La mostra del “Cercignani”, che si è svolta nel dicembre u.s., ha destato curiosità, stupore e ammirazione, nei visitatori forestieri più che pomarancini. Molti gli intenditori, i quali si sono soffermati a lungo apprezzando le opere del Cercignani, sia quelle architettoniche che quelle decorative valutando sia quelle in seppia che le altre in colore. Elogiando l’ambiente adatto ed il curato allestimento, iniziando dagli eleganti inviti distribuiti, agli addobbi di tipo robbiano, adattissimi all’occasione, al catalogo illustrato con le dovute presentazioni. Un insieme che era ben intonato sia all’oggetto presentato sia all’epoca risalente al palazzo che la ospitava con il suo elegante stile dei tempi del Vicariato.
Studio di Costume Teatrale
Chi poi ha potuto assistere all’apertura preparata presso l’Hotel “IL POMARANCIO” arricchito dalla presenza delle comparse in costume delle rappresentanze rionali, e con la elaborata presentazione officiata dal Prof. Belardinelli, studioso del nostro concittadino, avendo in mano molte riproduzioni fotografiche del pittore ed altrettante notizie sui luoghi dove il Cercignani ha lavorato lasciando le sue tracce di buon pennello. Comunque l’iniziativa, che questa Associazione Turistica “PRO POMARANCE” ha proposto, ha raggiunto lo scopo prefisso mettendo in movimento gli esperti del ramo per l’attribuzione dei particolari di studio di questo pittore del 500, un po’ accantonato, e non molto conosciuto. I risultati si vedranno nel tempo, l’essenziale è che questa schiera di conoscitori tragga da questa mostra un tipo di lavoro che rivalorizzi il Pomarancio. Quest’anno era, potremmo dire, l’anno del Pomarancio, sia per il Cercignani, sia per il suo allievo, il Roncalli. Per il Roncalli la sua presentazione iniziò con l’apertura del complesso alberghiero a Lui intitolato inserito nella via omonima. Poi il PALIO STORICO DELLE CONTRADE, che nel settembre u.s. aveva per tema argomenti di storia locale e che inevitabilmente venne proposto addirittura da due rioni e così ben presentati da far vincere al Rione GELSO il premio in palio trattando “IL NOSTRO POMARANCIO” articolato su dei quadri viventi dove i figuri si posizionavano su dei disegni incompleti sino a formarne l’immagine completa.
La visita dei rappresentanti della Soprintendenza ha
esposto i suoi progetti riguardo ad una riproposta di queste riproduzioni
fotografiche con la possibilità di affiancarvi anche gli originali, e per dar
ancora più risalto e valore alla cosa l’inserimento nello stesso ambiente di
due dipinti, sempre del Cercignani, che si trovano momentaneamente presso la
Pinacoteca Comunale di Volterra per i restauri di cui abbisognavano.
La curiosità di questi particolari che si trovavano da
svariati anni presso l’Archivio Storico Comunale, riposti sin dal lontano 1925,
anno in cui il sindaco di allora Sig. Onorato Biondi aveva acquistato ad
un’asta di Milano è stata finalmente messa sul piatto d’argento e posta
all’attenzione degli studiosi.
Restiamo in attesa di eventuali sviluppi riguardo alla promessa della Soprintendenza ed all’ulteriore apporto della Amministrazione Comunale che si espresse di unanime accordo per questa iniziativa e disposta affinchè tutto potesse rendere onore ad un cittadino illustre. Noi dell’Associazione “PRO POMARANCE’’ saremmo ben lieti e disposti ad adoperarsi in ogni modo perchè questa riproposta venga ancora ampliata e maggiormente divulgata in modo che possa essere iniziato uno studio didattico rimasto incompleto.
Studio di Calzare
Augurandoci che presto si possa rivedere aperta questa
ricca presentazione e che si renda possibile trasformarla in mostra permanente
con apertura programmata.
Il Consiglio tutto, dopo quanto sopra, si dichiara soddisfatto per la riuscita di questa iniziativa che è stata per l’Associazione Turistica un vero successo. Perchè questa mostra riuscisse nel suo intento era necessario l’apporto esterno, e grazie all’Amministrazione Comunale che si è prodigata mettendoci a disposizione un ambiente creato ad hoc ed offrendoci ospitalità per tutto il mese dell’apertura. Un sentito ringraziamento quindi al Sindaco ed al suo seguito che si sono dimostrati sensibili a tale iniziativa.
Un ringraziamento tutto
particolare dobbiamo farlo al Prof. Belardinelli che si è dimostrato
disponibile sin dal primo momento per aiutarci in questa impresa di ricerca
esterna riguardo al nostro Cercignani, dimostrandoci ancor di più quanto
questo cittadino fosse stimato negli ambienti dove operò. Oltre ai
ringraziamenti, a questo egregio signore, dobbiamo fargli le più sentite
congratulazioni per questa eccellente esposizione.
Sabato 5 giugno 1993 nei locali dell’Oratorio di Pomarance, alla presenza delle massime autorità locali è avvenuta l’intitolazione della scuola media di Pomarance che è stata intitolata “ Scuola Media Paolo Mascagni”.
La scuola,
che ha subito varie ristrutturazione ed ampliamenti durante questi anni, conserva
ancora il nucleo originario costruito nei primi anni del ‘900 ed utilizzato
anticamente come scuola elementare maschile e femminile.La scuola era
originariamente dedicata al grande statista pomarancino Marco Tabarrini effigiato
in una scultura bronzea, in alto sulla facciata della scuola, opera di Luigi
Bonucci detto il Falugi. (Oggi nell’ufficio del Sindaco) Negli anni sessanta
la scuola elementare fu trasferita nei pressi della villa dei Collazzi e la
scuola, utilizzata prima quale sede dell’ Istituto Tecnico Industriale ed in
seguito come Scuola Media, era praticamente senza denominazione. Dedicata al
grande anatomico Paolo Mascagni, che fu uno dei primi a scoprire l’acido
borico nei Soffioni di Montecerboli, i suoi studi furono messi in pratica da
Francesco de Larderei, fondatore dell’industria Boracifera di Larderello, ed
al quale è stata di recente intitolata la Scuola media di Larderello.
ragazzi della Scuola
media di Pomarance hanno allestito nell’occasione uno spettacolo teatrale
dedicato a Paolo Mascagni e realizzato alcune ricerche storiche che hanno ispirato
una deliziosa filatrocca ed il soggetto per una storia a fumetti dedicata al
grande anatomista.
Dedicato a Mascagni
Da Aurelio
ed Elisabetta in un lontano dì nacque Mascagni, forse…in un freddo giovedì.
Era Gennaio e la neve fioccava, fioccava; ma su Pomarance una stella brillava.
1735 iniziava il suo
cammino e Paolo Mascagni correva incontro al suo destino.
