Come ormai risaputo, nel Medioevo, non
vi era in Italia città, castello o villaggio ove non fossero fondati sodalizi
che, sia per culto sia per pietà o misericordia, univano persone (fratelli)
che, volontariamente e per impulso di carità, portavano soccorso agli
ammalati, ai morenti, agli appestati. La loro opera, a seconda dei casi di
malattia consisteva sia nelle cure che alla meno peggio potevano essere
prodigate, sia nel trasporto in ospedale o al lazzaretto per mezzo della “ZANA”
(specie di portantina a forma di gerla, ricoperta in tela, da portarsi a
tracolla e atta allo scopo). In altri casi, quelli irrimediabili, “I FRATELLI”
si prodigavano per il funerale ed il seppellimento.
Trasporto dell’ infermo con “ZANA”.
Le origini delle Misericordie Toscane risalgono
intorno al XIII e XIV secolo, quando le varie associazioni di arti e mestieri,
dietro esempio del Comune di Firenze,
1615 dette inizio, a sue proprie spese, ai lavori per una Cappella nei pressi
del baluardo sulla destra di Via della Costarella, all ’interno della cinta
muraria del castello.
La nuova istituzione fu detta “VENERABILE
CONFRATERNITA DEL SS. SACRAMENTO E DELLA CARITÀ”; iniziò il suo operato e si
distinse ben presto in varie occasioni.
Purtroppo in base al Decreto del 21 marzo
1785 il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena, tutte queste benevole organizzazioni
furono soppresse con indignazione e sgomento della popolazione.
Soppresso il Decreto, dopo l’Editto Leopoldino, ripresero le attività di volontariato con varie opere di beneficenza. Anche Pomarance vide nuovamente riformarsi “l’opera assistenziale” soprattutto per volontà del Dr. NICOLA VALCHIEROTTI, avevano affermata la loro vita di azione. Così ovunque si intensificavano queste Compagnie, e Associazioni con un proprio regolamento ed un singolo Statuto appositamente studiato per le caratteristiche del luogo in cui nascevano.
Anche Pomarance si organizzò
per questo Istituto Benevolo, e così, per volere del Sacerdote CESARE GIOVANNI
SANTUCCI, (nipote dell’illustre nostro concittadino Antonio il Cosmografo)
nell’anno
Chiesa della Misericordia.
medico condotto, uomo di singolare pietà, il quale aveva adottata come sua seconda patria la nostra terra. La sua iniziativa si concretizzò rapidamente in una efficiente organizzazione condotta dal medesimo e da altri volenterosi. Durante il triennio della sua carica a Governatore, egli si prodigò per la ricostituzione della Confraternita e per l’ampliamento dell’Oratorio. Per merito suo la vecchia Cappella, di proprietà della sig.ra Anna Fantacci ved. Marchionneschi, in data 24 aprile 1844, con atto di donazione , passò alla Confraternita e fu così possibile dar inizio aH’ampliamento con le oblazioni dei più benefattori.
Con meraviglioso slancio i cittadini di ogni classe si
iscrissero a questa nuova fratellanza prestando la propria opera materiale e
morale. Compilati i relativi capitoli, approvati con Regia Sanzione del 3
gennaio 1845, la Misericordia cominciò subito il suo regolare funzionamento.
Nonostante l’encomiabile impegno dei benefattori non si
riusciva a far fronte a tutte le richieste che si moltiplicavano, così che tre
anni passarono in ritmo crescente di lavoro e di soccorsi. Il mandato di
questo benemerito fondatore era terminato, il suo operato aveva superato ogni
aspettativa e la promessa fatta all’atto della costituzione lo aveva impegnato
al massimo. L’avvio a questa opera era stato eccellente, ma alla scadenza del
primo triennio, il Valchierotti non si presentò alle elezioni volendo
lasciare ad altri volenterosi la libertà di continuare. Regola
ri elezioni videro suo successore il Cav. ADRIANO DE LARDEREL, uomo temprato
nell’esercizio della vita, che aveva dato segno del suo impegno e del suo affetto
per la nostra terra sia con intelletto industriale che religioso (vedi
costruzione caldaie Addane ed interessamento per la istituzione della
Processione Bella a Pomarance). Per dieci anni questo signore attese con
lodevole cura alla benemerita opera che si affermò sempre più. Il maggiore
contributo di umanità si rivelò durante l’epidemia colerica che nell’anno 1855
infestò il pomarancino, e fu ancora più evidente la efficienza dell’organizzazione
e la serietà con cui essa veniva gestita.
Il cav. Adriano de Larderei cessò di vivere alla giovane
età di 35 anni, lasciando rimpianto e cordoglio in tutti quanti lo conobbero.
Con lo stesso zelo e la medesima tenacia seppe ben
imitarlo il di lui fratello conte FEDERIGO DE LARDEREL, il quale si curò
dell’ampliamento di questa Confraternita della SS. Carità facendo in modo di
porla sempre più in vista.
Venne creato anche un abito a mo’ di divisa, a sembianza
di quello già usato dalla istituzione fiorentina: una lunga tunica nera con la
cintola a forma di rosario, un medaglione a giustacuore con l’emblema delle
misericordie e, per mantenere l’anonimato a chi lo indossava, un cappuccio
nero (detto “BUFFO” ) con solo due fori corrispondenti agli occhi. Chi vestiva
questo lugubre indumento non doveva far
sapere all’assistito chi era stato il benefattore, dimodoché non si sentisse
verso di lui debitore nell’eventuale guarigione. A completamento di questa
vestizione era previsto un cappello in feltro a larga tesa che serviva a
proteggere il portantino in caso di pioggia. Se la stagione era mite veniva
tenuto sulla spalla tramite il cordone del sottogola.
Sempre per interessamento del conte Federigo,
si trasformò di nuovo la Chiesetta che venne abbellita con marmi ed ebbe una
nuova pavimentazione. Questa chiesa era già stata consacrata a San Carlo
Borromeo, che ne è patrono, e che conseguentemente dette nome anche alla
piazzetta antistante l’ingresso.
Anche una portantina per il soccorso
agli ammalati fu acquistata, sostituendo la barella a stanghe. Era una
“LETTIGA” su ruote e per alleviare le scosse delle impervie strade aveva le
balestre in modo da ammortizzare gli urti.
Sempre nuove
migliorie per ogni tipo di bisogno venivano usate. Ed anche per i trasporti
funebri venne costruito un carro chiuso con predisposto il posto per il
cocchiere, in modo da poter trasportare il cofano funebre sino all’ultima
dimora. L’ultimo cocchiere, che per anni si impegnò a questa triste cura fu
Dante Spinelli più conosciuto come Dante dell’ortolano che, ad ogni tocco della
campana, era
Campanile della Misericordia.
pronto ad avviarsi con il suo
cavallo ad attaccare il mezzo tenuto presso la sede, e da lì dirigersi presso
l’abitazione dell’estinto. I meno giovani ricorderanno quest’uomo, che sino
all’avvento del mezzo motorizzato, ha scollettato tutti a S. Bastiano.
Per il richiamo dei portantini, in occasione dei funerali,
era usata la campana della Misericordia, posta sul campanile della Chiesa
Parrocchiale (vedi articolo sul n. 3/88 di questa Rivista) che con dei tocchi
particolari avvertiva: se il defunto era uomo, se era donna, se abitava in campagna,
se abitava in paese, se era iscritto alla Misericordia oppure no.
Nel corso degli anni vi è stato un susseguirsi di nomi, di
volenterosi, che con fede e spontanea carità si sono prodigati in questo
misericordioso lavoro.
Trasporto di infermo con “Portantina a stanghe”.
È doveroso ricordare anche i
Governatori, che con lo stesso spirito hanno continuato a dirigere l’istituto
cercando di ampliarlo, ammodernandone le attrezzature per aggiornarsi con
l’evolversi dei tempi. Dopo i due De Larderei, seguì il N. H. Giovanni Biondi
Bartolini che lasciò l’impegno al Cav. Michele Bicocchi e che, conseguentemente,
fu sostituito dal Dr. Giovanni Biondi Bartolini sino ad arrivare ai nostri
tempi con il Sig. Dell’Omo Augusto. A conferma delle notizie più lontane abbiamo
presso la Chiesa della Misericordia delle lapidi che ricordano questi uomini
fino al fondatore iniziale, il Sacerdote SANTUCCI, che con una scritta latina
è così ricordato:
Questo Sacro Edificio
dedicato a Dio alia Divina Madre e aS. Carlo Borromeo Cardinale di Milano, lo innalzò dalle
fondamenta, a proprie spese, prete Cesare di Giovan Matteo di Antonio Santucci,
l’anno di nostra salute 1644.
Nella sacrestia vi è una Acquasantiera a
muro, in marmo, con inciso lo stemma dei Santucci. Inoltre possiamo vedere la
lapide che onora il “secondo fondatore” il dottor Valchierotti, e poi quelle
dei due De Larderei. Le cinque lapidi in marmo scandiscono il tempo come un
libro e oltre ad arricchire la chiesa sono memori degli avvenimenti e
dell’opera di queste degne persone.
La chiesa della misericordia non ha molte
opere di valore, se non un’immagine della Madonna di Montenero dipinta su
specchio, sul retro, nella tavola di sostegno vi è una scritta a penna ed
inchiostro “Il Cavalier Adriano de
Larderei, fratello Governatore, donò alla Compagnia della R.R. Misericordia il
5 settembre 1852”. Sopra il tabernacolo dell’altare vi è un quadro rirpoducente
la Madonna Addolorata alla cui base possiamo leggere “MATER AMABILIS”. Alla pietà ed al merito di Girolamo Bettoni e
di donna Flaminia Covoni nata dei principi Chigi. (Giò Batta Cecchi incisore
dona e consacra, Firenze 1810). Sembra che questo quadro sia stato donato alla
Confraternita dal conte Federigo de Larderei.
L’insieme della chiesa, più volte rimaneggiata,
si presenta assai bene ai fedeli che numerosi vi affluiscono nel mese di novembre
per la Messa Vespertina officiata a nome dei defunti iscritti alla Misericordia
e deceduti nell’annata in corso. Ad avvertire di questa funzione religiosa è
compito delle due campanine poste sulla cella campanaria del piccolo campanile.
Il suono scandito da queste è datato dalla fusione di queste; una porta la data
solamente in numeri romani MLXXX (1530), e l’altra, A.D. MDCCCXV (Anno del
Signore 1815).
Documenti custoditi presso l’archivio
della Confraternita accertano molte di queste notizie e tra le principali vi
è quella del
la Affiliazione alla Confederazione delle Misericordie d’Italia avvenuta
nell’anno 1874.
Il nome odierno è: CONFRATERNITA DELLA MISERICORDIA DI
POMARANCE, con sede sempre in Piazza S. Carlo al numero civico 5, adiacente
alla Chiesa ed al suo patrimonio immobiliare. Oggi questa benemerita è servita
da un parco macchine composto da tre ambulanze che servono per gli
spostamenti, sia di ricovero in ospedale come per bisogni di soccorso stradale
od altro incidente. Inoltre due vetture funzionano per gli Handicappati ed i
dializzati. Unito a queste vetture vi è un carro funebre che completa il
nucleo motorizzato.
Nell’ammodernamento
delle attrezzature sono state acquistate, a
corredo di soccorso, delle sedie snodate atte al prelievo di ammalati
residenti in abitazioni dove vi sono scalinate.
Ad oggi è in allestimento una nuova ambulanza montata su
vettura Volkswagen e che nel giro di breve tempo andrà a sostituire quella più
vecchia e non più idonea e sicura. Il sodalizio che tutt’oggi è assai congruo
è costituito da 358 donne e 294 uomini. A questi valenti Governatori ed a
tutti gli attivi collaboratori che negli anni hanno saputo dare valore e vanto
ad una istituzione basata per la maggior parte sul volontariato, non rimane
che fare le dovute congratulazioni. A quelli presenti ed a quelli futuri, un
augurio per
Interno Chiesa della Misericordia.
Giorgio
saper continuare con lo stesso
spirito sia a governare che ad abbisognarsi in ogni occasione. Inoltre un
augurio a chi potrà ritrovarsi ai festeggiamenti che ovviamente saranno
effettuati nell’anno 2015 in occasione del quattrocentesimo anno di vita.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Archivio Misericordia
di Pomarance.
LE CONFRATERNITE DI
MISERICORDIA IN TOSCANA – Ed. Arti Grafiche San Bernardino SIENA 1926 a cura
del Comm. Dr. U. Patella.
Analisi storica a cura di: Dott.sse ROBERTA COSTAGLI e GIANNA BUONAMICI
INTRODUZIONE
Molti teatri, costruiti a cavallo fra la fine del settecento e la prima metà dell’ottocento, conservano ancora la memoria e la bellezza del vecchio teatro “all’italiana”. Infatti, se la parabola storica del loro declinio e dell’abbandono totale si compie nel dopoguerra, non si è esaurita ancora la memoria culturale che essi rappresentavano nel tessuto storico ed urbano: sono il segno dello spettacolo del passato, ma anche il segno concreto del luogo proprio di quella particolare rappresentazione che era la collettività che si riuniva.
Per questo non possono apparire solo come contenitori vuoti ed inagibili, la cui ulteriore ed inevitabile fatiscenza non è che la premessa per la definitiva demolizione, poiché anche in tempi come i nostri (in cui non esiste più un luogo assoluto e privilegiato della rappresentazione) se opportunamente predisposti, possono diventare contenitori specifici per lo spettacolo e la cultura di oggi.
Prospetto Teatro dei Coraggiosi (Foto S. DONATI)
Il problema dei teatri inagibili o comunque da recuperare
è un tema per molti versi complesso e stimolante: da un lato, il valore
storico – artistico delle strutture e il loro ripristino nell’ambito della politica
della rivalutazione dei centri storici, dall’altro la funzione socio –
culturale dell’edificio teatrale, inteso come luogo di produzione, di cultura
e di crescita civile per la società.
Alla luce di queste considerazioni, peraltro ampiamente discusse in anni precedenti e delle quali è dimostrata la validità con i numerosi restauri già conclusi, abbiamo ritenuto interessante affrontare, come lavoro conclusivo degli studi universitari, il tema del restauro e riuso di un teatro quale è quello dell’ex Accademia dei Coraggiosi. Il teatro in questione è collocato nell’ambito del centro abitato di Pomarance ed ivi sorto a suo tempo, per il manifestarsi di particolari istanze di rinnovamento socio – culturali, con lo scopo, per lo più, di portare spettacoli musicali e di prosa là dove ogni altra forma di svago sarebbe venuta altrimenti a mancare; istanze valide ancora oggi, che un totale ripristino della struttura potrebbe soddisfare.
ACCADEMIA
DEI CORAGGIOSI ORGANIZZAZIONE ED ATTIVITÀ
Nel secolo XVIII non vi è cittadina o paese in Italia che non abbia la propria Accademia; a Pomarance esisteva l’Accademia dei Coraggiosi fondata il 31 luglio 1790, che al pari delle altre contemplava nel proprio programma la produzione teatrale. I fondatori dell’Accademia furono: Pietro Biondi, Giuseppe Martini, Giuseppe Marchionneschi, Luigi Gardini, Paolo Cercignani, Gherardo Bardini Mafferi, Pietro Gardini, Niccola Tabarrini, Giulio Cercignani, Michele Bardini, Camillo Fantacci, Isidoro Biondi, Maria Borroni, Bartolino Bartolini, Giovan Battista Biondi, Carlo Incontri, Tommaso Gardini, Filippo Biondi, Marcello Inghirami, Pier Giuseppe Biondi, Ottaviano Falconcini e Giovan
Battista Gardini.
