Archivi categoria: Nel Corso del Tempo
Cambiamenti nel corso del tempo di luoghi, territorio e ambiente della zona di Pomarance e Alta Val di Cecina.
POMARANCE – PIAZZA CAVOUR
1940
POMARANCE – VIA MASCAGNI
LA CHIESA
PORTA ALLA PIEVE
PANORAMI
TOMBE ETRUSCHE A POMARANCE
Le antiche origini di Pomarance e del suo territorio sono testimoniate da vari reperti che sono esposti nei più famosi musei toscani. Uno tra questi è sicuramente la Stele Etrusca di Larthi Hatarnies collocata fin dal 1889 nel museo archelogico di Firenze.
Reperti di epoca etrusca che negli ultimi tempi sono oggetto di studi e ricerche per la conoscenza del territorio.
Testimonianze del passato che spesso vengono ignorate o sottovalutate dagli enti preposti alla loro valorizzazione che non sanno valutare il riscontro, dal punto di vista turistico, che se ne potrebbe determinare.
Ne è un esempio la tomba etrusca di via Mascagni a Pomarance che è poco conosciuta anche dagli stessi abitanti del luogo e che potrebbe essere un’altra attrattiva in più per quei turisti stranieri che passano le loro vacanze nei Residence della zona.
Essa è una delle più evidenti, e meglio conservate, testimonianze archeologiche che esistano nel centro storico del paese. Ubicata nei pressi della Chiesa Parrocchiale di Pomarance è sicuramente uno dei più interessanti “Ipogei” di epoca etrusca risalente al V-IV secolo a.c. che denotano le origini antichissime di Pomarance la cui etimologia sarebbe avvallata da esimi studiosi di etruscologia.Testimonianza storica che si aggiunge a vari ritrovamenti (casuali) rinvenuti dai primi dell’ottocento alla metà degli anni ’70 e pubblicati in varie rassegne di archeologia.
La tomba, situata all’interno del garage della Canonica Parrocchiale, è accessibile attraverso un’apertura realizzata negli anni ’30 che consentì casualmente di scoprire questa “Tomba a camera” interamente scolpita nel tufo. La notizia della scoperta fu pubblicata dal Giornale Nuovo di Firenze il 19 Ottobre 1934 destando particolare interesse da parte della Sovrintendenza Archeologica di Firenze che ne ignorava l’esistenza. Il sito di questa Tomba fa presumere che nelle immediate vicinanze esistesse una piccola Necropoli; fonti orali tramandate dalla Famiglia Biondi, in particolare dal “Sor Pietro Biondi”, ricordano la scoperta, e il rinvenimento di alcuni oggetti durante la costruzione del Palazzo Biondi Bartolini in Piazza De Larderei che è confinante con la canonica parrocchiale di Pomarance
La larghezza delle porte delle celle è di cm. 85. Lo spazio interno di ogni cella tra i “Klinai” è di circa m. 1,85 di lunghezza e m. 1,05 di larghezza.

La tomba è scavata nel tufo. Un corridoio in direzione est-ovest, largo m. 1,70, lungo m. 4,23 e alto m. 1,85 divide le due celle del lato nord da quelle del lato sud. Il soffitto del corridoio è a displuvio e riproduce l’architettura della casa con la travatura (Kolumen) a sezione rettangolare.
Delle quattro celle della tomba soltanto tre sono visibili; infatti quella a sinistra entrando, è murata essendovi realizzato, fin dai primi anni dell’ottocento, un pozzo nero per l’abitazione del parroco.

Il Dromos (Ingresso Principale) è individuato in direzione dell’orto della canonica ed è stato tamponato in passato con muratura a sacco.
Ogni cella presenta al suo interno tre letti (Klinai) scolpiti in tufo, ognuno con il proprio cuscino, alti dal suolo circa 70 cm. e larghi circa 60 cm. Le dimensioni delle tre camere sono si mili, ed hanno un’altezza media di m. 1,80.
La camera a destra entrando è quella meno conservata, infatti è stato demolito uno dei letti che presenta evidenti tracce di piccone e scalpello.
La tomba già profanata nell’antichità non ha restituito alcun reperto ma soltanto alcuni frammenti ossei che attraverso la prova del carbonio, potrbbero consentire di datare più precisamente questo interessante ipogeo.
La tomba di via Mascagni, che è inserita anche nella Guida Turistica di Pomarance (edita dalla Associazione pro Pomarance) in un percorso del centro storico, potrebbe essere maggiormente conosciuta se all’esterno fosse indicata da cartelli turistici e nel suo interno fosse realizzato un impianto di illumunazione ottimale come è stato fatto per quella di Montecastelli (VI see. a.C), conosciuta volgarmente come la “BUCA DELLE FATE”; progetto realizzato dalla Sov. Archeologica di Firenze in collaborazione con il Comune di Castelnuovo V.C.
Particolare interesse merita anche l’altra tomba di Pomarance ubicata nella zona di San Piero in prossimità del Podere Santa Barbara vicinissima al Centro sociale per anziani.
Si presenta in notevole stato di abbandono ricoperta da sterpaglie e utilizzata nel corso di questi anni come piccola discarica di rifiuti. Essa fu scavata negli anni ’68-70 da alcuni studenti fondatori del Gruppo Archeologico di Pomarance, che avevano individuato il sito su testimonianze orali dei vecchi contadini che abitavano il podere.

Lo scavo, nel ricordo personale di un ragazzo di 12 anni che assistette a questa “impresa”, riportò alla luce solo una parte della tomba che risultava riempita nel passato con pietrame e terra. Fu individuato un klinex e riportato in luce il portale di ingresso, il “Dromos” (orientato verso la strada di San Piero) che presentava tracce di scale scolpite anchesse nel tufo.
La localizzazione di questa tomba era testimoniata da alcuni avvallamenti e da fotografie aeree concesse ai giovani appassionati che, pur avendo richiesto il permesso al proprietario Ricci, poco tempo dopo rischiarono la denuncia per violazione di proprietà privata.Lo scopo era anche allora quello di fare un piccolo museo che conservasse quei pochi, ma pregevoli reperti recuperati casualmente.

Alcune ricerche personali, intervistando persone che abitarono il Podere di Santa Barbara, come gli Antoni o i Bartoli, hanno contribuito a far luce su questa tomba e a fornire alcune piccole notizie su come questo sito fu scoperto ancora prima del 1967. Il racconto dettagliato di un anziano componente della famiglia Bartoli, “Bartolo di Colondri”(classe 1909), ha ricordato un episodio che portò infatti negli anni ’20 all’individuazione del sito:
“… I nostri vecchi ci raccontavano, sempre durante le veglie sotto il focarile, che nella zona ci doveva essere una gallina dalle uova d’oro o un piccolo tesoro nascosto chissà dove.
Questa affascinante prospettiva mi parve fosse capitata quando con mio fratello un giorno decidemmo, credo attorno al 1924, di sradicare un ciocco di pino sopra la strada di San Piero, proprio dietro alla capanna di Santa Barbara, che era stato tagliato da tempo.

Mentre iniziammo a tagliare le radici di questo tronco d’albero ci fu improvvisamente vicino ai nostri piedi uno sprofondamento del terreno; lo stupore fu grande, ci guardammo e pensammo: Abbiamo trovato il tesoro!!
Cominciammo a scavare e vedevamo una volta scavata nel tufo, per buona metà ricoperta di terra.
Durante lo scavo non furono trovati oggetti o frammenti di ceramica. Fu rinvenuto solamente, visto che noi assistevamo a questa impresa a fianco degli “esperti”, un oggetto di vetro finissimo, che dicevano essere un lacrimatoio e alcune monete, non di epoca etrusca, come raccontava il Sor Pietro Biondi, ma del periodo dei Barbarossa”.
Dopo qualche tempo la buca fu ricoperta e spianato tutto il terreno. Nonostante non avessimo trovato niente nel luogo, le autorità sospettavano che avessimo trafugato qualche oggetto, ma noi non trovammo assolutamente niente”.

Sono passati ormai tanti anni dal primo ritrovamento, e non mi risulta che fosse stato fatto alcun rilievo della tomba o pubblicazione alcuna. Chissà se di quel periodo esisteranno delle foto che documentano per lo meno il ritrovamento; ma la cosa che più mi incuriosisce è sapere dove sono andati a finire quegli oggetti descritti dal Bartoli. Un quesito che potrebbe risolversi tra le carte di un grande cultore di storia antica di Pomarance, il Dott. P.G. Biondi che ha scritto molte cose sulla nostra zona, e che ha salvato, pur senza critiche, molte delle testimonianze architettoniche mediovali presenti sul nostro territorio. La tomba, oggi nel terreno di proprietà comunale potrebbe in qualche modo essere salvaguardata dal degrado soltanto con un po’ di impegno e buona volontà in modo da essere anchessa uno strumento didattico per le scuole e non di meno una curiosità in più per quei turisti stranieri che visiteranno la nostre località.
Jader Spinelli
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
LO SCAVO ARCHEOLOGICO A SAN MARIO
L’ARCHEOLOGIA è la scienza che ricerca, raccoglie e studia i prodotti e le manifestazioni concrete dell’antichità, al fine di documentare e ricostruire storicamente il passato.
A partire dalle prime forme di vita, le azioni umane si sono intrecciate e sovrapposte continuamente lasciando tracce riconoscibili nel terreno.
Come la vita si trasformi per l’abbandono e finisca sotto terra è una delle curiosità principali dell’archeologo. Le costruzioni sono fatte di apporti e sottrazioni di materiali che si succedono periodicamente nel tempo, interferendo gli uni con gli altri entro una stessa porzione di spazio.
Le costruzioni poi vengono sepolte e immobilizzate nel terreno. A volte finiscono sotto terra quasi intatte (come Pompei dopo l’eruzione) altre volte subiscono gradi diversi di sconvolgimento, fino a divenire difficilmente comprensibili o anche a perdersi del tutto. Ciò accade quando l’edificio viene abbandonato e esposto all’atmosfera. Qui avviene la transizione dalla fase di costruzione a quella di deposizione.
Le costruzioni poi vengono sepolte e immobilizzate nel terreno. A volte finiscono sotto terra quasi intatte (come Pompei dopo l’eruzione) altre volte subiscono gradi diversi di sconvolgimento, fino a divenire difficilmenté comprensibili o anche a perdersi del tutto. Ciò accade quando l’edificio viene abbandonato e esposto all’atmosfera. Qui avviene la transizione dalla fase di costruzione a quella di deposizione.
Primo compito dello scavatore è quello di stabilire la SEQUENZA DELLE AZIONI E DELLE ATTIVITÀ NATURALI E UMANE, accumulatesi nella STRATIFICAZIONE entro un determinato spazio e tempo, prima singolarmente distinte, poi messe in relazione tra loro. Saranno poi i REPERTI contenuti negli strati a permettere di passare dal tempo RELATIVO al tempo ASSOLUTO. Due strati uno sopra l’altro implicano che quello superiore si sia formato dopo quello sottostante, e ciò permane vero anche se la ceramica in essi contenuta indicasse il contrario. Chiarita e periodizzata la SEQUENZA STRATIGRAFICA possono finalmente emergere gli AVVENIMENTI, e così la STORIA.
L’indagine archeologica deve procedere quindi applicando il METODO DI SCAVO STRATIGRAFICO. Andranno cioè riconosciute tutte le AZIONI MINIME riscontrabili (Muri, fosse, strati di terra o comunque di andamento orizzontale) e rimosse una dopo l’altra nell’ordine esattamente inverso a quello che ne ha provocato l’accumulo. Queste azioni sono chiamate UNITÀ STRATIGRAFICHE.
Dopo aver identificato e numerato le unità stratigrafiche e averne stabilito le
relazioni reciproche occorre descriverle. La descrizione è accolta in SCHEDE prestabilite in cui sono previsti i lemmi da riempire e poi da completare e controllare, dopo aver documentato graficamente l’unità con una PIANTA QUOTATA (OVERLAY) e dopo averla scavata.
Tutte le unità riconosciute e documentate nel corso dell’indagine stratigrafica vanno poi ricomposte in un modello che restituisca il senso dell’unità originaria. Senza ricostruzioni ci si perderebbe nella miriade delle unità stratigrafiche. La rappresentazione globale della stratigrafia viene allora realizzata grazie al DIAGRAMMA STRATIGRAFICO (MATRIX).
Nel diagramma figurano tutte le unità stratigrafiche ridotte in numeri e le relazioni essenziali che esse stabiliscono fra loro sono rese nella forma delle linee di collegamento fra i numeri. Tale diagramma assomiglia a un albero genealogico in cui le dimensioni reali sono ridotte ai semplici RAPPORTI CRONOLOGICI del “prima e del poi”.
Gli insediamenti “minori” Problematiche storiche e impostazione della ricerca
Il colle volterrano risulta stabilmente abitato almeno dal IX secolo a.C.
Fin da questo momento Volterra si trova a controllare una vastissima zona, più grande di qualsiasi altro territorio amministrato dagli altri centri villanoviani e etruschi a noi noti, esteso tra la costa tirrenica, la valle del fiume Cornia, l’alta valle del Cecina, la valle dell’Elsa, l’alta valle dell’Era e il bacino del fiume Fine.
Nei secoli l’insediamento umano si è concentrato lungo il corso del Cecina e dei suoi affluenti, naturali vie di penetrazione dalla costa verso l’interno, nei pressi dei giacimenti metalliferi e nei luoghi contraddistinti da un sottosuolo fertile e stabile.
Ma di questo capillare tessuto insediativo che doveva caratterizzare l’intero territorio volterrano, e in particolare la Val di Cecina, conosciamo in maniera più approfondita quasi esclusivamente le necropoli. Quasi sempre fortuitamente, sono state rinvenute tombe che coprono l’intero arco della storia volterrana dall’epoca villanoviana, alla romanizzazione compiuta nel corso del I secolo a.C., fino all’epoca imperiale. Raramente però da questo tipo di siti è possibile ricavare l’esatta collocazione e le caratteristiche principali delle aree abitate.
Quale era l’attività economica in esso praticata (agricoltura?, sfruttamento minerario?, attività commerciali?) e quale il livello sociale degli abitanti della campagna?
È possibile riconoscere particolari soluzioni di continuità nell’occupazione e nello sfruttamento di questi territori nell’antichità, oppure con il passare dei secoli e con l’assorbimento dell’Etruria nell’orbita romana la situazione nelle campagne non è sostanzialmente mutata?
Per rispondere a questa serie di interrogativi abbiamo scelto, tra i siti rinvenuti nel corso della ricognizione topografica, quello che corrispondesse ai seguenti requisiti: Per la raccolta dei dati riguardo un insediamento antico è fondamentale una buona conservazione del “Deposito Archeologico”. Arature non profonde e un terreno stabile, non soggetto a fenomeni erosivi di qualsiasi tipo sono fattori determinanti nella scelta del contesto da indagare.
Maggiori saranno poi le informazioni se la fraquentazione umana nello stesso luogo si è protratta per molto tempo. Una sequenza stratigrafica permette infatti di ricostruire una storia tanto più lunga e complessa quanti più periodi siano in essa rappresentati.
Abbiamo così scelto il sito che, sulla base dei materiali raccolti in superficie, sembrava caratterizzato da un’OCCUPAZIONE STABILE iniziata almeno nel periodo ellenistico (IV see. a.C.) e durata fino alla tarda età imperiale (IV-V secolo d.C.). Ma il motivo di maggiore interesse riguardo il nostro sito risiede nel fatto che esso presenta caratteristiche comuni ad una numerosa serie di altri insediamenti, tutti concentrati sulle antiche terrazze fluviali, disposte lungo i corsi d’acqua principali. La storia del Podere S. Mario potrebbe così rappresentare un episodio di un più vasto fenomeno di occupazione, stabile e selezionata, diffusa nel territorio volterrano tra la città antica e il mare, di cui non si aveva fino ad oggi notizia.