Papà Aurelio non viveva in grande agiatezza per cui mandò
Paolo dall’Abate Casamarte… con fierezza.
L’Abate era probabilmente
un pò noioso e mancava di fantasia ma a Paolo interessavano la Scienza e
l’Anatomia.
Dolce era Pomarance sì, ma paese piccolo e sperduto così
Siena dette a Paolo, adolescente, il benvenuto.
Siena era
grande e c’era pure l’università e li Paolo superò gli esami con estrema
facilità. A soli venti anni in Medicina sì laureò, ma il suo mestiere mai
esercitò.
Sapete a …Paolo non interessavano le belle ragazze.
A 22 anni infatti è dissertore e seziona cadaveri a tutte
le ore!!!
Che progressi da quel lontano dì quando lo studio sui
testi classici quasi finì!
Era il 1400
quando l’Anatomia iniziava il suo lungo cammino che fu poi brillante illuminato
dallo scenziato pomarancino.
Ma a Paolo
ritorniam, che dal Granduca Leopoldo fu chiamato e professore di Scienze e di
Anatomia fu nominato!
Il vecchio maestro Tabarrini
se ne andò e Paolo, il giovane, il nuovo posto occupò.
E il prof.
Mascagni iniziò subito i suoi studi sui vasi linfatici non ancora conosciuti.
Certo anche i Francesi
detterto un grande aiuto, ma solo da Paolo un concreto risultato fu ottenuto.
Dissero i Francesi:
‘‘Determiner et demontrer le sistème des vaisseaux lymphatiques”
e Paolo trovò la proposta très chic!
E cominciò a lavorare, lavorare duramente per ottenere un risultato
altrettanto eccellente.
Quattro lunghi anni, trecento disserzioni… e finalmente
Paolo ha risultati buoni.
Sui vasi
linfatici scrive pure un prodromo cosicché da tutti è considerato un grand’
uomo. È il 1787 e Paolo completa l’opera con grande maestria: ‘‘Vasoruma
lymphaticorum corpus humani historia et iconografia” e, oltre che esperto
dissestore, si scopre anche abile disegnatore: 27 tavole sul corpo umano fa
realizzare e l’ammirazione di tutta Europa riesce a catturare.
Grande era
di queste il valore artistico e scientifico, ma, per gli inesperti, sarebbe
stato meno complicato un geroglifico!
Disse Mascagni: “Il sistema
linfatico scorre ovunque nel corpo in un momento e ad esso è legata la funzione
dell’assorbimento”.
Nei trenta
anni successivi Paolo cominciò i preparativi: volle scrivere la “Grande
Anatomia” che fu poi eseguita con sublime maestria.
Ciro Santi e Antonio
Serantoni lavoravano da Domenica al Lunedi per fare belle tavole su rame che
piacessero a tutto il reame. Com ’eran belle…
in bianco e nero, a colori… facevan gola a tutti i professori!
Ma il
nostro Paolo faceva tante altre cose talune anche estrose.
La chimica, la fisica e
l’agricoltura non gli facevan di certo paura e la geologia era la sua più
folle pazzia.
L’Inferno della futura
Larderello a lui piaceva più di un gioiello e tra i fumi ed il vapore egli,
imperterrito, studiava a tutte le ore.
Si
preoccupò persino di estrarre l’acido borico, la qual cosa in futuro sarebbe
stata un evento storico!
Ma i capitali… mai trovò
così l’idea abbandonò.
La
Rivoluzione fu tumultuosa:
LIBERTÈ, EGALITÈ,
FRATERNITÈ… ca irà ed a Mascagni divampano idee di Libertà. Ferdinando III,
duca di Lorena, nel 1779 se ne va e Mascagni a Siena aderisce alla nuova Municipalità,rivelandosi
così non solo grande “artista”, ma anche convinto politico attivista.
Ma voi sapete che mutevole è
la storia umana e che alcuni eventi capricciosi talvolta emana: come il mese di
marzo, come un venticello primaverile che ti scompiglia i capelli e poi va a
scomparire.
Eh sì!…
È proprio il Fato che domina la vita degli uomini, delle cose e degli animali,
soffocando a volte anche le idee più geniali.
La Storia è un eterno fluire
e rifluire per andare incontro all’avvenire.
Ebbene… i Fancesi, sconfitti, sgomberavan la regione e
dei Toscani, fedeli al Granduca, violenta fu la reazione.
Mascagni di “giacobinismo” fu accusato ed il 28 Giugno 1779
a Siena fu arrestato.
Gli intellettuali, morti per i loro pensieri ci insegnano
che le idee fanno la storia di oggi e di ieri.
Tanta fatica
hanno durato, ma, grazie a loro, qualcosa è cambiato!
Nel 1800… di nuovo i Francesi tornan sulla scena e
Mascagni, libero, abbandona Siena.
Dalla Regina Maria Luisa, dopo un anno, a Firenze fu
inviato e lì proseguì il suo importate operato.
Sssss… in
realtà la sovrana a Firenze lo volle portare per farlo elegantemente
vigilare!!!
Ma la morte purtroppo arriva per tutti e, come spesso
avvien, anche Mascagni non potrò veder pubblicati i suoi “frutti”.
Postuma fu
pubblicata la “Grande Anatomia, uno dei suoi più egregi lavori, oggetto di ammirazione
e di studio da parte di insigni professori.
Il 20
Ottobre 1815 a Castelletto Paolo Mascagni morì, forse pensando ai suoi passati
dì. Forse come Roncisvalle Orlando il Mascagni cercò di scampar la morte
duellando o forse , avendo manipolato tante “anime morte” Paolo capì che
la fine della sua vita era ormai alle porte.
Certo la sua
mente non perì, ma brillante e deduttiva, volò verso una nuova prospettiva.
Se le tavole di Mascagni, dal vero, volete ammirare a
Pisa, di corsa, vi dovete recare.
Noi vi
diciam ohe sono nel bel mezzo della città alla Facoltà di Medicina
dell’università.
Noi l’abbiam viste e vi garantiamo che esse descrivon particolareggiatamente il corpo umano. Si trovan collocate in un lungo corridoio: in verità il luogo è un pò ombreggiato, ma la loro bellezza lo rende artisticamente colorato.
Se ben ci pensiam, Mascagni un messaggio ce l’ha dato;
è quello che
già Dante aveva sottolineato: “Fatti non foste a viver come bruti,ma per seguir
virtute e canoscenza”.
Ma… adesso
basta con le dotte citazioni, di Mascagni certamente ricorderem le grandi
azioni! A lui la nostra scuola abbiam intitolato perchè il suo nome, dalle
nuove generazioni, sia sempre ricordato.
È tardi.
Poniamo fine a questa filastrocca semiseria scritta per
star insieme e per raccontare… per comunicare e per scherzare…
per imparare e per divertire…
e tutti insieme gioire.