Dietro il nome antico ed illustre di “Accademia”
si nascondevano istituzioni non sempre permanenti o con propri regolamenti
interni che erano però di sovente l’anima culturale dei centri abitati grandi e
piccoli. L’istanza di rinnovamento artistico e sociale è spesso il motore di
questi sodalizi che, nel caso dei centri minori rappresentavano la sola
opportunità di svago, con la partecipazione ad attività teatrali o
l’organizzazione di feste da ballo.
Astrusi, Georgofili, Accalorati,
Intronati, Rozzi sono alcuni nomi di accademie esistenti in Toscana;
appellativi bislacchi ed ironici, forse per segno di vera o falsa modestia,
che sono il frutto del gusto di quei tempi. Le Accademie avevano anche l’usanza
di fregiarsi di uno stemma che spesso riportava un motto ispirato dal nome:
nello stemma dei Coraggiosi è rappresentato un leone rampante con la scritta
“Germoglian frutti ai coraggiosi in seno”.
L’assemblea dell’Accademia dei Coraggiosi,
aveva il diritto di veto sull’ammissione di nuovi componenti, pertanto il
passaggio da una “panca” da un accademico ad altra persona da lui proposta era
sottoposto a votazione. Una volta accettata la proposta, il nuovo accademico
era obbligato al pagamento di una quota corrispondente al valore frazionale del
teatro e della tassa annua di scudi due. Il numero degli accademici arrivò a
venticinque con la costruzione del nuovo teatro, mentre dai rendiconti
annuali sappiamo che fino al 1805 erano ventidue e negli anni successivi fino
al 1810, ventitré. L’invito alle adunanze avveniva tramite l’invio di un
biglietto redatto dal segretario che aveva anche la funzione di redigere
l’ordine del giorno. Nell’Accademia erano previste anche le cariche di Presidente,
Camarlingo e di cinque consiglieri, tutti eletti per votazione dall’assemblea.
Ogni accademico aveva il diritto di esprimersi con un solo voto anche se possedeva
più di un “carato”.
I soci si riunivano per decidere sui
vari lavori di restauro occorrenti al loro teatro, sull’assunzione del
personale di servizio, l’apertura del teatro e per esprimere un giudizio sulle
istanze pervenute da compagnie comiche o di musicanti.
Gli accademici, a turno, dovevano fregiarsi della carica di “Deputato d’ispezione al buon ordine” in occasione di rappresentazioni comiche ed ogni sera il nome della persona incaricata veniva scritto su un apposito cartello posto all’ingresso del teatro. Inoltre, tra le altre mansioni spettanti agli accademici c’era quella di fornire olio per i lumi in occasione di feste o rappresentazioni gratuite: all’ingresso dovevano lasciare una “mazzetta d’olio’’ in mano al custode con apposita firma e in caso di maggior consumo supplire con un’altra.
L’Accademia, nel 1829, stabilì alcune regole a cui doveva
sottostare la compagnia comica in occasione della stagione teatrale che si
svolgeva sempre in autunno: “…un regalo di zecchini dieci a condizione che
in essa sala dia venti recite… di
ricevere la sala del teatrino e quindi di riconsegnarla a suo rischio, nel
medesimo stato detta sala offrirsi, mobili, scenari… far rispettare le panche
esistenti a solo comodo dei signori accademici e loro famiglie… che sia a
carico della comica compagnia la spesa serale (illuminazione e paga al
personale di servizio)… che il regalo di dieci zecchini possa solo ottenersi
dalla comica compagnia metà alla metà delle recite e l’altra metà alla fine’’.
Nel 1840 in occasione dell’istanza promossa dalla
compagnia comica di Ottaviano Novellucci, fu stabilito, inoltre che ogni
compagnia comica ”… presentasse l’elenco all’accademico Nobile Giovanni
Novellucci… quale se l’approverà, la concessione si intenda definitivamente
fatta, in contrario si riterrà non fatta” e l’anno seguente il prezzo
d’ingresso non oltrepassasse Quattro Grazie.
Ogni accademico aveva la facoltà di organizzare feste da
ballo purché si investisse della carica di “Deputato di Ispezione” per
l’intera serata pubblicando poi il proprio nome sul solito cartello, ma aveva
il diritto di nominare un “Maestro di Sala” e di farsi sostituire da un’altro
accademico.
Nel 1834 fa il suo ingresso nell’Accademia, al posto del cedente Ferdinando Cercignani, il conte Ferdinando De Larderei “…il quale lo accettava e richiedeva essere surrugato al cedente in detto posto accademico per godere tutti i favori e sopportare tutti gli oneri ricevuti dal posto medesimo”.
L’aspetto economico rappresentava la nota dolente di questa
associazione, spesso alcuni accademici sono in ritardo nel pagamento della
tassa annuale di due scudi.
Nel 1853, l’Accademia decise di darsi un regolare statuto, a questo proposito fu incaricato l’accademico Venerando Valchierotti di redigere una proposta nel termine di tre mesi, ma di questo statuto, nella documentazione successiva, non viene più fatta menzione.
Con la decisione di costruire il nuovo teatro viene
compiuta un’accurata stima di tutti i beni mobili e immobili della società,
stabilendo che ”… i soci accademici che non vogliono concorrere alla costruzione
del nuovo teatro saranno liquidati i loro diritti sociali e cesseranno cosi di
far parte dell’Accademia.
Gli anni che seguirono videro l’Accademia sempre più impegnata e strettamente connessa al teatro e alle manifestazioni che vi si svolgevano. Tra i vari regolamenti pubblicati, c’è quello riguardante le “Stanze Accademiche” grazie al quale è possibile dedurre quanto questa associazione andasse sempre più assomigliando ad un circolo ricreativo per signori benestanti e poco rimanesse dell’attivismo letterario e filosofico che contraddistinse le accademie nei decenni trascorsi. Il regolamento prevedeva due occasioni di incontro: i “trattenimenti ordinari” rappresentati da adunanze o giochi e le “feste da ballo”: A queste stanze erano ammessi anche non accademici stante la previa approvazione dell’assemblea ed era stabilito che fossero aperte “…a trattenimento del giuoco, nel carnevale tre giorni di ciascuna settimana, cioè martedì, giovedì e domenica, nell’autunno, e inverno fino al giovedì della Settimana Santa e la domenica di ciascuna settimana e più le feste di intero precetto”. Mentre chi desiserava giocare doveva pagare “una tenue tassa a forma della tariffa nelle mani del custode…” il quale dava poi il denaro al Camarlingo. Grazie anche a questi incassi serali, la società faceva fronte alle numerose spese necessarie per mantenere in piena efficenza un siffatto edificio.
Nella generale revisione degli statuti che viene promossa
alla fine dell’ottocento, c’è la proposta di abrogare due articoli che
garantivano l’uguaglianza tra i vari accademici. Questo causò l’indignazione di
un vecchio accademico, “unico superstite dei compilatori dello statuto” che
fortemente si oppose a questo provvedimento così antidemocratico.
citati articoli (10 e 15) assegnavano un voto per ogni accademico senza distinzione del numero di palchi posseduto; la proposta riformatrice, al contrario, prevedeva un voto per ogni palco di proprietà, negando così “…l’uguaglianza sociale, dell’amministrazione e del valore del voto deliberativo… cioè il predominio della minoranza…”. La volontà dei proponenti era quella di risolvere il ricorrente problema del mancato numero legale nelle adunanze: un assenteismo che dimostra una già viva disaffezione nei confronti dell’Accademia.
Siamo ormai agli inizi del
Novecento ed è tempo di mutamenti sociali, la pressione che viene dagli strati
sociali più poveri della popolazione verso l’Accademia si fa sempre più forte,
come testimonia una lettera datata 15 settembre 1900 i cui firmatari in
rappresentanza della “popolazione meno abbiente, nata e cresciuta a
Pomarance”, chiedevano che il teatro fosse aperto a chiunque desideri partecipare…”:
Questa possibilità, in futuro, non potè più essere negata infrangendo in parte
quell’alone di distinzione culturale e sociale di cui erano investiti gli accademici.
IL VECCHIO TEATRO DEI
CORAGGIOSI
“Dizionario
Geografico, fisico, storico della Toscana” del Repetti riferisce dell’esistenza
di “…un piccolo teatro di proprietà di Un’Accademia dei Terrazzani che
rimonta verso il XIII”. Con molta probabilità si tratta dello stesso teatro
divenuto poi nel luglio del 1730, di proprietà dell’Accademia dei Coraggiosi
in quanto la prima delibera in ordine cronologico, ancora oggi esistente, del
31 Ottobre 1791, rivela la necessità di alcuni lavori “per ben ridurre la
stanza della loro Accademia”. Un ulteriore conferma che la “Stanza” ha svolto
in passato funzione di spazio teatrale si ha con la successiva deliberazione
del 9 Novembre dello stesso anno, dove in un passo recita: “lo infrascritto,
essendo stato onorato dai illustrissimi Soci della Stanza che serviva ad uso
di teatro posto nella terra di Pomarance, a voler unirmi con Essi in società,
ridurla nuovamente ad uso di teatro e di sala da ballo…”.
La “sala delle comiche” si trovava a fianco del palazzo Pretorio, con ingresso dalla piazzetta del Tribunale, nel centro antico, all’interno delle mura castellane: Posta al primo piano sopra un portico dove si apriva l’ingresso aveva il soffitto a volta affrescato, il palcoscenico, un “salotto” ed una stanza di deposito detta delle “panche”.
Nel 1794 furono realizzate opere di rifacimento e dipinti
nuovi scenari da un certo Antonio Niccolini in cambio di una gratifica di
venti lire, vennero anche acquistate diciasette panche in funzione di un riutilizzo
dell’ambiente come sala da ballo. Inoltre è di questi anni l’apertura di una
porta che metteva in comunicazione diretta il teatro col Palazzo Pretorio.
Il trascorrere degli anni, in questo caso tre, tra la fase
propositiva e l’attuazione dei lavori di restauro è un tema ricorrente nella
vita di questo teatro conseguentemente alla mancanza di risorse finanziarie
dell’Accademia.
Per un lungo periodo vi saranno interventi diretti
esclusivamente all’interno del teatro, o meglio alla sala, poiché le attenzioni
di miglioramento formale ignorano, come dettava la consuetudine interventi all’esterno.
Per “trarre un profitto” fu istituito nel 1798 “… il diritto d’esercitar Bottega d’acqua- cedratosa nel salotto annesso alla sala, in occorrenza di spettacoli teatrali e di feste da ballo…” offrendo l’incarico di tenere questo esercizio al migliore offerente. Inizia così il processo di articolazione del luogo teatro: alla vecchia sala comica si è aggiunto un primitivo bar che ancora mantiene la funzione di foyerguardaroba.
Nel 1803 viene decisa la costruzione sopra il salotto, di
una stanza ad uso dei comici che comporterà l’alzamento del tetto, affidando
i lavori agli impresari Razzagli e Bellucci. Le due finistre in facciata
(sopra e sotto) fu stabilito essere uguali a quelle adiacenti in costruzione.
Si deduce, pertanto, che tali lavori sono contemporanei ad altri che si vanno
facendo nel blocco di case a fianco del teatro.
Tre anni dopo, l’Accademia inaugurerà i nuovi lavori con una
rappresentazione comica della compagnia Gatteschi di Volterra.
Col 1834 inizia una lunga stagione di tentativi falliti da parte degli accademici di avere un teatro più grande in stile con i tempi nuovi. Il presidente propose di far visitare lo stabile e sala del teatrino a Loreto Magri, aiuto ingegnere della Comunità di Pomarance, dandogli commissione di redigere un progetto d’ampliamento riguardante la sala e il palcoscenico. Se ciò non fosse stato possibile, il suddetto ingegnere doveva progettare un nuovo teatro con ventiquattro palchetti e con il doppio di grandezza della sala attuale per uso di platea. Ma è del 14 Ottobre 1836 una nota di spesa redatta da Giuseppe Bianciardi per un generale restauro del teatro di cui annotiamo ‘‘…riquadratura della nuova sala, del salotto caffè e rifatto il boccascena nuovo…”. Nonostante i lavori di restauro intrapresi l’anno precedente, è sempre forte l’esigenza di costruire un nuovo teatro, come in questi tempi già se ne andavano costruendo nelle città e nei centri minori, come la vicina Volterra, Piombino, Pontedera, e Buti. Del resto la fine del settecento ha segnato la definitiva rottura col passato, una nuova sensibilità architettonica alimenta il dibattito sulla progettazione dei teatri e i venti innovatori che spirano dalle grandi città irretiscono le menti più sensibili anche di terre lontane.
Questo clima aleggiava anche negli ambienti culturali di
Pomarance e traspare dai toni enfatici di entusiastica adunanza del 1 ottobre
1837 “…Dietro la vostra ragione e io, tutti rendiamo fatto il teatro, pensare
dunque che l’incertezza nega, e la risolutezza afferma che ben ci convenne il
nome di Coraggiosi, come ci converrà quello di ben affetti al vostro
paese…”. Accantonata l’idea di un nuovo teatro, nel 1842 viene dato incarico
all’ingegnier Ricci di preparare un progetto di restauro per l’attuale teatro,
ma tale progetto verrà respinto.
Sempre quell’anno viene stabilito di inoltrare una
supplica al Regio Trono per la sua approvazione alla costruzione di un nuovo
teatro, facendosi promotore dell’iniziativa il conte Francesco De Larderei.
Negli anni successivi il vecchio teatro fu ripetutamente sottoposto a restauri
e modifiche, ma il Municipio di Pomarance, nell’occasione di dover trattare
della riforma delle scuole Comunali, si propose di fare acquisto del teatro di
Pomarance e sue stanze annesse, era il 31 dicembre 1860.
Questa iniziativa decretò la fine del vecchio teatro dei
Coraggiosi e, finalmente, l’avvio del nuovo, in quanto con la cospicua somma
realizzata dalla vendita fu attuato un concreto piano finanziario.
La stima di parte, del teatro, fu affidata all’architetto Magagnini di Livorno, mentre il municipio incaricò l’ingegner Gaetano Niccoli. La relazione del Niccoli documenta lo stato e consistenza del vecchio teatro dei Coraggiosi che dopo secoli di vita, il 25 febbraio 1861 era così composto: ingresso sulla piazzetta del tribunale, scala in pietra che portava alla, “Sala”, a destra del pianerottolo di sbarco la “Stanza delle Panche” trasformata col tempo in salotto guardaroba, la “stanza del caffè” ed infine il palcoscenico con annessa una stanza irregolare dalla quale si accedeva in una soffitta ad uso degli attori per mezzo di una scala. Le stanze accademiche furono acquistate dal Municipio per lire tremilaseicentoquarantacinque e sessanta centesimi.
DELIBERA
RIGUARDANTE LA COSTRUZIONE DEL NUOVO TEATRO
La lettera del 31 dicembre 1860 inviata dal municipio di Pomarance all’Accademia dei Coraggiosi fu letta nell’adunanza del 14 gennaio 1861 e in quel giorno venne finalmente deliberata, non solo la costruzione di un nuovo teatro, ma anche le modalità di attuazione del medesimo: due accademici stilarono la bozza di un programma in undici punti comprendente tra gli altri la spesa economica prevista, il denaro che ogni accademico doveva versare, l’assegnazione dei palchetti e la formazione di una commissione incaricata di seguire i lavori di costruzione. Il teatro doveva essere costruito fuori della porta Volterrana davanti alla casa del sig. Fantacci su disegno dell’architetto Ferdinando Magagnini.
