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Descrizione, notizie ed eventi sul borgo di Pomarance.

TEATRO DEI CORAGGIOSI

ACQUISTATO LO STORICO IMMOBILE

È stato acquistato dal Comune di Po­marance lo storico Teatro dei Coraggio­si. Così, con questa operazione, i due tea­tri presenti nel centro urbano (Teatro De Larderei – Teatro dei Coraggiosi) appar­tengono al patrimonio pubblico. In verità esistevano nel territorio comunale tre or­ganismi teatrali, di cui uno purtroppo non più esistente. Sorti dopo la metà del XIX0 secolo nel Comune di Pomarance, risul­ta organicamente connessa, come gran parte del rinnovo urbano del capoluogo e dello sviluppo insediativo ed infrastrut­turale del territorio, all’affermarsi dello sfruttamento industriale dei “lagoni” e dei “soffioni” del comprensorio boracifero e, con esso, alle fortune imprenditoriali della famiglia De Larderei.

Via Gramsci: Facciata Teatro Accademia dei Coraggiosi (1950)

Il primo, in ordine di tempo, di tali teatri, inaugurato 1’8 settembre 1856 con una fe­sta solenne e con un banchetto imbandi­to a duecento conviviali, venne realizza­to nella corte del palazzo padronale di Larderello come vera e propria attrezza­tura ricreativa aziendale, prevalentemen­te destinata alle rappresentazioni sceni­che ed alle esecuzioni musicali dei dipen­denti dello stabilimento. L’allestimento di questo spazio teatrale, come la progetta­zione di quasi tutti gli interventi edilizi commissionati da Francesco de Larderei fra il 1845 e la data di morte (1858), va ascritta all’ebanista ed architetto livorne­se Ferdinando Magagnini. La frequente presenza del versatile operatore al servi­zio dei De Larderei nel territorio di Poma­rance doveva di lì a poco invogliare i membri dell’Accademia dei Coraggiosi ad affidargli l’incarico di redigere il progetto di un nuovo edificio teatrale in sostituzio­ne della sala già esistente nell’abitato. Il nuovo Teatro dei Coraggiosi, verrà inau­gurato il 12 ottobre 1862: sotto la lunetta dell’atrio, di fronte a chi entra, figura an­cora una epigrafe gratulatoria nei riguar­di dell’architetto fatta apporre per la cir­costanza dagli accademici.

Il fabbricato, che presenta sul fronte stra­dale una sobria facciatina in pietra tufa­cea a tre assi di aperture, rileva al suo in­terno, nella contratta sequenza dei vani che precedono la sala assicurando il ne­cessario sviluppo distributivo per accede­re ai diversi ordini di posti, un gustoso contrappunto di effeti spaziali, sottolinea­to dalla decorazione geometrica delle su­peraci, che accompagnano il fruitore fi­no alla soglia dell’invaso teatrale, dall’im­pianto lievemente a campana, a tre ordi­ni di palchi, sovrastato dalla appena ac­cennata concavità del soffitto dipinto la cui complessa armatura lignea emerge come il dorso di una testuggine nel loca­le sottotetto. La trasformazione postbel­lica del teatro in cinematografo ha com­portato, assieme al tamponamento del palco di mezzo per adibirlo a cabina di proiezione, il deturpamento del proscenio in conseguenza dell’installazione dello schermo.

Con l’emanazione delle nuove normative in materia di sicurezza, il Teatro dei Co­raggiosi venne definitivamente chiuso ed abbandonato perdendo così l’originaria funzione culturale e sociale. Inizia così lo storico declino e l’abbandono totale che avrebbe certamente portato alla definiti­va demolizione quale percorso oggetivo che caratterizza la maggioranza dei tea­tri italiani costruiti tra la fine del settecento e la prima metà dell’ottocento.

Nasce da questa amara constatazione il processo necessario di recupero di que­ste vecchie strutture e la necessità di pro­gettare una destinazione d’uso coerente con la loro storia e con le esigenze cultu­rali della realtà contemporanea. È proprio attraverso queste sollecitazioni determi­nate dalle Amministrazioni Locali che na­sce il progetto F.I.O., progetto integrato per la tutela monumentale, la ristruttura­zione e l’uso infrastrutturale dell’edilizia teatrale in Toscana. Con l’approvazione da parte dello Stato del progetto presen­tato dalla Regione Toscana per una spe­sa complessiva di 41 miliardi che consen­te l’intervento e la ristrutturazione di tren­ta strutture di proprietà pubblica tra le quali figura il Comune di Pomarance con le due strutture teatrali del Teatro De Lar­derei e Teatro dei Coraggiosi. Senza l’in­serimento nel progetto F.I.O. con l’acces­so ai finanziamenti previsti dal piano, sa­rebbe stato impensabile per il Comune pensare ad una operazione del genere. Ora inizieranno i lavori di progettazione e di recupero nell’ambito della politica della rivalutazione dei centri storici e della loro “vivibilità” secondo un nuovo concet­to dell’arredo urbano e come momento di aggregazione sociale onde contrastare i segnali di decadimento culturale in atto in tutti i centri urbani e nelle aree matropolitane. Si tratta insomma di far usufrui­re ai cittadini che vivono lontani dai cen­tri momenti di vita culturali che sono in­dispensabili per la tenuta complessiva di un territorio in particolar modo per le zo­ne montane.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

Giuseppe Cruciani Fabozzi – I TEATRI ABBANDONATI – Tip. Casa USHER.

Marco Mayer – I TEATRI ABBANDONA­TI – Tip. Casa USHER

Paolo Pierazzini – I TEATRI ABBANDO­NATI – Tip. Casa USHER

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

PALAZZO DE LARDEREL

RESIDENZA NOBILIARE DELL’OTTOCENTO

Il XIX° secolo è stato per Pomarance un importante periodo storico caratteriz­zato da notevoli trasformazioni urbanisti­che nel centro storico che cambiarono ra­dicalmente l’aspetto medioevale o rina­scimentale dei palazzi appartenuti alle an­tiche casate nobiliari o borghesi del luogo. Queste costruzioni ottocentesche procu­rarono la distruzione di antiche testimo­nianze architettoniche creando la nuova immagine di Pomarance che è possibile osservare percorrendo le vie del centro storico ed in particolar modo via Roncalli o dei “Signori”.

Palazzo De Larderel

Sui vari palazzi certamente si impone il grandioso edificio di “Palazzo De Larde­rei”. Attualmente di proprietà comunale ed adibito a sede per l’Ufficio Tecnico e della Comunità Montana della Val di Ce­cina, fu un tempo la residenza autunna­le della nobile famiglia dei De Larderei che lo iniziarono ad opera del “sagace” commerciante Francesco De Larderei su progetto dell’architetto ebanista Magagnini di Livorno. Francesco De Larderei, di origine francese, trapiantatosi a Livorno fin dai primi dell’ottocento, si stabilì nelle nostre zone attorno al 1818 quando fu fondata una società (ved. Chemin – Prat – Lamotte – Larderei) dedita alla estrazio­ne e produzione dell’acido borico conte­nuto nei “lagoni” di Montecerboli. Lago­ni ottenuti a livello dal Comune di Poma­rance ed in seguito in concessione per­petua dal Granduca di Toscana. Il “bo­race”, prodotto richiesto ed esportato in tutto il mondo, permise al conte France­sco, con l’aumento di capitali, di entrare ben presto a far parte della borsa dei Prio­ri del Comune di Pomarance (1833) e di acquistare nel territorio comunale una se­rie di “unità immobiliari” che, ampliate e ristrutturate, sarebbero andate a forma­re il grandioso Palazzo – Fattoria De Lar­derei che ricalca, se pure con un lessico architettonico semplificato, il Palazzo Lar­derei di Livorno. (1)

L’area in cui doveva essere edificato il fabbricato era stata individuata dal “Con­te di Montecerboli”, fin dai primi dell’ot­tocento, all’inizio del paese, nell’antica contrada di borgo tra la porta Massetana e la Cancelleria comunitativa.

Consultando una mappa catastale del pe­riodo leopoldino (1823) è possibile com­prendere quali furono i fabbricati che Francesco De Larderei iniziò a compera­re per la realizzazione del grandioso pro­getto. (fig. 1)

Il primo edificio acquistato fu quello di pro­prietà del Cav. Giovanni Falconcini, per arroto del 6 aprile 1832, (particella cata­stale 279 – 281 – 282 – 283) a cui si ag­giunse due anni più tardi, per arroto del 18 aprile 1835, l’acquisto della casa di Metani Donato addossata all’antico ba­luardo di Porta Massetana (part. cat. 284). Sempre nello stesso anno venne acqui­stata, con arroto del 20 maggio 1835, la casa del Cav. Giuseppe Bardini (part. cat. 282 – 282 bis – 283 bis).

Sei anni dopo fu acquisita anche l’abita­zione di Francesco Funaioli per arroto del 25 maggio 1841, (part. cat. 277 – 278 – 280) insieme ad una cantina dai fratelli Mi­chele e Giuseppe Bicocchi (part. cat. 277 – 278) ed un terreno “sodo lavorativo” dal sig. Beliucci Ermogasto, che era quella porzione di suolo al di fuori delle vecchie mura castellane denominate il “Tribbietto” (2) (part. cat. 279 bis).

Negli stessi anni vennero acquistati dal De Larderei anche una serie di poderi che andarono a formare una tenuta di “beni rurali” nel Comune di Pomarance e che permise al Conte Francesco, in base ad un regolamento catastale del 1829, di fare istanza nel 1843 alle Magistrature di Co­mune per essere sgravato dalle stime im­ponibili sui fabbricati ad uso rurale: (3) “… con /a volontà del nobil conte Cav. Prio­re Francesco De Larderei di Livorno, a possedere come appunto possiede, una tenuta di beni rurali nella Comunità di Po­marance, ebbe desiderio insieme di cor­redarla di necessari comodi per l’agen­zia, e di un comodo per abitare nell’au­tunnali villeggiature. In pertanto che pro­cede all’aggiusto di vari antichi fabbrica­ti quali parte al di fuori, parte al di dentro della porta così detta Massetana della ter­ra di Pomarance, formarano un collega­to di muri, capaci insieme, a soddisfare il di sopra espresso suo desiderio.

E dappoiché tali speciali acquisti furono fatti dopo la stima del nuovo catasto, que­sti sopra dei catastali registri furono in conto, e faccia del prefato sig. Conte De Larderei …per un ammontare totale del­la rendita imponibile di lire 543,97”. (4) Nell’istanza il conte De Larderei dichia­rava che tutti quei fabbricati erano stati utilizzati ad uso di fattoria e “… ridotti in fienili, stalle, rimesse, granai, coppai, tinai, magazzini”, in parte come abitazio­ne dell’agente ed inservienti; in parte ad abitazione propria, ‘‘per tempo della vil­leggiatura”, con un piccolo giardino an­nesso, dichiarando inoltre che nessu­no dei fabbricati riservò per appigionarli o trarne frutto di locazione alcuno …”. Non ci è dato a sapere se “l’aggiusto” dei fabbricati corrisponda all’inizio dei lavori per la realizzazione di Palazzo De Larde­rei; certo è che la situazione urbanistica di questa area cambiò radicalmente nel giro di una decina di anni (1852 ca.) (fig. 2)

Variazione Catastate 1852 c.a. (FIG. 2).

Venne demolito infatti il baluardo di Por­ta Massetana e la casa del Melani; occu­pata la piccola piazzetta detta “Padella”; abbattuti i resti delle mura castellane; am­pliato il fabbricato centrale (part. cat. 282) e costruito un giardino al quale si acce­deva anche attraverso un vicolo dalla “via di Borgo” (tra part. 277 e 280).(5)

Il lotto centrale del Palazzo che secondo gli ambiziosi progetti del De Larderei avrebbe dovuto ricreare lo stesso impo­nente prospetto del palazzo di Livorno, già terminato in quegli anni, indusse lo stesso conte Francesco a proporre alle Magistrature nel 1852 la permuta della Cancelleria in cambio della ristrutturazio­ne a sue spese del Palazzo Pretorio creando ambienti idonei per l’Ufficio del Gonfaloniere e del Cancelliere.