PODERE S. MARIO
Un insediamento rurale nel territorio di Volterra
Podere San Mario si trova sulla sponda sinistra del Cecina, presso il ponte lungo la strada provinciale che unisce Pomarance con Saline di Volterra.
Le prime ricognizioni, compiute nell’autunno del 1988, portarono alla scoperta delle tracce di una diffusa occupazione del pianoro, rappresentate da diverse concentrazioni di materiale edilizio e ceramico (le Unità Topografiche). Al fine di realizzare il primo sondaggio in un settore del sito dove fosse ipotizzabile la presenza di un numero considerevole di evidenze monumentali e stratigrafiche, l’indagine è stata preceduta da una serie di operazioni che consentissero una migliore comprensione e interpretazione dei dati emersi nel corso della ricognizione topografica.
- Una serie di CAROTAGGI MANUALI hanno permesso di ricostruire due sezioni con andamento NESO che illustrassero la stratificazione presente sull’antica terrazza fluviale interessata dall’insediamento: un cospicuo deposito archeologico che raggiunge lo spessore di ca.m. 1,10 si trova al di sotto di uno strato disturbato dalle arature periodiche spesso ca.m. 0,50.
- Su tutta l’area (mq. 2140 ca.) della più estesa delle tre Unità Topografiche che rappresentano i resti visibili dell’insediamento è stata realizzata una quadrettatura con quadrati di m. 2,5 di lato. Tutti i reperti presenti in ogni quadrato sono stati raccolti per determinare l’ESATTA DENSITÀ DEL MATERIALE SUL TERRENO, espressa attraverso il peso delle singole classi – materiali edilizi, ceramica, dolii, anfore – in rapporto alla superficie occupata. I risultati sono stato diversi a seconda delle classi prese in esame: più rappresentati, con valori massimi concentrati lungo il limite settentrionale e in una fascia centrale ma con valori massimi coincidenti con quelli dei laterizi; meno rappresentati invece DOLII e anfore, concentrati in due insiemi principali al centro dell’area e in prossimità del limite Nord.
- è stata infine compiuta un’indagine di resistività al fine di rilevare possibili anomalie derivanti da concentrazioni di materiali edilizi, o addirittura resti di strutture. Queste si addensavano tutte lungo il limite settentrionale in prossimità della macchia che delimita a Nord il podere. Dopo un primo sondaggio (mq. 29 ca.) realizzato nell’autunno del 1991 sulla base delle indicazioni ricavate dalle operazioni precedentemente descritte, è iniziato lo scorso anno lo scavo in estenzione.

La prima campagna di lavori appena conclusa, ha consentito di individuare i resti di un edificio, alcune piccole strutture a caratte precario situate, probabilmente all’aperto, attorno all’edificio principale, e alcuni livelli che attestano la frequentazione del sito anche dopo la distruzione dell’edificio principale.
I resti più antichi relativi probabilmente alla prima fase di vita dell’insediamento sono rappresentati da un solo muro. La muratura è realizzata con pietre di fiume, messe in posa senza nessun legante, conservate per un’altezza di circa tre filari sovrapposti.
Lo scavo non ha ancora raggiunto gli strati più profondi relativi alla fondazione, e la sua cronologia non può ancora essere stabilita con certezza. Ma i reperti più antichi raccolti negli strati superiori (bucchero, frammenti di impasto) testimoniano una frequentazione dell’area a partire almeno dall’inizio del V secolo a.C.
Tra la fine del I secolo a.C. e la prima metà del I secolo d.C., l’edificio subisce una profonda ristrutturazione. Sono riconoscibili ora almeno tre ambienti rettangolari allineati lungo i loro lati lunghi, con orientamento N-S.
A questo periodo vanno attribuite la costruzione di un piccolo forno e di una piccola struttura circolare (una capanna? una ulteriore zona da fuoco?) Le pareti, di cui sono conservate le fondazioni sempre in ciottoli di fiume, erano realizzate in argilla cruda e pressata, che disfacendosi con il passare del tempo, hanno formato degli spessi strati argillosi che riempono gli ambienti. Non abbiamo finora rinvenuto frammenti di intonaco, ne di particolari tipi di pavimentazioni.
Il tetto era costituito da grandi tegole rettangolari con i bordi rialzati, a cui venivano sovrapposti degli embrici, sorrette da una intelaiatura lignea, di cui però non è rimasta traccia.
Tra la ceramica colpisce la quantità di classi grezze. Alta la percentuale di IMPASTO, CERAMICA COMUNE, DOLII e ANFORE. Non manca comunque la ceramica fine, rappresentata in questa epoca dalla caratteristica SIGILLATA ALICA, e oggetti in bronzo dalla buona qualità.

In epoca imperiale avanzata un’ulteriore ristrutturazione interessa il nostro edificio. Trovandosi ad una profondità minore rispetto agli altri, i muri di questa fase risultano danneggiati dall’azione dell’aratro. ‘
La pianta dell’edificio non dovrebbe essere sostanzialmente mutata, visto che le nuove pareti sembrano rispettare gli orientamenti e, in un caso almeno, il percorso dei muri più antichi. Anche in questa fase non sembrerebbe essere stato usato intonaco per decorare l’elevato dei muri, mentre negli strati che segnano l’abbandono dell’edificio, sono state recuperate delle tessere di pietra, lavorate e lisciate, che costituivano parte del pavimento degli ambienti. Nell’uso della ceramica non si registrano importanti cambiamenti. Continuano tutte le classi grezze e comuni, mentre la ceramica fine è ora rappresentata dalla Sigillata Chiara, una ceramica dalla vernice arancione, prodotta principalmente nelle officine africane dell’impero.

Dopo l’abbandono dell’edificio (non sono stati finora rilevati segni di distruzione violenta) la frequentazione del sito non cessa comunque del tutto.
Una serie di colluvi di matrice argillosa, provenienti dalle colline che delimitano ad Ovest la terrazza fluviale ricoprono gradualmente tutte le strutture precedentemente esistite. Tra i reperti provenienti da questi livelli sono da segnalare parti di brocche databili tra il periodo longobardo e l’età basso medioevale.
Dott. Paolo Carata
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
IL “CASTRUM DE RIPAMARRANCIA” NEL MEDIOEVO
APPUNTI DA UNA RICERCA IN CORSO a cura di A. Augenti
Nel quadro delle indagini che interessano la vallata del Cecina, condotte a partire dal 1987 dalle Università di Pisa e di Roma, lo studio del castello di Pomarance riveste un particolare interesse, vista l’importanza del centro in tale ambito geografico.
Il ruolo di primo piano svolto da Pomarance – seconda solo a Volterra per grandezza – traspare infatti anche ad un primo esame sia dalle fonti materiali che da quelle scritte finora conosciute. Occorre ricordare ad esempio come il castello figuri al primo posto in entrambe le“lire”del 1288edel 1297,degli elenchi di centri della zona in cui è riportato l’ammontare delle tasse dovute al Comune di Volterrani )
Per quanto riguarda il primo aspetto citato, quello materiale, va sottolineato come Pomarance sia uno dei pochi abitati della Val di Cecina che conservi ancora alcuni edifici medioevali quasi integri; su questi è in corso una campagna di documentazione, che prevede rilievi, campionatura delle strutture murarie e redazione di una pianta archeologica, e che confluirà in un lavoro analitico sull’intero castello.

A proposito invece del secondo settore di ricerca, una ricca serie documentaria che parte dal XV secolo è conservata nell’Archivio di Pomarance, e di questa si è già efficacemente servito Jader Spinelli sulle pagine di questa rivista per ricostruire alcuni aspetti della topografia e della storia della città.
Per aggiungere nuove informazioni a quanto è già stato acquisito ed eventualmente risalire più indietro nel tempo, l’indagine si sta ora indirizzando anche verso altri “bacini” della documentazione storica, principalmente gli archivi di Volterra e Firenze, dove sono conservati numerosi testi che riguardano Pomarance.
Proprio da queste prime ricognizioni archivistiche provengono alcuni dati, che si è ritenuto utile presentare – in via preliminare – in questa sede. Sono notizie che riguardano soprattutto la topografia di Pomarance, e, in misura minore, la vita materiale all’interno – e all’esterno – del castello tra XIII e XV secolo.
1. La filza S.1 conservata all’Archivio Comunale di Volterra è uno dei più importanti testi a nostra disposizione per ricostruire l’assetto e le condizioni dei castelli della Val di Cecina nel corso del Medioevo. Comprende le copie di una serie di documenti che riguardano soprattutto compravendite di immobili (ma anche altro) nelle quali è coinvolto il Comune di Volterra.
Si tratta di una raccolta di carte molto sfruttata dal grande storico volterrano Enrico Fiumi, che riveste ancora oggi un’enorme importanza per il ricercatore interessato ai problemi di questo territorio.
Nella filza sono raccolti alcuni atti rogati a Pomarance.
Uno di questi, in particolare, consente di ampliare la nostra conoscenza su alcuni luoghi del “ castrum de Ripomarancia “. Vediamolo insieme.
Nel 1252 un certo Bonaccorso di Rigepto, assieme ad Inghiramo di Buonaccorso, vende al Comune di Volterra “tria integra spatia posite in castro de Ripomarancia (sic)”. In uno di questi era posto lo ” edificium domus Franceschi Guercij et est positum nel Petriccio, cui ab uno latere via pubblica, ab alio est domus lunte de Spartacciano, retro est murus castellanus, ante est dicti Franceschi.
Secundum spatium estpositum in Plano castri Ripomarancie super quod est edificium domus Bonacursi Guergij cui ante est via, retro est filiorum quondam Martini Castaldi, ab uno latere est domus lanceti filij Guitti, ab alio est domus Romee quondam Biumchaldi.
Terzium spatium est positum in burgo Sancti Angeli super quod est hedificium domus filiorum quondam Tabnarij, cui ab uno latere est filiorum quondam Poronciacti et filiorum quondam Luchesi ropoli, ab alio est filiorum quondam dicti Luchesi, ante est via pubblica, retro tenent filiorum quondam Stephani Morchecti, et signi alii sunt fines “.(2) Attraverso queste indicazioni veniamo a sapere innanzitutto che il toponimo “Petriccio” ( la zona a ridosso della porta Volterrana, compresa nella cinta del XIV secolo), finora noto solamente a partire dal XV secolo (3), è sicuramente più antico, e va dunque retrodatato almeno al XIII .
Altrettanto si può dire per il toponimo “Plano castri”, attestato per la prima volta in questo documento. Se la localizzazione precisa dei possedimenti privati menzionati nel documento risulta un lavoro estremamente difficile, bisogna d’altro canto rilevare un altro elemento che emerge dal testo: l’esistenza di un “ burgo Sancti Angeli”. Tale agglomerato era probabilmente posto nella zona est del castello di Pomarance, dove era collocata la “ecclesia S.Angeli Michaelis attestata fin dai primi decenni del XIII secolo (4).