È stato un gioco, una scommessa, una gran voglia di fantasia, per salutare tutti con simpatia.Scuola Media di Pomarance Classe Seconda Sez. A. – Anno scolastico ’92-93
Da tempo questa rivista “La Comunità di Pomarance” ha preso
la bella iniziativa di ricordare i nostri paesani più significativi per
riproporli a chi li ha conosciuti e per farli conoscere ai nostri ragazzi e
giovani che li sentono nominare.
Fra queste persone ha un posto di rilievo la figura di Mons. Vezio Dell’Omo deceduto il 15 settembre 1984 dopo breve malattia, a seguito di una operazione chirurgica.
Ma chi era Mons. Vezio? La risposta più scontata e
immediata mi sembra questa: era un nostro concittadino, un autentico e vero
pomarancino, molto attaccato al paese dove era voluto tornare ad abitare. Mons.
Vezio era nato, infatti, a Pomarance il 18 giugno 1910 figlio di Giovanni e di
Dei Teresa. A 12 anni era entrato nel Seminario Vescovile di Volterra ove il 17
marzo 1934 fu ordinato sacerdote da Mons. Dante Maria Munerati. Il giorno
successivo, domenica 18 marzo 1934, celebrò la sua prima Messa Solenne all’altare
maggiore della nostra Chiesa Parrocchiale attorniato da familiari e paesani.
Proprio perché molto attaccato alla sua Chiesa ed alle tradizioni, allorché
scadevano i cinquanta anni di vita sacerdotale mi chiese espressamente di
poter celebrare la Santa Messa solenne delle sue NOZZE D’ORO SACERDOTALI
proprio all’altare maggiore, nella forma liturgica con la quale l’aveva
celebrata in quel primo giorno.
Appena sacerdote, il 23 maggio 1934 fu nominato parroco di Sant’lppolito ove, oltre al ministero sacro, svolse la funzione di maestro. Gli anziani di quei luoghi ricordano ancora di aver appreso le prime nozioni da questo sacerdote-maestro.
Con Bolla Vescovile del 17 marzo 1942, Mons. Vezio fu trasferito alla Parrocchia di Sasso Pisano ed infine, il 3 aprile 1951, fu nominato Priore di Sant’Agostino a Volterra. In tale Parrocchia è rimasto fino al 1 settembre 1980: il Vescovo aveva accettato le dimissioni a seguito delle sue precarie condizioni di salute. Ma il dover lavorare per il Signore ardeva in lui. Per questo motivo dal 1981, fino al momento della sua morte, prestò servizio come Vicario Parrocchiale, nella limitrofa Parrocchia di Libbiano ove ha profuso tempo, energie e passione per le opere artistiche li presenti che portò a restaurare.
Durante il periodo volterrano. Mons. Vezio fu chiamato a svolgere altri incarichi oltre a quello di parroco. Fu insegnante nel Seminario Diocesano (ricordo di aver ricevuto lezioni da lui nella scuola media); fu assistente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica e degli Uomini di Azione Cattolica. Il 31 luglio 1962 divenne Direttore dell’ufficio Amministrativo Diocesano, un incarico che ha svolto sempre con grande impegno e scrupolosità perché, diceva, le cose che amministro non sono mie, ma della Chiesa e quindi dobbiamo non solo conservarle, ma migliorarle.
Per il suo impegno e donazione alla Chiesa, il 31 ottobre 1958 fu associato al Capitolo della Cattedrale di Volterra con il titolo di Canonico Primicerio e, a seguito della sua rinuncia a Priore di Sant’Agostino, fu elevato alla dignità di Canonico Proposto. Con questa onorificenza tornò in mezzo a noi venendo ad abitare con i suoi parenti in Via XXV Aprile, dando una mano anche in Parrocchia per le Confessioni e le Sante Messe.
Mons. Vezio che da piccolo era tanto vivace, da adulto era divenuto di una precisione e puntualità eccezionali. Si poteva stare tranquilli che quando diceva una cosa, la portava a termine.
Ma il suo carattere “pomarancino” era rimasto
ben vivo anche sotto la veste talare. Infatti, con fare e dire arguti, narrava
episodi “di quei tempi” e ricordava i “vecchi pomarancini” con ilarità e con i
soprannomi che allora, ma anche oggi, si usavano.
Il “suo Pomarance” lo aveva sempre nel
cuore e per questo ha voluto ritornarvi e qui è stato sepolto nella Cappella
del Cimitero accanto al suo Proposto Don Carlo Balsini e a Mons. Giulio
Paoletti.
Sulla tomba, semplice come era di carattere, vi è una sua fotografia rivestito dei paramenti sacerdotali e una breve scritta: MONS. VEZIO DELL’OMO, CANONICO DELLA CATTEDRALE. Una vita spesa per la Chiesa Volterrana, un attaccamento alla sua Chiesa Pomarancina.
Pontificale di S.E. Card. Luigi Capello
Desidero terminare questo articolo con
un ricordo personale. Appena fui eletto Proposto di Pomarance, mentre ancora
nessuno conosceva la mia nomina, mi pervenne una sua lettera con la quale, da
Pomarancino, dava il benvenuto al suo nuovo Proposto. Quel gesto mi fece
impressione e piacere.
Ora dal Cielo, con il suo fare arguto e
faceto, certamente ci ricorderà tutti, nome per nome e noi desideriamo
ricordarlo ancora. a distanza di cinque anni dalla sua morte, con la gioia sul
volto come lo vedemmo nel giorno delle sue NOZZE D’ORO SACERDOTALI, mentre,
con animo giovanile e lieto salì i gradini dell’altare di San Giovanni Battista
che già gli preparava la salita ai gradini della gloria eterna.
Il 15 maggio 1979, Mons. Giulio
Paoletti, Proposto da 26 anni della nostra Parrocchia San Giovanni Battista
in Pomarance, decedeva presso Albinia in un incidente stradale insieme
all’autista Sprugnoli Cassiano.
La notizia del tragico incidente giunse
al Comando dei Carabinieri nel primo pomeriggio di quel giorno provocando in
tutti i pomarancini dolore e sgomento.
Ma chi era Mons. Giulio Paoletti?
Nato a Casole d’Elsa il 24 marzo 1913,
fu ordinato sacerdote il 24 novembre 1935 da S. E. Mons. Dante Maria Munerati.
Dapprima parroco di Collalto dal 1936 al
settembre 1937, in tale data fu trasferito a Pignano dove rimase fino al 13 marzo 1946. Successivamente andò a Bibbona dove esercitò il suo ministero sacerdotale fino al 13 maggio 1953, allorché venne a Pomarance come Proposto.
È rimasto tra noi fino al momento
dell’incidente del 15 maggio 1979, mentre si recava all’Argentario a visitare
il luogo ove avrebbe desiderato portare i ragazzi con le loro famiglie per la
consueta gita parrocchiale.