Proposta non molto gradita dai Priori del Comune che avrebbero invece voluto un fabbricato nuovo come risulta da una let­tera del 1853 (6):

A di 25 maggio 1853

Pregiatissimo sig. Gonfaloniere sono onorato della pregiatissima sua in data 20 corrente con la quale V.S. illu­strissima si compiace di parteciparmi la decisione sulla mia proposizione relativa alla Cancelleria Comunitativa. L’opinione dell’ingegnere nulla mi sorprende, Egli si era già pronunciato da più di un anno e prima di avere esaminato le mie piante, lo compatisco per non dire altro.

Al Gent.mo sig. Gonfaloniere dovrà sem­pre convenire, che la mia proposizione era vantaggiosissima alla Comune, e che la cattivissima casa della Cancelleria (ve­niva distrutta fino ai fondamenti) mi sareb­be costato tre volte tanto il suo valore reale.

V.S. si compiace ancora propormi di fa­re costruire una nuova Cancelleria e di darmi la vecchia per la nuova e mi invita a sottoporre il mio progetto.

Mi rincresce doverli dire che non posso accettare simile proposizione, più parti­colarmente perchè il progetto qualunque fosse, avrebbe certamente la disgrazia di stare diversi anni nelle mani dell’ingegne­re, come ha fatto il primo, sarà adunque assai meglio che io rinunzi al mio progetto per non essere ballottato ingiustamente o capricciosamente, quando tutte le mie mire erano per il vantaggio della Comu­nità, l’imbellimento del paese, e far lavo­rare dei disgraziati senza lavori.

Ho l’onore di dichiararmi rispettosa­mente…

Dev.mo servitore F. De Larderei

Trascorsi due anni dalla prima richiesta di permuta il conte De Larderei faceva nuovamente istanza (1855) al Gonfalonie­re di Comune per la cessione della fab­brica di Cancelleria proponendo di pagar­la in contanti con l’aumento del 15% so­pra le stime, oppure costruendo una nuo­va Cancelleria uguale a quella vecchia dettando però una condizione che, se fos­se stata accettata la seconda proposta egli avrebbe iniziato i lavori nella immi­nente primavera e, ”… non solito aggior­nare i suoi divisimenti…” pregava le ma­gistrature a deliberare e risolvere entro il mese di marzo la sua richiesta “… pas­sato il quale, non sarebbe stato più il ca­so di mantenerla …”.

La seconda proposta fu ben presto accor­data ed i lavori del palazzo proseguirono di pari passo con quelli della nuova Can­celleria costruita tra la via Provinciale Massetana e via dei Boschetti. (7) Purtroppo, la morte del conte Francesco De Larderei non permise di poter vedere ultimato il suo grande desiderio che fu ben proseguito dal figlio Federigo, con l’ampliamento dell’ala del palazzo verso Porta Massetana e nella quale venne creato il bellissimo teatrino privato inau­gurato nel 1872.

In quello stesso periodo vennero acqui­stati dal figlio Federigo anche la casa con orto già di Cammillo Fantacci (Part. cat. 273 – 274 – 275) che furono utilizzate in parte per nuove scuderie (attuale Audito­rium). Oggi, percorrendo via Garibaldi, è possibile vedere la facciata principale di Palazzo De Larderei nel suo antico splen­dore dopo il riuscito restauro effettuato nel 1984 ad opera del Comune di Pomaran­ce e nel quale è evidenziato ancora di più il grande stemma in cotto della famiglia De Larderei collocato all’interno del tim­pano centrale in cui si legge: “Raffaello Agresti fece all’lmpruneta nel 1871”.

Jader Spinelli

NOTE BIBLIOGRAFICHE

  1. Il Teatro abbandonato; “Pomarance: tea­tri storici” di G. Cruciani Fabozzi 1985; Ed. La Casa USHER
  2. Cfr. “La Porta Orciolina o Massetana” – La Comunità di Pomarance n° 2 e Supple­mento al n° 2 1988
  3. Patrimonio rurale nel marzo 1843 di Fran­cesco De Larderei: Podere S. Enrico, pod. S. Federigo, pod. Santa Paolina, pod. S. Filiberto, pod. Pogio Montino, Pod. Poggia­momi, pod. Luogonuovo, “Una costruzione non ultimata in aggiunta alla casa colonica dell’antico podere detto Palagetto..”.
  4. Archivio Storico Comunale Pomarance F. 609.
  5. Il giardino era delimitato da una sontuo­sa cancellata in ghisa proveniente dalle fon­derie di Follonica. Questa fu demolita negli anni quaranta come offerta alla Patria per uso bellico.
  6. Archivio Storico Comunale Pomarance F. 159.

La Cancelleria era costruita dove attual­mente sono i “Giardinetti” e l’edicola dei giornali; permutata dalla famiglia Bicocchi, per la cessione dell’attuale palazzo comu­nale, fu utilizzata come Ospedale fino al 1935 circa. L’edificio fu minato durante la ritirata delle truppe tedeschenel 1945. (ve­di Rievocazioni Storiche di Edmondo Mazzinghi – La Comunità di Pomarance 1974).

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

IL PALAZZO “BIONDI-BARTOLINI” A POMARANCE

Il palazzo “Biondi Bartolini’’ situato sul­la Piazza De Larderei al numero civico 3, è uno dei più antichi edifici esistenti nel paese di Pomarance.

Ristrutturato nel modo attuale agli inizi dell’ottocento appartenne, fin dai primi anni del XVIII secolo, alla famiglia Biondi che ebbe tra i suoi discendenti Notai, Dot­tori, Priori e Gonfalonieri nelle Magistra­ture del Comune delle Pomarance.

Attualmente conosciuto come il palazzo “Biondi Bartolini”, fu denominato come tale solo attorno al 1830, quando un di­scendente, certo Giuseppe Biondi, spo­sando Donna Violante Bartolini, aggiun­se al proprio cognome quello della mo­glie.

L’edificio, collocato al vigente catasto di Pisa con la particella catastale n° 417, può certamente essere considerato di no­tevole interesse storico per le sue prege­voli opere pittoriche dipinte sulle pareti e nei soffitti delle sale del “piano nobiliare”. Fin dai primi anni dell’ottocento il palaz­zo, ancora detto dei “Biondi”, era indi­cato negli antichi chirografi del tempo “lungo la via di Petriccio” che comincia­va all’incirca dalla “Porta alla Pieve” (o Portone di Petriccio) e terminava alla “Porta Volterrana”.

Facciata del Palazzo Biondi Bartolini nel 1890

Uno dei più antichi documenti che ci con­sente l’individuazione del palazzo è una planimetria del “Catasto Generale della Toscana” o “Catasto Leopoldino” rela­tivo a Pomarance. La piantina catastale, conservata nell’Archivio di Stato di Pisa e datata 1823, consente di verificare l’a­rea occupata dall’immobile ed a questa faremo riferimento nella nostra tratta­zione.(1)

Indicato a quel tempo con la particella ca­tastale n° 316 risultava di proprietà del Sig. Giovan Battista Biondi. Proprietà che fu tramandata, di generazione in genera­zione, fin dall’acquisto (XVIII secolo) di al­cuni beni immobili appartenuti a Cristofano Roncalli, discendente della famiglia Roncalli di Pomarance e pronipote del ce­lebre pittore Crostofano Roncalli detto il “Pomarancio” (1552-1626).

Dall’estimo del Comune di Ripomarance del 1571 risulta che l’immobile, pervenu­to in eredità al Dottor Cristofano Roncal­li, apparteneva al suo bisnonno, Giovan Antonio di Francesco Roncalli da Berga­mo, padre del pittore Cristofano Roncalli. La casa, addossata alle antiche mura ca­stellane del XIII secolo prospicenti la stra­da di Petriccio, confinava, come ancora oggi, con la Canonica della Chiesa di San Giovanni Battista, l’orto della Chiesa e la porta “alla Pieve”; confinazioni importanti che hanno permesso l’individuazione del fabbricato negli estimi del comune di “Ri­pomarance” fin dal XV secolo.

Uno dei documenti attestanti l’apparte­nenza dell’edificio ai Roncalli risale al pri­mo decennio del ’600. Trattasi di un estratto di contratto di vendita immobiliare pubblicato nel 1969 dal Dott. Giovan Bat­tista Biondi su “La Comunità di Pomaran­ce” e conservato nell’Archivio di Stato di Firenze al protocollo n° 19887, carta 45 v., atto 93, nel quale il notaio del tempo, Ser Guasparri del fu Francesco Maffii, certificava, in data 16 maggio 1616, che “… il Cavaliere Cristofano Roncalli delle Pomarance fu Giovan Antonio fece pren­dere possesso dei suoi beni in Pomaran­ce, relitti morendo, il di lui fratello Dona­to”. Tra le varie proprietà compariva an­che la casa, oggetto della nostra ricerca, posta nel castello di Ripomarance in luo­go detto Petriccio confinante: “… a 1° Via, 2° Beni dell’eredi di Bernardino Ron­calli mediante il Portone, 3° Casa della Pieve di San Gio:Battista, 4° Orto della Pieve, a 5° la casa di Bartolomeo Cercignani e se altri confini vi fossero, con le stanze e le botteghe sotto detta casa…”. L’edificio, attaccato come ancora oggi al Portone della Pieve e ricostruito ex novo nel 1884, presentava anticamente due stanze sovrapposte che pervennero ai Roncalli probabilmente da un livello enfiteutico dato dal Comune di Ripoma­rance.

Le stanze erano di necessaria comunica­zione con l’altra casa di Giovan Antonio Roncalli posta al di là della Porta alla Pie­ve in luogo detto “Piazzetta alla Chiesa” (attuale Largo Don Morosini).

La “Lira” o “Estimo” del Comune di Ri­pomarance del 1630, con arroti fino al 1708, conferma l’esistenza di questa uni­tà immobiliare ereditata dai discendenti Roncalli. (2)

La proprietà in quell’anno risulta infatti al­la “posta” di Jacopo, Francesco e Gu­glielmo figli di Cosimo Roncalli.

Cosimo infatti era fratello del pittore Cri­stofano e figlio anche esso di Giovan An­tonio Roncalli. La proprietà è così indica­ta: “… Una casa in detto castello con più botteghe confinata a 10 Via, 2° Pieve, 3° Orto della Pieve, 4° Mura, 5° Bartolomeo Cercignani, 6° Via … stimata lire milleduecentoquarantacinque…”.

Stemma Famiglia Biondi

Alcuni anni più tardi l’appartenenza del­l’edificio passò al dottor Guglielmo Ron­calli ed al fratello prete Francesco Ron­calli. Alla morte di prete Francesco, con testamento del maggio 1683, rogato dal Notaio Gio: Antonio Armaleoni, la proprie­tà dell’immobile fu ereditata, in data 10 maggio 1696, dal Dottor Cristofano Ron­calli, “soldato” (Tenente) Giuseppe Ron­calli e prete Lorenzo Roncalli del fu Gu­glielmo suoi eredi e legittimi nipoti.(3) Nei primi anni del XVIII secolo risulta pro­prietario deH’immobile confinante con la casa della pieve soltanto il dottor Cristo­fano Roncalli; suo fratello, il tenente Giu­seppe Roncalli, era infatti padrone della casa al di là della “Porta alla Pieve” (eredi attuali della Sig.na Federiga Volpi) così descritta nell’estimo del 1716 (4): “… una casa in Petriccio al portone con pozzo a metà con Teodora Ceccherini, confinata a 1° Via, 2° Via, 3° e 4° detta Teodora Ceccherini, 5° Via, 6° Dottor Cristofano Roncalli sopra il Portone stimata scudi 200…”.

Stemma dei Bartolini

La casa del Dottor Cristofano Roncalli fu oggetto di compravendita in data 13 gen­naio 1728 (ab Incarnazione 1729). Lo scritto è riportato nell’articolo del Dottor Biondi Giovan Battista già citato.

Il Contratto conservato all’Archivio di Sta­to di Firenze (Protocollo n° 23922 pag. 169) certifica che il suddetto Dottor Cri­stofano Roncalli aveva lasciato dopo la sua morte molti debiti e che i suoi credi­tori erano riusciti a mandare all’asta pub­blica tutti i suoi beni.