Inoltre a conferma ed integrazione di quanto detto fin qui, un altro atto riporta la vendita di “duam petia terre seu casalinum seu casalinum cum cellario posito super dicto chasalino positum in castro Ripomarancie in Petriccio”. Tra i confini della proprietà, sul primo lato, è la “ via pubblica sive cursus maiori”. Veniamo così a conoscenza del nome della strada principale di Pomarance nel XIII secolo (5).
2. Alcuni statuti di Pomarance sono conservati invece all’archivio di Stato di Firenze, e fanno parte del fondo Statuti comunità “autonome e soggette”(6).
Il volume è composto di più quaderni con rilegatura moderna in cartone; mis; 31 (h) x 23,5 (I). I quaderni sono tutti in carta tranne l’ultimo, scritto a pergamena.
La prima redazione risale al 1476 ed è seguita da numerose conferme che la rendono valida fino al 1492; esiste poi una redazione del 1474, con conferme e aggiornamenti fino al 1507, ed una del 1482, aggiornata fino al 1322. La raccolta è chiusa dalla redazione del 1475, la migliore, in pergamena con rubriche in rosso ed alcune iniziali miniate. Tutte le redazioni sono divise in tre libri,ognuno articolato in più rubriche. Il volume in tutto è composto di 243 fogli.
Vediamo innanzitutto una rubrica contenuta nel Libro I, XXXI:
‘‘Come si intendino i terzi di Ripomarancio”
“Item providono et ordinorono decti statutari] che e terzierij del castello di Ripomarancio s’intendino in questo modo cioè’ el terzo di Petriccio s’intenda cosi’ dalla porta volterrana in fino al chiasso di Piero del Buza avento del castello et nel borgho infino al chiasso della castella del gelso in verso alla porta volterrana s’intenda el terzo di Petriccio. El terzo del piano d’intenda dal dicto chiasso di Piero del Buza et chiasso della castella del gelso in la come tiene la piaza et la via che va dalla piaza alla porta al peso et nel borgo in fino a dieta porta s’intenda el terzo del Piano.
El terzo del borgho sia come tiene la casa del vicario inverso el cassero et la porta del peso in verso la chiesa del sancto tutto s’intenda nel terzo di borgho “(7).
Come si noterà, a parte i caposaldi la cui localizzazione è ancora ignota (chiasso di Pietro del Buza, chiasso della castella del Gelso), la divisione corrisponde alla ricostruzione proposta su questa rivista da J. Spinelli, sulla quale non ritorno per motivi di spazio (8).
Altrove è poi nominato un “ palagio dove si raduna il consiglio”, ovvero il Palazzo Comunale (9). E ancora: “Che non sia nessuna persona (…) che aderisca ovvero presumma andare in sul tetto della casa del comune, ne alchuna altra casa o bottega d’alcheduna privata persona senza licentiadel padrone o signore”(10).
Per quanto riguarda invece alcuni aspetti dell’economia del castello nel corso del XV secolo, è particolarmente interessante la rubrica “Della pana di chi desse danno con bestie e oche”, che ci mostra quali animali erano allevati nella corte del castello: porci, pecore, asini, capre, buoi, bufali. Nello stesso statuto sono elencate anche le principali colture del contado: grano, biada, zafferano (11), vite; non manca un accenno anche alle ghiande (12).
Sempre a proposito delle restrizioni per chi possedeva bestiame si segnala il capitolo “ Della pena di chi mena bestie a bere o guazare nel pelagho della fornace”, dove si stabilisce che nessuno può portare bestie di nessuna grandezza “nelli pelaghi o alchuni dessi della fornace dove si fanno e mattoni ettegholi”.(13)
Va inoltre sottolineato come anche a Pomarance – come in altri castelli della zona, tra cui Montecerboli, Montecastelli, Sillano – è ricompensato chi prende lupi nella corte del castello: “Considerato gli infiniti danni che fanno i lupi in questi paesi”. (14)
Circa l’agricoltura, il Comune favorisce inoltre la coltivazione di alberi da frutto, sottoponendo a sanzioni chi non ne pianti 4 ogni anno (libro III, rubrica 14 ).
Gli abitanti del castello hanno poi l’obbligo di macinare il grano presso i mulini di proprietà del Comune, pena sanzioni pecunarie.(15).
Da alcune rubriche contenute negli statuti veniamo poi a contatto con una industria molto attiva a Pomarance nel corso del Medioevo; quella della manifattura tessile. È il caso del capitolo “Della pena di chi tende panni o secca fichi o altro in sulle mura castellane”, con cui si dispone “Che non sia alchuna persona (…) che aderisca o presuma tendere in sulle mura del castello de Ripomarancia alchuna generatione di panni ne lini ne lani ne altre chose ne porre fichi o altre frutta asecchire” (16).O ancora :”Della pena di chi fa pannicelli et altri panni di colore di mancho di 24 paiuole e panni albagi di 21 paiuole et non si possano fare concintoli di lana”,(III, 35). (17)
Nel castello si possono quindi produrre panni, ma il minimo permesso è di 24 paiuole nel caso di panni colorati e 21 nel caso di panni albagi; sono menzionati maestri orditori e tessitori, ai quali viene commiata una pena differente nel caso che contravvengano alle disposizioni (rispettivamente 2 e 3 lire).
Infine gli ultimi due passi che si presentano riguardano la topografia delle immediate vicinanze del castello di Pomarance. Dalla rubrica “ Dell’ufficio de vaiai et loro autorità “ veniamo a conoscere le strade che servono il castello e la sua corte: “ due (uomini) per la via Volterrana et per la via di Chatarello, due per la via di Doccia et per la via di San Piero, due per laviadella Leccia et la via de Poggiargli, due per la via del Piano delle Lame et via di Percussoio, et due per la via Dell’erbaia et via della Petraia.”(18)

LEGENDA
1 …… Porta Volterrana.
2 …… Porta Massetana o Orciolina.
3 …… Porta a Cassolle.
4 …… Porta alla Pieve.
5 …… Porta Nuova.
6 …… Porta al Peso.
7 …… Pieve di S.Giovanni Battista.
8 …… Cancelleria.
9 …… Chiesa e ospedale di S.Michele.
10 …. Bargello.
11 …. Podesteria.
12 …. Carceri.
Interessanti informazioni sono quindi offerte nel capitolo “De confini della bandita di comune e delle pene delle bestie che entreranno in epsa bandita, excepto quelle de beccai”(cioè i macellai). In questa parte vengono delineati i confini della bandita: “Incominciando inprima all’apparita di monte Orsi dove sono le forche per dirictura alla fonte a Ciena (19). Et da decta fonte a Ciena a dirittura al poggio al Brieve. Et dal poggio al Brieve come va la via in sino alla fonte di San Piero, et dalla fonte di San Piero adirittura alla casa di madonna Giovanna di Rasinello. Et da dieta casa di Madonna Giovanna di Rasinello a dirictura al ghuado a Peghola. Et dal guado a Pegola diritto al poggio alle Ripaie ritto alla sancta Maria al piano delle Lame. Et dalla sancta Maria al piano delle Lame come va la via al poggio di Chard età ritto alla casa dei poveri per dirittura insino alla fonte Alucholi. Et dalla fonte Allucholi ritto al mulinacelo dell’Albiaia insino al ghuado a Catarello et dal ghuado a Cattarello a dirittura insino all’apparita del poggio di Montorsi. Et questi si intendi no essere e confini della bandita di detto comune”.

Si tratta quindi di un testo ricco di toponimi interessanti, ed è in corso proprio a questo proposito un riscontro sulla toponomastica d’età moderna. Ma il dossier sulle zone circostanti il castello deve essere ancora integrato con ulteriori fonti archivistiche e nuovi dati archeologici, nel tentativo di ricostruire l’assetto e le vicende di uno dei castelli più importanti della Val di Cecina.
Andrea Augenti
- I vi ,c 23. Il documento risale al gennaio del 1247.
- ASF. Statuti delle comunità’ autonome e soggette (1162-1779),n. 718.
- lvi,f.19,r.
- J.SPINELLI, Le porte … cit. ,p.ll.
- ASF. Statuti cit. ,f.2O6 (Statuti del 1475)
- Ivi, II. 27 ;f.34. v.
- ) Lo zafferano era una delle voci più importanti dell’economia del volterrano e della vicina Val d’Elsa; cif. E.FIUMI, VolterraeSan Gimignano nel Medioevo, San Gimignano 1938, p.114
- ASF, Statuti . cit. Ili, 5;ff.28-29,r.
- Ivi, III, 30; f.35,r.
- lvi,l, 27;ff.16 v.-17
- Ivi,111,15. Non è specificato il numero dei mulini comunali, ma in una redazione piu’ tarda (1502) ne è menzionato uno solo, assieme ad una frantoio
- Ivi, III, 10 ;f.31.v.
- La “paiuola” equivaleva a 40 fila : cfr.C.CUCINI.Radicondoli. Storia e Archeologia di un comune senese, Roma 1990,p. 317.
- ASF, Statuti cit. , I.9; f.10.r.
- Ivi, III, 6; ff.29 v.-30,r.
Il toponimo Ciena è sicuramente più antico: si ritrova in un inventario dei beni scritto da Filippo Beiforti nel 1340: “item uno pezzo di terra posto ne confini di Ripomarancia del distrecto di Volterra in luogo decto a Ciena”. (BGV.ms 8469,c.2)
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
“C’ERA UNA VOLTA UN SOMARO”
Epoca moderna, parole nuove, espressioni inglesi, pubblicità (su televisione, con volantinaggio, con manifesti), istruzione, informazione, viaggi, ma quanto civismo?
Circa settanta anni fa si costituiva a Pomarance, per volontà del proprietario terriero Cav. Emilio bicocchi (allora Sindaco del nostro Comune), il punto di scarico dei rifiuti. Nei presi dell’allora podere Ortolano, di proprietà Bicocchi, si costruì il ptimo immondezzaio, e sempre per suo conto fu costruito il mezzo adatto alla raccolta ed al trasporto dei materiali da buttare. Lo Spazzino, con lettera maiuscola, poi netturbino, oggi operatore ecologico, con coscenza, una granata di scopa ed una paletta, riusciva a tener pulite le strade lastricate del nostro Pomarance.
Era “MIZIO” (Salvadori Domizio), figura simpatica e allegra, che ogni mattina con la sua stridula trombetta richiamava le donne di casa per vuotare il secchio con i pochi resti del modesto pasto giornaliero (molto più voluminoso nel periodo dei baccelli), nel carretto di legno trainato dal ciuchino (Beppe) che con pazienza, da somaro, si fermava un passo si ed un passo no.
Per anni questo ciuchino continuò a girare in lungo ed in largo il nostro paese e, prima con Mizio e poi con “BEPPE” (Baiatri Giuseppe) portava tutti i nostri miseri avanzi all’Ortolano.