Sono trascorsi dieci anni da quel doloroso
evento e credo sia giusto e doveroso ricordare alla Comunità intera questo sacerdote
che ha dedicato tante energie per
bene di Pomarance.
Mons. Giulio Paoletti: per i nostri bambini più piccoli è una persona che viene loro ricordata da noi grandi come colui che ha costruito l’Oratorio Parrocchiale; per i giovani, adulti e anziani é una persona con la quale si sono condivisi tanti momenti lieti, quali battesimi, cresime, prime comunioni, matrimoni e momenti tristi, quali funerali ed altri eventi dolorosi. Per tutti, Mons. Paoletti è stato un punto di riferimento. Infatti Monsignore ha amato Pomarance ed ha dato tutto se stesso per il bene e la crescita di questo paese. Ha vissuto in mezzo a noi con semplicità di vita, senza imporre, ma proponendo a tutti il messaggio evangelico con uno stile di vita fatto di cose semplici e piccole. Un richiamo, credo, che valga ancor oggi per tutti noi.
Ricordare un Sacerdote, il Proposto,
Monsignore, come ormai tutti lo chiamavano, è ricordarlo come prete fedele a
Dio, fedele alla Chiesa, fedele al suo popolo.
A questo popolo ha lasciato la sua testimonianza, ha lasciato come segno tangibile
l’Oratorio Parrocchiale dedicato all’apostolo dei giovani San Giovanni Bosco.
Già, i giovani. Di lì sono passati e passano ancor oggi i nostri bambini, ragazzi e giovani. Mons. Paoletti, confidando nell’aiuto di Dio, nel maggio 1958 vi pose la prima Pietro. Cinque anni di lunghe fatiche, di preoccupazioni, ma finalmente nel 1963 l’Oratorio Parrocchiale fu pronto e spalancò le porte ai nostri giovani.
Posa della prima pietra Oratorio Don Bosco 11/5/958 sono riconoscibili Biondi Dr. Pietro, Bellini Francesco, Mons. Paoletti e Mons. Bergonzini Vescovo di Volterra
Da 26 anni in questo luogo, la gente di Pomarance si ritrova per le più svariate ragioni: da quelle pastorali ed educative, a quelle formative e di divertimento. Mons. Paoletti godrà certamente nel vedere che la sua opera continua a portare il frutto.
Molte altre cose si potrebbero dire di Monsignore: la cura
dei malati, l’attenzione alle realtà del paese, le A.C.L.I., il desiderio di
riunire tutti ecc., ma credo che egli preferisca ancora una volta passare in
mezzo a noi con il suo modo fatto di dialogo e di semplicità.
È rimasto fra noi con le sue spoglie mortali nella
cappella del Cimitero. Sacerdote zelante da vivo, è ancora fra noi con la
preghiera e con il bene che ha seminato.
Ricordarlo nel Decimo
anniversario della sua morte significa ringraziare Dio di avercelo donato ed
impegnarci a far sì che quello che Lui ha intrapreso e portato avanti con
impegno e fatica, insieme possiamo continuarlo e migliorarlo a fare a favore
di tutti e soprattutto per i nostri giovani perchè possano crescere percorrendo
la via della rettitudine, dell’onestà e del bene.
A Pomarance siamo orgogliosi di avere la Chiesa Parrocchiale molto bella, che racchiude fra le sue mura opere d’arte famose dei secoli passati. Ma credo di non sbagliare se affermo che pochi pomarancini sono a conoscenza che si conserva pure la tomba di un famoso soldato e poeta del Rinascimento e cioè la tomba di Michele Marullo.
Marullo dipinto del Botticelli (Uffizzi Firenze).
È collocata sulla parete interna della facciata, sul lato
sinistro appena si entra. Le domande che vengono spontanee sono due: chi era
Michele Marullo? Perché le sue ceneri si trovano a Pomarance? Marullo, nato a
Costantinopoli nel 1453 da nobile famiglia greca, era un buon poeta, un uomo
coraggioso e molto importante nel periodo del Rinascimento quando ogni persona
istruita leggeva la lingua latina. San Tommaso Moro lodava le sue poesie e
Ronsard, in Francia, faceva altrettanto.
Nella dedica alle poesie di Lorenzo di Pierfrancesco,
Marullo afferma che, quando deponeva la spada, prendeva i libri ed era
contento di leggere e studiare il latino.
Marullo, quindi, soldato e poeta, ha scritto molti e bei
versi in lingua latina.
Proprio per questa sua indole di studioso, nell’aprile del 1500, venne a Volterra e fu ospite del sacerdote erudito Raffaele Maffei, chiamato il Volterrano, che aveva scritto dei libri su Omero, Aristotele, Senofonte e aveva tradotto Giovanni di Damasco e Procopio dal greco in latino. Raffaele Maffei aveva invitato il poeta Marullo come dotto greco, perché lo aiutasse nelle sue traduzioni. Poco tempo dopo la Pasqua del 1500, Marullo, malgrado una forte pioggia e l’esortazione del suo ospite a rimanere, decide di lasciare Volterra passando dalla Porta Etrusca per dirigersi verso Sud. Il poeta probabilmente era diretto verso Piombino che si trovava ancora nelle mani del suo vecchio amico Jacopo IV Appiano, ma che era minacciato allora da Cesare Borgia.
Ad otto chilometri a Sud di Volterra la strada era sbarrata dal fiume Cecina rigonfio dalle molte acque.
Paolo Cortese, amico del Marullo, afferma che il poeta fu consigliato dai contadini del luogo a non attraversare il fiume perché pericoloso. Ma il poeta non volle ascoltare i loro consigli. Quindi, spronato il cavallo verso il fiume in piena, l’animale inciampò, cadde addosso al poeta impedendogli di liberarsi morendo così travolto dalle acque minacciose del fiume. Per ordine di Raffaele Maffei, il poeta fu sepolto nella nostra Chiesa Parrocchiale.
La lapide originaria della tomba non esiste più. Quella attuale fu dettata dall’Arciprete Anton Nicola Tabarrini nel 1833 allorché la Chiesa Parrocchiale subì un totale restauro. In questa lapide fu aggiunta una particolare notizia e cioè che Marullo aveva l’intenzione di visitare Pomarance per “relaxando animo” cioè per riposarsi. Non sappiamo di preciso quale fosse il motivo della sua venuta. Su questo poeta ‘‘scrittore di elegantissimi versi latini”, lo scorso anno è stata scritta una bella biografia della signora CAROL KIDWELL che è docente universitaria in Inghilterra. Un libro di ben 323 pagine pubblicato il 23 marzo 1989.