Il 10 giugno 1727 (1728) i detti beni furo­no acquistati all’incanto dall’unico offe­rente, Michele di Cerbone di Michelange­lo Vadorini. Dal rogito si apprende che Pietro o Pier Francesco Biondi (1691-1730), figlio di Giovan Antonio Bion­di e Costanza di Domenico di Sebastia­no del Capitano Pietro Paolo Santucci, di­retto antenato dei Biondi (e quindi degli attuali Biondi Bartolini) acquistò dallo stesso Vadorini la casa oggetto della no­stra ricerca e cioè: “… Una casa dai fon­damenti a tetto, luogo detto Petriccio con­finata a 1 ° Via, 2° Sig. Luogotenente Giu­seppe Roncalli, 3° la Chiesa arcipretale di San Gio:Battista di detta terra, 4° ere­di del quondam Bartolomeo Cercignani et altri….”.

La parte dispositiva del contratto si chiu­deva con la seguente clausola: “… il me­desimo sig. Pietro Francesco Biondi ha promesso e si è obbligato di lasciar go­dere e possedere al sig. Luogotenente Giuseppe Roncalli le due stanze di detta casa che sono poste sopra le camere contigue al Portone (di Petriccio), sua vi­ta durante…”.(5)

Nell’estimo del 1716, con arroti fino al 1805 e conservato nell’Archivio della Bi­blioteca Guarnacci di Volterra, la suddetta proprietà è così indicata: “… Una casa in Petriccio a 1 ° Via, 2° Tenente Giuseppe Roncalli, 3° Casa ed orto della Chiesa, 4° Pasquino Borghetti, 5° Via … stimata scudi 150…”.(6)

In calce è riportata la seguente annota­zione: “…a di. 22 giugno 1729; viene det­ta casa dalla posta di Michele di Cerbo­ne Vadorini, in questo a carta 346, per compra fattane dal sig. Biondi Pietro Francesco per medesimo prezzo di scu­di 100; per rogito di Giovan Pietro Biondi (notaio) del di 13 giugno 1728; visto e re­so accomodato dal sig. Cancelliere Tor­quato Mannaioni…”.

Planimetria catastale del 1823. (Catasto Leopoldino). Palazzo “Biondi” indicato alla particella catastale n° 316

La casa aveva un nuovo confinante, Pa­squino Borghetti, che altro non era che il marito di Maria Cammilla Cercignani fi­glia del “quondam” Bartolomeo. Questi infatti possedeva una casa con più stan­ze con cantina e telaio sotto, in Petriccio confinata a 1° Via, 2° dott. Cristofano Roncalli, 3° orto della Chiesa, 4° mura castellane, 5° e 6° Simone Cercignani del valore di 50 scudi…”.(7)

Dal 22 giugno 1729 i Biondi furono gli uni­ci proprietari di questo immobile. La sud­detta famiglia, che è annotata nell’estimo del Comune di Pomarance fin dal XVII se­colo, risultava proprietaria di diversi beni nella corte di Ripomarance. Secondo lo storico Don Socrate Isolani pare che es­sa provenisse dal “Castello della Pietra” nei pressi di San Gimignano e che alcu­ni suoi membri si fossero stabiliti attorno al XVI secolo nel piccolo castello di San Dalmazio. Giovanni di Giovan Pietro Bion­di (1604-1697), annotato nell’estimo del Comune di Pomarance risulta provenien­te infatti da San Dalmazio.(8)

Questi aveva comprato, in data 6 ottobre 1675, a Pomarance tutti i beni apparte­nuti ad Agnolo Sorbi ed a suo fratello Ba­stiano tra cui una casa posta in Petriccio confinante con lo “Spedale” di San Gio­vanni. Le proprietà risultano successiva­mente essere poste a carico di suo figlio Giovanni Antonio (1670-1730).

Il di lui figlio, Pietro Francesco Biondi (1671-1730) fu l’autore dell’acquisto del­l’antico palazzo appartenuto ai Roncalli che, come già descritto, fu comprato al­l’asta dai Vadorini e poi successivamen­te rivenduto al Biondi nel 1728 (1729).

Il dottor Pietro Francesco Biondi sposan­dosi con … dette la nascita a tre figli: Pom­peo, Francesco (Michelangelo) e Giusep­pe (Maria). Rimasti orfani in tenera età, per la precoce morte del padre, eredita­rono tutti i beni del nonno Giovan Antonio per atto di testamento datato 22 agosto
1734; alla presenza del sig. Tenente Pier Giuseppe Biondi, uno dei tutori e provve­ditori. Tra i vari possedimenti risulta an­che la casa confinante con la Chiesa, og­getto della nostra indagine. In data 13 agosto 1743 venne cancellato dalla “posta” dei beni dei fratelli Biondi il sig. Pompeo “… stante la divisione e cessione fatta a detti fratelli, come appa­re per contratto rogato dal Notaio Anto­nio Nicola Tabarrini…”.(9)

I due fratelli, Francesco e Giuseppe, ri­masti unici proprietari della casa posta lungo la via di Petriccio accanto alla por­ta “alla Pieve”, nel 1760 ricomprarono una piccola stanza “posta nello stasso palazzo di loro dimora”, che era stata venduta molti anni prima a certo Giovan Maria Funaioli per scudi 10.

La riacquisizione della suddetta stanza ad opera di Giuseppe e Francesco Biondi è confermata oltre che nell’estimo del XVIII secolo, anche da un contratto conserva­to nell’archivio privato della famiglia Bion­di Bartolini.(IO) Dal rogito si apprende quanto segue: “…adì 30 maggio 1760 … Qualmente dal già Sig. Pietro Francesco Biondi delle Pomarance fu venduta una stanza a terreno a Francesco e Andrea, fratelli e figli del già Giovan Maria Funaioli di detto luogo … qual stanza è contigua alla casa di proprietà di abitazione di detto signor venditore; luogo detto Petriccio, confinante a 1° Via, 2° Signori Biondi, 3° Portone detto di Petriccio … come per contratto rogato dal Dott. Bernardino Cercignani … ed avendo adesso convenuto e stabilito che il detto padrone di detta stanza, rilasci e conceda la suddetta stan­za alli Signori Francesco e Giuseppe Biondi del prefato Sig. Pietro Francesco Biondi…”.

In un documento successivo del 1779, tratto daH’Archivio Storico di Pomarance, la suddetta casa viene citata come appar­tenente allo stesso Giuseppe Biondi, gon­faloniere in quegli anni nel Comune del­le Pomarance. In una descrizione di “Strade e Fabbriche della Comunità di Pomarance” dello stesso anno infatti, si annotava che dalla via di Petriccio si stac­cava una piccola via denominata “Dietro il canto”, la quale iniziava: “dalla canto­nata del Sig. Giuseppe Biondi a mano dritta, et a sinistra dalla casa del Sig. Can­celliere Incontri, con direzione le­vante…”.(11)

Nello stesso anno i due fratelli Biondi fa­cevano istanza al Comune delle Poma­rance per poter sbassare una torre delle vecchie mura castellane che impediva lu­ce necessaria alla loro abitazione: “… di poi letta un’istanza dei Sig.ri Dottori Giu­seppe e fratello (Francesco) Biondi colla quale domandano di poter sbassare alcu­ne parti di braccia della torre esistente lungo le mura castellane, luogo detto il Tavone, per acquistare l’aria della casa di loro abitazione… Deliberarono perciò di quanto spetta, ed è facoltà del Magi­strato loro, accordarsi il mandato stesso… ‘>(12)

Una sala del piano nobiliare con decorazioni e pitture murali

È ipotizzabile che la suddetta torre posta in località Tavone, altro non fosse che la torre circolare (attualmente conosciuta come “dei Biondi Bartolini”) ubicata nel giardino degli stessi Biondi Bartolini die­tro Via dei Fossi.

Un’altra notizia storica del palazzo risale al 1783, quando il sig. Giuseppe Biondi faceva domanda al comune delle Poma­rance che: “… gli fosse accordata licen­za di fare tre paloni per l’ingresso ad una bottega da esso fatta ai pié della casa di sua abitazione, quale rimane troppo alta dal piano della strada…”.(13)

Attorno al 1785 il fratello Francesco Bion­di lasciava la casa paterna per formarne una propria. Il 15 settembre infatti face­va domanda alle Magistrature del Comu­ne di Pomarance “… di assere ammes­so al godimento dei Priori della Comuni­tà così come ha goduto e gode la sua ca­sa paterna del Gonfalonierato, e Operaio per formare distinta famiglia dagli altri suoi fratelli (Giuseppe e Pompeo)”.(14) Francesco Biondi si stabilì con la propria famiglia nel palazzo posto sulla via di “Borgo” (oggi Roncalli) nel palazzo at­tualmente conosciuto come “dei Ricci”. Nella divisione patrimoniale dei tre fratelli anche il “prete” Pompeo fu liquidato con una retta annuale sul capitale di famiglia; rimase unico possessore dell’immobile il Dottor Giuseppe che morì nell’anno 1799. Con voltura n° 11 e n° 30 dello stesso an­no ed una voltura (n° 9) del 1803 la pro­prietà della casa posta “in Petriccio” e confinante con la casa ed orto della chie­sa, fu ereditata dai suoi tre figli; Dottor Giovan Battista (1756-1826), Tommaso ed Isidoro.(15)

La tutela del patrimonio fu affidata al fra­tello maggiore Giovan Battista Biondi che fu anche il promotore della ristrutturazio­ne del palazzo “Biondi”, così come ci è pervenuto oggi.

La notizia è del 24 maggio 1800; trattasi di una istanza presentata al Comune delle Pomarance dal Dottor Capitano Giovan Battista Biondi ”… colla quale domanda accordarseli la facoltà di poter porre l’antenne (paloni per impalcature) o quanto altro occorra nella necessità in cui si tro­va di dover rifondare le muraglie di sua abitazione posta in Petriccio e domanda di poter occupare lungo le muraglie di es­sa casa un terzo di suolo di strada e piaz­zetta di Petriccio col pagare alla comuni­tà l’occorrente…”.(16)

La conferma di questa ristrutturazione agli albori dell’ottocento è data anche da un documento conservato nell’archivio Biondi Bartolini che tratta di una ricevuta di pagamento ad una “maestranza” ori­ginaria di Firenze e lavorante in Pomaran­ce: “… Adì 9 settembre 1802… lo Pasqua­le Bitossi ho ricevuto dal Sig. Capitano Giovan Battista Biondi la somma di lire 80 tanti sono per opere fatte in sua casa, e mi chiamo contento e soddisfatto in tutto per lire ottanta…”.

La riedificazione comportò anche l’am­pliamento dell’edificio al di là delle vec­chie mura castellane, sul versante dell’or­to della chiesa di Pomarance. “Suolo ca­nonicale” concesso a livello enfiteutico al­la famiglia Biondi, dal parroco Saverio Pandolfini che consentì l’allineamento dell’edificio stesso verso la proprietà del­l’orto della famiglia Biondi. Questa notizia è certificata da un atto di divisione patrimoniale del 1804 tra i fra­telli Biondi e conservato nell’archivio di famiglia: “… essendo che fino dall’anno 1804 l’illustrissimo Vicario, Dottor Tom­maso Biondi del già sig. Giuseppe (Anto­nio) Biondi di Pomarance, entrasse in de­terminazione di provvedere alla divisione
del patrimonio sostante e i beni che rite­neva in comune gli III.mi signori, Capita­no Giovan Battista e Isidoro di detto già Sig. Giuseppe Antonio Biondi di detto luo­go, di lui fratelli, ad essi pervenuti in ere­dità paterna e materna, quanto per ere­dità del defunto Sig. Dottor Francesco Biondi comune zio…”.