Ogni anno nel periodo della semina questa raccolta veniva rimossa dagli operai della Fattoria Bicocchi (era questo il suo ricavato e pago) e cosparsa prima dell’aratura nei campi di sua proprietà.
Passò la guerra, il fronte, il Tedesco e l’Americano, anche Beppe morì, il ciuchino scomparve e fu sostituito da un motocarro. Il fronte aveva lasciato i primi rifiuti non degradabili: “la plastica”, grande ritrovato, ma come ogni medaglia anche questa con il suo rovescio, era indistruttibile. I vistosi e multicolori oggetti cosparsi ogni dove in forme diverse emergono dappertutto ora galleggianti ora volanti. Tutti la vediamo, ogni giorno, tutti ne diciamo male, ma purtroppo non rinunciamo ad abbandonare a se stesse queste borsine piene di ogni ciocchessia, lungo i fossati, sul ciglio della strada, o nei boschetti, ed ancora più ben in vista agli ingressi del paese.

I nostri amministratori, “CON I NOSTRI SOLDI”, hanno acquistato sia i contenitori per i punti di raccolta, sia i mezzi di trasporto atti al recupero di tutto ciò di cui vogliamo disfarci, tuttavia sembra che ciò non sia ancora sufficiente.
Non è questo l’articolo che riuscirà a convincere o ad insegnarci cosa dovremmo fare,ma speriamo che insieme a tutti gli altri ammonimenti, e “CON UN RAGLIO DI SOMARO” serva alla civiltà di oggi, dimodoché il turista sia straniero che italiano, possa avere buona impressione sulla nostra civiltà.
Giorgio
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
LE PORTE del “CASTELLO” di POMARANCE
A cura di J. Spinelli
PREFAZIONE
Il castello di Pomarance, anticamente detto Ripomarance, sin dal XVI secolo si presentava racchiuso da un’ampia cerchia muraria che, dalla torre delle “Rocche” fino alla porta Orciolina (o Massetana) arrivando alla porta Volterrana e proseguendo oltre la porta a Casolle, aveva racchiuso dentro di sè le altre cinte murarie, secoli XI e XIII dette di “Cassero” (Palazzo ex Pretura e Casalini) e di “Piano”, che fiancheggiando la “via di Borgo” (oggi via Roncalli) e proseguendo oltre la porta “alla Pieve” arrivavano fino al torrino detto “dei Biondi Bartolini”. La cinta muraria era protetta da “Baluardi” (1600) che davano la possibilità di accedere all’interno del castello tramite tre porte “esterne” e quattro “interne”.

Le porte esterne erano: la Porta Volterrana, la Porta Orciolina o Massetana e la Porta di Piazza (detta a Casolle); quelle “interne” invece erano: la Porta alla Pieve, la Porta Nuova, la Porta al Peso e probabilmente la Porta di Piano.
Di queste ne rimangono visibili oggi solamente tre: la Porta a Casolle o di Piazza del Vicariato, la Porta al Peso (indicata come porta Orcolina) e la Porta alla Pieve che fu ricostruita ex novo negli ultimi anni dell’ottocento.
Delle altre non rimangono generalmente che ampie aperture di cui è rimasto solo il nome iscritto talvolta su lapidi in tufo o porcellana come nel caso della Porta Nuova di cui è rimasta solo la nomenclatura (Via della Porta Nuova).
Queste porte erano di proprietà del comune di Ripomarance che doveva provvedere alla loro manutenzione ed anche alla conservazione della cinta muraria. Fin dal medioevo le porte erano soggette alla continua sorveglianza fatta da uomini (anticamente detti “Clavares”) scelti dai Priori del comune i quali venivano indennizzati per questo tipo di incarico con pagamenti giornalieri o mensili, come risulta dai “saldi” del comune per tale scopo. Ad essi venivano consegnate le chiavi dei portali di legno che dovevano essere obbligatoriamente chiusi ed aperti ad orari prefissati: aperti al “suon dell’Avemmaria dell’alba” e serrati un’ora dopo l’Avemmaria della sera (o l’or di notte)(1) consegnando le chiavi ai Priori, come risulta da una deliberazione comunale del 1514 in cui viene stabilito che le chiavi del castello di Ripomarance stiano appresso ai Priori del luogo (2).
Con il passare dei secoli e la conseguente stabilità politica del Granducato di Toscana e degli altri stati italiani, le porte del castello persero gradatamente la loro funzione di “difesa”. Infatti nel 1782 alcuni rottami di queste furono immagazzinati in una stanza sotto il Palazzo Pretorio (3) e successivamente alcune strutture murarie vennero abbattute perchè non consentivano un agevole passaggio dei “Carriaggi” che transitavano sulla “strada Massetana” all’interno del castello delle Ripomarance lungo le vie di “Borgo” e di “Petriccio”.

LA PORTA VOLTERRANA (I PARTE)
La Porta Volterrana, o per meglio dire quello che di essa ne rimane, era una delle porte appartenenti alla cinta muraria esterna che fin dal 1325 aveva racchiuso l’antico “terziere” di “Petriccio” nel castello di Ripomarance.
Disposta a “tramontana” prese il suo nome dalla strada che di lì si dipartiva in direzione di Volterra. Di questa porta attualmente non rimane che il nome ed un’ampia apertura tra il Palazzo ex Gardini e la Casa detta dei “Biondi di Porta Volterrana” (attuale casa comm. Santoli), fra Piazza S. Anna e Piazza de Larderei.
Della demolizione, avvenuta nella metà ottocento, si sono salvate solamente una croce scolpita ed una lapide con iscrizione gotica datata 1325 recante la dicitura: (4)
ANNI.D: M:CCCXXV
Al DI:VI DI MAG.IO.AL TEM
PO DI JOHANNI INTENDI
GUIDO CURSI DE VULTERRE
DE SELICE SOVRASTANTE A CIÒ
Già il Targioni Tozzetti ricordandola nei suoi viaggi (1751) diceva di aver letto in una iscrizione corrosa la data 1325 ed il nome di Guido con la croce d’arme dei Vescovi di Volterra.
Consultando una piantina catastale del periodo Leopoldino (1830 circa) conservata presso l’ufficio tecnico comunale di Pomarance è possibile verificare la sua esatta ubicazione e le sue probabili dimensioni.
Questa porta all’interno presentava un archivolto con due rientranze laterali, larghe un metro e profonde circa ottanta centimetri. Sopra la porta Volterrana vi erano anche due stanze sovrapposte: la prima con probabilità, era munita di due feritoie balestriere ed archibugiere, e sicuramente di una finestra sul versante interno della contrada di “Petriccio” (attuale Piazza de Larderei). Sopra questa prima stanza esisteva un altro ambiente detto “stanza a tetto” o “torre” utilizzata come “piombatoia” da dove veniva bersagliato a piombo l’assediante che iniziava la scalata.
La porta Volterrana all’esterno era protetta da due torrioni laterali (6) e da una “anteportam” come è rilevabile dal pagamento stanziato nel 1494 dal Comune di Ripomaranci ad “..Agnolo da Colle per una tavola di noce che servì per le spranghe dell’antiporta..(7).
L’anteporta era un corpo avanzato in muratura a protezione di quella principale, costituito da un portale in legno, chiuso, oltre che da normali serrature anche da spranghe trasversali e corredata ai lati da feritoie balestriere e archibugiere. Probabilmente questo corpo avanzato fu demolito attorno al XVII secolo con il conseguente spianamento del fossato di guerra che circondava tutto il castello.
“Leo super porta Volaterranam”
Il Leone sopra la Porta Volterrana
Il castello di Ripomarance, conteso tra il Vescovo di Volterra ed il Comune di Volterra per tutto il 1200, nel 1323 era in pacifico possesso della Comunità di Volterra. Nel secolo successivo, dopo essere stato messo a ferro e fuoco da Niccolò Piccinino nel 1431 e dal Re Alfonso di Aragona nel 1447, nel 1472 venne a far parte della Repubblica Fiorentina dopo la conquista di Volterra ad opera delle milizie del Duca di Montefeltro. Ripomarance, che fino all’anno prima era annoverata come una delle 12 castella appartenenti alla giurisdizione di Volterra, favorì in un certo senso la conquista del contado volterrano non opponendo resistenza alle milizie fiorentine dandosi spontaneamente alla Repubblica Fiorentina. Questo fatto gli valse non pochi vantaggi: in primo luogo la liberazione da Volterra che pretendeva tasse e gabelle, in secondo luogo la proclamazione a sede del Vicariato di Val di Cecina con Potesteria giuridica e civile.
In conseguenza di ciò vennero innalzate le insegne in onore di Firenze con la “dipintura del Marzocco” come simbolo di potere e dominazione. (8)
Questa immagine di leone in posizione seduta recante in una zampa lo stemma con lo scudo gigliato, fu dipinta sulla piazza principale di Pomarance (attuale Piazza ex Pretura o Piazza Cavour) e sopra le porte d’ingresso del castello come è rilevabile anche da una deliberazione del 1472 del comune di Ripomarance e riportata dal concittadino E. Mazzinghi:
“…Considerata essere cosa necessaria e di pregio avere preso alle porte et alla piazza le degnissime insegne del Comune di Firenze sotto il comando del quale il comune di Ripomarance venne molto volentieri…. elessero et nominarono l’infrascritto Andrea che abbia l’autorità e balia di cercare con zelo uno capace e adatto pittore che abbia a dipingere il Lione e le altre insegne nei luoghi opportuni del castello di Ripomaranci per mettere in buona luce il signor Vicario di detto luogo…. ”(9).
Che l’immagine del leone fosse pitturata anche sopra la Porta Volterrana ne abbiamo notizia da Giuseppe Pilastri (10) attraverso la citazione di un fascicolo del concittadino Alessandro Funaioli (11) in cui viene fatto sapere che il Consiglio nell’adunanza del 18 ottobre 1472 stanziò “lire 16 soldi 10 a Bernardo del Nese dipintore per suo salario e mercede di dipingere il Lione della Porta Volterrana e i Lioni della Piazza…’’
L’autore ritiene che detto pittore: Bernardo del Nese sia invece Bernardo del Lese, fratello di Benozzo Gozzoli quel “Magister Bernardus olim Sandri de Florentia, pictor, habitator in castri Ripomarancj..” della cui presenza e permanenza nel castello (1486 -1496) scrisse il Battistini in “Memorie storiche, Volterra, Carnieri, 1922, p.p. 97 – 98’’.
Dell’immagine del leone sopra la Porta Volterrana se ne ha notizia anche nel luglio 1497 in una deliberazione comunale in cui venne stabilito che venisse “.. riacconciato nel medesimo luogo l’immagine del leone extinta (12)”: leone che era già stato ridipinto l’anno prima (1496) come rilevasi dal pagamento “.. a Màffio dipintore per Marzocco fece sopra alla porta Volaterrana; lire 6 soldi 10.” (13)
(CONTINUA)
Iader Spinelli
NOTE
- Archivio Storico Comunale di Pomarance, F. 119 c. 163 v.
- Biblioteca Guarnacci Volterra, scaffale L, F. n° 40 c.16 r.
- Archivio Storico Comunale Pomarance F.119 c.163 v.
- Decifrazione di don Mario Bocci.
- Gìov. Targioni Tozzetti: Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse località della Toscana, Firenze, Stamperia Granducale 1751-54, Tomo II, p.325
- Il primo a sinistra detto dei “Biondi di Porta Volterrana” ancora parzialmente visibile e restaurato negli anni cinquanta; il secondo a destra detto “Torre del Cardini” posto dove si trova Fattuale Pizzeria BLASI
- Archivio Storico Comunale Pomarance F.108 c.105 v.
- Nello stesso periodo venne innalzata anche l’immagine del “Marzocco” in pietra che fu collocata nel “cassero” sotto la torre campanaria del comune al “canto della Costarella ‘ La scultura eseguita in pietra arenaria, poggiante su una colonna a forma poligonale alta circa m. 2, fu distrutta durante l’ultimo conflitto da un carro armato tedesco che urtò il leone riducendolo in frantumi. L’effigie del leone che è visibile attualmente è una riproduzione dello scultore volterrano Mino Trafeli eseguita nel dopoguerra. Dell’originale rimane solamente la colonna che trovasi collocata sotto le logge restaurate della ex Pretura e che veniva utilizzata anticamente per l’affissione dei pubblici bandi.
- E. Mazzinghi Rievocazioni storiche’^ La Comunità di Pomarance anno II Nov. Die. 1969
- Giuseppe Pilastri, “Istituzione del Mercato e Fiera in Pomarance ‘ ‘ Rassegna Volterrana, anno III, Fase. II p. 50 anno 1926
- Alessandro Funaioli, “Memorie storiche dell’Archivio Municipale di Pomarance, 1866
- Archivio Storico Comunale Pomarance F. 108 c. 104 r.
- Ìbidem F. 632 c. 24 r.
LA PORTA VOLTERRANA (II PARTE)
Così come le altre porte principali del castello, questa veniva costantemente sorvegliata da uomini incaricati dal comune di Ripomarance, che su relativo compenso, intensificavano le guardie nei periodi più turbolenti delle guerre o in casi di epidemie.
L’esempio è confermato dal pagamento ad Antonio di Domenico “portinaro di corpo” alla Volterrana soldi 15 nel 1454 (13) oppure il pagamento a Menico di Lamberto nel 1496 ‘‘per fare la guardia” 10 dì alla Volterrana (14); ed anche durante la peste che si propagò nella Val di Cecina tra il 1522 ed il 1528, in cui venne stanziato nel 1524 il pagamento a Giovanni del Chiaia ‘‘di guardia alla Volterrana per causa della peste di Montecastelli” lire 1 (15). Quanto importante fosse la sorveglianza delle porte esterne viene confermato da una deliberazione del 1549 in cui il comune di Ripomarance stabiliva che, per garantire sicurezza ai propri abitanti, i Priori del luogo dovessero obbligatoriamente cercare casa per casa dei “custodes pro costudiendo ad portas Platee, Volterrana et Orciolina”(16).
LE ALLOGAGIONI DELLE STANZE SOPRA LA PORTA VOLTERRANA. Con la stabilità politica dello stato Mediceo, assicurato fin dal 1537 da Cosimo l° de Medici, l’ambiente che si trovava immediatamente sopra la Porta Volterrana non venne ad essere più utilizzato come guardiola, ma ad uso di abitazione, dal quale il comune di Ripomarance traeva entrate di danari per il suo affitto. Fino al 1537, infatti, le entrate del comune erano basate essenzialmente sui proventi che questo traeva dall’affitto dei frantoi di Petriccio e di Piano, dalle Beccherie, dai forni di Piano e di Petriccio, dai mulini di Terra Rossa e di Presso ed altri; mai prima del 1537 risultavano entrate nel bilancio comunale per l’affitto delle ‘‘stanza sopra la Volterrana”.