ESCURSUS STOIRICO DELLE VICENDE
COSTRUTTIVE
La costruzione del nuovo
teatro prese l’avvio il primo marzo 1861 su terreno di proprietà in parte
dell’accademico Giuseppe Bicocchi e in parte dell’accademico Carlo Tabarrini;
i quali poi vendettero all’Accademia: il primo braccia quadre
millecentosettantasette ossiano ari quattro e deciari ottantaquattro, il
secondo braccia quadre ottocentodieci, ossiano ari
due, centiari settantacinque e deciari novanta.
Il permesso del Comune per la costruzione di detto teatro
è datato 26 settembre 1861, mentre la richiesta del medesimo risale solo al 9
giugno 1861: appare evidente che si trattava di pura formalità, non solo
perché i lavori erano già iniziati da diversi mesi, ma anche per gli accordi
già stipulati tra il Comune e l’Accademia in seguito alla vendita del suo
vecchio teatro.
Il finanziamento dei lavori di costruzione avvenne anche
tramite alcuni prestiti contratti con persone benestanti della zona, in quanto
il ricavato della suddetta vendita era insufficiente e fu liquidato in più
anni.
Il “Giornale dei lavori” in particolare ed altra
documentazione ancora oggi disponibile, costituiscono l’ossatura portante di
questa analisi sulle vicende costruttive inerenti l’edificazione del nuovo
teatro dei Coraggiosi.
Il giornale prende avvio col Marzo 1861 documentando le
fasi iniziali fatte di piccone, mine, calcina, carrette con materiale di risulta
e di tante giornate di lavoro per preparare le fondamenta.
Il teatro poggia su un banco di roccia tufacea che fu
spianata sia facendo brillare mine che utilizzando dei “ferri per battere il
masso”.
Fino agli inizi di Luglio si continuò a lavorare sul “masso” per preparare gli sbancamenti necessari su cui poggiare i muri portanti. Dopodiché si iniziarono a tirare su i muri e come nella logica dei tempi, i materiali da costruzione vennero reperiti sul mercato locale, in luoghi nelle vicinanze di Pomarance. I mattoni, mattoncini e quadricci provenivano dalla vicina fornace del Gabbro, mentre a Poggiamonti era situata la cava da cui provenivano le bozze grandi per le “cantonate” e le piccole per la muratura mista delle pareti esterne.
Al 14 Luglio risale il primo pagamento per la fornitura di
scalini di pietra, in questo caso dodici, da parte di una persona del luogo, un
certo Garfagnini Luigi e con cadenza di circa venti giorni verrà effettuato
il saldo di altre forniture: la prima ancora di dodici e le altre di
ventiquattro. Considerando che per la buona gestione di un cantiere il
materiale viene fatto arrivare in un periodo di poco precedente al suo
utilizzo, il saldo degli scalini di pietra fa supporre il tempo occorso per la
realizzazione delle strutture verticali e dei solai dei tre ordini.
I solai hanno struttura portante in legno, composta di
travi e travicelli reperiti sul mercato di diverse località: Lajatico, Gabbro,
Castelnuovo e Livorno. Due fatture della ditta di legname “Aghib e Rocah” di
Livorno documentano che ne inviarono un grosso quantitativo a Pomarance,
ordinato da Ferdinando Magagnini e pagato dal conte Federigo De Larderei, il
quale fu successivamente rimborsato dal Camarlingo Carlo Tabarrini. In quel tempo
per la fornitura di legname eccedente i cinque metri, era uso ricorrere al mercato
esterno e la scelta di Livorno è da attribuire al progettista, appunto livornese
e forse anche, per la comodità nei pagamenti, alla presenza in detta città di
un accademico illustre come il De Larderei. Sempre in questo periodo e
precisamente l’undici agosto, iniziarono i lavori di costruzione della
facciata ripulendo lo scasso fatto nel “masso” e ponendo poi nelle fondamenta
“una memoria scritta in carta pecora, con custodia in piombo ed una moneta
d’oro Romana”.
Con la costruzione delle strutture verticali, dei solai e
delle volte prese l’avvio l’opera di copertura della fabbrica che fu probabilmente
ultimata verso la fine di novembre, poiché è registrato il pagamento di una
merenda con la quale si festeggia, “come è di costruirne” questa occasione.
Conclusa questa fase ne iniziò una altrettanto lunga,
quella di completamento e rifinitura. Il 16 marzo 1862 venne stilata una
perizia sui lavori ancora mancanti e di conseguenza una stima del denaro necessario
per portare a compimento l’opera.
La costruzione del plafone (che copre la platea) fu affidata, a nota, a maestranze già operanti come il falegname Ferdinando Funaioli e il capo muratore Giovanni Mazzinghi. La progettazione del meccanismo degli scenari venne chiesto inizialmente al macchinista del teatro La Pergola di Firenze,ingegnere Cenovitti che però fu scartato, in quanto ritenuto troppo costoso. Così anche questo incarico venne affidato al falegname Funaioli, il quale aveva “in altro teatro attentamente esaminato tali meccanismi”. Nel mese di agosto 1862 sono annotati diversi pagamenti per l’acquisto di doccioni, ma anche l’ultima fornitura di pianelle, mezzane e tegole per completare il pavimento e la copertura della soffitta, stavolta provenienti dalla fornace Larderei di Lucoli; dopodiché sono i piccoli lavori di rifinitura e d’arredo a comparire sempre più frequentemente, del resto il giorno dell’inaugurazione era ormai prossimo.
Con il 12 ottobre 1862, giorno dell’inaugurazione, non si
concluse il ciclo dei lavori ed acquisti per il nuovo teatro; il “giornale”
tra gli altri, riporterà ancora: l’acquisto di alcune porte, di gran parte dell’arredo,
la posa in opera dell’infissi in legno, la scala in legno che porta alla graticciata,
la lucidatura dello stucco della sala, la riquadratura dei palchetti ed altri
piccoli lavori di rifinitura.
La pittura dell’interno dei palchetti fu stabilito di
realizzarla con “colore andante” e semplice riquadratura realizzata da entrambi
i pittori pisani chiamati ad operare in questo teatro, Riccardo Torricini e
Giuseppe Martini; il trattamento a stucco lucido fu realizzato dal solo
Martini, che era appunto “maestro di stucco lucido”, in cinque giornate di lavoro.
Il pittore Torricini ebbe un ruolo più importante, di mano sua sono le
pitture del foyer, dell’atrio d’ingresso, delle stanze accademiche e il
riattamento degli scenari del vecchio teatro; in quanto alla pittura della
volta della sala non è sicura l’attribuzione al Torricini, in quanto l’uso di
determinati colori farebbe supporre una sua più tarda realizzazione.
Il penultimo pagamento, il 31 gennaio 1868, riguarda il “casotto del Bigliettinaio” costruito da Ferdinando Funaioli già incaricato di tutti i lavori di falegnameria del nuovo teatro.
Il giorno 18 ottobre 1868 il “giornale dei lavori” chiude i
valori totali di alcuni materiali e denaro impiegati nella costruzione del
Teatro dei Coraggiosi. La chiusura del giornale, non significò ovviamente, la
fine dei lavori all’edificio teatrale, sia per la complessità del medesimo che
impone continue riparazioni, sia per gli adattamenti e le trasformazioni
conseguenti il pratico utilizzo o l’evoluzione tecnologica che si impone col
trascorrere degli anni.
Se i lavori di costruzione si possono considerare
conclusi, così non è stato per gli arredi e gli abbellimenti che sono proseguiti
ancora per lunghi anni. Nelle nicchie poste nell’atrio d’ingresso solo con
l’inizio del 1884 vi trovarono collocazione i primi busti di marmo e questo
anche grazie all’iniziativa di un giovane studente dell’Accademia di Belle
Arti di Firenze, Ezio Ceccarelli di Campiglia Marittima che si prestò più per
gloria che per denaro.
Il 23 settembre del 1886 un professionista di Volterra
Luigi Guarnieri, stilò una “relazione sullo stato del teatro di Pomarance”
dichiarando, dopo una breve descrizione dell’edificio riguardante in particolare
le strutture portanti ed il “sistema antincendio”, che “l’insieme del teatro è
in perfetta regola e nulla vi è da temere in rapporto alla statica” e proseguendo
poi con alcuni suggerimenti per “l’ordine e la sicurezza pubblica”. Se dal
punto di vista statico il teatro non presentava irregolarità, diversamente era
per gli
infissi e per le superfici esterne dei vari ambienti che presentavano altresì
un degrado già avanzato. Pertanto, l’anno dopo, fu deciso un grande restauro
di cui rimane a testimonianza il “rendiconto delle spese e delle entrate” per
restauri occorsi al teatro di Pomarance l’anno 1888. In occasione di tali
lavori l’accademico Florestano De Larderei, il 4 ottobre, chiese ed ottenne
dal corpo accademico “di far rimuovere con tutte le cautele opportune, la
parete di divisione” tra i due palchi di sua proprietà (il n° 11 e 12 del primo
ordine).
Negli anni che seguirono si registrarono solo lavori di
manutenzione ordinaria fino ad arrivare al 1914, anno in cui furono
realizzate alcune opere per improvvisare un cinema. I lavori per l’impianto
del cinematografo riguardarono soprattutto il palco reale che fu adattato a
cabina di proiezione, smontando l’apparato decorativo e foderando la porta di
banda stagnata.
L’anno seguente fu installata l’illuminazione elettrica in
sostituzione di quella a petrolio, limitatamente agli spazi ad uso pubblico,
con un’unica eccezione del “salotto accademico”.
Gli interventi successivi saranno incentrati per la
trasformazione del teatro in cinema, soprattutto dettati da ragioni di “Botteghino”
visti i buoni incassi di quegli ultimi anni. Così il 4 aprile 1959, per aumentare
il numero dei posti a sedere, fu deciso l’arretramento dello schermo e l’abbattimento
del palcoscenico con i suoi camerini sottostanti ormai inutilizzati da lungo
tempo.
Il mese successivo iniziarono i lavori di ampliamento della platea affidati alla ditta Moretti di Pomarance, su progetto dell’ing. arch. Beliucci di Ponsacco.
DESCRIZIONE DEL NUOVO TEATRO
Il teatro sorge fuori della porta Volterrana, sulla via
provinciale, lungo la direttrice di crescita del paese.
All’esterno l’edificio è abbellito da una facciata in
pietra tufacea, articolata in due parti: la parte inferiore “a bugnato” con le
tre porte d’accesso sormontate da un doppio cornicione, mentre quella superiore,
coronata da un cornicione più “importante”, ha un ordine di tre finestroni e
si distingue per un diverso trattamento dell’apparato murario.
Il teatro, al suo interno, è strutturato in quarantaquattro
palchi divisi in tre ordini, distribuiti lungo una pianta a ferro di cavallo.
Dalla porta centrale di facciata si accede ad un atrio di ingresso, ampiamente decorato. In questo spazio, dal lato sinistro si può accedere al caffè, che è a contatto diretto con la strada, infatti per molti anni svolse la sua funzione anche nei giorni di chiusura del teatro. La biglietteria è posta alla destra dell’atrio d’ingresso, anch’essa ha l’accesso diretto dalla strada. Dall’atrio si passa successivamente al foyer e da questo superati pochi scalini, si entra nella platea.
Due vani scala, simmetricamente disposti alle due estremità del foyer, distribuiscono il pubblico ai tre ordini dei palchi. Al secondo ordine sono collocate le stanze accademiche, sono stanze ampie e molto luminose grazie ai grandi finestroni che si aprono sulla facciata principale del teatro.
Sostanzialmente
il teatro riflette l’immagine di allora e risulta facile immaginare i giorni
luminosi dei primi anni di attività, l’eleganza del pubblico e il rumoroso
chiacchericcio che precede sempre una rappresentazione teatrale, magari con un
tono più alto per il clima di entusiastica scoperta di un pubblico non ancora
avvezzo a simili occasioni di ritrovo, lo stesso che forse ancora oggi si
respira in occasione delle grandi prime.
SPETTACOLI E
MANIFESTAZIONI AL TEATRO DEI CORAGGIOSI
L’attività del Teatro dei Coraggiosi è
suddivisa in due periodi: il primo prende avvio con la stagione inaugurale di
prosa dell’autunno 1862 per concludersi con i bombardamenti tedeschi del 1944,
che segnano anche l’inizio del secondo periodo caratterizzato dal lento
declinio delle attività del teatro.
La prima stagione teatrale aprì con rappresentazioni
della “Compagnia comica Gagliardi e Antinori”, e per la sera d’inaugurazione
del teatro portarono in scena la commedia “Suor Teresa”.
Il contratto
con le varie Compagnie avveniva per mezzo di istanze presentate dalle stesse
all’Accademia, oppure attraverso l’agente teatrale o su sollecitudine di qualche
amico di accademici che aveva assistito alle rappresentazioni di una certa
compagnia. Comunque la scelta ricadeva sempre su compagnie conosciute o per le
quali qualche personalità stimata garantiva per loro.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
REPETTI, Dizionario Geografico, fisico, storico
della Toscana, Firenze, 1841, vol.
IV.
E. MAZZINGHI, Rievocazioni Storiche di Pomarance,
in «Rivista Comunità di Pomarance».
C. ORESTI. L. ZANGHERI, Architetti e ingegneri
nella Toscana dell’ottocento, Firenze, Uniedit, 1978, pp. 48-49.
GIUSEPPE CRUCIANI-FABOZZI, La committenza De
Larderei e l’opera di Ferdinando Magagnici, dal «Bollettino degli
Ingegneri», n° 10/1982, I parte.
GIUSEPPE CRUCIANI-FABOZZI, cit., n°
5/1983, Il parte.
AA.VV., Teatri, Luoghi di spettacolo e Accademiche
a Montepulciano e in Valdichiana, Montepulciano, Editori Del Frigo, 1984.
M. BUSCARNO, P. PIERAZZANI, Il teatro abbandonato,
Firenze, La Casa HSHER, 1985. «Professione: Architetto», nn.
10-11-12/1987, Firenze, Alinea, pp. 2-49.
«Recuperare, edilizia, design, impianti», n. 37/1988, pp. 588-593.
AA.VV., La fabbrica del Goldoni. Architettura
e cultura teatrale a Livorno (1658-1847), Venezia, Cataloghi Marsilio,
1989.
AA.VV., Teatri storici in Emilia Romagna,
Bologna, 1st. Beni Culturali, Regione Emilia Romagna. 1989.
AA.VV., L’Architettura teatrale nella
provincia di Siena, Roma, Giunta Regionale Toscana, 1990.
È stato acquistato dal Comune di Pomarance lo storico Teatro dei Coraggiosi. Così, con questa operazione, i due teatri presenti nel centro urbano (Teatro De Larderei – Teatro dei Coraggiosi) appartengono al patrimonio pubblico. In verità esistevano nel territorio comunale tre organismi teatrali, di cui uno purtroppo non più esistente. Sorti dopo la metà del XIX0 secolo nel Comune di Pomarance, risulta organicamente connessa, come gran parte del rinnovo urbano del capoluogo e dello sviluppo insediativo ed infrastrutturale del territorio, all’affermarsi dello sfruttamento industriale dei “lagoni” e dei “soffioni” del comprensorio boracifero e, con esso, alle fortune imprenditoriali della famiglia De Larderei.