Nella descrizione dei beni in divisione è annotata anche: “… la casa di abitazio­ne di loro stessi dividendi, posta in detta terra di Pomarance nella contrada di Petriccio, assieme colla nuova aggiunta eretta sul suolo ortale della chiesa di detto luogo con tutte le sue adiacenze e perti­nenze…”.(17)

Anche se non sono stati ritrovati docu­menti concernenti il contratto di livello enfiteutico per l’occupazione del suolo or­tale della chiesa, la stessa concessione enfiteutica è testimoniata in una relazio­ne della metà del XIX secolo sulle proprie­tà dei Biondi Bartolini nel quale l’edificio è descritto: ”… composto di tre piani da terra a tetto il tutto per la più gran parte di libera proprietà, ma per piccola parte “livello” della Propositura di Pomarance

In quegli anni vennero dipinte e decora­te le stanze ed i soffitti del “piano nobi­liare” in cui furono raffigurati, in stile Im­periale, vedute paesaggistiche di notevoli dimensioni tra le quali è di notevole inte­resse un paesaggio del castello di Poma­rance (fine XVIII secolo) visto dalla zona di Piuvico o Cappella di San Carlino.(18) Giovan Battista ed Isidoro, rimasti unici proprietari del patrimonio di famiglia, in data 30 novembre 1813 addivennero ad una nuova divisione dei loro beni tra cui figuravano alcuni possedimenti ereditati dallo zio paterno, Francesco Biondi.

Nell’atto notarile conservato tra i docu­menti di famiglia Biondi Bartolini è indi­cata anche “… la metà della casa di abi­tazione degli antedetti condividendi posta nella terra di Pomarance, contrada di Petriccio, confinata a 10 strada pubblica, Bartolomeo Fedeli, 3° casa canonicale, 4° orto annesso a detta casa canonica­le, 5° stanze dell’Opera, 6° Annibaie Vadorini con orto e casa e torna a detta via, dentro qual confini restano compresi il ter­razzo ed orto uniti a detta casa dei con­dividendi che vien formata dalle fabbriche urbane descritte in faccia dei medesimi condividendi a carta 198 e 296 di detto estimo di Pomarance, stimata scudi 1000; qui per metà scudi 500…”.

Successivamente la casa pervenne al Ca­pitano Giovan Battista Biondi che morì nel 1826. Questi lasciò eredi dei propri pos­sedimenti i suoi tre figli: Giuseppe, Pie­tro e Jacopo che risultano proprietari, al Catasto Generale della Toscana (1830), deH’immobile posto in Petriccio e descrit­to alla particella catastale n° 316 e 315 (cioè abitazione e orto).

In una successiva divisione patrimoniale tra gli stessi fratelli Biondi, figli di Giovan Battista, le proprietà pervennero (30 aprile 1837) al fratello maggiore Giuseppe; gli altri, Jacopo e Pietro furono liquidati con una cospicua somma di danaro (8000 scudi ciascuno) ed una rendita annuale sui fruttati di interesse sul capitale di fa­miglia. Jacopo si trasferì a Montalcino de­dicandosi alla sua tenuta vinicola e pro­ducendo il famoso “Brunello di Montal­cino”.

L’avvocato Pietro sposando Domira Vadolini dette luogo al ramo dei Biondi da cui discendono il dottor P.G. Biondi ed i suoi figli, Notaio Giovan Battista e Andrea Biondi della Sdriscia.

Il dottor Giuseppe Biondi sposando nel 1830 Donna Violante Bartolini, del Gon­faloniere Bartolino Bartolini e Guglielma Tabarrini, con decreto del 26 febbraio 1830, aggiunse al proprio cognome quello della moglie dal quale è derivata l’attua­le famiglia “Biondi Bartolini”, proprietari ancora oggi dell’ornonimo palazzo situa­to in Piazza de Larderei.

Alla morte del dottor Giuseppe Biondi Bartolini, avvenuta nel 1863, gli succedet­tero nella tenuta del patrimonio immobi­liare i suoi figli Bartolino e Giovanni.

Particolare del Castello di Pomarance agli inizi del XIX see. dipinto sulla parete della sala al piano nobiliare.

In quell’anno infatti, e precisamente il 22 maggio, fu stilata una relazione dettaglia­ta del “patrimonio” Biondi Bartolini, dell’Ing. Lorenzo Chiostri che è ben conser­vata nell’archivio di famiglia. Nel mano­scritto di stima dei beni Biondi Bartolini è descritto con minuzia il “palazzo nobi­liare” dai fondi al tetto, il valore degli ar­redi che adornavano le varie stanze: “… Patrimonio lasciato dal Nobil Uomo dott. Giuseppe Biondi Bartolini al 22 maggio 1863… Un palazzo con orto annesso si­tuato in comunità di Pomarance eprecisamente nel paese di tal nome in corri­spondenza della nuova Piazza de Larde­rei, e della via maestra che ne fa, segui­to procedendo verso il centro del paese, composto di tre piani da terra a tetto, il tutto per la più gran parte di libera pro­prietà, ma per piccola parte livello della propositura di Pomarance; di superficie tutto compreso orto e palazzo, braccia 1457 equivalente a mq. 496 e così confi­nato: a 1 ° Piazza de Lardarel, 2° Via, un tempo detta di Petriccio, 3° Via Masca­gni, 4°, 5°, 6°, 7°, 8°, Propositura di Po­marance con fabbricato ed orto, 9°, 10°, 11°, 12°, 13°, Sig. Vadorini Giuseppe con orto e casa. Annesso a detto palaz­zo sta una terrazza a livello del terzo pia­no, costruita sopra un’antica porta del paese, il cui arco da un lato appoggia al palazzo Biondi Bartolini e dall’altro alla casa dei fratelli Bongi… Il piano terreno del suddetto palazzo è composto, come appresso: una piccola bottega con unico ingresso dall’esterno, un corridoio corri­spondente alla porta principale di ingres­so… Il descritto palazzo offre stabilità nel­le sue mura, comodità nelle sue stanze ed eleganza specialmente in quelle del primo piano… Fra queste meritano spe­ciale considerazione la sala ed il salotto da ricevere per le belle pittura che ador­nano le pareti; ma il pavimento a smalto lustrato e figurato a disegno con pietra di vari colori che presenta la sala, accresco­no alla sala stessa un pregio, che la pari­fica alle sale dei palazzi signorili delle cit­tà… Le finestre del piano terreno sono guarnite di inferriate esternamente e di serramento a due imposte di cristalli e scurini internamente. Quelle del piano su­periore sono provvedute d’imposte a cri­stalli e scurini e di persiane; quelle del pri­mo piano a tetto hanno semplicemente le imposte a cristalli e scurini… Al piantario del nuovo estimo della Comunità di Po­marance il suddetto palazzo con orto è fi­gurato dalle particelle n° 315 e 316 della sezione C accese a conto di Biondi Bar­tolini Bartolino e Giovanni del dottor Giu­seppe…”.

Stato attuale del Palazzo Biondi Bartolini indicato alla particella n° 417

Nella relazione dettagliata è annotato che manca il documento del livello corrispo­sto alla Canonica per l’occupazione del suolo destinato alTampliamento dell’edi­ficio avvenuto agli inizi dell’ottocento e che comportava una spesa annua di lire 45,20.

Nel periodo tra il 1863 ed il 1868 Bartoli­no e Giovanni ampliarono i possedimen­ti immobiliari nelle immediate adiacenze della loro abitazione. Infatti in una rela­zione sul “patrimonio attivo e passivo” dei fratelli Bartolini e Giovanni del 22 maggio 1863, confrontato con quello del 10 novembre 1868 risulta, nella voce “ac­quisti di immobili” un pagamento a Giu­seppe Vadorini per “vitalizio di lui casa”, di lire 552. Egli infatti cedette i propri pos­sedimenti (particelle 315 e 314 del Cata­sto Leopoldino) in cambio di una rendita vitalizia. Nell’acquisto come si può osser­vare dalla planimetria catastale (1823-1898) era compresa anche la torre cilindrica o “baluardo” detta del “Tavo- ne” ed un appezzamento di terreno lun­go la via “dei Fossi”.(19)

Dopo la morte del cavalier Bartolino Bion­di Bartolini avvenuta il 28 giugno 1900 le proprietà rurali nonché la casa paterna pervennero, con testamento registrato a Volterra il 20 dicembre 1900, al fratello Giovanni Biondi Bartolini (1838-1904). Da questi, per discendenza diretta fu eredi­tata dal di lui figlio Giulio (1877-1918) dal quale sono pervenute all’attuale Giovan­ni Biondi Bartolini.

Jader Spinelli

NOTE:

  1. Archivio di Stato di Pisa; Planimetria cata­stale della Toscana (Catasto Leopoldino); Uf­ficio fiumi e fossi: Comunità di Pomarance Sez. C n° 2; Scala 1: 1250; 6 maggio 1823.
  2. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 430 (estimo 1630) c. 115 r.
  3. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 430 (estimo 1630) c. 289 v.
  4. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 432 (estimo 1716) c. 2 r.
  5. Dott. Giovan Battista Biondi: “La famiglia Roncalli a Pomarance” in La Comunità di Po­marance 1969.
  6. Biblioteca Guarnacci Volterra, estimo 1716 c. 198 r.
  7. Biblioteca Guarnacci Volterra, estimo 1716 c. 206 r.
  8. Archivio Storico Comunale Pomarance F. 378.
  9. Biblioteca Guarnacci Volterra; estimo 1716 c. 195 r., v.
  10. Archivio Biondi Bartolini (non catalogato)
  11. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 378. Il vicolo “Dietro il Canto”, come è pos­sibile osservare dalla piantina catastale del 1823, lambiva il palazzo Biondi (attuale Bion­di Bartolini) indicato alla particella catastale 316 e il palazzo del Can.re Incontri (part. 448); poi del Panicacci, che era quel grande edificio po­sto nel centro dell’attuale Piazza de Lardarel. Edificio distrutto a carico e spese del Conte de Larderei nel 1860 al quale fu dedicata l’omo­nima piazza.
  12. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 126 c. 123 v.
  13. Archivio Storico Comunale di Pomarance F.127 c. 30 v.
  14. Archivio Storico Comunale di Pomarance F.127 c. 97 r.
  15. Biblioteca Guarnacci Volterra, estimo 1716 c. 195 r.
  16. Archivio Storico Comunale di Pomarance F. 130 c. 13 (1800).
  17. Archivio Biondi Bartolini. Da alcune noti­zie orali del Sovrintendente ai monumenti P.G. Biondi, riportatimi dallo storico Don Mario Boc­ci, pare che durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio, fossero state rinvenute diverse tombe etrusche anche del periodo arcaico. Ne è testimonianza nelle vicinanze una tomba a quattro celle sotto la Canonica databile attor­no al IV secolo A.C.
  18. Gli affreschi che si trovano dipinti sui sof­fitti delle stanze nobiliari e soprattutto le gran­di pitture murali delle sale da ricevimento so­no molto simili, per tecnica e soggetto, a quelle dell’ex Palazzo Ricci, già dei Biondi nel 1800. La parentela che esisteva tra i proprietari dei due palazzi favorì certamente una commissio­ne agli stessi decoratori e pittori per gli abbel­limenti interni. Il Palazzo ex Ricci, attualmen­te di proprietà comunale, fu di proprietà di Francesco Biondi, fratello di Giuseppe che vi andò ad abitare dopo il 1785 quando formò un proprio nucleo familiare. Attorno al 1826 que­sto immobile era assegnato ai fratelli Giovan Carlo e Luigi Biondi del fu Francesco Biondi. In una delle sale affrescate di questo palazzo, utilizzata impropriamente come ambulatorio U.S.L., è impressa una data molto importante per datare l’esecuzione di questi affreschi e quelli conservati in palazzo Biondi Bartolini. Questa è scritta in numeri romani sopra un ca­minetto incassato nel muro e riporta l’anno 1810.
  19. Con la costruzione della nuova Piazza de Larderei nel 1860, l’immobile dei Biondi Bar­tolini accatastato con la particella 316 aveva l’entrata principale indicata al numero civico 44; secondo il “Registro dei possessori di fab­bricati” del 1878 e del 1889 il suo valore era di lire 168, 75.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

A PROPOSITO DEL PITTORE CERCIGNANI

L’ESTIMO DELLA SUA FAMIGLIA, POSTE E PASSAGGI DI PROPRIETÀ

Tra le più famose personalità che si so­no distinte nel campo artistico a Poma­rance, certamente trova collocazione un pittore vissuto nella seconda metà del cin­quecento: Niccolò Cercignani. Meglio conosciuto con lo pseudonimo “Pomarancio il Vecchio”, per distinguerlo dall’altro “Pomarancio”, Cristofano Ron­calli che la tradizione vuole come suo al­lievo, ebbe i suoi natali nell’antico castello di “Ripomarance tra il 1530 – 1535. La sua famiglia originaria di Cercignano (Col­le vai d’Elsa) si era stabilita in loco dai pri­mi del XVI secolo e risultava possedere diversi beni nella corte di Ripomarance”. Formatosi artisticamente in ambito fioren­tino e collocato in quella corrente pittori­ca denominata “Manierismo” svolse la sua attività artistica prevalentemente nel Lazio e nell’Umbria; in Toscana lavorò so­lo negli ultimi anni della sua vita nella cit­tà di Volterra anche se a Pomarance gli è attribuita una Pala d’Altare conservata nella Chiesa Parrocchiale ed un pregevo­le volumetto di Disegni che è stato ogget­to di una Mostra nel dicembre 1988.

