giovani.
Posa della prima pietra Oratorio Don Bosco 11/5/958 sono riconoscibili Biondi Dr. Pietro, Bellini Francesco, Mons. Paoletti e Mons. Bergonzini Vescovo di Volterra
Da 26 anni in questo luogo, la gente di Pomarance si ritrova per le più svariate ragioni: da quelle pastorali ed educative, a quelle formative e di divertimento. Mons. Paoletti godrà certamente nel vedere che la sua opera continua a portare il frutto.
Molte altre cose si potrebbero dire di Monsignore: la cura
dei malati, l’attenzione alle realtà del paese, le A.C.L.I., il desiderio di
riunire tutti ecc., ma credo che egli preferisca ancora una volta passare in
mezzo a noi con il suo modo fatto di dialogo e di semplicità.
È rimasto fra noi con le sue spoglie mortali nella
cappella del Cimitero. Sacerdote zelante da vivo, è ancora fra noi con la
preghiera e con il bene che ha seminato.
Ricordarlo nel Decimo
anniversario della sua morte significa ringraziare Dio di avercelo donato ed
impegnarci a far sì che quello che Lui ha intrapreso e portato avanti con
impegno e fatica, insieme possiamo continuarlo e migliorarlo a fare a favore
di tutti e soprattutto per i nostri giovani perchè possano crescere percorrendo
la via della rettitudine, dell’onestà e del bene.
A Pomarance siamo orgogliosi di avere la Chiesa Parrocchiale molto bella, che racchiude fra le sue mura opere d’arte famose dei secoli passati. Ma credo di non sbagliare se affermo che pochi pomarancini sono a conoscenza che si conserva pure la tomba di un famoso soldato e poeta del Rinascimento e cioè la tomba di Michele Marullo.
Marullo dipinto del Botticelli (Uffizzi Firenze).
È collocata sulla parete interna della facciata, sul lato
sinistro appena si entra. Le domande che vengono spontanee sono due: chi era
Michele Marullo? Perché le sue ceneri si trovano a Pomarance? Marullo, nato a
Costantinopoli nel 1453 da nobile famiglia greca, era un buon poeta, un uomo
coraggioso e molto importante nel periodo del Rinascimento quando ogni persona
istruita leggeva la lingua latina. San Tommaso Moro lodava le sue poesie e
Ronsard, in Francia, faceva altrettanto.
Nella dedica alle poesie di Lorenzo di Pierfrancesco,
Marullo afferma che, quando deponeva la spada, prendeva i libri ed era
contento di leggere e studiare il latino.
Marullo, quindi, soldato e poeta, ha scritto molti e bei
versi in lingua latina.
Proprio per questa sua indole di studioso, nell’aprile del 1500, venne a Volterra e fu ospite del sacerdote erudito Raffaele Maffei, chiamato il Volterrano, che aveva scritto dei libri su Omero, Aristotele, Senofonte e aveva tradotto Giovanni di Damasco e Procopio dal greco in latino. Raffaele Maffei aveva invitato il poeta Marullo come dotto greco, perché lo aiutasse nelle sue traduzioni. Poco tempo dopo la Pasqua del 1500, Marullo, malgrado una forte pioggia e l’esortazione del suo ospite a rimanere, decide di lasciare Volterra passando dalla Porta Etrusca per dirigersi verso Sud. Il poeta probabilmente era diretto verso Piombino che si trovava ancora nelle mani del suo vecchio amico Jacopo IV Appiano, ma che era minacciato allora da Cesare Borgia.
Ad otto chilometri a Sud di Volterra la strada era sbarrata dal fiume Cecina rigonfio dalle molte acque.
Paolo Cortese, amico del Marullo, afferma che il poeta fu consigliato dai contadini del luogo a non attraversare il fiume perché pericoloso. Ma il poeta non volle ascoltare i loro consigli. Quindi, spronato il cavallo verso il fiume in piena, l’animale inciampò, cadde addosso al poeta impedendogli di liberarsi morendo così travolto dalle acque minacciose del fiume. Per ordine di Raffaele Maffei, il poeta fu sepolto nella nostra Chiesa Parrocchiale.