Via Gramsci: Facciata Teatro Accademia dei Coraggiosi (1950)
Il primo, in ordine di tempo, di tali teatri, inaugurato
1’8 settembre 1856 con una festa solenne e con un banchetto imbandito a
duecento conviviali, venne realizzato nella corte del palazzo padronale di
Larderello come vera e propria attrezzatura ricreativa aziendale,
prevalentemente destinata alle rappresentazioni sceniche ed alle esecuzioni
musicali dei dipendenti dello stabilimento. L’allestimento di questo spazio
teatrale, come la progettazione di quasi tutti gli interventi edilizi
commissionati da Francesco de Larderei fra il 1845 e la data di morte (1858),
va ascritta all’ebanista ed architetto livornese Ferdinando Magagnini. La
frequente presenza del versatile operatore al servizio dei De Larderei nel
territorio di Pomarance doveva di lì a poco invogliare i membri dell’Accademia
dei Coraggiosi ad affidargli l’incarico di redigere il progetto di un nuovo
edificio teatrale in sostituzione della sala già esistente nell’abitato. Il
nuovo Teatro dei Coraggiosi, verrà inaugurato il 12 ottobre 1862: sotto la
lunetta dell’atrio, di fronte a chi entra, figura ancora una epigrafe
gratulatoria nei riguardi dell’architetto fatta apporre per la circostanza
dagli accademici.
Il fabbricato, che presenta sul fronte stradale una sobria
facciatina in pietra tufacea a tre assi di aperture, rileva al suo interno,
nella contratta sequenza dei vani che precedono la sala assicurando il necessario
sviluppo distributivo per accedere ai diversi ordini di posti, un gustoso
contrappunto di effeti spaziali, sottolineato dalla decorazione geometrica
delle superaci, che accompagnano il fruitore fino alla soglia dell’invaso
teatrale, dall’impianto lievemente a campana, a tre ordini di palchi,
sovrastato dalla appena accennata concavità del soffitto dipinto la cui
complessa armatura lignea emerge come il dorso di una testuggine nel locale
sottotetto. La trasformazione postbellica del teatro in cinematografo ha comportato,
assieme al tamponamento del palco di mezzo per adibirlo a cabina di proiezione,
il deturpamento del proscenio in conseguenza dell’installazione dello schermo.
Con
l’emanazione delle nuove normative in materia di sicurezza, il Teatro dei Coraggiosi
venne definitivamente chiuso ed abbandonato perdendo così l’originaria funzione
culturale e sociale. Inizia così lo storico declino e l’abbandono totale che
avrebbe certamente portato alla definitiva demolizione quale percorso oggetivo
che caratterizza la maggioranza dei teatri italiani costruiti tra la fine del
settecento e la prima metà dell’ottocento.
Nasce da questa amara constatazione il processo necessario di recupero di queste vecchie strutture e la necessità di progettare una destinazione d’uso coerente con la loro storia e con le esigenze culturali della realtà contemporanea. È proprio attraverso queste sollecitazioni determinate dalle Amministrazioni Locali che nasce il progetto F.I.O., progetto integrato per la tutela monumentale, la ristrutturazione e l’uso infrastrutturale dell’edilizia teatrale in Toscana. Con l’approvazione da parte dello Stato del progetto presentato dalla Regione Toscana per una spesa complessiva di 41 miliardi che consente l’intervento e la ristrutturazione di trenta strutture di proprietà pubblica tra le quali figura il Comune di Pomarance con le due strutture teatrali del Teatro De Larderei e Teatro dei Coraggiosi. Senza l’inserimento nel progetto F.I.O. con l’accesso ai finanziamenti previsti dal piano, sarebbe stato impensabile per il Comune pensare ad una operazione del genere. Ora inizieranno i lavori di progettazione e di recupero nell’ambito della politica della rivalutazione dei centri storici e della loro “vivibilità” secondo un nuovo concetto dell’arredo urbano e come momento di aggregazione sociale onde contrastare i segnali di decadimento culturale in atto in tutti i centri urbani e nelle aree matropolitane. Si tratta insomma di far usufruire ai cittadini che vivono lontani dai centri momenti di vita culturali che sono indispensabili per la tenuta complessiva di un territorio in particolar modo per le zone montane.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Giuseppe
Cruciani Fabozzi – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER.
Marco Mayer – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER
Paolo Pierazzini – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER
Il XIX° secolo è stato per Pomarance un importante periodo
storico caratterizzato da notevoli trasformazioni urbanistiche nel centro
storico che cambiarono radicalmente l’aspetto medioevale o rinascimentale dei
palazzi appartenuti alle antiche casate nobiliari o borghesi del luogo. Queste
costruzioni ottocentesche procurarono la distruzione di antiche testimonianze
architettoniche creando la nuova immagine di Pomarance che è possibile
osservare percorrendo le vie del centro storico ed in particolar modo via
Roncalli o dei “Signori”.
Palazzo De Larderel
Sui vari palazzi certamente si impone il grandioso edificio di “Palazzo De Larderei”. Attualmente di proprietà comunale ed adibito a sede per l’Ufficio Tecnico e della Comunità Montana della Val di Cecina, fu un tempo la residenza autunnale della nobile famiglia dei De Larderei che lo iniziarono ad opera del “sagace” commerciante Francesco De Larderei su progetto dell’architetto ebanista Magagnini di Livorno. Francesco De Larderei, di origine francese, trapiantatosi a Livorno fin dai primi dell’ottocento, si stabilì nelle nostre zone attorno al 1818 quando fu fondata una società (ved. Chemin – Prat – Lamotte – Larderei) dedita alla estrazione e produzione dell’acido borico contenuto nei “lagoni” di Montecerboli. Lagoni ottenuti a livello dal Comune di Pomarance ed in seguito in concessione perpetua dal Granduca di Toscana. Il “borace”, prodotto richiesto ed esportato in tutto il mondo, permise al conte Francesco, con l’aumento di capitali, di entrare ben presto a far parte della borsa dei Priori del Comune di Pomarance (1833) e di acquistare nel territorio comunale una serie di “unità immobiliari” che, ampliate e ristrutturate, sarebbero andate a formare il grandioso Palazzo – Fattoria De Larderei che ricalca, se pure con un lessico architettonico semplificato, il Palazzo Larderei di Livorno. (1)
L’area in cui doveva essere edificato il
fabbricato era stata individuata dal “Conte di Montecerboli”, fin dai primi
dell’ottocento, all’inizio del paese, nell’antica contrada di borgo tra la
porta Massetana e la Cancelleria comunitativa.
Consultando una mappa catastale del periodo leopoldino (1823) è possibile comprendere quali furono i fabbricati che Francesco De Larderei iniziò a comperare per la realizzazione del grandioso progetto. (fig. 1)
Il primo edificio acquistato fu quello
di proprietà del Cav. Giovanni Falconcini, per arroto del 6 aprile 1832,
(particella catastale 279 – 281 – 282 – 283) a cui si aggiunse due anni più
tardi, per arroto del 18 aprile 1835, l’acquisto della casa di Metani Donato
addossata all’antico baluardo di Porta Massetana (part.
cat. 284). Sempre nello stesso anno venne
acquistata, con arroto del 20 maggio 1835, la casa del Cav. Giuseppe Bardini (part.
cat. 282 – 282 bis – 283 bis).
Sei anni dopo fu acquisita anche l’abitazione di Francesco Funaioli per arroto del 25 maggio 1841, (part. cat. 277 – 278 – 280) insieme ad una cantina dai fratelli Michele e Giuseppe Bicocchi (part. cat. 277 – 278) ed un terreno “sodo lavorativo” dal sig. Beliucci Ermogasto, che era quella porzione di suolo al di fuori delle vecchie mura castellane denominate il “Tribbietto” (2) (part. cat. 279 bis).
Negli stessi anni vennero acquistati dal De Larderei anche
una serie di poderi che andarono a formare una tenuta di “beni rurali” nel
Comune di Pomarance e che permise al Conte Francesco, in base ad un regolamento
catastale del 1829, di fare istanza nel 1843 alle Magistrature di Comune per
essere sgravato dalle stime imponibili sui fabbricati ad uso rurale: (3)
“… con /a volontà del nobil conte Cav. Priore Francesco De Larderei
di Livorno, a possedere come appunto possiede, una tenuta di beni rurali nella
Comunità di Pomarance, ebbe desiderio insieme di corredarla di necessari
comodi per l’agenzia, e di un comodo per abitare nell’autunnali
villeggiature. In pertanto che procede all’aggiusto di vari antichi fabbricati
quali parte al di fuori, parte al di dentro della porta così detta Massetana
della terra di Pomarance, formarano un collegato di muri, capaci insieme, a
soddisfare il di sopra espresso suo desiderio.
E dappoiché tali speciali acquisti furono fatti dopo la stima del nuovo catasto, questi sopra dei catastali registri furono in conto, e faccia del prefato sig. Conte DeLarderei …per un ammontare totale della rendita imponibile di lire 543,97”. (4) Nell’istanza il conte De Larderei dichiarava che tutti quei fabbricati erano stati utilizzati ad uso di fattoria e “… ridotti in fienili, stalle, rimesse, granai, coppai, tinai, magazzini”, in parte come abitazione dell’agente ed inservienti; in parte ad abitazione propria, ‘‘per tempo della villeggiatura”, con un piccolo giardino annesso, dichiarando inoltre che nessuno dei fabbricati riservò per appigionarli o trarne frutto di locazione alcuno …”. Non ci è dato a sapere se “l’aggiusto” dei fabbricati corrisponda all’inizio dei lavori per la realizzazione di Palazzo De Larderei; certo è che la situazione urbanistica di questa area cambiò radicalmente nel giro di una decina di anni (1852 ca.) (fig. 2)
Variazione Catastate 1852 c.a. (FIG. 2).
Venne demolito infatti il baluardo di Porta Massetana e la
casa del Melani; occupata la piccola piazzetta detta “Padella”; abbattuti i
resti delle mura castellane; ampliato il fabbricato centrale (part.
cat. 282) e costruito un giardino al quale si
accedeva anche attraverso un vicolo dalla “via di Borgo” (tra part. 277 e 280).(5)
Il lotto centrale del Palazzo che secondo gli ambiziosi
progetti del De Larderei avrebbe dovuto ricreare lo stesso imponente prospetto
del palazzo di Livorno, già terminato in quegli anni, indusse lo stesso conte
Francesco a proporre alle Magistrature nel 1852 la permuta della Cancelleria in
cambio della ristrutturazione a sue spese del Palazzo Pretorio creando
ambienti idonei per l’Ufficio del Gonfaloniere e del Cancelliere.
Proposta non molto gradita dai Priori del Comune che
avrebbero invece voluto un fabbricato nuovo come risulta da una lettera del
1853 (6):
A di 25 maggio 1853
Pregiatissimo sig. Gonfaloniere sono onorato della
pregiatissima sua in data 20 corrente con la quale V.S. illustrissima si
compiace di parteciparmi la decisione sulla mia proposizione relativa alla Cancelleria
Comunitativa. L’opinione dell’ingegnere nulla mi sorprende, Egli si era già
pronunciato da più di un anno e prima di avere esaminato le mie piante, lo
compatisco per non dire altro.
Al Gent.mo sig. Gonfaloniere dovrà sempre convenire, che
la mia proposizione era vantaggiosissima alla Comune, e che la cattivissima
casa della Cancelleria (veniva distrutta fino ai fondamenti) mi sarebbe
costato tre volte tanto il suo valore reale.
V.S. si compiace ancora propormi di fare costruire una
nuova Cancelleria e di darmi la vecchia per la nuova e mi invita a sottoporre
il mio progetto.
Mi rincresce doverli dire che non posso accettare simile
proposizione, più particolarmente perchè il progetto qualunque fosse, avrebbe
certamente la disgrazia di stare diversi anni nelle mani dell’ingegnere, come
ha fatto il primo, sarà adunque assai meglio che io rinunzi al mio progetto per
non essere ballottato ingiustamente o capricciosamente, quando tutte le mie
mire erano per il vantaggio della Comunità, l’imbellimento del paese, e far
lavorare dei disgraziati senza lavori.
Ho l’onore di dichiararmi rispettosamente…
Dev.mo servitore F. De Larderei
Trascorsi due anni dalla prima richiesta di permuta il
conte De Larderei faceva nuovamente istanza (1855) al Gonfaloniere di Comune
per la cessione della fabbrica di Cancelleria proponendo di pagarla in
contanti con l’aumento del 15% sopra le stime, oppure costruendo una nuova
Cancelleria uguale a quella vecchia dettando però una condizione che, se fosse
stata accettata la seconda proposta egli avrebbe iniziato i lavori nella imminente
primavera e, ”… non solito aggiornare i suoi divisimenti…” pregava le magistrature
a deliberare e risolvere entro il mese di marzo la sua richiesta “… passato
il quale, non sarebbe stato più il caso di mantenerla …”.
La seconda proposta fu ben presto accordata ed i lavori
del palazzo proseguirono di pari passo con quelli della nuova Cancelleria
costruita tra la via Provinciale Massetana e via dei Boschetti. (7) Purtroppo,
la morte del conte Francesco De Larderei non permise di poter vedere ultimato
il suo grande desiderio che fu ben proseguito dal figlio Federigo, con
l’ampliamento dell’ala del palazzo verso Porta Massetana e nella quale venne
creato il bellissimo teatrino privato inaugurato nel 1872.
In quello stesso periodo
vennero acquistati dal figlio Federigo anche la casa con orto già di Cammillo
Fantacci (Part. cat. 273 – 274 – 275) che furono
utilizzate in parte per nuove scuderie (attuale Auditorium). Oggi, percorrendo
via Garibaldi, è possibile vedere la facciata principale di Palazzo De Larderei
nel suo antico splendore dopo il riuscito restauro effettuato nel 1984 ad
opera del Comune di Pomarance e nel quale è evidenziato ancora di più il
grande stemma in cotto della famiglia De Larderei collocato all’interno del timpano
centrale in cui si legge: “Raffaello Agresti fece all’lmpruneta nel 1871”.
Jader Spinelli
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Il Teatro abbandonato; “Pomarance: teatri storici” di G. Cruciani Fabozzi 1985; Ed. La Casa USHER
Cfr. “La Porta Orciolina o Massetana” – La Comunità di Pomarance n° 2 e Supplemento al n° 2 1988
Patrimonio rurale nel marzo 1843 di Francesco De Larderei: Podere S. Enrico, pod. S. Federigo, pod. Santa Paolina, pod. S. Filiberto, pod. Pogio Montino, Pod. Poggiamomi, pod. Luogonuovo, “Una costruzione non ultimata in aggiunta alla casa colonica dell’antico podere detto Palagetto..”.
Archivio Storico Comunale Pomarance F. 609.
Il giardino era delimitato da una sontuosa cancellata in ghisa proveniente dalle fonderie di Follonica. Questa fu demolita negli anni quaranta come offerta alla Patria per uso bellico.
Archivio Storico Comunale Pomarance F. 159.
La Cancelleria era costruita dove attualmente sono i “Giardinetti” e l’edicola dei giornali; permutata dalla famiglia Bicocchi, per la cessione dell’attuale palazzo comunale, fu utilizzata come Ospedale fino al 1935 circa. L’edificio fu minato durante la ritirata delle truppe tedeschenel 1945. (vedi Rievocazioni Storiche di Edmondo Mazzinghi – La Comunità di Pomarance 1974).
Il palazzo “Biondi Bartolini’’
situato sulla Piazza De Larderei al numero civico 3, è uno dei più antichi
edifici esistenti nel paese di Pomarance.
Ristrutturato nel modo attuale agli
inizi dell’ottocento appartenne, fin dai primi anni del XVIII secolo, alla
famiglia Biondi che ebbe tra i suoi discendenti Notai, Dottori, Priori e
Gonfalonieri nelle Magistrature del Comune delle Pomarance.
Attualmente conosciuto come il palazzo
“Biondi Bartolini”, fu denominato come tale solo attorno al 1830, quando
un discendente, certo Giuseppe Biondi, sposando Donna Violante Bartolini,
aggiunse al proprio cognome quello della moglie.