Ben poco sappiamo sulla vita di questo autore antecedentemente alla sua parten­za da Pomarance. Fonti storiche afferma­no che verso il 1564 il Cercignani lasciò Ripomarance per recarsi in Umbria dove si sposò con Teodora Caterucci di Città della Pieve dalla quale ebbe possessi ed alcuni figli tra i quali Antonio che fu abile pittore come il padre. Prendendovi stabi­le dimora il 31 luglio dello stesso anno, nominò procuratore, per alcuni possedi­menti in Pomarance, il notaio Alberto Lu­pivecchi. Infatti nonostante il suo trasfe­rimento in Umbria, il Cercignani risulta­va possedere ancora alcuni beni, già ci­tati da Don Mario Bocci (1), che furono venduti poco prima della sua morte a cer­to Giusto Cheli di Pomarance. Da uno stu­dio accurato sul documento d’estimo con lo stesso Don Mario Bocci, decifrando l’in­tricata grafia del Cancelliere del tempo nelle varie annotazioni dei cambiamenti di proprietà, sono scaturiti nuovi elementi che contribuiscono, se non altro, a fare un po’ di luce sul passato di questo no­stro artista.

Ben poco sappiamo sulla vita di questo autore antecedentemente alla sua parten­za da Pomarance. Fonti storiche afferma­no che verso il 1564 il Cercignani lasciò Ripomarance per recarsi in Umbria dove si sposò con Teodora Caterucci di Città della Pieve dalla quale ebbe possessi ed alcuni figli tra i quali Antonio che fu abile pittore come il padre. Prendendovi stabi­le dimora il 31 luglio dello stesso anno, nominò procuratore, per alcuni possedi­menti in Pomarance, il notaio Alberto Lu­pivecchi. Infatti nonostante il suo trasfe­rimento in Umbria, il Cercignani risulta­va possedere ancora alcuni beni, già ci­tati da Don Mario Bocci (1), che furono venduti poco prima della sua morte a cer­to Giusto Cheli di Pomarance. Da uno stu­dio accurato sul documento d’estimo con lo stesso Don Mario Bocci, decifrando l’in­tricata grafia del Cancelliere del tempo nelle varie annotazioni dei cambiamenti di proprietà, sono scaturiti nuovi elementi che contribuiscono, se non altro, a fare un po’ di luce sul passato di questo no­stro artista.

Nell’Estimo del 1571 (2) è annotato Nic­colò di Antonio Cercignani “dipintor” con gli infrascritti beni:

“Un luogo o vero Podere con casa per il lavoratore con terre lavorative arborate vi­gnate et sode luogo detto il Docciarello a 1° via; 2° Martino di Giovanni di Marti­no, 3° Batista di Giovanni Antonio Pelle­grini, 4° Comune di Ripomaranci et altri confini… tiene a linea dalla Cappella di Sancto Antonio nella Chiesa di San Mi­chele di Volterra… ne paga lire stimato L. 1300. A di Novembre (15)96 levato e po­sto a Simone di Bartolo a carta 275 per averlo compro per me Bastiano Ghetti Cancelliere… etc… paga lire…

Una vigna d’opere cinque incirca in det­ta corte luogo detto Cardeta a 1 ° via, 2° Bernardino di Piero Cheli, 3° Meo di Pie­tro d’Agnolo, 4° Domenico di Marsilio Fantacci stimato L. 100

Tutte queste poste erano sotto la posta del detto Niccolò in questo a 221 e furo­no levate e poste a Batista Corbolini in questo a 54 per permuta feceno fra di lo­ro et hora si ritornano al detto Niccolò per haverli riavuti per me Bastiano Ghetti Cancelliere…

A di 20 di Gennaio 1596 levata questa po­sta e messa a Paulo di Giusto Cheli in questo a 135 per haverla compra rogato Ser Andrea Sorbi per me Bastiano Ghet­ti Cancelliere…

Mentre la proprietà della vigna di Carde­ta risulta pervenutagli in eredità dal pa­dre Antonio, assieme ad una casa posta all’interno di Pomarance, il podere del Docciarello (3) fu acquistato posterior­mente alla sua partenza da Ripomaran­ce, quando cioè si trovava già a Città della Pieve. Infatti da un Estimo del 1544 il pa­dre di Niccolò Cercignani, chiamato An­tonio e suo fratello Pagolo, figli di Nicco­laio di Pagolo (Cercignani) possedevano, oltre a diversi appezzamenti di terreno, anche una casa posta in “Piano” confi­nante con il Cimitero e la Compagnia dei­la Vergine Maria, ed una vigna posta in Cardeta, che furono nella divisione dei due fratelli assegnati ad Antonio. (4) La parte dei beni spettanti a Pagolo fu venduta il 29 maggio 1559 a Giovanni di Damo. (Data che potrebbe indicare la par­tenza della famiglia da Pomarance e quin­di dello stesso Niccolaio per l’Umbria). Questi due possedimenti, cioè la casa in Piano e la vigna di Cardeta (5) sono an­notati anche nell’estimo del 1571 alla car­ta 221 r. in cui è indicato:

Niccolaio di Antonio di Niccolaio Cerci­gnani con i seguenti beni: una casa in det­to Castello alla Pieve a 1 ° via, 2° Gio Pie­ro e Bernardino di Paulo Chaini, 3° Beni della Compagnia di Sancto Giovanni, 4° Beni della Compagnia della Vergine Ma­ria Stimato L. 150

Una vigna di opere cinque incirca in det­ta corte luogo detto Cardeta confinata a

1° via, 2° Bernardino di Piero Cheli, 3° Meo di Piero d’Agnolo, 4° Domenico di Marsilio Fantacci Stimato L. 100

In fondo alla stessa carta è trascritto an­che l’acquisto, da parte del Cercignani, del podere “il Docciarello” il quale risul­ta essere stato comprato da maestro Ulivieri di maestro Giuliano Contugi il 29 aprile 1586. (6)

Podere “Il Docciarello” (1964).

Il 3 luglio 1588 tutte queste proprietà pas­sarono nuovamente, per permuta con lo stesso Niccolò Cercignani, a Batista di Michelagnolo Corbolini il quale cedette la casa, dove forse nacque il pittore, alla Compagnia della Misericordia. (7) Questa casa, nell’estimo di Batista Cor­bolini è segnalata con le medesime confinazioni di cui sopra, ma è indicata spe­cificatamente posta “…in detto castello in Piano alla Pieve…”.

ROMA. S. STEFANO ROTONDO
Deambulatorio.
(Autoritratto di Nicolò?)

Nel 1590 il pittore Niccolò Cercignani tor­nò nella sua terra d’origine per circa un triennio dove dipinse a Volterra alcune pale d’Altare, affreschi e dipinti per le più eminenti famiglie del luogo.

Nel marzo di quell’anno infatti le prorpietà di Docciarello e Cardeta furono nuova­mente permutate dal Corbolini allo stes­so pittore e la sua presenza in Ripomarance è confermata anche qualche tem­po dopo, quando il ‘‘Maestro Niccolò di Antonio Cercignani”, fa da padrino a Mi­chelangelo di Pietropaolo Santucci (8 lu­glio 1580).

Dopo il ritorno definitivo a Città della Pie­ve, nel 1594, dove ricevette la cittadinan­za onoraria, i beni di Pomarance furono venduti a Giusto Cheli nel gennaio 1596 e successivamente acquistati da Simone di Bartolo di Acquaviva. La vendita defi­nitiva delle suddette proprietà coincise da lì a poco, con la morte del grande “Mae­stro” che avvenne nell’ottobre dello stes­so anno.

Jader Spinelli

NOTE:

  • Don Mario Bocci – NOTIZIARIO PAR­ROCCHIALE – 1987
  • Archivio Storico di Pomarance F. 428 C. 226 r.
  • Il nome stesso Docciarello sta ad indi­care una sorgente di acqua potabile di limitata portata usata per uso domesti­co fin dai tempi antichi e che si trovava nei pressi deH’omonimo podere II Doc­ciarello. Questo casolare era ubicato sulla via detta dei Fontini nei pressi del­l’attuale Ambulatorio Comunale sul luo­go dove è stata edificata l’abitazione del sig. Giovanni Rasoini. Nei pressi, un tempo vi era scavata nella roccia tufa­cea, una Ghiacciaia che serviva per mantenere durante l’anno il ghiaccio al- l’Ospedale di Pomarance.
  • Archivio Storico di Pomarance F. 427 c. 190 r.
  • Cardeta è un appezzamento di terre­no nei pressi dei poderi Lucoli e Arbiaia.
  • Archivio Storico di Pomarance F. 428 c. 301 r.

Archivio Storico di Pomarance F. 428 c. 55 r. L’abitazione del Cercignani do­veva essere ubicata vicino all’attuale Battistero in prossimità dell’ex palazzo Burroni dove nacque tra l’altro anche la madre del grande anatomico pomarancino Paolo Mascagni.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

DISEGNI DI NICOLÒ CERCIGNANI

MOSTRA FOTOGRAFICA NEL PALAZZO DELL’EX PRETURA

La mostra del “Cercignani”, che si è svolta nel dicembre u.s., ha desta­to curiosità, stupore e ammirazione, nei visitatori forestieri più che pomarancini. Molti gli intenditori, i quali si sono soffermati a lungo apprezzando le opere del Cercignani, sia quelle ar­chitettoniche che quelle decorative valutando sia quelle in seppia che le altre in colore. Elogiando l’ambiente adatto ed il cu­rato allestimento, iniziando dagli ele­ganti inviti distribuiti, agli addobbi di tipo robbiano, adattissimi all’occasio­ne, al catalogo illustrato con le dovu­te presentazioni. Un insieme che era ben intonato sia all’oggetto presenta­to sia all’epoca risalente al palazzo che la ospitava con il suo elegante sti­le dei tempi del Vicariato.

Studio di Costume Teatrale

Chi poi ha potuto assistere all’aper­tura preparata presso l’Hotel “IL POMARANCIO” arricchito dalla presen­za delle comparse in costume delle rappresentanze rionali, e con la ela­borata presentazione officiata dal Prof. Belardinelli, studioso del nostro concittadino, avendo in mano molte riproduzioni fotografiche del pittore ed altrettante notizie sui luoghi dove il Cercignani ha lavorato lasciando le sue tracce di buon pennello. Comunque l’iniziativa, che questa As­sociazione Turistica “PRO POMA­RANCE” ha proposto, ha raggiunto lo scopo prefisso mettendo in movi­mento gli esperti del ramo per l’attri­buzione dei particolari di studio di questo pittore del 500, un po’ accan­tonato, e non molto conosciuto. I ri­sultati si vedranno nel tempo, l’essen­ziale è che questa schiera di conosci­tori tragga da questa mostra un tipo di lavoro che rivalorizzi il Pomarancio. Quest’anno era, potremmo dire, l’an­no del Pomarancio, sia per il Cerci­gnani, sia per il suo allievo, il Roncalli. Per il Roncalli la sua presentazione iniziò con l’apertura del complesso al­berghiero a Lui intitolato inserito nel­la via omonima. Poi il PALIO STORI­CO DELLE CONTRADE, che nel set­tembre u.s. aveva per tema argomen­ti di storia locale e che inevitabilmen­te venne proposto addirittura da due rioni e così ben presentati da far vin­cere al Rione GELSO il premio in pa­lio trattando “IL NOSTRO POMARANCIO” articolato su dei quadri vi­venti dove i figuri si posizionavano su dei disegni incompleti sino a formar­ne l’immagine completa.