La lapide originaria della tomba non esiste più. Quella attuale fu dettata dall’Arciprete Anton Nicola Tabarrini nel 1833 allorché la Chiesa Parrocchiale subì un totale restauro. In questa lapide fu aggiunta una particolare notizia e cioè che Marullo aveva l’intenzione di visitare Pomarance per “relaxando animo” cioè per riposarsi. Non sappiamo di preciso quale fosse il motivo della sua venuta. Su questo poeta ‘‘scrittore di elegantissimi versi latini”, lo scorso anno è stata scritta una bella biografia della signora CAROL KIDWELL che è docente universitaria in Inghilterra. Un libro di ben 323 pagine pubblicato il 23 marzo 1989.
Copertina del volume
La signora, con squisitezza di animo, ha inviato in
Parrocchia una copia del libro affermando “che la sua Chiesa doveva avere una
copia di questa biografia”. Infatti, oltre ad alcune pagine nelle quali parla
espressamente di questo episodio della morte del poeta, vi sono stampate ben
tre foto della facciata e della tomba del poeta.
L’autrice venne a Pomarance nel 1983 ed in questi anni ha
steso questa biografia scritta naturalmente in lingua inglese.
Questo ci fa comprendere come Marullo fosse grande e stimato
poeta tanto da meritare la pubblicazione di un libro.
Lo scrittore Ronsard scrisse
un epitaffio su Marullo che così conclude:
“che sempre leggera sia la terra alle tue ossa, e su questa
tomba che rinserra uno spirito sì bello sempre rampichi la verde edera’’ Motivo di vanto il custodire questa tomba, motivo per
essere più attenti a ciò che di bello ed importante abbiamo, motivo per leggere
e per possedere, almeno nella Biblioteca Comunale e nelle scuole, questo
volume.
Un grazie di
riconoscenza all’autrice signora CAROL KIDWELL per
averci fatto conoscere questo illustre poeta e scrittore che dona vanto anche
al nostro paese.
Don Piero Burlacchini
NOTE BIBLIOGRAFICHE
CAROL KIDWELL – Marullus: Soldier Poet of the Renaissance.
CAROL KIDWELL Sanderstead House Rectory Park Sanderstead Surrey CR2 9JR INGHILTERRA.
IL CAVALIERE MARIO BARDINI FONDATORE DELL’ISTITUTO DEL SACRO CUORE DI POMARANCE
Il Cav. Mario BARDINI, figlio del Cav. Giuseppe, facoltoso volterrano, e della Sig.ra Enrichetta dei Marchesi BALLATI NERLI, senese, nacque a Volterra nell’anno 1818. Residente a Pomarance come ricco proprietario terriero e consigliere del nostro Comune, ebbe in sposa la Sig.ra TETTI Antonietta di ricca famiglia borghese. Insieme alle sorelle, Antonietta maritata al Conte Galli – Tassi e Francesca (Fannj) sposa del Cav. Tito Cangini, ereditò una vistosa fortuna. In accordo con la consorte, il Cav. Mario decise di devolvere questa parte di eredità alla costruzione di un Istituto, che poi intitolò al “Sacro Cuore”, per l’istruzione e l’educazione del popolo. Mise a disposizione un rilevante appezzamento di terreno di sua proprietà, sito in via dei Mandorli, affidando all’Architetto Prof. PASQUALE FALDI di Peccioli la direzione dei lavori e la soprintendenza a tutti gli incarichi. Fu così che nell’anno 1884 ebbe inizio l’opera. Un enorme sbancamento nella zona tufacea servì alla preparazione di profondi pozzi per la raccolta dell’acqua piovana che in seguito fu usata per il fabbisogno della fabbrica. La pietra ricavata da questo lavoro fu utilizzata insieme a molta altra all’edificazione del maestoso complesso edilizio. I suddetti pozzi dettero in seguito ricchezza all’edificio fornendo acqua buona a tutti i servizi. I lavori volgevano a termine, l’opera dell’Architetto stava per concludersi. L’edificio era imponente, ben strutturato sotto ogni aspetto e capace di ospitare un rilevante numero di educande, ma per i coniugi Bardini sorgeva un grosso problema: a chi affidare l’incarico di dirigere un’opera di tale importanza?