L’edificio, collocato al vigente catasto di Pisa con la particella catastale n° 417, può certamente essere considerato di notevole interesse storico per le sue pregevoli opere pittoriche dipinte sulle pareti e nei soffitti delle sale del “piano nobiliare”. Fin dai primi anni dell’ottocento il palazzo, ancora detto dei “Biondi”, era indicato negli antichi chirografi del tempo “lungo la via di Petriccio” che cominciava all’incirca dalla “Porta alla Pieve” (o Portone di Petriccio) e terminava alla “Porta Volterrana”.
Facciata del Palazzo Biondi Bartolini nel 1890
Uno dei più antichi documenti che ci consente
l’individuazione del palazzo è una planimetria del “Catasto Generale della
Toscana” o “Catasto Leopoldino” relativo a Pomarance. La piantina catastale,
conservata nell’Archivio di Stato di Pisa e datata 1823, consente di verificare
l’area occupata dall’immobile ed a questa faremo riferimento nella nostra
trattazione.(1)
Indicato a quel tempo con la particella catastale n° 316 risultava di proprietà del Sig. Giovan Battista Biondi. Proprietà che fu tramandata, di generazione in generazione, fin dall’acquisto (XVIII secolo) di alcuni beni immobili appartenuti a Cristofano Roncalli, discendente della famiglia Roncalli di Pomarance e pronipote del celebre pittore Crostofano Roncalli detto il “Pomarancio” (1552-1626).
Dall’estimo del Comune di Ripomarance
del 1571 risulta che l’immobile, pervenuto in eredità al Dottor Cristofano
Roncalli, apparteneva al suo bisnonno, Giovan Antonio di Francesco Roncalli da
Bergamo, padre del pittore Cristofano Roncalli. La casa, addossata alle
antiche mura castellane del XIII secolo prospicenti la strada di Petriccio,
confinava, come ancora oggi, con la Canonica della Chiesa di San Giovanni
Battista, l’orto della Chiesa e la porta “alla Pieve”; confinazioni importanti
che hanno permesso l’individuazione del fabbricato negli estimi del comune di
“Ripomarance” fin dal XV secolo.
Uno dei documenti attestanti l’appartenenza dell’edificio ai Roncalli risale al primo decennio del ’600. Trattasi di un estratto di contratto di vendita immobiliare pubblicato nel 1969 dal Dott. Giovan Battista Biondi su “La Comunità di Pomarance” e conservato nell’Archivio di Stato di Firenze al protocollo n° 19887, carta 45 v., atto 93, nel quale il notaio del tempo, Ser Guasparri del fu Francesco Maffii, certificava, in data 16 maggio 1616, che “… il Cavaliere Cristofano Roncalli delle Pomarance fu Giovan Antonio fece prendere possesso dei suoi beni in Pomarance, relitti morendo, il di lui fratello Donato”. Tra le varie proprietà compariva anche la casa, oggetto della nostra ricerca, posta nel castello di Ripomarance in luogo detto Petriccio confinante: “… a 1° Via, 2° Beni dell’eredi di Bernardino Roncalli mediante il Portone, 3° Casa della Pieve di San Gio:Battista, 4° Orto della Pieve, a 5° la casa di Bartolomeo Cercignani e se altri confini vi fossero, con le stanze e le botteghe sotto detta casa…”. L’edificio, attaccato come ancora oggi al Portone della Pieve e ricostruito ex novo nel 1884, presentava anticamente due stanze sovrapposte che pervennero ai Roncalli probabilmente da un livello enfiteutico dato dal Comune di Ripomarance.
Le stanze erano di necessaria comunicazione
con l’altra casa di Giovan Antonio Roncalli posta al di là della Porta alla Pieve
in luogo detto “Piazzetta alla Chiesa” (attuale Largo Don Morosini).
La “Lira” o “Estimo” del
Comune di Ripomarance del 1630, con arroti fino al 1708, conferma l’esistenza
di questa unità immobiliare ereditata dai discendenti Roncalli. (2)
La proprietà in quell’anno risulta
infatti alla “posta” di Jacopo, Francesco e Guglielmo figli di Cosimo
Roncalli.
Cosimo infatti era fratello del pittore Cristofano e figlio anche esso di Giovan Antonio Roncalli. La proprietà è così indicata: “… Una casa in detto castello con più botteghe confinata a 10 Via, 2° Pieve, 3° Orto della Pieve, 4° Mura, 5° Bartolomeo Cercignani, 6° Via … stimata lire milleduecentoquarantacinque…”.
Stemma Famiglia Biondi
Alcuni anni più tardi l’appartenenza dell’edificio passò al dottor Guglielmo Roncalli ed al fratello prete Francesco Roncalli. Alla morte di prete Francesco, con testamento del maggio 1683, rogato dal Notaio Gio: Antonio Armaleoni, la proprietà dell’immobile fu ereditata, in data 10 maggio 1696, dal Dottor Cristofano Roncalli, “soldato” (Tenente) Giuseppe Roncalli e prete Lorenzo Roncalli del fu Guglielmo suoi eredi e legittimi nipoti.(3) Nei primi anni del XVIII secolo risulta proprietario deH’immobile confinante con la casa della pieve soltanto il dottor Cristofano Roncalli; suo fratello, il tenente Giuseppe Roncalli, era infatti padrone della casa al di là della “Porta alla Pieve” (eredi attuali della Sig.na Federiga Volpi) così descritta nell’estimo del 1716 (4): “… una casa in Petriccio al portone con pozzo a metà con Teodora Ceccherini, confinata a 1° Via, 2° Via, 3° e 4° detta Teodora Ceccherini, 5° Via, 6° Dottor Cristofano Roncalli sopra il Portone stimata scudi 200…”.
Stemma dei Bartolini
La casa del Dottor Cristofano Roncalli
fu oggetto di compravendita in data 13 gennaio 1728 (ab Incarnazione 1729). Lo
scritto è riportato nell’articolo del Dottor Biondi Giovan Battista già citato.
Il Contratto conservato all’Archivio di
Stato di Firenze (Protocollo n° 23922 pag. 169) certifica che il suddetto
Dottor Cristofano Roncalli aveva lasciato dopo la sua morte molti debiti e che
i suoi creditori erano riusciti a mandare all’asta pubblica tutti i suoi
beni.
Il 10 giugno 1727 (1728) i detti beni
furono acquistati all’incanto dall’unico offerente, Michele di Cerbone di
Michelangelo Vadorini. Dal rogito si apprende che Pietro o Pier Francesco
Biondi (1691-1730), figlio di Giovan Antonio Biondi e Costanza di Domenico di
Sebastiano del Capitano Pietro Paolo Santucci, diretto antenato dei Biondi (e
quindi degli attuali Biondi Bartolini) acquistò dallo stesso Vadorini la casa
oggetto della nostra ricerca e cioè: “… Una casa dai fondamenti a tetto,
luogo detto Petriccio confinata a 1 ° Via, 2° Sig. Luogotenente Giuseppe
Roncalli, 3° la Chiesa arcipretale di San Gio:Battista di detta terra, 4° eredi
del quondam Bartolomeo Cercignani et altri….”.
La parte dispositiva del contratto si chiudeva con la seguente clausola: “… il medesimo sig. Pietro Francesco Biondi ha promesso e si è obbligato di lasciar godere e possedere al sig. Luogotenente Giuseppe Roncalli le due stanze di detta casa che sono poste sopra le camere contigue al Portone (di Petriccio), sua vita durante…”.(5)
Nell’estimo del 1716, con arroti fino al 1805 e conservato
nell’Archivio della Biblioteca Guarnacci di Volterra, la suddetta proprietà è
così indicata: “… Una casa in Petriccio a 1 ° Via, 2° Tenente Giuseppe
Roncalli, 3° Casa ed orto della Chiesa, 4° Pasquino Borghetti, 5° Via …
stimata scudi 150…”.(6)
In calce è riportata la seguente annotazione: “…a di. 22
giugno 1729; viene detta casa dalla posta di Michele di Cerbone Vadorini, in
questo a carta 346, per compra fattane dal sig. Biondi Pietro Francesco per
medesimo prezzo di scudi 100; per rogito di Giovan Pietro Biondi (notaio) del
di 13 giugno 1728; visto e reso accomodato dal sig. Cancelliere Torquato
Mannaioni…”.
Planimetria catastale del 1823. (Catasto Leopoldino). Palazzo “Biondi” indicato alla particella catastale n° 316
La casa aveva un nuovo confinante,
Pasquino Borghetti, che altro non era che il marito di Maria Cammilla
Cercignani figlia del “quondam” Bartolomeo. Questi infatti possedeva una casa
con più stanze con cantina e telaio sotto, in Petriccio confinata a 1° Via, 2°
dott. Cristofano Roncalli, 3° orto della Chiesa, 4° mura castellane, 5° e 6° Simone Cercignani
del valore di 50 scudi…”.(7)
Dal 22 giugno 1729 i Biondi furono gli unici proprietari
di questo immobile. La suddetta famiglia, che è annotata nell’estimo del
Comune di Pomarance fin dal XVII secolo, risultava proprietaria di diversi
beni nella corte di Ripomarance. Secondo lo storico Don Socrate Isolani pare
che essa provenisse dal “Castello della Pietra” nei pressi di San Gimignano
e che alcuni suoi membri si fossero stabiliti
attorno al XVI secolo nel piccolo castello di San Dalmazio. Giovanni di Giovan
Pietro Biondi (1604-1697), annotato nell’estimo del Comune di Pomarance
risulta proveniente infatti da San Dalmazio.(8)
Questi aveva comprato, in data 6 ottobre 1675, a Pomarance
tutti i beni appartenuti ad Agnolo Sorbi ed a suo fratello Bastiano tra cui
una casa posta in Petriccio confinante con lo “Spedale” di San Giovanni. Le
proprietà risultano successivamente essere poste a carico di suo figlio
Giovanni Antonio (1670-1730).
Il di lui figlio, Pietro Francesco Biondi (1671-1730) fu
l’autore dell’acquisto dell’antico palazzo appartenuto ai Roncalli che, come
già descritto, fu comprato all’asta dai Vadorini e poi successivamente
rivenduto al Biondi nel 1728 (1729).
Il dottor Pietro Francesco Biondi sposandosi con … dette la nascita a tre figli: Pompeo, Francesco (Michelangelo) e Giuseppe (Maria). Rimasti orfani in tenera età, per la precoce morte del padre, ereditarono tutti i beni del nonno Giovan Antonio per atto di testamento datato 22 agosto 1734; alla presenza del sig. Tenente Pier Giuseppe Biondi, uno dei tutori e provveditori. Tra i vari possedimenti risulta anche la casa confinante con la Chiesa, oggetto della nostra indagine. In data 13 agosto 1743 venne cancellato dalla “posta” dei beni dei fratelli Biondi il sig. Pompeo “… stante la divisione e cessione fatta a detti fratelli, come appare per contratto rogato dal Notaio Antonio Nicola Tabarrini…”.(9)
I due fratelli, Francesco e Giuseppe, rimasti
unici proprietari della casa posta lungo la via di Petriccio accanto alla porta
“alla Pieve”, nel 1760 ricomprarono una piccola stanza “posta nello stasso
palazzo di loro dimora”, che era stata venduta molti anni prima a certo Giovan
Maria Funaioli per scudi 10.
La riacquisizione della suddetta stanza ad opera di Giuseppe e Francesco Biondi è confermata oltre che nell’estimo del XVIII secolo, anche da un contratto conservato nell’archivio privato della famiglia Biondi Bartolini.(IO) Dal rogito si apprende quanto segue: “…adì 30 maggio 1760 … Qualmente dal già Sig. Pietro Francesco Biondi delle Pomarance fu venduta una stanza a terreno a Francesco e Andrea, fratelli e figli del già Giovan Maria Funaioli di detto luogo … qual stanza è contigua alla casa di proprietà di abitazione di detto signor venditore; luogo detto Petriccio, confinante a 1° Via, 2° Signori Biondi, 3° Portone detto di Petriccio … come per contratto rogato dal Dott. Bernardino Cercignani … ed avendo adesso convenuto e stabilito che il detto padrone di detta stanza, rilasci e conceda la suddetta stanza alli Signori Francesco e Giuseppe Biondi del prefato Sig. Pietro Francesco Biondi…”.
In un documento successivo del 1779,
tratto daH’Archivio Storico di Pomarance, la suddetta casa viene citata come
appartenente allo stesso Giuseppe Biondi, gonfaloniere in quegli anni nel
Comune delle Pomarance. In una descrizione di “Strade e Fabbriche della
Comunità di Pomarance” dello stesso anno infatti, si annotava che dalla via di
Petriccio si staccava una piccola via denominata “Dietro il canto”, la quale
iniziava: “dalla cantonata del Sig. Giuseppe Biondi a mano dritta, et a
sinistra dalla casa del Sig. Cancelliere Incontri, con direzione levante…”.(11)
Nello stesso anno i due fratelli Biondi facevano istanza al Comune delle Pomarance per poter sbassare una torre delle vecchie mura castellane che impediva luce necessaria alla loro abitazione: “… di poi letta un’istanza dei Sig.ri Dottori Giuseppe e fratello (Francesco) Biondi colla quale domandano di poter sbassare alcune parti di braccia della torre esistente lungo le mura castellane, luogo detto il Tavone, per acquistare l’aria della casa di loro abitazione… Deliberarono perciò di quanto spetta, ed è facoltà del Magistrato loro, accordarsi il mandato stesso… ‘>(12)
Una sala del piano nobiliare con decorazioni e pitture murali
È ipotizzabile che la suddetta torre posta in località
Tavone, altro non fosse che la torre circolare (attualmente conosciuta come
“dei Biondi Bartolini”) ubicata nel giardino degli stessi Biondi Bartolini dietro
Via dei Fossi.
Un’altra notizia storica del palazzo risale al 1783, quando
il sig. Giuseppe Biondi faceva domanda al comune delle Pomarance che: “… gli
fosse accordata licenza di fare tre paloni per l’ingresso ad una bottega da
esso fatta ai pié della casa di sua abitazione, quale rimane troppo alta dal
piano della strada…”.(13)
Attorno al 1785 il fratello Francesco Biondi lasciava la
casa paterna per formarne una propria. Il 15 settembre infatti faceva domanda
alle Magistrature del Comune di Pomarance “… di assere ammesso al
godimento dei Priori della Comunità così come ha goduto e gode la sua casa
paterna del Gonfalonierato, e Operaio per formare distinta famiglia dagli altri
suoi fratelli (Giuseppe e Pompeo)”.(14) Francesco Biondi si stabilì con la
propria famiglia nel palazzo posto sulla via di “Borgo” (oggi Roncalli) nel
palazzo attualmente conosciuto come “dei Ricci”. Nella divisione patrimoniale
dei tre fratelli anche il “prete” Pompeo fu liquidato con una retta annuale sul
capitale di famiglia; rimase unico possessore dell’immobile il Dottor Giuseppe
che morì nell’anno 1799. Con voltura n° 11 e n° 30 dello stesso anno ed una
voltura (n° 9) del 1803 la proprietà della casa posta “in Petriccio” e
confinante con la casa ed orto della chiesa, fu ereditata dai suoi tre figli;
Dottor Giovan Battista (1756-1826), Tommaso ed Isidoro.(15)
La tutela del patrimonio fu affidata al fratello maggiore
Giovan Battista Biondi che fu anche il promotore della ristrutturazione del
palazzo “Biondi”, così come ci è pervenuto oggi.