Copertina del volume
La signora, con squisitezza di animo, ha inviato in
Parrocchia una copia del libro affermando “che la sua Chiesa doveva avere una
copia di questa biografia”. Infatti, oltre ad alcune pagine nelle quali parla
espressamente di questo episodio della morte del poeta, vi sono stampate ben
tre foto della facciata e della tomba del poeta.
L’autrice venne a Pomarance nel 1983 ed in questi anni ha
steso questa biografia scritta naturalmente in lingua inglese.
Questo ci fa comprendere come Marullo fosse grande e stimato
poeta tanto da meritare la pubblicazione di un libro.
Lo scrittore Ronsard scrisse
un epitaffio su Marullo che così conclude:
“che sempre leggera sia la terra alle tue ossa, e su questa
tomba che rinserra uno spirito sì bello sempre rampichi la verde edera’’ Motivo di vanto il custodire questa tomba, motivo per
essere più attenti a ciò che di bello ed importante abbiamo, motivo per leggere
e per possedere, almeno nella Biblioteca Comunale e nelle scuole, questo
volume.
Un grazie di
riconoscenza all’autrice signora CAROL KIDWELL per
averci fatto conoscere questo illustre poeta e scrittore che dona vanto anche
al nostro paese.
Don Piero Burlacchini
NOTE BIBLIOGRAFICHE
CAROL KIDWELL – Marullus: Soldier Poet of the Renaissance.
CAROL KIDWELL Sanderstead House Rectory Park Sanderstead Surrey CR2 9JR INGHILTERRA.
IL CAVALIERE MARIO BARDINI FONDATORE DELL’ISTITUTO DEL SACRO CUORE DI POMARANCE
Il Cav. Mario BARDINI, figlio del Cav. Giuseppe, facoltoso volterrano, e della Sig.ra Enrichetta dei Marchesi BALLATI NERLI, senese, nacque a Volterra nell’anno 1818. Residente a Pomarance come ricco proprietario terriero e consigliere del nostro Comune, ebbe in sposa la Sig.ra TETTI Antonietta di ricca famiglia borghese. Insieme alle sorelle, Antonietta maritata al Conte Galli – Tassi e Francesca (Fannj) sposa del Cav. Tito Cangini, ereditò una vistosa fortuna. In accordo con la consorte, il Cav. Mario decise di devolvere questa parte di eredità alla costruzione di un Istituto, che poi intitolò al “Sacro Cuore”, per l’istruzione e l’educazione del popolo. Mise a disposizione un rilevante appezzamento di terreno di sua proprietà, sito in via dei Mandorli, affidando all’Architetto Prof. PASQUALE FALDI di Peccioli la direzione dei lavori e la soprintendenza a tutti gli incarichi. Fu così che nell’anno 1884 ebbe inizio l’opera. Un enorme sbancamento nella zona tufacea servì alla preparazione di profondi pozzi per la raccolta dell’acqua piovana che in seguito fu usata per il fabbisogno della fabbrica. La pietra ricavata da questo lavoro fu utilizzata insieme a molta altra all’edificazione del maestoso complesso edilizio. I suddetti pozzi dettero in seguito ricchezza all’edificio fornendo acqua buona a tutti i servizi. I lavori volgevano a termine, l’opera dell’Architetto stava per concludersi. L’edificio era imponente, ben strutturato sotto ogni aspetto e capace di ospitare un rilevante numero di educande, ma per i coniugi Bardini sorgeva un grosso problema: a chi affidare l’incarico di dirigere un’opera di tale importanza?
Come mandata dalla Provvidenza, venne a passare da
Pomarance per recarsi a Volterra una suora, e saputo questo fatto si presentò
ai coniugi dicendo di avere costituito nel 1868 una congregazione detta delle
“Sorelle dei poveri di Santa Caterina”. Questa suora era Madre SAVINA
PETRILLI, nata a Siena il 29 agosto 1851, figlia di Matilde Vetturini e di
Celso Petrilli, di poca costituzione ma di tanta volontà. Era riuscita in pochi
anni, tutti dedicati alla carità, a realizzare costruendo Case Pie in varie
località, prima fra tutte a Firenze, poi a Montespertoli, Celle sul Rigo,
Volterra e Roma.
I coniugi Bardini furono ammirati e manifestarono
immediata fiducia a questa suora sino a pregarla con le lacrime agli occhi,
perchè aggiungesse alle altre anche questa opera di Pomarance.
Convinta dalla cordialità e dall’accoglienza dimostratale, Madre Savina non indugiò ad accettare una simile occasione. Così quando nel febbraio 1889 avviene la fastosa inaugurazione del grande complesso, Madre Savina è pronta a tenerne la direzione ed insieme ad altre consorelle dello stesso ordine inizia il suo lavoro. Nell’anno 1893, sempre per volere di madre Savina, viene commissionato all’artista pittore Alessandro Franchi il dipinto del Sacro Cuore a cui è dedicato il convitto di Pomarance. Il dipinto si trova tutt’oggi presso la Chiesina dell’istituto. Proprio quest’anno il 24 aprile a Roma, con udienza particolare, il Papa ha accolto le suore di questo ordine per assistere alla Beatificazione di Madre Savina.
Credo che un’opera come ci ha lasciato il Cav. Mario
Bardini non abbia bisogno di presentazione, perchè tutti noi paesani abbiamo
avuto l’occasione e la possibilità di apprezzarne i requisiti, lo personalmente
ricordo ancora quando negli anni trenta frequentavo l’Asilo Infantile e “Suor
Raffaella”, maestra d’asilo, nelle giornate piovose, ci intratteneva nella sala
giochi e lì si cantava, si giocava e si facevano i primi segni sul quaderno a
quadretti, le cosiddette “aste”, i primi tentativi per imparare a tenere la
penna in mano e a stare sul rigo. Poi, alla fatidica ora del pasto, ci
mettevamo in fila ed al canto di:
andiamo a tavola
compagni cari
che questa è l’ora
del desinare
tutto è buonissimo
tutto ci piace
andiamo a tavola
in santa pace
Beata Madre Savina Petrilli fondatrice della Congregazione delle Sorelle dei Poveri di S. Caterina da Siena rettrice dell’istituto Sacro Cuore.
si arrivava ai famosi tavoli metallici con il ripiano in marmo bianco; ogni tavolo aveva sei buchette rotonde per inserirvi le ciotole in alluminio allo scopo di non rovesciarne il contenuto.