Come mandata dalla Provvidenza, venne a passare da
Pomarance per recarsi a Volterra una suora, e saputo questo fatto si presentò
ai coniugi dicendo di avere costituito nel 1868 una congregazione detta delle
“Sorelle dei poveri di Santa Caterina”. Questa suora era Madre SAVINA
PETRILLI, nata a Siena il 29 agosto 1851, figlia di Matilde Vetturini e di
Celso Petrilli, di poca costituzione ma di tanta volontà. Era riuscita in pochi
anni, tutti dedicati alla carità, a realizzare costruendo Case Pie in varie
località, prima fra tutte a Firenze, poi a Montespertoli, Celle sul Rigo,
Volterra e Roma.
I coniugi Bardini furono ammirati e manifestarono
immediata fiducia a questa suora sino a pregarla con le lacrime agli occhi,
perchè aggiungesse alle altre anche questa opera di Pomarance.
Convinta dalla cordialità e dall’accoglienza dimostratale, Madre Savina non indugiò ad accettare una simile occasione. Così quando nel febbraio 1889 avviene la fastosa inaugurazione del grande complesso, Madre Savina è pronta a tenerne la direzione ed insieme ad altre consorelle dello stesso ordine inizia il suo lavoro. Nell’anno 1893, sempre per volere di madre Savina, viene commissionato all’artista pittore Alessandro Franchi il dipinto del Sacro Cuore a cui è dedicato il convitto di Pomarance. Il dipinto si trova tutt’oggi presso la Chiesina dell’istituto. Proprio quest’anno il 24 aprile a Roma, con udienza particolare, il Papa ha accolto le suore di questo ordine per assistere alla Beatificazione di Madre Savina.
Credo che un’opera come ci ha lasciato il Cav. Mario
Bardini non abbia bisogno di presentazione, perchè tutti noi paesani abbiamo
avuto l’occasione e la possibilità di apprezzarne i requisiti, lo personalmente
ricordo ancora quando negli anni trenta frequentavo l’Asilo Infantile e “Suor
Raffaella”, maestra d’asilo, nelle giornate piovose, ci intratteneva nella sala
giochi e lì si cantava, si giocava e si facevano i primi segni sul quaderno a
quadretti, le cosiddette “aste”, i primi tentativi per imparare a tenere la
penna in mano e a stare sul rigo. Poi, alla fatidica ora del pasto, ci
mettevamo in fila ed al canto di:
andiamo a tavola
compagni cari
che questa è l’ora
del desinare
tutto è buonissimo
tutto ci piace
andiamo a tavola
in santa pace
Beata Madre Savina Petrilli fondatrice della Congregazione delle Sorelle dei Poveri di S. Caterina da Siena rettrice dell’istituto Sacro Cuore.
si arrivava ai famosi tavoli metallici con il ripiano in marmo bianco; ogni tavolo aveva sei buchette rotonde per inserirvi le ciotole in alluminio allo scopo di non rovesciarne il contenuto.