Lapide della Porta Volterrana
ANNI. D: M: CCCXXV
Al DI: VI DI MAG. IO. AL TEM
PO DI JOHANNI INTENDI
GUIDO CURSI DE VULTERRE
DE SELICE SOVRASTANTE A CIÒ
Questo sito, così come le altre proprietà comunali, era posto all’incanto dagli uomini di comune dopo aver messo i soliti bandi di preavviso della gara d’asta. Se
- aggiudicava chi tra i contendenti offriva più denari. L’affitto della stanza sopra la “Volterrana”, a differenza di altre entrate, durava solo un anno ed allo scadere di questo si riproponeva la gara d’asta che veniva generalmente eseguita sotto le logge della piazza del Vicariato o nei pressi della porta Orciolina.
- “locatario” che si aggiudicava la “stanza” doveva provvedere al mantenimento di questa fino al momento della riconsegna, come nel caso di Giovanni del Chiaia al quale nel 1538 venne assegnata la stanza ad “una pensione di lire 2 consegnando al detto locatario, chiave, toppa e uscio” (17). Il periodo di affitto del sito iniziava generalmente nel mese di Aprile, come risulta da una deliberazione del 1559 in cui questa venne indicata specificatamente come: “Habitazione, o vero stanza sopra la Volterrana da un per un anno da incominciarsi il 1° di Aprile proximo futuro” (18). L’accesso a questa abitazione era dato tramite una scala in muratura dalla parte interna della Porta Volterrana “a sinistra all’uscire di essa”(19) e dalla quale probabilmente si accedeva anche sulla “Piombatoia” e sul ballatoio lungo la cinta muraria.
A causa forse della mancata igienicità della abitazione questa, alcuni anni più tardi, risultava utilizzata come “pagliaiola” per il Cancelliere nel 1582 (20). Dal 1584 anche la stanza detta “piombatoia” venne a costituire fonte di entrata per il comune; risultava infatti affittata a Giovan Domenico Fiaschi “conduttore della stanza a tetto” sopra la porta Volterrana per il canone di lire 10 (21).
È in questo periodo che viene indicata anche come “stanza sopra la porta Volterrana, cioè la torre”(22) il che fa presupporre che l’intera struttura muraria fosse notevolmente elevata e risultava allogata verso il 1585 a Domenico Fiasco nel pagamento della prima rata di canone a ragione di lire 10 l’anno.

L’affitto di questi due siti è durato all’incirca fino al suo definitivo abbattimento. Nel 1701 questi risultavano allogati a Giovanni Canti come rilevasi da una deliberazione di consegna delle chiavi della stanza “sopra la torre” e della stanza adibita a pagliaiola: “….si consegnò al sig. Giovan Gragorio Canti, conduttore della stanza sopra la torre, la chiave medesime rotto il manico, avuta da Piero Faini conduttore vecchio per restituirla a suo tempo alla fine della condotta” : “…si consegnò dalli provveditori al sig. Giovan Gregorio Canti le chiavi con la toppa servita all’uscio della pagliaiola sopra la porta Volterrana …. per restituirla alla fine della condotta..” (23). Nel XVIII secolo, durante il Granducato di Pietro Leopoldo, le due stanze vennero poste a “livello” dal Comune, cioè cedute in godimento perpetuo fino alla terza linea mascolina, con l’obbligo di pagare un annuo canone. Il 1° agosto del 1777, queste risultarono allivellate al sig. Lorenzo Pandolfini che pagava un annuo canone di lire nove da pagarsi 1’8 maggio di ciaschedun anno (24). Nel 1793, però, il sig. Lorenzo Pandolfini affrancava il suddetto livello, con accordo del Magistrato comunitativo di Pomarance (11 marzo 1793), a favore dei signori Antonio, Gardino ed altri fratelli Gardini che possedevano le loro case a confine della Porta Volterrana per un affitto di scudi 52 (25).
LA DEMOLIZIONE
L’imponente
struttura della Porta Volterrana costantemente restaurata durante i secoli,
cominciò a dare i primi sintomi di cedimento nel 1786 in conseguenza delle
infiltrazioni di acqua dalle stanze sovrapposte; causa che indusse le Magistrature
di comune ad ordinare alcune perizie tecniche, per la determinazione del
restauro o dell’abbattimento, ad alcuni maestri muratori come ad esempio quella
di Giovanni dello Sbarba del dì 10 luglio 1786:
“lo Giovanni dello Sbarba, perito muratore per ordine e commissione di Lorenzo Pandolfini come livellario delle due stanze che vi esistono sopra la Porta Volterrana delle Pomarance e avendo visitato il posto, si trova che la porta minaccia rovina e per resarcirla e renderla in bono stato è necessario rifare due cantonate fabbricate dallo scalpellino e resarcire l’altra cantonata della porta laterale con altra qualità di sassi e resarcire il detto pilastro che rovina: e tuto il marcimento che esiste dalla parte di fori sia fabbricato con carcina forte e rena di fiume e Giovanni dello Sbarba si obbliga a pigliare detto lavoro per il prezo di scudi 450; e per la assicurazione delle Signorie Loro sarà mallevadore per cinque anni dal suo mantenimento con la condizione che le travi che sono della comunità facciano finezza di prestarle per puntellare, il detto lavoro; pare che non si possa fare a meno prezzo per essere lavoro laborioso e di fatica; a tutte queste condizioni prendo l’impegno..” (26). La porta infatti aveva avuto uno “sfiancamento … dalla parte interna a sinistra all’uscire di essa e dalla parte della scala, con pericolo di rovina…” (27) come affermava anche il mastro muratore Bartolomeo Cappiati dicendo che il miglior modo per togliere il pericolo sarebbe stato “il demolire e poi resarcire per non incorrere in disgrazia” (28). Dello stesso parere fu anche mastro Luigi Manetti che faceva ascendere la spesa per tale lavoro a scudi 400.
Nella delibera però del 24 gennaio 1786 fu indetto dalle Magistrature “il riattamento della Porta Volterrana con stabilità, avuto riguardo mantenere le due stanze che sono sopra di essa (29) e che davano un notevole introito nelle casse del Comune.
Con lo sviluppo dell’industria boracifera del conte Francesco de Larderei, iniziata nel 1818 circa, questa porta così come l’altra detta Orciolina o Massetana, erano frequentemente transitate dai carri che trasportavano sai borace verso Livorno per la distribuzione. Da qui infatti passava ormai da decenni la strada detta Massetana che traversava internamente Pomarance lungo la via di Petriccio e quella di Borgo creando non pochi problemi nel transito dei “Carriaggi” per la propria ristrettezza. Il trasporto di questo materiale prezioso indusse le autorità a ristrutturare alcuni tratti di strada Massetana; ed è attorno al 1826 che troviamo la richiesta di Giuseppe Martellaci di allogare un sito posto sotto la Porta Volterrana (30) che però non venne concesso perchè si pensava già di “allargare la porta Volterrana per comodo dei carriaggi” . Dell’allargamento e quindi della sua demolizione fu discusso anche nel 1833 come rilevasi da una Delibera del 28 marzo 1833 in cui venne proposto l’allargamento della Porta Volterrana:
‘… sentito la proposizione fatta dal Sig. aiuto Ingegnere del Circondario di Campiglia, e contenuta nel suo rapporto del dì 20 marzo cadente; di allargare la Porta Volterrana onde ovviare agli inconvenienti che continuamente accadono per la ristrettezza nel transito dei barrocci specialmente nel tempo di notte. Considerato che questo lavoro si rende indispensabile per contentare la popolazione che da gran tempo la reclama, e richiede incessantamente Veduta la detta relazione, che la spesa occorrente per tale allargamento ammonta alla somma di lire 600 …. venne dato l’inizio delle pratiche di accollo dei lavori da farsi…” . La spesa che in un primo tempo sembrava conveniente, fu ritrattata poco dopo; infatti il 23 luglio 1833 vi fu la sospensione della delibera per i suddetti lavori: “…. fatte le migliori riflessioni ed esami al precedente partito emesso dal Magistrato Loro nella seduta del 28 marzo 1833 … considerato che per fare un lavoro decente come si richiederebbe per allontanare i danni ed il pericolo di rovina delle case limitrofe a detta porta …. La Comunità loro entrerebbe in una spesa non indifferente e molto superiore alle presagite lire 600 …. convennero quindi di sospendere per ora il proposto allargamento …. riservandosi di trattarne allorché la Comunità loro sarà in circostanze di poter supplire senza sconcerto economico alla ulteriore spesa…” (32). La fine della Porta era ormai segnata; infatti il suo definitivo abbattimento avvenne circa 27 anni dopo come risulta da una deliberazione del 12 luglio 1860 in cui si apprende che:
… sentita un’istanza avanzata dal sig. Gardino Gardini, nella quale istanza si propone la demolizione della Porta Volterrana che dà ingresso al nostro paese, nonché delle stanze sovrapposte in modo che restino ai lati alcuni torrini lunghi circa 80 centimetri, chiudendo il vuoto che vi andrebbe a accostare con un muro per l’altezza di tre metri; sentito pur tal proposizione si assumerebbe l’onere della esecuzione del lavoro a proprio carico mediante l’indennità di lire italiane 840 pagabili in due rate, e cioè una nel prossimo anno 1861 e l’altra nel prossimo anno 1862 senza aver diritto a interesse … Considerato che già da molto tempo questa popolazione lamentava l’angustia del passo, ove non si poteva entrare con carichi di fieno ed altro;… Considerato che non solo per la detta ragione ma più particolarmente per essere quel sito mal sicuro di notte ove può facilmente nascondersi qualche male intenzionato, e compromettere l’altrui sicurezza; per tali motivi i Signori adunati convengono pienamente a quanto propone il sig. Gardino Gardini, ed approvano il lavoro da eseguirsi….” (33).

Con la definitiva demolizione della porta e la costruzione del terrazzino che esiste ancora oggi nel Palazzo ex Gardini, anche Vincenzo Biondi, che aveva la propria casa sul lato sinistro della porta entrando, faceva richiesta alle Magistrature di comune di poter costruire un terrazzino simile a quello del Gardini. Nella delibera del 27 settembre 1860, infatti si proponeva che: ”… il suddetto Biondi col lavoro medesimo porta un maggior ornato per quanto possibile in quel posto, mentre sarebbe brutto veder un pilastro isolato senza alcuna simmetria nè destinazione; il Consiglio non ha che osservare in contrario, ed accordare la richiesta del Biondi purché il terrazzino sia perfettamente identico a quello del sig. Gardino Gardini …” (34).