Che profumo quel minestrone, tutto particolare, con la prevalenza dei fagioli fra gli altri legumi! Era una leccornia (25 anni dopo ho risentito lo stesso odore quando vi ho accompagnato mio figlio Mauro). Non mancava il rituale “Discorsino” per le feste tradizionali, tanta trepidazione e divertimento. Poi il cortile, la passeggiata in fila alla statua della Madonna posta in una grotticella che sembrava tanto lontana in fondo ad una stradina. Quando infuriava il temporale, c’era chi aveva paura, ed allora tutti compunti e devoti ci portavano nella chiesina del Sacro Cuore e mentre ad ogni lampo la suora, ripeteva “Santa Barbara benedetta liberaci dal tuono e dalla saetta”, le interne, come per incanto, dall’alto delle grate poste alle spalle di chi pregava, intonavano con le loro voci angeliche laudi alla Madonna che servivano a distrarre i piccoli impauriti. L’istituto era sicuro per questi temporali perchè era munito di parafulmini, ma questa sicurezza serviva solo alle mamme, e sino a tal punto che una volta che ci fu addirittura una piccola scossa tellurica una di queste disse: “meno male il bimbo è all’asilo, almeno lì ci sono i parafulmini ed è al sicuro”.
Foto di interne ai primi anni del ’900. Foto ricordo del folto gruppo dei bambini dell’Asilo infantile – 26 maggio 1938
Tra i tanti ricordi c’è anche quello di “GENESIA”, una donna atta alle fatiche più pesanti come la lavatura dei panni, e ripagata con l’inserimento nel numero dei conviviali; era vecchia, malmessa, camminava male, trascicava i piedi gonfi dai geloni, racchiusi in un paio di pantofole sgangherate che portava estate ed inverno, sempre quelle. Spesso noi bambini che si giocava sotto i loggiati del piazzale rialzato, ci avvicinavamo ad una pompa con una grossa ruota che serviva a bilanciare le forze di chi girava per tirar su l’acqua ai lavatoi, ma se per caso Genesia ci vedeva ci scacciava urlando; quel luogo era il suo regno. A quell’epoca si andava alle scuole elementari anche a sette anni, e di asilo se ne faceva.
Cappella dell’istituto; sopra l’altare è visibile il dipinto del Sacro Cuore (foto S. Donati)
Per oltre mezzo secolo l’istituto del Sacro Cuore ha adempiuto degnamente la volontà del suo fondatore: nei suoi locali, sotto la guida delle suore, hanno trovato sicuro rifugio tante bambine verso le quali la sorte non era stata benevola; l’asilo, allora il solo nel paese, ha accolto la maggior parte di noi nella prima infanzia; la Scuola Elementare femminile è stata aperta fino a circa trent’anni fa, poi l’Ambulatorio Comunale che vi fu trasferito dopo la distruzione del precedente ubicato sull’angolo di Via Camillo Serafini, e fatto saltare dalle truppe tedesche in ritirata per ostacolare l’ingresso in paese agli americani in arrivo. Tra quelle mura si sono svolte altre attività, che possiamo definire marginali, e che non ritengo di elencare, ma ricordo soltanto che l’istituto è sempre stato aperto a recepire e soddisfare ciò che la cittadinanza gli ha domandato. Oggi l’istituto ospita persone anziane, ma anche con questa nuova destinazione non è venuto meno al suo ruolo di essere utile alla comunità. I nostri uomini di comune con delibera del 18 maggio 1898 vollero onorare questo insigne signore ribattezzando col suo nome la via che conduce all’istituto da lui fondato e che fino ad allora era conosciuta come via dei Mandorli.
Cimitero di Pomarance – Tomba di M. Bardini – Cappelle gentilizie.
Con questa
breve rievocazione anche noi oggi vogliamo rendere omaggio a Mario Bardini per
la sua generosità e benevolenza verso la popolazione del nostro paese.
Giorgio
BIBLIOGRAFIA:
Savina Petrilli – “Come pane spezzato” – Ed. MESSAGGERO Padova 1987 “Rievocazioni Storiche” di Edmondo Mazzinghi-LA COMUNITÀ DI POMARANCE anno Vili n° 3 – 4 maggio agosto 1975
LUIGI BONUCCI è uno scultore pomarancino che ha lasciato nella
sua città numerose testimonianze della sua attività.
A Pomarance per onor del vero, vi ritornò in tarda età,
dopo aver percorso il suo itinerario stilistico in Firenze ove ottenne premi e
riconoscimenti anche importanti.
Il BONUCCI è uno scultore semplice nel linguaggio
tipicamente ottocentesco come dimostrano i busti, i ritratti dei personaggi con
le uniformi decorate e con gli enormi baffi che decoravano i volti di allora.
Sconosciute al grande pubblico le piccole sculture di
chiara ispirazione naturalistica come i pastori con greggi, gli animali
solitari, costituiscono gli esempi più belli nel panorama scultorio del BONUCCI.
Anche il Re se ne accorse acquistando un
gruppo nel lontano 1907.
Numerosi i bassorilievi, i medaglioni così diversi
nell’impostazione concettuale rispetto ai grandi monumenti rievocativi.
Una Mostra interessante, senz’altro da vedere, un’occasione da non perdere per conoscere una personalità di questa ricca comunità pomarancina.
Renato Frosali
Tra i personaggi più o meno famosi che si sono distinti
nelle arti figurative a Pomarance fin dai primi anni del ’900, meritano una
rivalutazione la figura e l’opera dello scultore “professionista” Luigi
Bonucci.
Appartenuto ad una delle più accreditate e prestigiose generazioni di falegnami mobilieri meglio conosciuti come i “FALUGI”, svolse la propria carriera artistica prevalentemente a Firenze dove, frequentando gli ambienti artistici della città, partecipò a mostre e concorsi nazionali.
Nato a Pomarance il 9 aprile 1871 da Claudio Bonucci, detto
il Falugi, e da Maria Bufalini, fu il secondogenito di quattro figli e
l’unico che per fare l’artista non intraprese il mestiere del padre.
Gli altri fratelli Carlo, Vittorio e Federigo perseguirono
l’attività artigianale di falegnami sino alla metà degli anni ’50. Avviato ben
presto alla bottega del “Falugi” e scopertagli una certa predisposizione al
disegno ed alle materie artistiche, fu inviato a studiare all’Accademia delle
Belle Arti di Firenze dove, per un certo periodo, fu ospitato nella casa
fiorentina del Sig. Emilio Bococchi, grande amico di suo padre, e da questi
mantenuto agli studi.
Alcuni diverbi con dei professori di Accademia, gli
comportarono l’espulsione dalla scuola. Conseguentemente si iscrisse
all’istituto Professionale di Belle Arti dove conseguì attestati ed importanti
riconoscimenti artistici.
Dalla scarsa documentazione non è stato possibile datare
la sua partenza da Pomarance, certo è che nel 1888 era a Firenze. Nel 1889, a
soli 17 anni, si innamorò e sposò una certa Galletti Annunziata (vedova
Sorri) alla quale rimase legato per tutta la vita. Ella possedeva a Brozzi, in
quel di Sesto Fiorentino, un negozio ed una casa dove lo stesso Bonucci
impiantò un suo studio artistico di scultura.