Che profumo quel minestrone, tutto particolare, con la prevalenza dei fagioli fra gli altri legumi! Era una leccornia (25 anni dopo ho risentito lo stesso odore quando vi ho accompagnato mio figlio Mauro). Non mancava il rituale “Discorsino” per le feste tradizionali, tanta trepidazione e divertimento. Poi il cortile, la passeggiata in fila alla statua della Madonna posta in una grotticella che sembrava tanto lontana in fondo ad una stradina. Quando infuriava il temporale, c’era chi aveva paura, ed allora tutti compunti e devoti ci portavano nella chiesina del Sacro Cuore e mentre ad ogni lampo la suora, ripeteva “Santa Barbara benedetta liberaci dal tuono e dalla saetta”, le interne, come per incanto, dall’alto delle grate poste alle spalle di chi pregava, intonavano con le loro voci angeliche laudi alla Madonna che servivano a distrarre i piccoli impauriti. L’istituto era sicuro per questi temporali perchè era munito di parafulmini, ma questa sicurezza serviva solo alle mamme, e sino a tal punto che una volta che ci fu addirittura una piccola scossa tellurica una di queste disse: “meno male il bimbo è all’asilo, almeno lì ci sono i parafulmini ed è al sicuro”.
Foto di interne ai primi anni del ’900. Foto ricordo del folto gruppo dei bambini dell’Asilo infantile – 26 maggio 1938
Tra i tanti ricordi c’è anche quello di “GENESIA”, una donna atta alle fatiche più pesanti come la lavatura dei panni, e ripagata con l’inserimento nel numero dei conviviali; era vecchia, malmessa, camminava male, trascicava i piedi gonfi dai geloni, racchiusi in un paio di pantofole sgangherate che portava estate ed inverno, sempre quelle. Spesso noi bambini che si giocava sotto i loggiati del piazzale rialzato, ci avvicinavamo ad una pompa con una grossa ruota che serviva a bilanciare le forze di chi girava per tirar su l’acqua ai lavatoi, ma se per caso Genesia ci vedeva ci scacciava urlando; quel luogo era il suo regno. A quell’epoca si andava alle scuole elementari anche a sette anni, e di asilo se ne faceva.
Cappella dell’istituto; sopra l’altare è visibile il dipinto del Sacro Cuore (foto S. Donati)
Per oltre mezzo secolo l’istituto del Sacro Cuore ha adempiuto degnamente la volontà del suo fondatore: nei suoi locali, sotto la guida delle suore, hanno trovato sicuro rifugio tante bambine verso le quali la sorte non era stata benevola; l’asilo, allora il solo nel paese, ha accolto la maggior parte di noi nella prima infanzia; la Scuola Elementare femminile è stata aperta fino a circa trent’anni fa, poi l’Ambulatorio Comunale che vi fu trasferito dopo la distruzione del precedente ubicato sull’angolo di Via Camillo Serafini, e fatto saltare dalle truppe tedesche in ritirata per ostacolare l’ingresso in paese agli americani in arrivo. Tra quelle mura si sono svolte altre attività, che possiamo definire marginali, e che non ritengo di elencare, ma ricordo soltanto che l’istituto è sempre stato aperto a recepire e soddisfare ciò che la cittadinanza gli ha domandato. Oggi l’istituto ospita persone anziane, ma anche con questa nuova destinazione non è venuto meno al suo ruolo di essere utile alla comunità. I nostri uomini di comune con delibera del 18 maggio 1898 vollero onorare questo insigne signore ribattezzando col suo nome la via che conduce all’istituto da lui fondato e che fino ad allora era conosciuta come via dei Mandorli.
Cimitero di Pomarance – Tomba di M. Bardini – Cappelle gentilizie.
Con questa
breve rievocazione anche noi oggi vogliamo rendere omaggio a Mario Bardini per
la sua generosità e benevolenza verso la popolazione del nostro paese.
Giorgio
BIBLIOGRAFIA:
Savina Petrilli – “Come pane spezzato” – Ed. MESSAGGERO Padova 1987 “Rievocazioni Storiche” di Edmondo Mazzinghi-LA COMUNITÀ DI POMARANCE anno Vili n° 3 – 4 maggio agosto 1975
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
La Storia Continua
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