Con l’abbattimento della Porta volterrana, in prossimità dell’imboccatura di Piazza de Larderei, (area monumento del Partigiano di Mino Trafeli) rimasero solamente alcune abitazioni tra cui quella volgarmente detta “dei tre topi” (35) di proprietà nel 1823 di Vadorini Giovan Battista e nel 1925 di Biondi Onorato alla quale era stata addossata l’abitazione (1843) del macellaio Jacopo Funaioli (36). Nucleo abitativo che negli anni trenta risultava di proprietà del sig. Fontanello Fontanelli il quale fu definitivamente demolito nel dopo guerra per rimettere in luce il torrino e parte di mura castellane che erano state occultate. Questo si deve soprattutto all’opera sensibile dei tecnici comunali (E. Mazzinghi) e all’allora Sovrintendente Onorario delle belle Arti N. H. dr. Pietro Biondi che impedirono, data l’eccezionale scoperta, dovuta ai lavori per l’edificazione della nuova Cassa di Risparmio di Firenze, che restasse alle nuove generazioni testimonianza di un passato storico dall’antica Pomarance.
Jader Spinelli
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 105, c. 196 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 632 c. 27 v.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 627 c. 81 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 112 c. 42 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. HO c. 210 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 113 c. 26 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 127 c. 106 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 633 c. 90 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 633 c. 124 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 116 c. 242 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 121 c. 46 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 127 c. 126 v.
- BIBL. “GUARNACCI” di Volterra: Giustificazioni di Volture 1782 – 1811 della Comunità di Pomarance.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 378
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 127 c. 106 v.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 378
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 127 c. 191 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 135 c. 204 v.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 137 c. 125 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 137 c. 125 r.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 159 c. 39 r.
ed anche Edmondo Mazzinghi “Rievocazioni Storiche” in La Comunità di Pomarance.
- Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 159 c. 70 r.
- Edmondo Mazzinghi “Rievocazioni Storiche” in La Comunità di Pomarance Sett. – Ott. 1972.
Arch. St. Com.le di Pomarance, F. 609

Le foto sono tratte dall’Archivio dellaAss. Turistica “Pro Pomarance”
LA PORTA ORCIOLINA O MASSETANA (I PARTE)
Un’altra porta appartenuta alla cinta muraria esterna del Castello di Ripomarance era la Porta Orciolina o meglio conosciuta come porta Massetana. Disposta a Sud Est di Pomarance, sull’attuale via di Porta Massetana di fianco alla stalla del signor Arturo Fabiani, dava accesso alla contrada di borgo. Da essa si dipartiva, in direzione delle maremme, una delle strade principali del Gran Ducato di Toscana.(1)
La sua costruzione, databile attorno al XIII – XIV secolo, coincise sicuramente con l’edificazione della nuova cinta muraria dislocata lungo l’attuale via Garibaldi (o via dietro le mura) che aveva inurbato una serie di abitazioni, disposte lungo l’attuale via Roncalli, che dettero origine alla nuova contrada di borgo.
Esistono varie ipotesi sulla denominazione di questa porta; Orciolina, infatti, è un toponomio originale e curioso che deriverebbe dal fatto che la suddetta porta fosse stata edificata in “.. luogo detto al Orciolina..”(2). Dal latino Orcius – Orca da cui Orcia (acqua – ruscello) Orciolina può significare porta dalla quale è possibile raggiungere una vicina fonte o sorgente di acqua. Un’altra ipotesi può essere che Orciolina derivasse dal diminutivo di Porta: Porticciolina, Porticciuola; è così, infatti, che nel XVIII secolo veniva indicata a testimonianza delle notevoli ristrettezze.(3) Ma l’ipotesi più plausibile sull’attribuzione del nome può risultare dal fatto che nel 1411 nelle vicinanze della porta Orciolina esisteva una fornace (4) specializzata probabilmente nella produzione ceramica di Orci ed Orciolini (utilizzati come recipienti per il vino). La Porta Orciolina non va confusa con la quasi omonoma Porta Orcolina o al Peso ancora oggi esistente tra Piazza S. Carlo e Via Roncalli, infatti, come risulta da documentazione d’archivio, questi sono due accessi ben distinti tra loro.

La conferma di tutto ciò è data dagli “estimi” nei quali risulta che le abitazioni e le botteghe confinanti con la porta Orciolina non erano le stesse con quelle confinanti con la Porta al Peso o Orcolina. Inoltre, nei libri dei “saldi” del comune di Ripomarance, risultavano stanziamenti agli uomini incaricati per le guardie alle porte del castello, periodicamente pagate per la porta Orciolina.

La certezza che la porta Orciolina fosse realmente la porta esterna situata a “mezzogiorno” la possiamo avere consultando l’Archivio Comunale dove un documento del XVIII secolo toglie tutti i possibili dubbi. Questo è tratto da una relazione sulle strade e fabbriche della terra di Pomarance nella cui descrizione dettagliata veniva esposto che la strada Maremmana …“si staccava dalla Porta Orciolina, o sia Maremmana per la parte di mezzogiorno in direzione dei castelli di Serrazzano, e Lustignano fino al confine con la comunità di Monterotondo…”(5). A conferma di quanto detto in un’altra relazione dello stesso periodo concernente la descrizione della strada che conduceva al castello di S. Dalmazio veniva annotato che ”… la detta strada ha il suo principio dalla porta delle Pomarance detta Orciolina, o sia Maremmana per la parte di Mezzogiorno…”. Questa porta a differenza della Volterrana, che per secoli mantenne lo stesso nome, nel corso degli anni venne indicata in più modi: Porta Maremmana, Porta Massetana, Porta Castelnovina a seconda delle località che si dovevano raggiungere. Fin dalla sua costruzione la Porta Orciolina o Massetana era protetta da una torre laterale di forma circolare detta anche “baluardo” sulla sinistra entrando e da un’altra torre cilindrica a circa 70 metri disposta sulle antiche mura di “Borghetto” (lato Misericordia) detta Torre delle Rocche o Torre del Pandolfini, lungo la strada che porta al podere detto della “Concina” (fine di via del Giardino).

Da queste due torri poteva essere facilmente colpito l’assediante che si avvicinava all’abbattimento della porta, con tiro radente alle mura tramite le caratteristiche feritoie archibugere e balestriere ricavate nell’interno delle stesse.
Il posizionamento esatto però della porta Orciolina, che fino ad oggi era rimasto sconosciuto, e dell’andamento delle mura castellane nella zona di “Tribbietto” (tre vie esterne) che andava dalla torre del Pandolfini fino alla torre di Cancelleria, è dato da un disegno catastale a china su carta vegetale marrone del secolo XIX (catasto Leopoldino) conservato nel nostro Archivio Comunale (6) nel quale è possibile verificare:
- il posizionamento all’interno delle mura castellane dei vari edifici che furono demoliti per la costruzione del Palazzo de Larderei;
- l’andamento angolato delle mura castellane dalla torre di Cancelleria al baluardo della Porta Orciolina;
- Il percorso della strada Maremmana che uscendo dal borgo e voltando subito a destra passava sotto il grosso baluardo in forte discesa.
Le dimensioni dell’ “Orciolina” erano notevolmente ridotte; costruita probabilmente a “sesto ribassato” aveva una larghezza di “quattro braccia e mezzo” corrispondenti a metri 2,61 (7) ed era sovrastata dalla caratteristica “piombatoia” dalla quald’sicuramente veniva azionato il congegno di sollevamento della “Cancellata” in ferro detta “rastrello”. Questa era anteposta al portale in legno e veniva fatta scorrere in una intercapedine ricavata nel muro larga circa 15 centimetri. L’esistenza di questa protezione è confermata dal pagamento fatto nel XVI secolo dal comune di Ripomarance a Giovanni di Simone: “.. per fare un rastrello alla porta Orciolina e per eseguire la battitoia nuova di detta porta soldi 14…”(8). Testimonia anche il pagamento per la messa in opera al mastro muratore Domenico di Martino del “rastrello alla porta Orciolina”(9).
Le prime notizie sulla suddeta porta risalgono al 1464, anno in cui il comune di Ripomarance stanziò il pagamento a Cristofano di Antonio di Francesco di lire 15 per essere stato di guardia “.. due dì all’Orciolina..”(10). Pagamenti risultano effettuati anche nel 1496 a Tommaso di Marsilio (11) oppure nel 1524 a Menico di Michele e Niccolò Loggia …. “Portinari all’Orciolina. .”(12).
Frequenti furono fin dalla sua costruzione i restauri effettuati durante i secoli per la manutenzione come ad esempio il pagamento a Giovanni di Marsilio per “…sei opere a fare l’angolo dell’Orciolina ..” nel XVI secolo (13) oppure, sempre nello stesso periodo il pagamento a Giovanni di Simone per “tre tavoloni di noce per detta porta”(14). Nel 1501 il castello di Ripomarance subì l’aggressione dei pisani capitanati dal Vitellozzo, al soldo di Cesare Borgia; fu una battaglia estenuante di sette ore che danneggiò mura ed abitazioni, ma l’aggressore fu respinto dai valorosi castellani (15). In questo periodo frequenti sono gli stanziamenti per il risarcimento delle mura, delle torri e delle anteporte, lavori affidati spesso a maestranze non locali come nel 1503 quando fu commissionata la realizzazione di una nuova anteporta all’Orciolina.

In quell’anno infatti gli uomini deputati alla guerra “locavano” il lavoro di costruzione di una anteporta all’Orciolina secondo patti e capitoli stabiliti e sottoscritti dal consiglio di Ripomarance a Mastro Domenico da Colle. Nella delibera viniva stabilito che “… detti allogatori (Comune di Ripomarance) abbiano a dare la calcina per detti lavori alla fornace del comune …. et che il conduttore la dovesse spegnere e condurre a sue spese………………………. che detti allo
gatori gli abbiano a dare la rena scoperta dove è solito cavarsi e dargli la rena spedita et il conduttore la à condurre a sue spese item detti allogatori gli han
no a passare i sassi ai piè del muro et dargli massi cavati e rotti et le pietre accanto…. et nello stesso modo gli hanno a dare l’acqua al pozzo di Michele…”.
Era stabilito inoltre che i priori dovevano concedere una stanza per abitazione “…mentre sta nell’opere del comune senza costo ..”(16) e che il Mastro Domenico da Colle “..avesse a fare il suddetto lavoro con diligentia et soffittione… di buon maestro..”.
L’anteporta si staccava dalle mura castellane seguendo un ripido tratto di strada in discesa lungo dieci braccia (metri 5,80 circa) come risultava da una relazione tecnica del XIX secolo quando esisteva ancora (17).
Era nello spazio tra la porta e l’anteporta che si svolgevano anche gli incanti dei proventi del comune di Ripomarance come è rilevabile da alcune deliberazioni comunali del XVI secolo in cui veniva ratificato: “… sedenti gli spettabili priori alla porta Orciolina (1559) si dà inizio all’incanto dei sopracitati proventi…”(18).
La stessa cosa avveniva anche nel 1561 e precisamente il 23 novembre in cui veniva deliberata esplicitamente: “…sedenti gli spettabili priori nella panca fuor della porta detta volgarmente Orciolina… dove altre volte si sono usate fare le pubbliche subastazioni et incanti delle gabelle del comune….”(19).
(CONTINUA)
Jader SPINELLI
NOTE BIBLIOGRAFICHE
- Nel 1983 durante un lavoro di riparazione di una fognatura in via Porta Massetana proprio di fronte alla stalla del sig. Fabiani Arturo ebbi l’opportunità di vedere, ad una profonditàdi circa m. 1.50, i resti della spalleta dell’antica porta Orciolina in bozze di tufo squadrate ubicata esattamente a 9 m. dall’angolo dell’antrone di Palazzo de Larderei.
- Archivio Storico Comunale F. 426 c.218 r. ESTIMO 1532.
- Archivio Storico Comunale F.378
- STUDIO SULLA PRODUZIONE CERAMICA IN POMARANCE della Dott.ssa Adele Coscarella. 1986; COSCARELLA – M. DE MARCO – G. PASQUINELLI – Testimonianze Archeologiche della Produzione Ceramica a Pomarance – Archeologia Medioevale XIV 1987.
- Archivio Storico Comunale F. 378
- Archivio Storico Comunale F. 393 Presso l’Ufficio Tecnico Comunale di Pomarance è conservata una piantina di Pomarance (Catasto Leopoldino 1825 circa) con agiornamenti catastali fino al 1860 nella quale si rilevano essere state cancellate le particelle catastali delle abitazioni nei pressi della Porta Orciolina dove in seguito fu edificato il grande Palazzo de Larderei.
- Archivio Storico Comunale F. 492
- Archivio Storico Comunale F. 74 c. 40 v.
- Archivio Storico Comunale F. 74 c. 40 r.
- Archivio Storico Comunale F. 105 c. 16 r.
- Archivio Storico Comunale F. 632 c. 29 r.
- Archivio Storico Comunale F. 627 c. 79 v. c. 81 v.
- Archivio Storico Comunale F. 632 c.103 r.
- Archivio Storico Comunale F. 632 c. 40 r.
- Alessandro Funaioli – MEMORIE STORICHE DELL’ARCHIVIO MUNICIPALE DI POMARANCE – 1886 Firenze Uffizio della Rassegna.
- Archivio Storico Comunale F. 108 c.163 r.
- Archivio Storico Comunale F. 422
- Archivio Storico Comunale F. 113 c. 26 r.
- Edmondo Mazzinghi – RIEVOCAZIONI STORICHE – “La Comunità di Pomarance” Maggio – Giugno 1970