La notizia è del 24 maggio 1800; trattasi di una istanza presentata al Comune delle Pomarance dal Dottor Capitano Giovan Battista Biondi ”… colla quale domanda accordarseli la facoltà di poter porre l’antenne (paloni per impalcature) o quanto altro occorra nella necessità in cui si trova di dover rifondare le muraglie di sua abitazione posta in Petriccio e domanda di poter occupare lungo le muraglie di essa casa un terzo di suolo di strada e piazzetta di Petriccio col pagare alla comunità l’occorrente…”.(16)
La conferma di questa ristrutturazione
agli albori dell’ottocento è data anche da un documento conservato
nell’archivio Biondi Bartolini che tratta di una ricevuta di pagamento ad una
“maestranza” originaria di Firenze e lavorante in Pomarance: “… Adì 9
settembre 1802… lo Pasquale Bitossi ho ricevuto dal Sig. Capitano Giovan
Battista Biondi la somma di lire 80 tanti sono per opere fatte in sua casa, e
mi chiamo contento e soddisfatto in tutto per lire ottanta…”.
La riedificazione comportò anche l’ampliamento dell’edificio al di là delle vecchie mura castellane, sul versante dell’orto della chiesa di Pomarance. “Suolo canonicale” concesso a livello enfiteutico alla famiglia Biondi, dal parroco Saverio Pandolfini che consentì l’allineamento dell’edificio stesso verso la proprietà dell’orto della famiglia Biondi. Questa notizia è certificata da un atto di divisione patrimoniale del 1804 tra i fratelli Biondi e conservato nell’archivio di famiglia: “… essendo che fino dall’anno 1804 l’illustrissimo Vicario, Dottor Tommaso Biondi del già sig. Giuseppe (Antonio) Biondi di Pomarance, entrasse in determinazione di provvedere alla divisione del patrimonio sostante e i beni che riteneva in comune gli III.mi signori, Capitano Giovan Battista e Isidoro di detto già Sig. Giuseppe Antonio Biondi di detto luogo, di lui fratelli, ad essi pervenuti in eredità paterna e materna, quanto per eredità del defunto Sig. Dottor Francesco Biondi comune zio…”.
Nella descrizione dei beni in divisione è annotata anche: “… la casa di abitazione di loro stessi dividendi, posta in detta terra di Pomarance nella contrada di Petriccio, assieme colla nuova aggiunta eretta sul suolo ortale della chiesa di detto luogo con tutte le sue adiacenze e pertinenze…”.(17)
Anche se non sono stati ritrovati documenti concernenti il contratto di livello enfiteutico per l’occupazione del suolo ortale della chiesa, la stessa concessione enfiteutica è testimoniata in una relazione della metà del XIX secolo sulle proprietà dei Biondi Bartolini nel quale l’edificio è descritto: ”… composto di tre piani da terra a tetto il tutto per la più gran parte di libera proprietà, ma per piccola parte “livello” della Propositura di Pomarance
In quegli anni vennero dipinte e decorate le stanze ed i
soffitti del “piano nobiliare” in cui furono raffigurati, in stile Imperiale,
vedute paesaggistiche di notevoli dimensioni tra le quali è di notevole interesse
un paesaggio del castello di Pomarance (fine XVIII secolo) visto dalla zona di
Piuvico o Cappella di San Carlino.(18) Giovan Battista ed Isidoro, rimasti
unici proprietari del patrimonio di famiglia, in data 30 novembre 1813
addivennero ad una nuova divisione dei loro beni tra cui figuravano alcuni
possedimenti ereditati dallo zio paterno, Francesco Biondi.
Nell’atto notarile conservato tra i documenti di famiglia Biondi Bartolini è indicata anche “… la metà della casa di abitazione degli antedetti condividendi posta nella terra di Pomarance, contrada di Petriccio, confinata a 10 strada pubblica, 2° Bartolomeo Fedeli, 3° casa canonicale, 4° orto annesso a detta casa canonicale, 5° stanze dell’Opera, 6° Annibaie Vadorini con orto e casa e torna a detta via, dentro qual confini restano compresi il terrazzo ed orto uniti a detta casa dei condividendi che vien formata dalle fabbriche urbane descritte in faccia dei medesimi condividendi a carta 198 e 296 di detto estimo di Pomarance, stimata scudi 1000; qui per metà scudi 500…”.
Successivamente la casa
pervenne al Capitano Giovan Battista Biondi che morì nel 1826. Questi lasciò
eredi dei propri possedimenti i suoi tre figli: Giuseppe, Pietro e Jacopo che
risultano proprietari, al Catasto Generale della Toscana (1830), deH’immobile
posto in Petriccio e descritto alla particella catastale n° 316 e 315 (cioè
abitazione e orto).
In una successiva divisione patrimoniale
tra gli stessi fratelli Biondi, figli di Giovan Battista, le proprietà
pervennero (30 aprile 1837) al fratello maggiore Giuseppe; gli altri, Jacopo e
Pietro furono liquidati con una cospicua somma di danaro (8000 scudi ciascuno)
ed una rendita annuale sui fruttati di interesse sul capitale di famiglia.
Jacopo si trasferì a Montalcino dedicandosi alla sua tenuta vinicola e producendo
il famoso “Brunello di Montalcino”.
L’avvocato Pietro sposando Domira Vadolini dette luogo al ramo dei Biondi da cui discendono il dottor P.G. Biondi ed i suoi figli, Notaio Giovan Battista e Andrea Biondi della Sdriscia.
Il dottor Giuseppe Biondi sposando nel
1830 Donna Violante Bartolini, del Gonfaloniere Bartolino Bartolini e
Guglielma Tabarrini, con decreto del 26 febbraio 1830, aggiunse al proprio
cognome quello della moglie dal quale è derivata l’attuale famiglia “Biondi
Bartolini”, proprietari ancora oggi dell’ornonimo palazzo
situato in Piazza de Larderei.
Alla morte del dottor Giuseppe Biondi Bartolini, avvenuta nel 1863, gli succedettero nella tenuta del patrimonio immobiliare i suoi figli Bartolino e Giovanni.
Particolare del Castello di Pomarance agli inizi del XIX see. dipinto sulla parete della sala al piano nobiliare.
In quell’anno infatti, e precisamente il 22 maggio, fu stilata una relazione dettagliata del “patrimonio” Biondi Bartolini, dell’Ing. Lorenzo Chiostri che è ben conservata nell’archivio di famiglia. Nel manoscritto di stima dei beni Biondi Bartolini è descritto con minuzia il “palazzo nobiliare” dai fondi al tetto, il valore degli arredi che adornavano le varie stanze: “… Patrimonio lasciato dal Nobil Uomo dott. Giuseppe Biondi Bartolini al 22 maggio 1863… Un palazzo con orto annesso situato in comunità di Pomarance eprecisamente nel paese di tal nome in corrispondenza della nuova Piazza de Larderei, e della via maestra che ne fa, seguito procedendo verso il centro del paese, composto di tre piani da terra a tetto, il tutto per la più gran parte di libera proprietà, ma per piccola parte livello della propositura di Pomarance; di superficie tutto compreso orto e palazzo, braccia 1457 equivalente a mq. 496 e così confinato: a 1 ° Piazza de Lardarel, 2° Via, un tempo detta di Petriccio, 3° Via Mascagni, 4°, 5°, 6°, 7°, 8°, Propositura di Pomarance con fabbricato ed orto, 9°, 10°, 11°, 12°, 13°, Sig. Vadorini Giuseppe con orto e casa. Annesso a detto palazzo sta una terrazza a livello del terzo piano, costruita sopra un’antica porta del paese, il cui arco da un lato appoggia al palazzo Biondi Bartolini e dall’altro alla casa dei fratelli Bongi… Il piano terreno del suddetto palazzo è composto, come appresso: una piccola bottega con unico ingresso dall’esterno, un corridoio corrispondente alla porta principale di ingresso… Il descritto palazzo offre stabilità nelle sue mura, comodità nelle sue stanze ed eleganza specialmente in quelle del primo piano… Fra queste meritano speciale considerazione la sala ed il salotto da ricevere per le belle pittura che adornano le pareti; ma il pavimento a smalto lustrato e figurato a disegno con pietra di vari colori che presenta la sala, accrescono alla sala stessa un pregio, che la parifica alle sale dei palazzi signorili delle città… Le finestre del piano terreno sono guarnite di inferriate esternamente e di serramento a due imposte di cristalli e scurini internamente. Quelle del piano superiore sono provvedute d’imposte a cristalli e scurini e di persiane; quelle del primo piano a tetto hanno semplicemente le imposte a cristalli e scurini… Al piantario del nuovo estimo della Comunità di Pomarance il suddetto palazzo con orto è figurato dalle particelle n° 315 e 316 della sezione C accese a conto di Biondi Bartolini Bartolino e Giovanni del dottor Giuseppe…”.
Stato attuale del Palazzo Biondi Bartolini indicato alla particella n° 417
Nella relazione dettagliata è annotato
che manca il documento del livello corrisposto alla Canonica per l’occupazione
del suolo destinato alTampliamento dell’edificio avvenuto agli inizi
dell’ottocento e che comportava una spesa annua di lire 45,20.
Nel periodo tra il 1863 ed il 1868
Bartolino e Giovanni ampliarono i possedimenti immobiliari nelle immediate
adiacenze della loro abitazione. Infatti in una relazione sul “patrimonio attivo
e passivo” dei fratelli Bartolini e Giovanni del 22 maggio 1863, confrontato
con quello del 10 novembre 1868 risulta, nella voce “acquisti di immobili” un
pagamento a Giuseppe Vadorini per “vitalizio di lui casa”, di lire 552. Egli
infatti cedette i propri possedimenti (particelle 315 e 314 del Catasto
Leopoldino) in cambio di una rendita vitalizia. Nell’acquisto come si può osservare
dalla planimetria catastale (1823-1898) era compresa anche la torre cilindrica
o “baluardo” detta del “Tavo- ne” ed un appezzamento di terreno lungo la via
“dei Fossi”.(19)
Dopo la
morte del cavalier Bartolino
Biondi Bartolini avvenuta il 28 giugno 1900 le proprietà rurali nonché la casa
paterna pervennero, con testamento registrato a Volterra il 20 dicembre 1900,
al fratello Giovanni Biondi Bartolini (1838-1904). Da questi, per discendenza
diretta fu ereditata dal di lui figlio Giulio (1877-1918) dal quale sono
pervenute all’attuale Giovanni Biondi Bartolini.
Jader Spinelli
NOTE:
Archivio di Stato di Pisa; Planimetria catastale della Toscana (Catasto Leopoldino); Ufficio fiumi e fossi: Comunità di Pomarance Sez. C n° 2; Scala 1: 1250; 6 maggio 1823.
Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 430 (estimo 1630) c. 115 r.
Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 430 (estimo 1630) c. 289 v.
Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 432 (estimo 1716) c. 2 r.
Dott. Giovan Battista
Biondi: “La famiglia Roncalli a Pomarance” in La Comunità di Pomarance 1969.
Biblioteca Guarnacci
Volterra, estimo 1716 c. 198 r.
Biblioteca Guarnacci
Volterra, estimo 1716 c. 206 r.
Archivio Storico
Comunale Pomarance F. 378.
Biblioteca Guarnacci
Volterra; estimo 1716 c. 195 r., v.
Archivio Biondi
Bartolini (non catalogato)
Archivio Storico
Comunale di Pomarance F. 378. Il vicolo “Dietro il Canto”, come è possibile
osservare dalla piantina catastale del 1823, lambiva il palazzo Biondi (attuale
Biondi Bartolini) indicato alla particella catastale 316 e il palazzo del Can.re Incontri (part. 448);
poi del Panicacci, che era quel grande edificio posto nel centro dell’attuale
Piazza de Lardarel. Edificio distrutto a carico e spese del Conte de Larderei
nel 1860 al quale fu dedicata l’omonima piazza.
Archivio Storico
Comunale di Pomarance F. 126 c. 123 v.
Archivio Storico
Comunale di Pomarance F.127 c. 30 v.
Archivio Storico
Comunale di Pomarance F.127 c. 97 r.
Biblioteca Guarnacci
Volterra, estimo 1716 c. 195 r.
Archivio Storico
Comunale di Pomarance F. 130 c. 13 (1800).
Archivio Biondi
Bartolini. Da alcune notizie orali del Sovrintendente ai monumenti P.G.
Biondi, riportatimi dallo storico Don Mario Bocci, pare che durante i lavori
di ristrutturazione dell’edificio, fossero state rinvenute diverse tombe
etrusche anche del periodo arcaico. Ne è testimonianza nelle vicinanze una
tomba a quattro celle sotto la Canonica databile attorno al IV secolo A.C.
Gli affreschi che si
trovano dipinti sui soffitti delle stanze nobiliari e soprattutto le grandi
pitture murali delle sale da ricevimento sono molto simili, per tecnica e
soggetto, a quelle dell’ex Palazzo Ricci, già dei Biondi nel 1800. La parentela
che esisteva tra i proprietari dei due palazzi favorì certamente una commissione
agli stessi decoratori e pittori per gli abbellimenti interni. Il Palazzo ex Ricci,
attualmente di proprietà comunale, fu di proprietà di Francesco Biondi,
fratello di Giuseppe che vi andò ad abitare dopo il 1785 quando formò un
proprio nucleo familiare. Attorno al 1826 questo immobile era assegnato ai
fratelli Giovan Carlo e Luigi Biondi del fu Francesco Biondi. In una delle sale
affrescate di questo palazzo, utilizzata impropriamente come ambulatorio
U.S.L., è impressa una data molto importante per datare l’esecuzione di questi
affreschi e quelli conservati in palazzo Biondi Bartolini. Questa è scritta in
numeri romani sopra un caminetto incassato nel muro e riporta l’anno 1810.
Con la costruzione
della nuova Piazza de Larderei nel 1860, l’immobile dei Biondi Bartolini
accatastato con la particella 316 aveva l’entrata principale indicata al numero
civico 44; secondo il “Registro dei possessori di fabbricati” del 1878 e del
1889 il suo valore era di lire 168, 75.
L’ESTIMO DELLA SUA FAMIGLIA, POSTE E PASSAGGI DI PROPRIETÀ
Tra le più famose personalità che si sono distinte nel campo artistico a Pomarance, certamente trova collocazione un pittore vissuto nella seconda metà del cinquecento: Niccolò Cercignani. Meglio conosciuto con lo pseudonimo “Pomarancio il Vecchio”, per distinguerlo dall’altro “Pomarancio”, Cristofano Roncalli che la tradizione vuole come suo allievo, ebbe i suoi natali nell’antico castello di “Ripomarance tra il 1530 – 1535. La sua famiglia originaria di Cercignano (Colle vai d’Elsa) si era stabilita in loco dai primi del XVI secolo e risultava possedere diversi beni nella corte di Ripomarance”. Formatosi artisticamente in ambito fiorentino e collocato in quella corrente pittorica denominata “Manierismo” svolse la sua attività artistica prevalentemente nel Lazio e nell’Umbria; in Toscana lavorò solo negli ultimi anni della sua vita nella città di Volterra anche se a Pomarance gli è attribuita una Pala d’Altare conservata nella Chiesa Parrocchiale ed un pregevole volumetto di Disegni che è stato oggetto di una Mostra nel dicembre 1988.
Ben poco sappiamo sulla vita di questo autore antecedentemente alla sua partenza da Pomarance. Fonti storiche affermano che verso il 1564 il Cercignani lasciò Ripomarance per recarsi in Umbria dove si sposò con Teodora Caterucci di Città della Pieve dalla quale ebbe possessi ed alcuni figli tra i quali Antonio che fu abile pittore come il padre. Prendendovi stabile dimora il 31 luglio dello stesso anno, nominò procuratore, per alcuni possedimenti in Pomarance, il notaio Alberto Lupivecchi. Infatti nonostante il suo trasferimento in Umbria, il Cercignani risultava possedere ancora alcuni beni, già citati da Don Mario Bocci (1), che furono venduti poco prima della sua morte a certo Giusto Cheli di Pomarance. Da uno studio accurato sul documento d’estimo con lo stesso Don Mario Bocci, decifrando l’intricata grafia del Cancelliere del tempo nelle varie annotazioni dei cambiamenti di proprietà, sono scaturiti nuovi elementi che contribuiscono, se non altro, a fare un po’ di luce sul passato di questo nostro artista.