La visita dei rappresentanti della So­printendenza ha esposto i suoi pro­getti riguardo ad una riproposta di queste riproduzioni fotografiche con la possibilità di affiancarvi anche gli originali, e per dar ancora più risalto e valore alla cosa l’inserimento nello stesso ambiente di due dipinti, sem­pre del Cercignani, che si trovano momentaneamente presso la Pinaco­teca Comunale di Volterra per i re­stauri di cui abbisognavano.

La curiosità di questi particolari che si trovavano da svariati anni presso l’Archivio Storico Comunale, riposti sin dal lontano 1925, anno in cui il sin­daco di allora Sig. Onorato Biondi aveva acquistato ad un’asta di Mila­no è stata finalmente messa sul piat­to d’argento e posta all’attenzione de­gli studiosi.

Restiamo in attesa di eventuali svilup­pi riguardo alla promessa della So­printendenza ed all’ulteriore apporto della Amministrazione Comunale che si espresse di unanime accordo per questa iniziativa e disposta affinchè tutto potesse rendere onore ad un cit­tadino illustre. Noi dell’Associazione “PRO POMARANCE’’ saremmo ben lieti e disposti ad adoperarsi in ogni modo perchè questa riproposta ven­ga ancora ampliata e maggiormente divulgata in modo che possa essere iniziato uno studio didattico rimasto incompleto.

Studio di Calzare

Augurandoci che presto si possa ri­vedere aperta questa ricca presenta­zione e che si renda possibile trasfor­marla in mostra permanente con apertura programmata.

Il Consiglio tutto, dopo quanto sopra, si dichiara soddisfatto per la riuscita di questa iniziativa che è stata per l’Associazione Turistica un vero suc­cesso. Perchè questa mostra riuscis­se nel suo intento era necessario l’ap­porto esterno, e grazie all’Amministrazione Comunale che si è prodiga­ta mettendoci a disposizione un am­biente creato ad hoc ed offrendoci ospitalità per tutto il mese dell’aper­tura. Un sentito ringraziamento quindi al Sindaco ed al suo seguito che si sono dimostrati sensibili a tale inizia­tiva.

Un ringraziamento tutto particolare dobbiamo farlo al Prof. Belardinelli che si è dimostrato disponibile sin dal primo momento per aiutarci in que­sta impresa di ricerca esterna riguar­do al nostro Cercignani, dimostrando­ci ancor di più quanto questo cittadi­no fosse stimato negli ambienti dove operò. Oltre ai ringraziamenti, a que­sto egregio signore, dobbiamo fargli le più sentite congratulazioni per que­sta eccellente esposizione.

Giorgio Fanfani

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

INTITOLAZIONE DELLA SCUOLA MEDIA DI POMARANCE A PAOLO MASCAGNI

Sabato 5 giugno 1993 nei locali dell’Oratorio di Pomarance, alla presenza delle massi­me autorità locali è avvenuta l’intitolazione della scuola media di Pomarance che è stata in­titolata “ Scuola Media Paolo Mascagni”.

La scuola, che ha subito varie ristrutturazione ed ampliamenti durante questi anni, conser­va ancora il nucleo originario costruito nei pri­mi anni del ‘900 ed utilizzato anticamente co­me scuola elementare maschile e femminile.La scuola era originariamente dedicata al gran­de statista pomarancino Marco Tabarrini effi­giato in una scultura bronzea, in alto sulla fac­ciata della scuola, opera di Luigi Bonucci det­to il Falugi. (Oggi nell’ufficio del Sindaco) Negli anni sessanta la scuola elementare fu tra­sferita nei pressi della villa dei Collazzi e la scuola, utilizzata prima quale sede dell’ Istitu­to Tecnico Industriale ed in seguito come Scuo­la Media, era praticamente senza denomina­zione. Dedicata al grande anatomico Paolo Ma­scagni, che fu uno dei primi a scoprire l’acido borico nei Soffioni di Montecerboli, i suoi stu­di furono messi in pratica da Francesco de Lar­derei, fondatore dell’industria Boracifera di Lar­derello, ed al quale è stata di recente intitola­ta la Scuola media di Larderello.

  1. ragazzi della Scuola media di Pomarance hanno allestito nell’occasione uno spettacolo teatrale dedicato a Paolo Mascagni e realiz­zato alcune ricerche storiche che hanno ispi­rato una deliziosa filatrocca ed il soggetto per una storia a fumetti dedicata al grande anato­mista.

Dedicato a Mascagni

Da Aurelio ed Elisabetta in un lontano dì nac­que Mascagni, forse…in un freddo giovedì. Era Gennaio e la neve fioccava, fioccava; ma su Pomarance una stella brillava.

  1. 1735 iniziava il suo cammino e Paolo Masca­gni correva incontro al suo destino.

Papà Aurelio non viveva in grande agiatezza per cui mandò Paolo dall’Abate Casamarte… con fierezza.

L’Abate era probabilmente un pò noioso e mancava di fantasia ma a Paolo interessava­no la Scienza e l’Anatomia.

Dolce era Pomarance sì, ma paese piccolo e sperduto così Siena dette a Paolo, adolescen­te, il benvenuto.

Siena era grande e c’era pure l’università e li Paolo superò gli esami con estrema facilità. A soli venti anni in Medicina sì laureò, ma il suo mestiere mai esercitò.

Sapete a …Paolo non interessavano le belle ragazze.

A 22 anni infatti è dissertore e seziona cada­veri a tutte le ore!!!

Che progressi da quel lontano dì quando lo stu­dio sui testi classici quasi finì!

Era il 1400 quando l’Anatomia iniziava il suo lungo cammino che fu poi brillante illuminato dallo scenziato pomarancino.

Ma a Paolo ritorniam, che dal Granduca Leo­poldo fu chiamato e professore di Scienze e di Anatomia fu nominato!

Il vecchio maestro Tabarrini se ne andò e Pao­lo, il giovane, il nuovo posto occupò.

E il prof. Mascagni iniziò subito i suoi studi sui vasi linfatici non ancora conosciuti.

Certo anche i Francesi detterto un grande aiu­to, ma solo da Paolo un concreto risultato fu ottenuto.

Dissero i Francesi:

‘‘Determiner et demontrer le sistème des vaisseaux lymphatiques”

e Paolo trovò la proposta très chic!

E cominciò a lavorare, lavorare duramente per ottenere un risultato altrettanto eccellente.

Quattro lunghi anni, trecento disserzioni… e fi­nalmente Paolo ha risultati buoni.

Sui vasi linfatici scrive pure un prodromo co­sicché da tutti è considerato un grand’ uomo. È il 1787 e Paolo completa l’opera con gran­de maestria: ‘‘Vasoruma lymphaticorum cor­pus humani historia et iconografia” e, oltre che esperto dissestore, si scopre anche abile di­segnatore: 27 tavole sul corpo umano fa rea­lizzare e l’ammirazione di tutta Europa riesce a catturare.

Grande era di queste il valore artistico e scien­tifico, ma, per gli inesperti, sarebbe stato me­no complicato un geroglifico!

Disse Mascagni: “Il sistema linfatico scorre ovunque nel corpo in un momento e ad esso è legata la funzione dell’assorbimento”.

Nei trenta anni successivi Paolo cominciò i pre­parativi: volle scrivere la “Grande Anatomia” che fu poi eseguita con sublime maestria.

Ciro Santi e Antonio Serantoni lavoravano da Domenica al Lunedi per fare belle tavole su ra­me che piacessero a tutto il reame. Com ’eran belle… in bianco e nero, a colori… facevan gola a tutti i professori!

Ma il nostro Paolo faceva tante altre cose talune anche estrose.

La chimica, la fisica e l’agricoltura non gli fa­cevan di certo paura e la geologia era la sua più folle pazzia.

L’Inferno della futura Larderello a lui piaceva più di un gioiello e tra i fumi ed il vapore egli, imperterrito, studiava a tutte le ore.

Si preoccupò persino di estrarre l’acido borico, la qual cosa in futuro sarebbe stata un evento storico!

Ma i capitali… mai trovò così l’idea abbandonò.

La Rivoluzione fu tumultuosa:

LIBERTÈ, EGALITÈ, FRATERNITÈ… ca irà ed a Mascagni divampano idee di Libertà. Ferdinando III, duca di Lorena, nel 1779 se ne va e Mascagni a Siena aderisce alla nuova Mu­nicipalità,rivelandosi così non solo grande “ar­tista”, ma anche convinto politico attivista.

Ma voi sapete che mutevole è la storia umana e che alcuni eventi capricciosi talvolta emana: come il mese di marzo, come un venticello pri­maverile che ti scompiglia i capelli e poi va a scomparire.

Eh sì!… È proprio il Fato che domina la vita de­gli uomini, delle cose e degli animali, soffocan­do a volte anche le idee più geniali.

La Storia è un eterno fluire e rifluire per anda­re incontro all’avvenire.

Ebbene… i Fancesi, sconfitti, sgomberavan la regione e dei Toscani, fedeli al Granduca, vio­lenta fu la reazione.

Mascagni di “giacobinismo” fu accusato ed il 28 Giugno 1779 a Siena fu arrestato.

Gli intellettuali, morti per i loro pensieri ci in­segnano che le idee fanno la storia di oggi e di ieri.

Tanta fatica hanno durato, ma, grazie a loro, qualcosa è cambiato!

Nel 1800… di nuovo i Francesi tornan sulla sce­na e Mascagni, libero, abbandona Siena.

Dalla Regina Maria Luisa, dopo un anno, a Fi­renze fu inviato e lì proseguì il suo importate operato.

Sssss… in realtà la sovrana a Firenze lo volle portare per farlo elegantemente vigilare!!!

Ma la morte purtroppo arriva per tutti e, come spesso avvien, anche Mascagni non potrò ve­der pubblicati i suoi “frutti”.

Postuma fu pubblicata la “Grande Anatomia, uno dei suoi più egregi lavori, oggetto di am­mirazione e di studio da parte di insigni pro­fessori.

Il 20 Ottobre 1815 a Castelletto Paolo Masca­gni morì, forse pensando ai suoi passati dì. Forse come Roncisvalle Orlando il Mascagni cercò di scampar la morte duellando o forse , avendo manipolato tante “anime morte” Pao­lo capì che la fine della sua vita era ormai alle porte.

Certo la sua mente non perì, ma brillante e de­duttiva, volò verso una nuova prospettiva.

Se le tavole di Mascagni, dal vero, volete am­mirare a Pisa, di corsa, vi dovete recare.

Noi vi diciam ohe sono nel bel mezzo della città alla Facoltà di Medicina dell’università.

Noi l’abbiam viste e vi garantiamo che esse descrivon particolareggiatamente il corpo umano. Si trovan collocate in un lungo corridoio: in ve­rità il luogo è un pò ombreggiato, ma la loro bellezza lo rende artisticamente colorato.

Se ben ci pensiam, Mascagni un messaggio ce l’ha dato;

è quello che già Dante aveva sottolineato: “Fatti non foste a viver come bruti,ma per se­guir virtute e canoscenza”.

Ma… adesso basta con le dotte citazioni, di Ma­scagni certamente ricorderem le grandi azioni! A lui la nostra scuola abbiam intitolato perchè il suo nome, dalle nuove generazioni, sia sem­pre ricordato.

È tardi.

Poniamo fine a questa filastrocca semiseria scritta per star insieme e per raccontare… per comunicare e per scherzare…

per imparare e per divertire…

e tutti insieme gioire.

È stato un gioco, una scommessa, una gran vo­glia di fantasia, per salutare tutti con simpatia.Scuola Media di Pomarance Classe Seconda Sez. A. – Anno scolastico ’92-93

MONS. VEZIO DELL’OMO

RICORDO NEL 5° ANNIVERSARIO DELLA MORTE

Da tempo questa rivista “La Comunità di Pomarance” ha preso la bella iniziati­va di ricordare i nostri paesani più signi­ficativi per riproporli a chi li ha conosciuti e per farli conoscere ai nostri ragazzi e giovani che li sentono nominare.