LA PORTA ORCIOLINA O MASSETANA (II PARTE)
Consultando una piantina catastale del XIX secolo, conservata presso l’Archivio di Stato di Pisa (19), è possibile verificare lo sviluppo urbanistico nei pressi della Porta Orciolina, nel tratto di strada in salita, che conducendo all’altra porta detta al “Peso” (o Orcolina) veniva denominato sdrucciolo del Marchionneschi (1780 – 1800). (20)
Stando agli estimi del XVI secolo, nei pressi di questa porta erano ubicate varie abitazioni e botteghe artigiane, alcune delle quali proprio a ridosso della “Orciolina” ; alcune di queste svolsero la loro attività fino alla metà del XIX secolo. Troviamo indicata ad esempio nel 1544 la casa di Gismondo di Michele con bottega posta “.. alla Porta Orciolina” oppure l’altra di Tome di Gismondo che era posta in Borgo in “.. luogo detto al Orciolina ..”.(21)
Entrando nella contrada di Borgo, in prossimità della Porta, a destra e a sinistra, fin dal XVI secolo erano state costruite due abitazioni che resero ancor più angusto il passaggio lungo la via interna di Ripomarance.
La casa di sinistra entrando in castello (particella catastale 284) nel 1632 apparteneva a Giulio di Guglielmo Micheli ed era indicata in ”… luogo detto alla porta Orciolina in piazza Padella …”.(22) Piazzetta quella “Padella”, formatasi attorno al XVII secolo e nella quale esisteva anche un pozzo pubblico detto appunto di “.. piazza Padella..” (1700) che era a contatto della casa del sig. Falconcino Falconcini.(23) La piccola casa di destra (particella catastale 285) era di proprietà ai primi del settecento del sig. Giovanni Antonio Pandolfini iscritto all’arte dei Vasai e Cuoiai come il sig. Antonio Maria Sorbi, che svolgendo attività di Calzolaro possedeva nei pressi della porta un “mortaio da concia” posto “.. fuori porta Orciolina..”.(24) All’esterno di questa porta furono costruite alcune abitazioni aventi l’appoggio alle mura castellane di “borghetto”.(25) Attorno al XVIII secolo fu concesso il permesso di costruire una nuova “fabbrica” «.. fuori la porta Orciolina presso il baluardo, ossia la torre del Pandolfini… » al sig. Givon Battista Pandolfini (26) che fu utilizzata al piano terra come frantoio. Ai primi dell’ottocento questo edificio risultava di proprietà degli Inghirami di Volterra. Sempre nel XVIII secolo la porta Orciolina veniva indicata anche come “Porticciola” in una relazione tratta dal campione di Strade e fabbriche della Comunità delle Pomarance del 1778 (27); dai primi dell’ottocento in poi la porta venne indicata prevalentemente come “Porta Maremmana” o “Porta Massetana” (Nei paragrafi successivi utilizzeremo questa nomenclatura riferendoci alla suddetta porta).

CAMBIANO I TEMPI
Il primo ventennio del XIX secolo fu per la Comunità delle Pomarance un periodo di notevole sviluppo economico e commerciale che ebbe il suo inizio con lo sfruttamento dei “bulicami” o “fummacchi” di Larderello, per l’estrazione dell’acido borico contenuto nelle acque stesse, ad opera del pespicace ed ingegnoso Larderei del “Delfinato” francese nel 1818. La notevole richiesta del prodotto utilizzato in vari campi artigianali, industriali e farmaceutici, fecero transitare lungo la strada Maremmana o Massetana, che traversava l’intera comunità delle Pomarance, un gran numero di “vetture” o “carriaggi” che portavano il prodotto verso il porto di Livorno.

Furono fatti nuovi tracciati nei punti più ripidi e pericolosi, ed effettuate manutensioni alle strade, che in gran parte allora erano strette e sterrate.
La strada Maremmana, il cui tracciato traversava l’interno di Pomarance da secoli, venne in alcuni punti ristrutturata, soprattutto presso la “Porta Maremmana” che era, data la forte discesa, il punto più pericoloso dei “carriaggi”. Questo indusse le Magistrature di Comune, di cui faceva parte anche l’interessato Larderei, a modificare in breve tempo il tracciato della strada che in seguito portò alla demolizione dell’antica porta medioevale. In previsione dell’abbattimento della porta Massetana, nel 1817 fu acquistata dal Comune la casa del Sig. Pandolfini (28) per lire 310, situata sulla destra entrando in “borgo”.(29)
Nello stesso periodo troviamo anche una relazione dettagliata per la nuova pavimentazione del tratto di strada che portava dalla Porta Massetana alla Bottega del Sorbi. (30)
Il solito punto di strada assai ripido fu ristrutturato anche due anni più tardi (1819) ed i lavori furono accollati al perito selciatore Giuseppe Beliucci “… dal punto detto di Piazza Padella allo sdrucciolo della Marchionneschi …. e fuori di porta Massetana…”(31)
Lo sviluppo industriale di Larderello nel 1823 indusse gli uomini di Comune a deviare il percorso stradale che passava per il podere “Aia” all’attuale strada statale
(cancello di Gallerone) dove esisteva una piccola cappella detta di San Carlino; ma fu attorno al 1825 che lo stesso comune commissionava a due ingegneri del Circondario Pisano di Campiglia alcune relazioni di spesa per ristrutturare il tratto di strada Maremmana che andava in ripida salita dal fosso dell’ortolano (attuale podere Burraia) fin dopo la porta Maremmana:
“ Commissionarono al sig. Ingegnere Giuseppe Franchini di compilare sollecitamente una relazione del tratto di strada dalla Porta di Pomarance detta Maremmana …. con precisare dettagliatamente la spesa, qual tratto è indispensabile di nuovamente costruirsi per introdurre la strada così detta Maremmana nella terra di Pomarance pregandolo di farsi premura perchè in detto punto la strada venga del più facile accesso…………………………………… alla vol
tata cosi detta di Luigi Sorbi per entrare nella buga interna di Pomarance; e che la strada venga pianeggiante quanto possibile e di più facile accesso per carrozze e carriaggi..”.(32)

Nella relazione dell’ingegnere Franchini era previsto, come poi fu sicuramente attuato, innanzi tutto un piazzale grande di fuori alla Porta Maremmana (di fronte all’attuale caserma dei Carabinieri) di circa 1200 braccia e si potesse “…imbrecciar la nuova strada Massetana, la quale, dopo aver abbandonato il campo dell’ortolano e attraversando la via del fosso, terra dell’antiche carbonaie, e circolando il baluardo, che è unito alle mura castellane, farvi capo nel piazzale suddetto in gran circolazione medesima; la quale si potrà fare con rialzamento alla soglia di detta porta Maremmana di braccia due almeno, e così di seguito si potrà render più unita la forte salita che trovasi nel l’interno del paese alla via della Cancelleria (o di Borgo) la quale è assai pianeggiante…” .(33)

Con il rialzamento della strada erano inoltre previsti alcuni risollevamenti delle soglie di botteghe e cantine ed anche un piccolo sdrucciolo in discesa per andare in Piazza Padella che sarebbe rimasta circa un metro e venti più bassa del nuovo livello stradale. Nella relazione era ipotizzata una spesa di lire settecento anche per l’ingrandimento della “luce della porta Maremmana” …. con il disfacimento del casamento sulla destra acquistato anni addietro; era previsto inoltre il rifacimento della suddetta porta con nuovo arco coperto ed il restauro delle vecchie mura.
Questa la relazione presentata alle Magistrature di Comune nel 1826 per i lavori da eseguire:
“… fu presentato loro il disegno stato rimesso a questa Cancelleria dall’illustrissimo sig. Ingegnere Giuseppe Franchini per la nuova costruzione della porta Maremmana, la quale viene progettata in due aspetti; cioè ricostruzione dell’intera porta con pietrame figurato con arco o ricostruzione di detta porta a barriera… con voti favorevoli quattro uno contrario, convennero che fosse portato ad assetto il disegno della ricostruzione a Barriera…” .(34)
L’abbattimento dell’antica porta medioevale ed il rialzamento del livello stradale provocò nel punto di piazza Padella notevole pericolo come è testimoniato da una istanza del sig. Falconcini nel 1827 nella quale si domandava un pronto restauro dello “sdrucciolo di piazza Padella” resosi pericoloso ed impraticabile per chi doveva andare a prendere l’acqua al pozzo pubblico.(35)
Attorno al 1843 la porta a “barriera” Massetana veniva indicata anche come porta Castelnovina in una istanza del mastro muratore Giuseppe Orzalesi per l’edificazione di una nuova “fabbrica” sul proprio terreno. Con la suddetta richiesta chiedeva l’appoggio della casa sul parapetto e muro a retta della strada provinciale Massetana ”… posta presso la porta Castelnovina di Pomarance”.(36)
La definitiva demolizione di questa imboccatura e di una parte delle vecchie mura castellane avvenne attorno alla metà dell’ottocento con la costruzione del grande palazzo nobiliare dei De Larderei che ancora oggi troneggia ben restaurato sulla via Garibaldi.
Purtroppo attualmente, dell’antica porta medioevale non rimane che la terminologia data alla via ai primi del novecento: Via di Porta Massetana.
Jader Spinelli

NOTE BIBLIOGRAFICHE
- Archivio di Stato di Pisa; Comunità di Pomarance – Sezione C delle Macie e Pomarance – N° 27 scala 1 : 1250 Geometra Domenico Pazzi – Terminata il 6 maggio 1823
- Il Notaro Giuseppe Marchionneschi, aveva la propria abitazione nei pressi della Porta al Peso (o Orcolina); proveniente da Guardistallo era sposato con Fan- tacci Anna ed abitavano nella casa detta dei Fantacci in Piazzetta di Borghetto (Piazza S. Carlo).
- Archivio Storico Comunale F. 426 c. 102 r.
- Ibidem, Estimo 1632 F. 430 c. 98 v.
- Ibidem, F. 378
- Ibidem, F. 243 c. 31 v. (anno 1720 ca.); stando ad un elenco dei Mortai da Concia posseduti dal sig. Antonio Maria Sorbi la porta Orciolina era indicata anche come “Porticciolina”
- L’antica contrada di “Borghetto” era quella comprendente l’attuale piazzetta di San Carlo fino oltre la cosiddetta “Casa del Barbarossa” dove esisteva la chiesa di S. Michele con l’ospedale sprofondati nel secolo scorso nelle “Grotte”
- Archivio Storico Comunale F. 378 (anno 1747); la torre detta del Pandolfini è quella ancora esistente in via del Giardino (già della Concina) di proprietà del sig. Galletti Arias.
- Archivio Storico Comunale F. 378
- Figura n° 1; piantina catastale ottocentesca. Questa casa corrispondente alla particella catastale n°285 era di proprietà del sig. Pandolfini Antonio di Giovanbattista.
- Archivio Storico Comunale F. 422
- La bottega di Luigi Sorbi era situata all’inizio di via del Borgo (attuale via Roncalli) nei pressi della porta al Peso (o Orcolina) a ridosso delle mura castellane dette di “Piano”; questa si trovava a contatto dell’attuale garage del sig. Biondo Bongi.
- Archivio Storico Comunale F. 656 c. 28 r. Lo sdrucciolo della Marchionneschi era quel piccolo tratto di via dalla porta Orciolina o Massetana alla bottega del Sorbi.
- Archivio Storico Comunale F. 135 c. 124 v.
- Archivio Storico Comunale F. 135 c. 124 v. In questo luogo, utilizzato per fare il grande piazzale fuori di Porta Maremmana, denominato il Tribbietto (tre vie esterne) vi era da secoli una importante coltura di “Mori o Gelsi” per la produzione del baco da seta. Di proprietà del Comune questi erano allivellati nel 1826 a certo Francesco Funaioli. In quell’anno parte della proprietà allivellata, fu espropriata per l’allargamento del piazzale dinanzi alla Porta Maremmana come rilevasi dalla richiesta di diminuzione di canone di livello da parte di Francesco Funaioli per il luogo denominato “i Mori di Tribbietto”. In questo luogo esisteva anche una discarica pubblica, i cui detriti, sassi calcinacci ed altro, dovevano essere utilizzati, come stabilito dalle Magistrature, dal Perito selciatore Giuseppe Bellucci per l’ingrandimento del Piazzale. (F. 135 c.203 – 204).
- Archivio Storico Comunale F. 136 c. 2 v. ; E. Mazzinghi – Rievocazioni Storiche – La Comunità di Pomarance anno V° Aprile – Agosto 1972
- Archivio Storico Comunale F. 135 c.
- 62 r. Archivio Storico Comunale F. 393
LA PORTA DI PIAZZA O A CASÒLLE
Uno dei principali accessi al castello di Ripomarance, conservato fino ai nostri giorni, è la porta di Piazza, meglio conosciuta come porta “a Casèlle”, che insieme alle altre due porte esterne, Volterrana ed Orciolina, consentivano l’ingresso in Ripomarance.
Databile attorno all’ XI secolo, è certamente una delle più remote porte che si possono vedere nella parte più antica del centro storico di Pomarance (Piazza Cavour). Da questa si dipartiva un tempo una delle strade medioevali in direzione di levante verso Berignone.(l) La sua costruzione risale all’edificazione della prima cerchia muraria del castello medioevale nell’XI secolo, che aveva racchiuso l’antico Cassero (area ocupata dal Palazzo ex Pretura).