Ben poco sappiamo sulla vita di questo
autore antecedentemente alla sua partenza da Pomarance. Fonti storiche affermano
che verso il 1564 il Cercignani lasciò Ripomarance per recarsi in Umbria dove
si sposò con Teodora Caterucci di Città della Pieve dalla quale ebbe possessi
ed alcuni figli tra i quali Antonio che fu abile pittore come il padre.
Prendendovi stabile dimora il 31 luglio dello stesso anno, nominò procuratore,
per alcuni possedimenti in Pomarance, il notaio Alberto Lupivecchi. Infatti
nonostante il suo trasferimento in Umbria, il Cercignani risultava possedere
ancora alcuni beni, già citati da Don Mario Bocci (1), che furono venduti poco
prima della sua morte a certo Giusto Cheli di Pomarance. Da uno studio
accurato sul documento d’estimo con lo stesso Don Mario Bocci, decifrando l’intricata
grafia del Cancelliere del tempo nelle varie annotazioni dei cambiamenti di
proprietà, sono scaturiti nuovi elementi che contribuiscono, se non altro, a
fare un po’ di luce sul passato di questo nostro artista.
Nell’Estimo del 1571 (2) è annotato Niccolò
di Antonio Cercignani “dipintor” con gli infrascritti beni:
“Un luogo o vero Podere con casa per
il lavoratore con terre lavorative arborate vignate et sode luogo detto il
Docciarello a 1° via; 2° Martino di Giovanni di Martino, 3° Batista di
Giovanni Antonio Pellegrini, 4° Comune di Ripomaranci et altri confini…
tiene a linea dalla Cappella di Sancto Antonio nella Chiesa di San Michele di
Volterra… ne paga lire stimato L. 1300. A di Novembre (15)96 levato e posto
a Simone di Bartolo a carta 275 per
averlo compro per me Bastiano Ghetti Cancelliere… etc… paga lire…
Una vigna d’opere cinque incirca in detta corte luogo
detto Cardeta a 1 ° via, 2° Bernardino di Piero Cheli, 3° Meo di Pietro
d’Agnolo, 4° Domenico di Marsilio Fantacci stimato L. 100
Tutte queste poste erano sotto la posta del detto Niccolò in questo a 221 e furono levate e poste a Batista Corbolini in questo a 54 per permuta feceno fra di loro et hora si ritornano al detto Niccolò per haverli riavuti per me Bastiano Ghetti Cancelliere…
A di 20 di Gennaio 1596 levata questa posta e messa a
Paulo di Giusto Cheli in questo a 135 per haverla compra rogato Ser Andrea
Sorbi per me Bastiano Ghetti Cancelliere…
Mentre la proprietà della vigna di Cardeta risulta
pervenutagli in eredità dal padre Antonio, assieme ad una casa posta
all’interno di Pomarance, il podere del Docciarello (3) fu acquistato posteriormente
alla sua partenza da Ripomarance, quando cioè si trovava già a Città della
Pieve. Infatti da un Estimo del 1544 il padre di Niccolò Cercignani, chiamato
Antonio e suo fratello Pagolo, figli di Niccolaio di Pagolo (Cercignani)
possedevano, oltre a diversi appezzamenti di terreno, anche una casa posta in
“Piano” confinante con il Cimitero e la Compagnia deila Vergine Maria, ed una
vigna posta in Cardeta, che furono nella divisione dei due fratelli assegnati
ad Antonio. (4) La parte dei beni spettanti a Pagolo fu venduta il 29 maggio
1559 a Giovanni di Damo. (Data che potrebbe indicare la partenza della
famiglia da Pomarance e quindi dello stesso Niccolaio per l’Umbria). Questi
due possedimenti, cioè la casa in Piano e la vigna di Cardeta (5) sono annotati
anche nell’estimo del 1571 alla carta 221 r. in cui è indicato:
Niccolaio di Antonio di Niccolaio Cercignani con i
seguenti beni: una casa in detto Castello alla Pieve a 1 ° via, 2° Gio Piero
e Bernardino di Paulo Chaini, 3° Beni della Compagnia di Sancto Giovanni, 4°
Beni della Compagnia della Vergine Maria Stimato L. 150
Una vigna di opere cinque
incirca in detta corte luogo detto Cardeta confinata a
1° via, 2° Bernardino di Piero Cheli,
3° Meo di Piero d’Agnolo, 4° Domenico di Marsilio Fantacci Stimato L. 100
In fondo alla stessa carta è trascritto anche l’acquisto, da parte del Cercignani, del podere “il Docciarello” il quale risulta essere stato comprato da maestro Ulivieri di maestro Giuliano Contugi il 29 aprile 1586. (6)
Podere “Il Docciarello” (1964).
Il 3 luglio 1588 tutte queste proprietà passarono nuovamente, per permuta con lo stesso Niccolò Cercignani, a Batista di Michelagnolo Corbolini il quale cedette la casa, dove forse nacque il pittore, alla Compagnia della Misericordia. (7) Questa casa, nell’estimo di Batista Corbolini è segnalata con le medesime confinazioni di cui sopra, ma è indicata specificatamente posta “…in detto castello in Piano alla Pieve…”.
ROMA. S. STEFANO ROTONDO Deambulatorio. (Autoritratto di Nicolò?)
Nel 1590 il pittore Niccolò Cercignani
tornò nella sua terra d’origine per circa un triennio dove dipinse a Volterra
alcune pale d’Altare, affreschi e dipinti per le più eminenti famiglie del
luogo.
Nel marzo di quell’anno infatti le prorpietà di Docciarello e Cardeta furono nuovamente permutate dal Corbolini allo stesso pittore e la sua presenza in Ripomarance è confermata anche qualche tempo dopo, quando il ‘‘Maestro Niccolò di Antonio Cercignani”, fa da padrino a Michelangelo di Pietropaolo Santucci (8 luglio 1580).
Dopo il
ritorno definitivo a Città della Pieve, nel 1594, dove ricevette la cittadinanza
onoraria, i beni di Pomarance furono venduti a Giusto Cheli nel gennaio 1596 e
successivamente acquistati da Simone di
Bartolo di Acquaviva. La vendita definitiva delle suddette proprietà coincise
da lì a poco, con la morte del grande “Maestro” che avvenne nell’ottobre dello
stesso anno.
Jader Spinelli
NOTE:
Don Mario Bocci – NOTIZIARIO PARROCCHIALE – 1987
Archivio Storico di Pomarance F. 428 C. 226 r.
Il nome stesso Docciarello sta ad indicare una sorgente di acqua potabile di limitata portata usata per uso domestico fin dai tempi antichi e che si trovava nei pressi deH’omonimo podere II Docciarello. Questo casolare era ubicato sulla via detta dei Fontini nei pressi dell’attuale Ambulatorio Comunale sul luogo dove è stata edificata l’abitazione del sig. Giovanni Rasoini. Nei pressi, un tempo vi era scavata nella roccia tufacea, una Ghiacciaia che serviva per mantenere durante l’anno il ghiaccio al- l’Ospedale di Pomarance.
Archivio Storico di Pomarance F. 427 c. 190 r.
Cardeta è un appezzamento di terreno nei pressi dei poderi Lucoli e Arbiaia.
Archivio Storico di Pomarance F. 428 c. 301 r.
Archivio Storico di Pomarance F. 428 c. 55 r. L’abitazione del Cercignani doveva essere ubicata vicino all’attuale Battistero in prossimità dell’ex palazzo Burroni dove nacque tra l’altro anche la madre del grande anatomico pomarancino Paolo Mascagni.
La mostra del “Cercignani”, che si è svolta nel dicembre u.s., ha destato curiosità, stupore e ammirazione, nei visitatori forestieri più che pomarancini. Molti gli intenditori, i quali si sono soffermati a lungo apprezzando le opere del Cercignani, sia quelle architettoniche che quelle decorative valutando sia quelle in seppia che le altre in colore. Elogiando l’ambiente adatto ed il curato allestimento, iniziando dagli eleganti inviti distribuiti, agli addobbi di tipo robbiano, adattissimi all’occasione, al catalogo illustrato con le dovute presentazioni. Un insieme che era ben intonato sia all’oggetto presentato sia all’epoca risalente al palazzo che la ospitava con il suo elegante stile dei tempi del Vicariato.
Studio di Costume Teatrale
Chi poi ha potuto assistere all’apertura preparata presso l’Hotel “IL POMARANCIO” arricchito dalla presenza delle comparse in costume delle rappresentanze rionali, e con la elaborata presentazione officiata dal Prof. Belardinelli, studioso del nostro concittadino, avendo in mano molte riproduzioni fotografiche del pittore ed altrettante notizie sui luoghi dove il Cercignani ha lavorato lasciando le sue tracce di buon pennello. Comunque l’iniziativa, che questa Associazione Turistica “PRO POMARANCE” ha proposto, ha raggiunto lo scopo prefisso mettendo in movimento gli esperti del ramo per l’attribuzione dei particolari di studio di questo pittore del 500, un po’ accantonato, e non molto conosciuto. I risultati si vedranno nel tempo, l’essenziale è che questa schiera di conoscitori tragga da questa mostra un tipo di lavoro che rivalorizzi il Pomarancio. Quest’anno era, potremmo dire, l’anno del Pomarancio, sia per il Cercignani, sia per il suo allievo, il Roncalli. Per il Roncalli la sua presentazione iniziò con l’apertura del complesso alberghiero a Lui intitolato inserito nella via omonima. Poi il PALIO STORICO DELLE CONTRADE, che nel settembre u.s. aveva per tema argomenti di storia locale e che inevitabilmente venne proposto addirittura da due rioni e così ben presentati da far vincere al Rione GELSO il premio in palio trattando “IL NOSTRO POMARANCIO” articolato su dei quadri viventi dove i figuri si posizionavano su dei disegni incompleti sino a formarne l’immagine completa.
La visita dei rappresentanti della Soprintendenza ha
esposto i suoi progetti riguardo ad una riproposta di queste riproduzioni
fotografiche con la possibilità di affiancarvi anche gli originali, e per dar
ancora più risalto e valore alla cosa l’inserimento nello stesso ambiente di
due dipinti, sempre del Cercignani, che si trovano momentaneamente presso la
Pinacoteca Comunale di Volterra per i restauri di cui abbisognavano.
La curiosità di questi particolari che si trovavano da
svariati anni presso l’Archivio Storico Comunale, riposti sin dal lontano 1925,
anno in cui il sindaco di allora Sig. Onorato Biondi aveva acquistato ad
un’asta di Milano è stata finalmente messa sul piatto d’argento e posta
all’attenzione degli studiosi.
Restiamo in attesa di eventuali sviluppi riguardo alla promessa della Soprintendenza ed all’ulteriore apporto della Amministrazione Comunale che si espresse di unanime accordo per questa iniziativa e disposta affinchè tutto potesse rendere onore ad un cittadino illustre. Noi dell’Associazione “PRO POMARANCE’’ saremmo ben lieti e disposti ad adoperarsi in ogni modo perchè questa riproposta venga ancora ampliata e maggiormente divulgata in modo che possa essere iniziato uno studio didattico rimasto incompleto.
Studio di Calzare
Augurandoci che presto si possa rivedere aperta questa
ricca presentazione e che si renda possibile trasformarla in mostra permanente
con apertura programmata.
Il Consiglio tutto, dopo quanto sopra, si dichiara soddisfatto per la riuscita di questa iniziativa che è stata per l’Associazione Turistica un vero successo. Perchè questa mostra riuscisse nel suo intento era necessario l’apporto esterno, e grazie all’Amministrazione Comunale che si è prodigata mettendoci a disposizione un ambiente creato ad hoc ed offrendoci ospitalità per tutto il mese dell’apertura. Un sentito ringraziamento quindi al Sindaco ed al suo seguito che si sono dimostrati sensibili a tale iniziativa.
Un ringraziamento tutto
particolare dobbiamo farlo al Prof. Belardinelli che si è dimostrato
disponibile sin dal primo momento per aiutarci in questa impresa di ricerca
esterna riguardo al nostro Cercignani, dimostrandoci ancor di più quanto
questo cittadino fosse stimato negli ambienti dove operò. Oltre ai
ringraziamenti, a questo egregio signore, dobbiamo fargli le più sentite
congratulazioni per questa eccellente esposizione.
Sabato 5 giugno 1993 nei locali dell’Oratorio di Pomarance, alla presenza delle massime autorità locali è avvenuta l’intitolazione della scuola media di Pomarance che è stata intitolata “ Scuola Media Paolo Mascagni”.
La scuola,
che ha subito varie ristrutturazione ed ampliamenti durante questi anni, conserva
ancora il nucleo originario costruito nei primi anni del ‘900 ed utilizzato
anticamente come scuola elementare maschile e femminile.La scuola era
originariamente dedicata al grande statista pomarancino Marco Tabarrini effigiato
in una scultura bronzea, in alto sulla facciata della scuola, opera di Luigi
Bonucci detto il Falugi. (Oggi nell’ufficio del Sindaco) Negli anni sessanta
la scuola elementare fu trasferita nei pressi della villa dei Collazzi e la
scuola, utilizzata prima quale sede dell’ Istituto Tecnico Industriale ed in
seguito come Scuola Media, era praticamente senza denominazione. Dedicata al
grande anatomico Paolo Mascagni, che fu uno dei primi a scoprire l’acido
borico nei Soffioni di Montecerboli, i suoi studi furono messi in pratica da
Francesco de Larderei, fondatore dell’industria Boracifera di Larderello, ed
al quale è stata di recente intitolata la Scuola media di Larderello.
ragazzi della Scuola
media di Pomarance hanno allestito nell’occasione uno spettacolo teatrale
dedicato a Paolo Mascagni e realizzato alcune ricerche storiche che hanno ispirato
una deliziosa filatrocca ed il soggetto per una storia a fumetti dedicata al
grande anatomista.
Dedicato a Mascagni
Da Aurelio
ed Elisabetta in un lontano dì nacque Mascagni, forse…in un freddo giovedì.
Era Gennaio e la neve fioccava, fioccava; ma su Pomarance una stella brillava.
1735 iniziava il suo
cammino e Paolo Mascagni correva incontro al suo destino.
Papà Aurelio non viveva in grande agiatezza per cui mandò
Paolo dall’Abate Casamarte… con fierezza.
L’Abate era probabilmente
un pò noioso e mancava di fantasia ma a Paolo interessavano la Scienza e
l’Anatomia.
Dolce era Pomarance sì, ma paese piccolo e sperduto così
Siena dette a Paolo, adolescente, il benvenuto.
Siena era
grande e c’era pure l’università e li Paolo superò gli esami con estrema
facilità. A soli venti anni in Medicina sì laureò, ma il suo mestiere mai
esercitò.
Sapete a …Paolo non interessavano le belle ragazze.
A 22 anni infatti è dissertore e seziona cadaveri a tutte
le ore!!!
Che progressi da quel lontano dì quando lo studio sui
testi classici quasi finì!
Era il 1400
quando l’Anatomia iniziava il suo lungo cammino che fu poi brillante illuminato
dallo scenziato pomarancino.
Ma a Paolo
ritorniam, che dal Granduca Leopoldo fu chiamato e professore di Scienze e di
Anatomia fu nominato!