Fra queste persone ha un posto di rilievo la figura di Mons. Vezio Dell’Omo dece­duto il 15 settembre 1984 dopo breve ma­lattia, a seguito di una operazione chirur­gica.

Ma chi era Mons. Vezio? La risposta più scontata e immediata mi sembra questa: era un nostro concittadino, un autentico e vero pomarancino, molto attaccato al paese dove era voluto tornare ad abitare. Mons. Vezio era nato, infatti, a Pomaran­ce il 18 giugno 1910 figlio di Giovanni e di Dei Teresa. A 12 anni era entrato nel Seminario Vescovile di Volterra ove il 17 marzo 1934 fu ordinato sacerdote da Mons. Dante Maria Munerati. Il giorno successivo, domenica 18 marzo 1934, ce­lebrò la sua prima Messa Solenne all’al­tare maggiore della nostra Chiesa Parroc­chiale attorniato da familiari e paesani. Proprio perché molto attaccato alla sua Chiesa ed alle tradizioni, allorché scade­vano i cinquanta anni di vita sacerdotale mi chiese espressamente di poter cele­brare la Santa Messa solenne delle sue NOZZE D’ORO SACERDOTALI proprio all’altare maggiore, nella forma liturgica con la quale l’aveva celebrata in quel pri­mo giorno.

Appena sacerdote, il 23 maggio 1934 fu nominato parroco di Sant’lppolito ove, ol­tre al ministero sacro, svolse la funzione di maestro. Gli anziani di quei luoghi ri­cordano ancora di aver appreso le prime nozioni da questo sacerdote-maestro.

Con Bolla Vescovile del 17 marzo 1942, Mons. Vezio fu trasferito alla Parrocchia di Sasso Pisano ed infine, il 3 aprile 1951, fu nominato Priore di Sant’Agostino a Volterra. In tale Parrocchia è rimasto fino al 1 settembre 1980: il Vescovo aveva ac­cettato le dimissioni a seguito delle sue precarie condizioni di salute. Ma il dover lavorare per il Signore ardeva in lui. Per questo motivo dal 1981, fino al momento della sua morte, prestò servizio come Vi­cario Parrocchiale, nella limitrofa Parroc­chia di Libbiano ove ha profuso tempo, energie e passione per le opere artistiche li presenti che portò a restaurare.

Durante il periodo volterrano. Mons. Vezio fu chiamato a svolgere altri incarichi oltre a quello di parroco. Fu insegnante nel Seminario Diocesano (ricordo di aver ricevuto lezioni da lui nella scuola media); fu assistente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica e degli Uomi­ni di Azione Cattolica. Il 31 luglio 1962 di­venne Direttore dell’ufficio Amministrati­vo Diocesano, un incarico che ha svolto sempre con grande impegno e scrupolo­sità perché, diceva, le cose che ammini­stro non sono mie, ma della Chiesa e quindi dobbiamo non solo conservarle, ma migliorarle.

Per il suo impegno e donazione alla Chie­sa, il 31 ottobre 1958 fu associato al Ca­pitolo della Cattedrale di Volterra con il titolo di Canonico Primicerio e, a seguito della sua rinuncia a Priore di Sant’Ago­stino, fu elevato alla dignità di Canonico Proposto. Con questa onorificenza tornò in mezzo a noi venendo ad abitare con i suoi pa­renti in Via XXV Aprile, dando una mano anche in Parrocchia per le Confessioni e le Sante Messe.

Mons. Vezio che da piccolo era tanto vi­vace, da adulto era divenuto di una pre­cisione e puntualità eccezionali. Si pote­va stare tranquilli che quando diceva una cosa, la portava a termine.

Ma il suo carattere “pomarancino” era ri­masto ben vivo anche sotto la veste tala­re. Infatti, con fare e dire arguti, narrava episodi “di quei tempi” e ricordava i “vec­chi pomarancini” con ilarità e con i so­prannomi che allora, ma anche oggi, si usavano.

Il “suo Pomarance” lo aveva sempre nel cuore e per questo ha voluto ritornarvi e qui è stato sepolto nella Cappella del Ci­mitero accanto al suo Proposto Don Car­lo Balsini e a Mons. Giulio Paoletti.

Sulla tomba, semplice come era di carat­tere, vi è una sua fotografia rivestito dei paramenti sacerdotali e una breve scrit­ta: MONS. VEZIO DELL’OMO, CANONI­CO DELLA CATTEDRALE.
Una vita spesa per la Chiesa Volterrana, un attaccamento alla sua Chiesa Pomarancina.

Pontificale di S.E. Card. Luigi Capello

Desidero terminare questo articolo con un ricordo personale. Appena fui eletto Pro­posto di Pomarance, mentre ancora nes­suno conosceva la mia nomina, mi per­venne una sua lettera con la quale, da Po­marancino, dava il benvenuto al suo nuo­vo Proposto. Quel gesto mi fece impres­sione e piacere.

Ora dal Cielo, con il suo fare arguto e fa­ceto, certamente ci ricorderà tutti, nome per nome e noi desideriamo ricordarlo an­cora. a distanza di cinque anni dalla sua morte, con la gioia sul volto come lo ve­demmo nel giorno delle sue NOZZE D’O­RO SACERDOTALI, mentre, con animo giovanile e lieto salì i gradini dell’altare di San Giovanni Battista che già gli prepa­rava la salita ai gradini della gloria eterna.

Don Piero Burlacchini

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

MONS. GIULIO PAOLETTI

10° ANNIVERSARIO DELLA MORTE

Il 15 maggio 1979, Mons. Giulio Pao­letti, Proposto da 26 anni della nostra Par­rocchia San Giovanni Battista in Poma­rance, decedeva presso Albinia in un in­cidente stradale insieme all’autista Spru­gnoli Cassiano.

La notizia del tragico incidente giunse al Comando dei Carabinieri nel primo pome­riggio di quel giorno provocando in tutti i pomarancini dolore e sgomento.

Ma chi era Mons. Giulio Paoletti?

Nato a Casole d’Elsa il 24 marzo 1913, fu ordinato sacerdote il 24 novembre 1935 da S. E. Mons. Dante Maria Munerati. Dapprima parroco di Collalto dal 1936 al

  1. settembre 1937, in tale data fu trasfe­rito a Pignano dove rimase fino al 13 mar­zo 1946. Successivamente andò a Bibbona dove esercitò il suo ministero sacer­dotale fino al 13 maggio 1953, allorché venne a Pomarance come Proposto.

È rimasto tra noi fino al momento dell’in­cidente del 15 maggio 1979, mentre si re­cava all’Argentario a visitare il luogo ove avrebbe desiderato portare i ragazzi con le loro famiglie per la consueta gita par­rocchiale.

Sono trascorsi dieci anni da quel doloro­so evento e credo sia giusto e doveroso ricordare alla Comunità intera questo sa­cerdote che ha dedicato tante energie per

  1. bene di Pomarance.

Mons. Giulio Paoletti: per i nostri bambi­ni più piccoli è una persona che viene lo­ro ricordata da noi grandi come colui che ha costruito l’Oratorio Parrocchiale; per i giovani, adulti e anziani é una persona con la quale si sono condivisi tanti mo­menti lieti, quali battesimi, cresime, pri­me comunioni, matrimoni e momenti tri­sti, quali funerali ed altri eventi dolorosi. Per tutti, Mons. Paoletti è stato un punto di riferimento. Infatti Monsignore ha ama­to Pomarance ed ha dato tutto se stesso per il bene e la crescita di questo paese. Ha vissuto in mezzo a noi con semplicità di vita, senza imporre, ma proponendo a tutti il messaggio evangelico con uno sti­le di vita fatto di cose semplici e piccole. Un richiamo, credo, che valga ancor og­gi per tutti noi.

Ricordare un Sacerdote, il Proposto, Monsignore, come ormai tutti lo chiama­vano, è ricordarlo come prete fedele a Dio, fedele alla Chiesa, fedele al suo po­polo.

A questo popolo ha lasciato la sua testimonianza, ha lasciato come segno tan­gibile l’Oratorio Parrocchiale dedicato al­l’apostolo dei giovani San Giovanni Bo­sco.

Già, i giovani. Di lì sono passati e passa­no ancor oggi i nostri bambini, ragazzi e giovani. Mons. Paoletti, confidando nell’aiuto di Dio, nel maggio 1958 vi pose la prima Pie­tro. Cinque anni di lunghe fatiche, di preoccupazioni, ma finalmente nel 1963 l’Oratorio Parrocchiale fu pronto e spalan­cò le porte ai nostri giovani.

Posa della prima pietra Oratorio Don Bosco 11/5/958 sono riconoscibili Biondi Dr. Pietro, Bellini Francesco, Mons. Paoletti e Mons. Bergonzini Vescovo di Volterra

Da 26 anni in questo luogo, la gente di Pomarance si ritrova per le più svariate ragioni: da quelle pastorali ed educative, a quelle formative e di divertimento. Mons. Paoletti godrà certamente nel ve­dere che la sua opera continua a portare il frutto.

Molte altre cose si potrebbero dire di Mon­signore: la cura dei malati, l’attenzione al­le realtà del paese, le A.C.L.I., il deside­rio di riunire tutti ecc., ma credo che egli preferisca ancora una volta passare in mezzo a noi con il suo modo fatto di dia­logo e di semplicità.

È rimasto fra noi con le sue spoglie mor­tali nella cappella del Cimitero. Sacerdo­te zelante da vivo, è ancora fra noi con la preghiera e con il bene che ha semi­nato.

Ricordarlo nel Decimo anniversario del­la sua morte significa ringraziare Dio di avercelo donato ed impegnarci a far sì che quello che Lui ha intrapreso e porta­to avanti con impegno e fatica, insieme possiamo continuarlo e migliorarlo a fa­re a favore di tutti e soprattutto per i no­stri giovani perchè possano crescere per­correndo la via della rettitudine, dell’one­stà e del bene.

Don Piero Burlacchini

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

MICHELE MARULLO: SOLDATO POETA DEL RINASCIMENTO

A Pomarance siamo orgogliosi di ave­re la Chiesa Parrocchiale molto bella, che racchiude fra le sue mura opere d’arte fa­mose dei secoli passati. Ma credo di non sbagliare se affermo che pochi pomarancini sono a conoscenza che si conserva pure la tomba di un fa­moso soldato e poeta del Rinascimento e cioè la tomba di Michele Marullo.

Marullo dipinto del Botticelli (Uffizzi Firenze).

È collocata sulla parete interna della fac­ciata, sul lato sinistro appena si entra. Le domande che vengono spontanee so­no due: chi era Michele Marullo? Perché le sue ceneri si trovano a Pomarance? Marullo, nato a Costantinopoli nel 1453 da nobile famiglia greca, era un buon poeta, un uomo coraggioso e molto im­portante nel periodo del Rinascimento quando ogni persona istruita leggeva la lingua latina. San Tommaso Moro loda­va le sue poesie e Ronsard, in Francia, faceva altrettanto.

Nella dedica alle poesie di Lorenzo di Pierfrancesco, Marullo afferma che, quando deponeva la spada, prendeva i li­bri ed era contento di leggere e studiare il latino.

Marullo, quindi, soldato e poeta, ha scritto molti e bei versi in lingua latina.

Proprio per questa sua indole di studio­so, nell’aprile del 1500, venne a Volterra e fu ospite del sacerdote erudito Raffae­le Maffei, chiamato il Volterrano, che ave­va scritto dei libri su Omero, Aristotele, Senofonte e aveva tradotto Giovanni di Damasco e Procopio dal greco in latino. Raffaele Maffei aveva invitato il poeta Marullo come dotto greco, perché lo aiutas­se nelle sue traduzioni. Poco tempo do­po la Pasqua del 1500, Marullo, malgra­do una forte pioggia e l’esortazione del suo ospite a rimanere, decide di lasciare Volterra passando dalla Porta Etrusca per dirigersi verso Sud. Il poeta probabilmen­te era diretto verso Piombino che si tro­vava ancora nelle mani del suo vecchio amico Jacopo IV Appiano, ma che era mi­nacciato allora da Cesare Borgia.

Ad otto chilometri a Sud di Volterra la stra­da era sbarrata dal fiume Cecina rigon­fio dalle molte acque.