La Porta di Piazza fu concepita architettonicamente in dimensioni notevolmente ristrette, infatti risulta avere un’altezza di circa m. 2,76 ed una larghezza di m. 1,77. Costruita con un arco a “sesto ribassato” presenta ancora ben conservate nella parte interna dell’archivolto due “bandelle” scolpite in tufo nelle quali ruotavano gli arpioni del portale in legno.(2) Da questo ingresso, in ripida discesa, si staccava l’antica strada in direzione di Casole (derivante la nomenclatura di Porta a Casolle), di cui rimangono alcune tracce nella zona di Catarello, che conduceva anche all’antica fonte di “Cannerj”.
All’esterno della porta, racchiuso da una cerchia muraria vi era un antico borgo, di cui oggi non rimane alcuna traccia ma che nel XV secolo doveva ancora esistere; infatti nell’estimo del comune di Ripomarance (1464) risultava che certo Andrea di Nanni Sottile possedeva un orto confinante con …il muro castellano di Cannerj ….(3)
La Porta di Piazza fin dalla sua costruzione era munita della caratteristica “piombatoia” e protetta lateralmente da un grosso torrione quadrangolare di cui ancora oggi è possibile vederne alcune tracce. Questa era protetta inoltre da un’“anteporta” che risulta essere ristrutturata attorno al 1496 quando furono stanziati dal Comune di Ripomarance pagamenti ad alcuni mastri muratori per …il muro dell’antiporta di Piazza o a Casolle …:
…a mastro Antonio Fornaciaio per uno stanziamento per l’antiporta lire 1 soldi 10…
…a mastro Martino Lambardo per parte di due opere a murare la porta lire 7 e soldi 10..
…a se Camarlengo per due pezzi di tavola per fare acconcimi alla porta .. soldi 6..
…a Giacomino da Montecerboli per 30 staia di calcina per decta porta lire 5… .(4) All’interno dell’anteporta era edificato anche un ambiente nel quale potevano ripararsi le guardie che sorvegliavano la Porta di Piazza. Infatti attorno al 1499 venivano pagati dal comune alcuni lavori a certo Francesco di Leonardo… per un’opera di asino a portare mattoni per l’arco tondo et pannelloni per la copertura della casotta dell’anteporta di Piazza… .(5) I primi anni del secolo XVI furono turbati dall’assalto al castello di Ripomarance da parte delle soldataglie del Duca Valentino capeggiate dal Vitellozzo, le quali arrecarono con cannoneggiamenti danni alle mura castellane ed alle abitazioni pur non riuscendo a saccheggiare Ripomarance. Dei danni arrecati alle muraglie abbiamo notizia da una provvisione del 26 aprile 1501 con la quale venivano decretate riparazioni alle mura castellane diroccate o minaccianti rovina; vi erano addirittura imposizioni di prestiti per sopperire alle spese.
A pochi anni di distanza da questa provvisione, nel 1503, gli uomini di comune allogavano anche la costruzione di un “rivellino” all’esterno delle mura castellane nei pressi della porta di Piazza.
Le impellenti necessità di quei turbolenti periodi decretarono l’assegnazione dei lavori all’esperto mastro Domenico da Colle con l’impegno del comune di portargli, durante la costruzione, le pietre ed i sassi ed il permesso di prendere l’acqua alla cisterna di Piazza e che questi avesse ….a fare le mura del rivellino grosse secondo il bisogno et fare una porta con le dovute misure … .(6)
La costruzione del rivellino, che doveva avere una certa importanza strategica dal punto di vista bellico, veniva anche confermata da un pagamento allo stesso mastro muratore Domenico di Colle per una … manifattura di canne 60 di muro al rivellino di Piazza … .(7)
Lo stesso baluardo esisteva ancora nel 1586 quando venne stanziato dal comune il pagamento a Bernardino di Giovanni di Maffìo per essere stato due giorni a sgombrare il rivellino di Piazza .(8) Nei pressi della porta vi era posta anche la sede del comune di Ripomarance come risulta da un estimo del 1538 in cui questa era indicata… posta in piazza ad presso alle mura castellane sopra la porta (9)
Attorno al 1549 la porta di Piazza o a Casèlle veniva anche denominata come Porta ad Selice in una deliberazione comunale , forse a testimoniare l’antico selciato che era collocato sulla stradaci 0) Infatti nel XVI secolo venivano pagate al mastro muratore Giovanni di Bastiano Sorbi …due opere a fare la selice alla porta di Piazza .(11)
Durante i secoli furono costanti le manutenzioni effettuate alla porta come ad esempio gli stanziamenti a Giuliano Magnano per … il restauro della porta di Piazza .. nel 1550 (12) oppure a Benedetto Fantacci per.. aver acconciato la porta di Piazza che non si poteva ferrare .. ■(13)
Secondo l’estimo del 1580 nei pressi di questa porta vi erano alcuni appezzamenti di terreni adibiti ad orti come quello di Giovanni Antonio Roncalli (padre di Cristofano Roncalli pittore detto Pomarancio il giovane) posto… fuori del castello et antemuro di Ripomaranci in luogo detto alla porta di Piazza .. .(14)

Da questa porta era possibile raggiungere facilmente l’antica “fonte di Cannerj”; fu questo forse il motivo che dal XVIII al XIX secolo la Porta di Piazza o a Casèlle venne deniminata “Porta alla fonte” come testimoniano alcune deliberazioni del Comune delle Pomarance. Nel 1720 circa infatti, troviamo alcune allegagioni di appezzamenti di gelsi o mori dislocati lungo via “dietro i fossi”:
.. dalla porta alla fonte fino alla porta Volterrana …(15)
La stessa denominazione era data anche nella prima metà dell’800 come risulta da un rapporto comunale del 1844 per l’ampliamento del luogo destinato a pubblico mercato. Nella relazione era deciso infatti la costruzione di un muro “a selice” lungo braccia 18 il quale .. si dipartiva dalla soglia destra della Porta alla Fonte e terminasse fino ad annullare al piano della piazza del Vicariato presso la cisterna … •(16) A ridosso della porta alla fonte, nella parte interna, era stato costruito fin dalla seconda metà del 700 un archivolto in mattoni che ebbe il suo appoggio nelle mura della casa di Vettore Funaioli (attuale casa Valentini giuseppe) che sosteneva alcune stanze comunitative di proprietà dell’Accademia dei Terrazani di Pomarance. Successivamente queste furono ristrutturate come sede per Carabinieri. La stessa denominazione si aveva anche attorno al 1845 quando venne eseguito un muro a sostegno sotto la porta alla Fonte dal mastro muratore Giuseppe Magistri servendosi di vecchi materiali di disfacimento provenienti.. dalla volta del terrazzo di Vettore Funaioli che cedette gratuitamente alla comunità …(17)

Oggi recandosi in Piazza Cavour (già del Vicariato) possiamo vedere la porta a Casóne nel suo stato originario dopo l’intervento di restauro, avvenuto attorno al 1980, da parte del Comune di Pomarance. Il restauro non solo ha permesso di valorizzare la suddetta piazza, ma anche una delle poche testimonianze storiche ancora esistenti nel nostro paese.
Jader Spinelli

NOTE BIBLIOGRAFICHE
- Tracce di questa strada medioevale esistono ancora presso il podere La Concia proseguendo via dei Fossi.
- Notizia fornitami gentilmente dallo storico Mons. Don Mario Bocci.
- ARCHIVIO STORICO COMUNALE – Estimo 1464 F. 426 c. 35 r.
- ARCHIVIO STORICO COMUNALE – F. 632 c. 62 r.
- Ibidem.
- ARCHIVIO STORICO COMUNALE – F. 108 c. 163 r.
- ARCHIVIO STORICO COMUNALE – F. 632 c. 117 v.
- ARCHIVIO STORICO COMUNALE – F. 41 c. 213 r.
- ARCHIVIO STORICO COMUNALE – F. 426 c. 12 r.
- ARCHIVIO STORICO COMUNALE – F. 112 c. 422

L’antica fonte di Cannerj è ubicata al di sotto del campo sportivo II Piazzone ed è ancora oggi utilizzata come lavatoio pubblico. Dell’antico edificio rimane ancora la parte inferiore costituita da due grandi archi in tufo. Nella parete centrale sono ancora conservati: uno stamme raffigurante il capo d’Angiò o rastrello, una piccola croce ed una pietra arenaria consunta dal tempo nella quale si possono leggere solo alcune lettere in caratteri gotici. L’epigrafe è datata 1333 come risulta da cartolina postale edita da Araldo Pineschi Pomarance (1940 ca.). La parte superiore ristrutturata fu utilizzata come cappella e presenta sopra la porta d’ingresso una pietra calcarea con la data 1615. Questa la descrizione della fonte di Cannerj in una relazione del XVIII secolo: La fonte pubblica trovasi: fuori della terra di Pomarance per distanza di circa un quinto di miglio, alla quale si perviene dalla Porta detta alla Fonte con strada china, in alcuni pezzi piana che passa da sinistra dalle vigne del sig. Giuseppe Biondi e del sig. Domenico Bartolini et a destra dai terreni o luogo detto alla Concia di proprietà della Cappella di S.
Andrea, e proseguendo passa dal bivio che porta ai Giardinelli e scendendo a detta fonte questa è composta di tre vasche; la prima ove vi è la sorgente, la seconda ad uso di abbeveratoio di bestie la terza ad uso di lavatoio; per di sopra alla sorgente vi esiste una chiesa detta di Sant’Antonio di pertinenza della cappella del Patibolo e per ogni sua parte è confinata dai beni del sig. Giuseppe Biondi nel podere detto della Fonte ….

- ARCHIVIO STORICO COMUNALE – F. 395
Probabilmente attorno alla metà del XIX secolo era stato rialzato il muro fino all’altezza della volta a botte per crearvi un ambiente con una apertura nel muro castellano a fianco della porta a Casòlle e che è possibile vedere dopo l’intervento di restauro eseguito nel 1980 dal comune di Pomarance.
- ARCHIVIO STORICO COMUNALE – F. 395
Un ringraziamento riconoscente per la collaborazione fornitami in questo mio lavoro di ricerche storiche vada allo storico Don Mario Bocci, all’Amministrazione Comunale di Pomarance, al Sindaco Renato Frosali, all’Architetto Floretsano Bargelli, al dott. Angelo Marrucci ed ai suoi collaboratori della Biblioteca Guarnacci di Volterra, all’Archivio di Stato di Pisa, al Presidente della Ass. Turistica “Pro Pomarance’’ Giorgio Fanfani ed a Claudia Manghetti.
Articoli tratti da “La Comunità di Pomarance”.