Il vecchio maestro Tabarrini
se ne andò e Paolo, il giovane, il nuovo posto occupò.
E il prof.
Mascagni iniziò subito i suoi studi sui vasi linfatici non ancora conosciuti.
Certo anche i Francesi
detterto un grande aiuto, ma solo da Paolo un concreto risultato fu ottenuto.
Dissero i Francesi:
‘‘Determiner et demontrer le sistème des vaisseaux lymphatiques”
e Paolo trovò la proposta très chic!
E cominciò a lavorare, lavorare duramente per ottenere un risultato
altrettanto eccellente.
Quattro lunghi anni, trecento disserzioni… e finalmente
Paolo ha risultati buoni.
Sui vasi
linfatici scrive pure un prodromo cosicché da tutti è considerato un grand’
uomo. È il 1787 e Paolo completa l’opera con grande maestria: ‘‘Vasoruma
lymphaticorum corpus humani historia et iconografia” e, oltre che esperto
dissestore, si scopre anche abile disegnatore: 27 tavole sul corpo umano fa
realizzare e l’ammirazione di tutta Europa riesce a catturare.
Grande era
di queste il valore artistico e scientifico, ma, per gli inesperti, sarebbe
stato meno complicato un geroglifico!
Disse Mascagni: “Il sistema
linfatico scorre ovunque nel corpo in un momento e ad esso è legata la funzione
dell’assorbimento”.
Nei trenta
anni successivi Paolo cominciò i preparativi: volle scrivere la “Grande
Anatomia” che fu poi eseguita con sublime maestria.
Ciro Santi e Antonio
Serantoni lavoravano da Domenica al Lunedi per fare belle tavole su rame che
piacessero a tutto il reame. Com ’eran belle…
in bianco e nero, a colori… facevan gola a tutti i professori!
Ma il
nostro Paolo faceva tante altre cose talune anche estrose.
La chimica, la fisica e
l’agricoltura non gli facevan di certo paura e la geologia era la sua più
folle pazzia.
L’Inferno della futura
Larderello a lui piaceva più di un gioiello e tra i fumi ed il vapore egli,
imperterrito, studiava a tutte le ore.
Si
preoccupò persino di estrarre l’acido borico, la qual cosa in futuro sarebbe
stata un evento storico!
Ma i capitali… mai trovò
così l’idea abbandonò.
La
Rivoluzione fu tumultuosa:
LIBERTÈ, EGALITÈ,
FRATERNITÈ… ca irà ed a Mascagni divampano idee di Libertà. Ferdinando III,
duca di Lorena, nel 1779 se ne va e Mascagni a Siena aderisce alla nuova Municipalità,rivelandosi
così non solo grande “artista”, ma anche convinto politico attivista.
Ma voi sapete che mutevole è
la storia umana e che alcuni eventi capricciosi talvolta emana: come il mese di
marzo, come un venticello primaverile che ti scompiglia i capelli e poi va a
scomparire.
Eh sì!…
È proprio il Fato che domina la vita degli uomini, delle cose e degli animali,
soffocando a volte anche le idee più geniali.
La Storia è un eterno fluire
e rifluire per andare incontro all’avvenire.
Ebbene… i Fancesi, sconfitti, sgomberavan la regione e
dei Toscani, fedeli al Granduca, violenta fu la reazione.
Mascagni di “giacobinismo” fu accusato ed il 28 Giugno 1779
a Siena fu arrestato.
Gli intellettuali, morti per i loro pensieri ci insegnano
che le idee fanno la storia di oggi e di ieri.
Tanta fatica
hanno durato, ma, grazie a loro, qualcosa è cambiato!
Nel 1800… di nuovo i Francesi tornan sulla scena e
Mascagni, libero, abbandona Siena.
Dalla Regina Maria Luisa, dopo un anno, a Firenze fu
inviato e lì proseguì il suo importate operato.
Sssss… in
realtà la sovrana a Firenze lo volle portare per farlo elegantemente
vigilare!!!
Ma la morte purtroppo arriva per tutti e, come spesso
avvien, anche Mascagni non potrò veder pubblicati i suoi “frutti”.
Postuma fu
pubblicata la “Grande Anatomia, uno dei suoi più egregi lavori, oggetto di ammirazione
e di studio da parte di insigni professori.
Il 20
Ottobre 1815 a Castelletto Paolo Mascagni morì, forse pensando ai suoi passati
dì. Forse come Roncisvalle Orlando il Mascagni cercò di scampar la morte
duellando o forse , avendo manipolato tante “anime morte” Paolo capì che
la fine della sua vita era ormai alle porte.
Certo la sua
mente non perì, ma brillante e deduttiva, volò verso una nuova prospettiva.
Se le tavole di Mascagni, dal vero, volete ammirare a
Pisa, di corsa, vi dovete recare.
Noi vi
diciam ohe sono nel bel mezzo della città alla Facoltà di Medicina
dell’università.
Noi l’abbiam viste e vi garantiamo che esse descrivon particolareggiatamente il corpo umano. Si trovan collocate in un lungo corridoio: in verità il luogo è un pò ombreggiato, ma la loro bellezza lo rende artisticamente colorato.
Se ben ci pensiam, Mascagni un messaggio ce l’ha dato;
è quello che
già Dante aveva sottolineato: “Fatti non foste a viver come bruti,ma per seguir
virtute e canoscenza”.
Ma… adesso
basta con le dotte citazioni, di Mascagni certamente ricorderem le grandi
azioni! A lui la nostra scuola abbiam intitolato perchè il suo nome, dalle
nuove generazioni, sia sempre ricordato.
È tardi.
Poniamo fine a questa filastrocca semiseria scritta per
star insieme e per raccontare… per comunicare e per scherzare…
per imparare e per divertire…
e tutti insieme gioire.
È stato un gioco, una scommessa, una gran voglia di fantasia, per salutare tutti con simpatia.Scuola Media di Pomarance Classe Seconda Sez. A. – Anno scolastico ’92-93
Da tempo questa rivista “La Comunità di Pomarance” ha preso
la bella iniziativa di ricordare i nostri paesani più significativi per
riproporli a chi li ha conosciuti e per farli conoscere ai nostri ragazzi e
giovani che li sentono nominare.
Fra queste persone ha un posto di rilievo la figura di Mons. Vezio Dell’Omo deceduto il 15 settembre 1984 dopo breve malattia, a seguito di una operazione chirurgica.
Ma chi era Mons. Vezio? La risposta più scontata e
immediata mi sembra questa: era un nostro concittadino, un autentico e vero
pomarancino, molto attaccato al paese dove era voluto tornare ad abitare. Mons.
Vezio era nato, infatti, a Pomarance il 18 giugno 1910 figlio di Giovanni e di
Dei Teresa. A 12 anni era entrato nel Seminario Vescovile di Volterra ove il 17
marzo 1934 fu ordinato sacerdote da Mons. Dante Maria Munerati. Il giorno
successivo, domenica 18 marzo 1934, celebrò la sua prima Messa Solenne all’altare
maggiore della nostra Chiesa Parrocchiale attorniato da familiari e paesani.
Proprio perché molto attaccato alla sua Chiesa ed alle tradizioni, allorché
scadevano i cinquanta anni di vita sacerdotale mi chiese espressamente di
poter celebrare la Santa Messa solenne delle sue NOZZE D’ORO SACERDOTALI
proprio all’altare maggiore, nella forma liturgica con la quale l’aveva
celebrata in quel primo giorno.
Appena sacerdote, il 23 maggio 1934 fu nominato parroco di Sant’lppolito ove, oltre al ministero sacro, svolse la funzione di maestro. Gli anziani di quei luoghi ricordano ancora di aver appreso le prime nozioni da questo sacerdote-maestro.
Con Bolla Vescovile del 17 marzo 1942, Mons. Vezio fu trasferito alla Parrocchia di Sasso Pisano ed infine, il 3 aprile 1951, fu nominato Priore di Sant’Agostino a Volterra. In tale Parrocchia è rimasto fino al 1 settembre 1980: il Vescovo aveva accettato le dimissioni a seguito delle sue precarie condizioni di salute. Ma il dover lavorare per il Signore ardeva in lui. Per questo motivo dal 1981, fino al momento della sua morte, prestò servizio come Vicario Parrocchiale, nella limitrofa Parrocchia di Libbiano ove ha profuso tempo, energie e passione per le opere artistiche li presenti che portò a restaurare.
Durante il periodo volterrano. Mons. Vezio fu chiamato a svolgere altri incarichi oltre a quello di parroco. Fu insegnante nel Seminario Diocesano (ricordo di aver ricevuto lezioni da lui nella scuola media); fu assistente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica e degli Uomini di Azione Cattolica. Il 31 luglio 1962 divenne Direttore dell’ufficio Amministrativo Diocesano, un incarico che ha svolto sempre con grande impegno e scrupolosità perché, diceva, le cose che amministro non sono mie, ma della Chiesa e quindi dobbiamo non solo conservarle, ma migliorarle.
Per il suo impegno e donazione alla Chiesa, il 31 ottobre 1958 fu associato al Capitolo della Cattedrale di Volterra con il titolo di Canonico Primicerio e, a seguito della sua rinuncia a Priore di Sant’Agostino, fu elevato alla dignità di Canonico Proposto. Con questa onorificenza tornò in mezzo a noi venendo ad abitare con i suoi parenti in Via XXV Aprile, dando una mano anche in Parrocchia per le Confessioni e le Sante Messe.
Mons. Vezio che da piccolo era tanto vivace, da adulto era divenuto di una precisione e puntualità eccezionali. Si poteva stare tranquilli che quando diceva una cosa, la portava a termine.
Ma il suo carattere “pomarancino” era rimasto
ben vivo anche sotto la veste talare. Infatti, con fare e dire arguti, narrava
episodi “di quei tempi” e ricordava i “vecchi pomarancini” con ilarità e con i
soprannomi che allora, ma anche oggi, si usavano.
Il “suo Pomarance” lo aveva sempre nel
cuore e per questo ha voluto ritornarvi e qui è stato sepolto nella Cappella
del Cimitero accanto al suo Proposto Don Carlo Balsini e a Mons. Giulio
Paoletti.
Sulla tomba, semplice come era di carattere, vi è una sua fotografia rivestito dei paramenti sacerdotali e una breve scritta: MONS. VEZIO DELL’OMO, CANONICO DELLA CATTEDRALE. Una vita spesa per la Chiesa Volterrana, un attaccamento alla sua Chiesa Pomarancina.
Pontificale di S.E. Card. Luigi Capello
Desidero terminare questo articolo con
un ricordo personale. Appena fui eletto Proposto di Pomarance, mentre ancora
nessuno conosceva la mia nomina, mi pervenne una sua lettera con la quale, da
Pomarancino, dava il benvenuto al suo nuovo Proposto. Quel gesto mi fece
impressione e piacere.
Ora dal Cielo, con il suo fare arguto e
faceto, certamente ci ricorderà tutti, nome per nome e noi desideriamo
ricordarlo ancora. a distanza di cinque anni dalla sua morte, con la gioia sul
volto come lo vedemmo nel giorno delle sue NOZZE D’ORO SACERDOTALI, mentre,
con animo giovanile e lieto salì i gradini dell’altare di San Giovanni Battista
che già gli preparava la salita ai gradini della gloria eterna.
Il 15 maggio 1979, Mons. Giulio
Paoletti, Proposto da 26 anni della nostra Parrocchia San Giovanni Battista
in Pomarance, decedeva presso Albinia in un incidente stradale insieme
all’autista Sprugnoli Cassiano.
La notizia del tragico incidente giunse
al Comando dei Carabinieri nel primo pomeriggio di quel giorno provocando in
tutti i pomarancini dolore e sgomento.
Ma chi era Mons. Giulio Paoletti?
Nato a Casole d’Elsa il 24 marzo 1913,
fu ordinato sacerdote il 24 novembre 1935 da S. E. Mons. Dante Maria Munerati.
Dapprima parroco di Collalto dal 1936 al
settembre 1937, in tale data fu trasferito a Pignano dove rimase fino al 13 marzo 1946. Successivamente andò a Bibbona dove esercitò il suo ministero sacerdotale fino al 13 maggio 1953, allorché venne a Pomarance come Proposto.
È rimasto tra noi fino al momento
dell’incidente del 15 maggio 1979, mentre si recava all’Argentario a visitare
il luogo ove avrebbe desiderato portare i ragazzi con le loro famiglie per la
consueta gita parrocchiale.
Sono trascorsi dieci anni da quel doloroso
evento e credo sia giusto e doveroso ricordare alla Comunità intera questo sacerdote
che ha dedicato tante energie per
bene di Pomarance.
Mons. Giulio Paoletti: per i nostri bambini più piccoli è una persona che viene loro ricordata da noi grandi come colui che ha costruito l’Oratorio Parrocchiale; per i giovani, adulti e anziani é una persona con la quale si sono condivisi tanti momenti lieti, quali battesimi, cresime, prime comunioni, matrimoni e momenti tristi, quali funerali ed altri eventi dolorosi. Per tutti, Mons. Paoletti è stato un punto di riferimento. Infatti Monsignore ha amato Pomarance ed ha dato tutto se stesso per il bene e la crescita di questo paese. Ha vissuto in mezzo a noi con semplicità di vita, senza imporre, ma proponendo a tutti il messaggio evangelico con uno stile di vita fatto di cose semplici e piccole. Un richiamo, credo, che valga ancor oggi per tutti noi.
Ricordare un Sacerdote, il Proposto,
Monsignore, come ormai tutti lo chiamavano, è ricordarlo come prete fedele a
Dio, fedele alla Chiesa, fedele al suo popolo.
A questo popolo ha lasciato la sua testimonianza, ha lasciato come segno tangibile
l’Oratorio Parrocchiale dedicato all’apostolo dei giovani San Giovanni Bosco.
Già, i giovani. Di lì sono passati e passano ancor oggi i nostri bambini, ragazzi e giovani. Mons. Paoletti, confidando nell’aiuto di Dio, nel maggio 1958 vi pose la prima Pietro. Cinque anni di lunghe fatiche, di preoccupazioni, ma finalmente nel 1963 l’Oratorio Parrocchiale fu pronto e spalancò le porte ai nostri giovani.
Posa della prima pietra Oratorio Don Bosco 11/5/958 sono riconoscibili Biondi Dr. Pietro, Bellini Francesco, Mons. Paoletti e Mons. Bergonzini Vescovo di Volterra
Da 26 anni in questo luogo, la gente di Pomarance si ritrova per le più svariate ragioni: da quelle pastorali ed educative, a quelle formative e di divertimento. Mons. Paoletti godrà certamente nel vedere che la sua opera continua a portare il frutto.
Molte altre cose si potrebbero dire di Monsignore: la cura
dei malati, l’attenzione alle realtà del paese, le A.C.L.I., il desiderio di
riunire tutti ecc., ma credo che egli preferisca ancora una volta passare in
mezzo a noi con il suo modo fatto di dialogo e di semplicità.
È rimasto fra noi con le sue spoglie mortali nella
cappella del Cimitero. Sacerdote zelante da vivo, è ancora fra noi con la
preghiera e con il bene che ha seminato.
Ricordarlo nel Decimo
anniversario della sua morte significa ringraziare Dio di avercelo donato ed
impegnarci a far sì che quello che Lui ha intrapreso e portato avanti con
impegno e fatica, insieme possiamo continuarlo e migliorarlo a fare a favore
di tutti e soprattutto per i nostri giovani perchè possano crescere percorrendo
la via della rettitudine, dell’onestà e del bene.
Don Piero Burlacchini
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
La Storia Continua
Gestisci Consenso Cookie
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.