Dell’autore sono rimaste soltanto alcune opere in gesso ed
altri disegni conservati nella casa paterna dei “Falugi” di Via Mascagni
(attualmente degli eredi Zanella). Trattasi per lo più di piccoli bozzetti,
bassorilievi in terracotta, studi a matita, ad acquarello ed a china,
realizzati tra i primi del 900 e gli ultimi anni del 1950. Alcuni suoi bronzi
si possono osservare presso il Monumento dei Caduti, (’Ambulatorio Comunale,
nell’ufficio del Sindaco ed anche nella nostra Chiesa Parrocchiale.
Gran parte delle altre sue sculture, disperse chi sa dove
dopo il passaggio dell’ultima guerra, furono pubblicate da importanti riviste
culturali ed artistiche dell’epoca come l’ARTISTA MODERNO di Torino. In
questo periodico, stampato dai primi del ’900 fino al 1926, furono pubblicate
fotografie riguardanti alcuni suoi bozzetti esposti nelle più prestigiose
gallerie d’arte contemporanea, tra cui quelle di una scultura acquistata in
seguito da S. M. il Re d’Italia.
La stessa rivista artistica lo annoverava tra i migliori artisti fiorentini del primo novecento insieme a pittori come Bastianini ed altri. Molte foto dei suoi lavori furono raccolte dallo stesso autore in un catalogo dove sono annotati titoli di varie opere, i relativi premi conseguiti nonché gli anni della loro esposizione.
Dei suoi anni di Accademia sono conservati solo alcuni
disegni, studi di figure e di opere architettoniche che denotano la formazione
classica di stampo ottocentesco.
Nel 1901 conseguì presso la Scuola di Arti Decorative di
Firenze l’attestato e Medaglia di Bronzo come Intagliatore di legno; l’anno
successivo ricevette la Medaglia d’Argento come Modellatore, che conseguì
anche l’anno dopo (1903).
Nel 1904 partecipò ad un concorso per un Medaglione
organizzato dalla Camera di Commercio di Pisa classificandosi al secondo
posto. La notizia fu riportata su di un articolo del CORAZZIERE di Volterra
nel quale l’autore venne plagiato per aver donato due busti in gesso che adornavano
la Sala del Consiglio Direttivo della Società Liberale Monarchica di Pomarance:
…un nostro socio e compaesano, il giovane Luigi Bonucci, allievo della
Scuola d’Arte Decorativa di Santa Croce a Firenze, ha modellato ed ha condotti
a termine in creta, i due busti, del Be Liberatore e di Vittorio Emanuele III, con raro discernio
artistico, e li ha regalati ai consoci come ricordo…Queste due opere attualmente dovrebbero trovarsi nelle soffitte
del Palazzo ex Pretura.
Attorno al 1905 ricevette ancora una borsa
di studio per un bozzetto, acquistato dal Ministero della Pubblica Istruzione
nella Esposizione Annuale di Belle Arti di Firenze, intitolato “Stornelli
Toscani”.
Il maggior successo artistico di Luigi
Bonucci si ebbe attorno al 1907 quando conseguì un importante riconoscimento
artistico del Re d’Italia e contemporaneamente ricevette alcune commissioni
di opere commemorative di alcuni personaggi illustri.
Nello stesso anno presentò all’annuale
Esposizione Artistica di Firenze un bronzo intitolato “Riposo alla Fonte” che
fu acquistato da Sua Maestà il Re d’Italia. La notizia fu riportata da varie
riviste artistiche, da giornali nazionali e locali che così si esprimevano:
… e noi che abbiamo veduto il lavoro in creta ed in gesso possiamo
affermare che tanto il pastore come le sue pecore, sono modellate con
sicurezza, con sincerità: è un lavoro riuscito.
È interessante un biglietto della
Società delle Belle Arti indirizzato allo stesso Bonucci per riscuotere i
soldi della sua opera: … La prego passare domani mattina (venerdì) da
questo ufficio per riscuotere i danari per la vendita del suo bronzo a S. M. il
Re d’Italia. Sono all’ufficio dalle 9 alle 11,30 e dalle 2 alle 6 …
In una sua Biografia pubblicata su L’ARTISTA MODERNO di Torino l’anno successivo veniva menzionato come allievo del Prof. Rossi di Firenze e veniva così espresso un giudizio critico sull’autore: “… / suoi bronzi hanno un’efficacia espressiva notevolissima e dimostrano una mano ferma e maestra. Molte furono le mostre che accolsero le sue sculture ed in tutte egli ebbe ammiratori e plausi. Questa rivista ospitò diversi suoi lavori ed è lieta di poterlo annoverare fra i suoi collaboratori più attivi”. Un altro bozzetto di successo fu quello del 1908 intitolato “In bocca al lupo” raffigurante un cacciatore con una muta di cani al guinzaglio acquistato dal Marchese Bartolini Salimbeni. La rivista LO SCULTORE E IL MARMO di Milano descrivendo l’opera asseriva: ‘‘Un solido lavoro di Luigi Bonucci, molto interessante per la fattura corretta e di abbastanza efficacia espressiva, che è una premessa assai lusinghiera per il suo avvenire”
Visti i successi del Bonucci, il Comune di Pomarance,
attorno al 1908, commissionò allo scultore stesso il busto commemorativo del
Senatore Marco Tabarrini, per essere collocato sull’edificio scolastico a lui
dedicato in Via Bardini. Il busto del Tabarrini, attualmente posto
nell’ufficio del Sindaco di Pomarance, fu modellato attorno al 1909; nello
stesso anno il calco in gesso fu portato alla fonderia fiorentina di Gismondo
Vignoli per la fusione in bronzo. Esiste infatti una fattura del 2 ottobre
1909 inviata dal Bonucci al Comune di Pomarance contenente una spesa di lire
499 per essere stato in fonderia a ritoccare il calco in cera prima della fusione.
L’opera fu inaugurata due anni più tardi in occasione della apertura delle scuole maschile e femminile del comune di Pomarance dedicata al grande Senatore Pomarancino.
La scultura in bronzo venne portata a Pomarance il 25
ottobre 1909. Il comune in quella data stanziò a Luigi Bonucci lire 7,80 per
alcune spese occorse per l’imballaggio ed il trasporto da Firenze a Pomarance.
Il Corazziere di Volterra del 22 ottobre 1911 (data
dell’inaugurazione della scuola) elogiava l’artista dedicandogli un articolo:
‘‘Termino con un caldo elogio all’amico Luigi Bonucci, autore magnifico del
Busto, augurandogli una carriera splendida nell’arte cui con amore dedica
tutta la sua volontà ed il suo promettente impegno”.
È del 1911 un bassorilievo pubblicato sulla rivista
L’Artista Moderno intitolato “Il Progresso” di cui furono fatte anche una serie
di cartoline edite da Vittorio e Federigo Bonucci Fotografi. L’opera fu inviata
al Concorso Nazionale della Società Internazionale della Pace a Roma e sembra
che a causa della guerra Italo Turca l’esposizione non fosse stata allestita.