Paolo Cortese, amico del Marullo, affer­ma che il poeta fu consigliato dai conta­dini del luogo a non attraversare il fiume perché pericoloso. Ma il poeta non volle ascoltare i loro consigli. Quindi, sprona­to il cavallo verso il fiume in piena, l’ani­male inciampò, cadde addosso al poeta impedendogli di liberarsi morendo così travolto dalle acque minacciose del fiume. Per ordine di Raffaele Maffei, il poeta fu sepolto nella nostra Chiesa Parrocchia­le.

La lapide originaria della tomba non esiste più. Quella attuale fu dettata dall’Arciprete Anton Nicola Tabarrini nel 1833 allorché la Chiesa Parrocchiale su­bì un totale restauro. In questa lapide fu aggiunta una particolare notizia e cioè che Marullo aveva l’intenzione di visitare Pomarance per “relaxando animo” cioè per riposarsi. Non sappiamo di preciso quale fosse il motivo della sua venuta. Su questo poeta ‘‘scrittore di elegantis­simi versi latini”, lo scorso anno è stata scritta una bella biografia della signora CAROL KIDWELL che è docente univer­sitaria in Inghilterra. Un libro di ben 323 pagine pubblicato il 23 marzo 1989.

Copertina del volume

La signora, con squisitezza di animo, ha inviato in Parrocchia una copia del libro affermando “che la sua Chiesa doveva avere una copia di questa biografia”. In­fatti, oltre ad alcune pagine nelle quali parla espressamente di questo episodio della morte del poeta, vi sono stampate ben tre foto della facciata e della tomba del poeta.

L’autrice venne a Pomarance nel 1983 ed in questi anni ha steso questa biografia scritta naturalmente in lingua inglese.

Questo ci fa comprendere come Marullo fosse grande e stimato poeta tanto da me­ritare la pubblicazione di un libro.

Lo scrittore Ronsard scrisse un epitaffio su Marullo che così conclude:

“che sempre leggera sia la terra alle tue ossa, e su questa tomba che rinserra uno spirito sì bello sempre rampichi la verde edera’’ Motivo di vanto il custodire questa tomba, motivo per essere più attenti a ciò che di bello ed importante abbiamo, motivo per leggere e per possedere, almeno nella Bi­blioteca Comunale e nelle scuole, questo volume.

Un grazie di riconoscenza all’autrice si­gnora CAROL KIDWELL per averci fatto conoscere questo illustre poeta e scritto­re che dona vanto anche al nostro paese.

Don Piero Burlacchini

NOTE BIBLIOGRAFICHE

CAROL KIDWELL – Marullus: Soldier Poet of the Renaissance.

CAROL KIDWELL Sanderstead House Rectory Park Sanderstead Surrey CR2 9JR INGHILTERRA.

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.

MARIO BARDINI: “FACCIAMOGLI TANTO DI CAPPELLO”

IL CAVALIERE MARIO BARDINI FONDATORE DELL’ISTITUTO DEL SACRO CUORE DI POMARANCE

Il Cav. Mario BARDINI, figlio del Cav. Giuseppe, facoltoso volterrano, e della Sig.ra Enrichetta dei Marchesi BALLATI NERLI, senese, nacque a Volterra nel­l’anno 1818. Residente a Pomarance come ricco pro­prietario terriero e consigliere del nostro Comune, ebbe in sposa la Sig.ra TETTI Antonietta di ricca famiglia borghese. Insieme alle sorelle, Antonietta maritata al Conte Galli – Tassi e Francesca (Fannj) sposa del Cav. Tito Cangini, ereditò una vistosa fortuna. In accordo con la consor­te, il Cav. Mario decise di devolvere que­sta parte di eredità alla costruzione di un Istituto, che poi intitolò al “Sacro Cuore”, per l’istruzione e l’educazione del popo­lo. Mise a disposizione un rilevante ap­pezzamento di terreno di sua proprietà, sito in via dei Mandorli, affidando all’Architetto Prof. PASQUALE FALDI di Peccioli la direzione dei lavori e la soprinten­denza a tutti gli incarichi. Fu così che nel­l’anno 1884 ebbe inizio l’opera. Un enor­me sbancamento nella zona tufacea ser­vì alla preparazione di profondi pozzi per la raccolta dell’acqua piovana che in se­guito fu usata per il fabbisogno della fab­brica. La pietra ricavata da questo lavo­ro fu utilizzata insieme a molta altra all’e­dificazione del maestoso complesso edi­lizio. I suddetti pozzi dettero in seguito ric­chezza all’edificio fornendo acqua buona a tutti i servizi. I lavori volgevano a termi­ne, l’opera dell’Architetto stava per con­cludersi. L’edificio era imponente, ben strutturato sotto ogni aspetto e capace di ospitare un rilevante numero di educan­de, ma per i coniugi Bardini sorgeva un grosso problema: a chi affidare l’incari­co di dirigere un’opera di tale impor­tanza?

Come mandata dalla Provvidenza, ven­ne a passare da Pomarance per recarsi a Volterra una suora, e saputo questo fat­to si presentò ai coniugi dicendo di ave­re costituito nel 1868 una congregazione detta delle “Sorelle dei poveri di Santa Caterina”. Questa suora era Madre SA­VINA PETRILLI, nata a Siena il 29 ago­sto 1851, figlia di Matilde Vetturini e di Celso Petrilli, di poca costituzione ma di tanta volontà. Era riuscita in pochi anni, tutti dedicati alla carità, a realizzare co­struendo Case Pie in varie località, prima fra tutte a Firenze, poi a Montespertoli, Celle sul Rigo, Volterra e Roma.

I coniugi Bardini furono ammirati e mani­festarono immediata fiducia a questa suo­ra sino a pregarla con le lacrime agli oc­chi, perchè aggiungesse alle altre anche questa opera di Pomarance.

Convinta dalla cordialità e dall’accoglien­za dimostratale, Madre Savina non indu­giò ad accettare una simile occasione. Così quando nel febbraio 1889 avviene la fastosa inaugurazione del grande com­plesso, Madre Savina è pronta a tenerne la direzione ed insieme ad altre consorelle dello stesso ordine inizia il suo lavoro. Nell’anno 1893, sempre per volere di ma­dre Savina, viene commissionato all’arti­sta pittore Alessandro Franchi il dipinto del Sacro Cuore a cui è dedicato il con­vitto di Pomarance. Il dipinto si trova tutt’oggi presso la Chiesina dell’istituto. Proprio quest’anno il 24 aprile a Roma, con udienza particolare, il Papa ha accol­to le suore di questo ordine per assistere alla Beatificazione di Madre Savina.

Credo che un’opera come ci ha lasciato il Cav. Mario Bardini non abbia bisogno di presentazione, perchè tutti noi paesa­ni abbiamo avuto l’occasione e la possi­bilità di apprezzarne i requisiti, lo perso­nalmente ricordo ancora quando negli an­ni trenta frequentavo l’Asilo Infantile e “Suor Raffaella”, maestra d’asilo, nelle giornate piovose, ci intratteneva nella sala giochi e lì si cantava, si giocava e si fa­cevano i primi segni sul quaderno a qua­dretti, le cosiddette “aste”, i primi tenta­tivi per imparare a tenere la penna in ma­no e a stare sul rigo. Poi, alla fatidica ora del pasto, ci mettevamo in fila ed al can­to di:

  • andiamo a tavola
  • compagni cari
  • che questa è l’ora
  • del desinare
  • tutto è buonissimo
  • tutto ci piace
  • andiamo a tavola
  • in santa pace
Beata Madre Savina Petrilli fondatrice della Congregazione delle Sorelle dei Poveri di S. Caterina da Siena rettrice dell’istituto Sacro Cuore.

si arrivava ai famosi tavoli metallici con il ripiano in marmo bianco; ogni tavolo aveva sei buchette rotonde per inserirvi le ciotole in alluminio allo scopo di non ro­vesciarne il contenuto.

Che profumo quel minestrone, tutto par­ticolare, con la prevalenza dei fagioli fra gli altri legumi! Era una leccornia (25 an­ni dopo ho risentito lo stesso odore quan­do vi ho accompagnato mio figlio Mauro). Non mancava il rituale “Discorsino” per le feste tradizionali, tanta trepidazione e divertimento. Poi il cortile, la passeggia­ta in fila alla statua della Madonna posta in una grotticella che sembrava tanto lon­tana in fondo ad una stradina. Quando in­furiava il temporale, c’era chi aveva pau­ra, ed allora tutti compunti e devoti ci por­tavano nella chiesina del Sacro Cuore e mentre ad ogni lampo la suora, ripeteva “Santa Barbara benedetta liberaci dal tuono e dalla saetta”, le interne, come per incanto, dall’alto delle grate poste alle spalle di chi pregava, intonavano con le loro voci angeliche laudi alla Madonna che servivano a distrarre i piccoli impau­riti. L’istituto era sicuro per questi tempo­rali perchè era munito di parafulmini, ma questa sicurezza serviva solo alle mam­me, e sino a tal punto che una volta che ci fu addirittura una piccola scossa tellu­rica una di queste disse: “meno male il bimbo è all’asilo, almeno lì ci sono i pa­rafulmini ed è al sicuro”.

Foto di interne ai primi anni del ’900.
Foto ricordo del folto gruppo dei bambini dell’Asilo infantile – 26 maggio 1938

Tra i tanti ricordi c’è anche quello di “GENESIA”, una donna atta alle fatiche più pesanti come la lavatura dei panni, e ri­pagata con l’inserimento nel numero dei conviviali; era vecchia, malmessa, cam­minava male, trascicava i piedi gonfi dai geloni, racchiusi in un paio di pantofole sgangherate che portava estate ed inver­no, sempre quelle. Spesso noi bambini che si giocava sotto i loggiati del piazza­le rialzato, ci avvicinavamo ad una pom­pa con una grossa ruota che serviva a bi­lanciare le forze di chi girava per tirar su l’acqua ai lavatoi, ma se per caso Genesia ci vedeva ci scacciava urlando; quel luogo era il suo regno. A quell’epoca si andava alle scuole ele­mentari anche a sette anni, e di asilo se ne faceva.

Cappella dell’istituto; sopra l’altare è visibile il dipinto del Sacro Cuore (foto S. Donati)

Per oltre mezzo secolo l’istituto del Sa­cro Cuore ha adempiuto degnamente la volontà del suo fondatore: nei suoi loca­li, sotto la guida delle suore, hanno tro­vato sicuro rifugio tante bambine verso le quali la sorte non era stata benevola; l’a­silo, allora il solo nel paese, ha accolto la maggior parte di noi nella prima infanzia; la Scuola Elementare femminile è stata aperta fino a circa trent’anni fa, poi l’Ambulatorio Comunale che vi fu trasferito do­po la distruzione del precedente ubicato sull’angolo di Via Camillo Serafini, e fat­to saltare dalle truppe tedesche in ritirata per ostacolare l’ingresso in paese agli americani in arrivo. Tra quelle mura si so­no svolte altre attività, che possiamo de­finire marginali, e che non ritengo di elen­care, ma ricordo soltanto che l’istituto è sempre stato aperto a recepire e soddi­sfare ciò che la cittadinanza gli ha doman­dato. Oggi l’istituto ospita persone anzia­ne, ma anche con questa nuova destina­zione non è venuto meno al suo ruolo di essere utile alla comunità. I nostri uomi­ni di comune con delibera del 18 maggio 1898 vollero onorare questo insigne si­gnore ribattezzando col suo nome la via che conduce all’istituto da lui fondato e che fino ad allora era conosciuta come via dei Mandorli.

Cimitero di Pomarance – Tomba di M. Bardini – Cappelle gentilizie.

Con questa breve rievocazione anche noi oggi vogliamo rendere omaggio a Mario Bardini per la sua generosità e benevo­lenza verso la popolazione del nostro paese.

Giorgio

BIBLIOGRAFIA:

Savina Petrilli – “Come pane spezzato” – Ed. MESSAGGERO Padova 1987 “Rievocazioni Storiche” di Edmondo Mazzinghi-LA COMUNITÀ DI POMARAN­CE anno Vili n° 3 – 4 maggio agosto 1975

Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.