Non potendo essere ritirati dagli autori i lavori rimasero a Roma dove furono
acquistati dal Principe Reza che, con la scusa di fare una esposizione a Nizza,
li imbarcò trasportandoli in Persia.
Alcuni dei suoi lavori furono acquistati attorno al 1916
dal sig. Emilio Bicocchi ed attualmente si trovano inventariati tra molti
altri oggetti nel costituendo Museo Bicocchi di Via Roncalli a Pomarance. Sono
due bozzetti in gesso raffiguranti uno un cane da caccia (datato 1914) e
l’altro un pastorello ed una capretta intitolato “La preferita”.
Nel 1915 partecipò ad un concorso per un francobollo
indetto dalla rivista L’Artista Moderno di Torino.
È del 1917 un bel bozzetto intitolato “In cerca del proprio
capezzolo” raffigurante “una scrofa” con i maialini intenti a succhiare.
Dopo la fine della prima guerra mondiale l’autore realizzò
diversi modelli di lapidi per commemorare i caduti di quella guerra.
L’era fascista, che prediligeva tutto ciò che riportava al
grande impero romano, influenzò certamente il cinquantunenne Luigi Bonucci. I
suoi lavori, anche quelli di carattere religioso furono accompagnati da
elementi inneggianti il fascismo come ad esempio i Fasci Littori. Questi elementi
gli consentirono di lavorare, scolpire ed avere commissioni.
Nel periodo tra il 1922 ed il 1925 realizzò un medaglione
raffigurante l’immagine di Mussolini di cui rimane solamente una piccola foto
nell’archivio Zanella; dello stesso periodo è anche l’immagine di un Medaglione
intitolato Natalis Urbis (Natali
di Roma).
In quegli anni scolpi un San Giovanni Battista in
terracotta che fu collocato nella pila del Battistero della Chiesa
Parrocchiale di Pomarance. Eseguì inoltre una lampada votiva dedicata ai
caduti della l° Guerra Mondiale collocata nelTomonima cappella della chiesa
Propositura. Datato 1925 è invece un bassorilievo in terracotta collocato sopra
la porta della canonica nel quale sono raffigurati al centro il Monogramma di
San Bernardino da Siena (IHS) attorniato da un tralcio di frutti sorretto da
tre angioletti.
Lo scultore ritornò a Pomarance insieme alla moglie
Annunziata il 2 settembre 1927 all’età di 66 anni. Lasciata la casa di Sesto
Fiorentino, lo scultore Luigi Bonucci venne incaricato dall’Associazione
Combattenti e Reduci di Pomarance di eseguire l’aquila imperiale sopra il Monumento
ai Caduti ’15 – ’18 nel parco della Rimembranza e di adornare con tre bassorilievi
la parte bassa del monumento stesso. Alcuni modelli di questi sono conservati
nella casa paterna ed erano stati ideati con gli stessi simboli dell’era fascista.
Questi raffigurano uno scudo effigiato da un elmo della l° Guerra Mondiale, una
Croce di Guerra ed un Fascio Littorio. Il tutto contornato da una corona con
foglie di alloro e da due spade laterali la cui impugnatura presenta alla
sommità la testa di un’aquila. Con la caduta del fascismo lo scudo con il
fascio littorio fu asportato mutilando così un’opera che faceva parte della
nostra storia.
Attorno al 1929 eseguì alcuni bozzetti per medaglie, nello
stesso anno realizzò una serie di Madonne con Bambino in terracotta dipinta di
cui alcuni esemplari possono essere visti uno lungo la via di S. Ippolito in
un tabernacolo, ed un’altro murato sulla facciata della sua casa paterna di
Via Mascagni. Anche in questo bassorilievo sono predominanti gli elementi
inneggianti il regime come i fasci littori che avvolgendo il grano fanno quasi
da cornice all’immagine sacra. Questa opera è datata 29 ottobre 1929.
L’anno dopo il Podestà di Pomarance lo incaricò di eseguire
lo stemma del Comune di Pomarance che attualmente si trova presso l’ufficio
Tecnico comunale. Due anni più tardi fu incaricato, sempre dal Comune di
Pomarance, di eseguire una medaglia ricordo per la figura del Dottor
Cercignani di Pomarance. Due anni dopo il Podestà gli affidò l’esecuzione di un
busto alla memoria dello stesso dottore che venne collocato nel vecchio
Ospedale di Pomarance. L’opera in bronzo attualmente posta presso [’Ambulatorio
Comunale di Pomarance reca la data 1934. Interessanti sono alcuni disegni a
china, 1936, nei quali sono disegnati alcuni scorci del vecchio paese come ad
esempio i “Casalini”.
Nonostante l’età avanzata continuò a tenersi in esercizio dimostrando doti di grande temperamento artistico aiutando a i suoi fratelli nei loro lavori di intaglio di parti di mobili. Nel 1942 firmò un basso-rilievo raffigurante il battesimo di Cristo con il San Giovanni Battista.
Il passaggio della guerra, la fame, le difficoltà
finanziarie costrinsero lo stesso Luigi Bonucci a vendere o regalare molte
delle sue sculture o disegni in cambio di generi di prima necessità.
Nonostante le difficoltà di quel periodo e la scomparsa
della moglie Annunziata, il settantaseienne Luigi Bonucci continuò a scolpire e
modellare. È del dopoguerra lo stemma del Comune di Pomarance scolpito nel
tufo e posto sopra la porta dell’edificio comunale, così come è del 1947 un
leone in terracotta raffigurante il “Marzocco” (un leone seduto con la zampa
sopra uno scudo raffigurante l’Arme del Comune di Pomarance). Sembra che questo
fosse stato il modello per sostituire il vecchio Marzocco cinquecentesco distrutto
da un carro armato tedesco nell’ultimo conflitto mondiale.
È in mio possesso una delle sue ultime sculture, datata
1949, recuperata in una discarica abusiva nei pressi di Pomarance.
A 78 anni, nel 1950, partecipò ad alcuni concorsi per dei
manifesti di arte sacra a Pistoia e a Roma. Un particolare interessante di
questi disegni a china è la scritta “RIPA D’ARANCIO” a testimoniare la sua
origine pomarancina ed il suo attaccamento al paese d’origine.
Luigi Bonucci morì quattro
anni più tardi (28/1/1954) all’età di 83 anni lasciando erede universale sua
sorella Luisa Bonucci maritata Pineschi.
Jader Spinelli
Un ringraziamento doveroso per queste ricerche vada airing. Marco Zanella che ha consentito la visione delle opere e dei documenti privati conservati nella propria casa, così come un ringraziamento sincero vada ai Sig. Giovanni Baroni per la disponibilità nel documentare fotograficamente le opere dello scultore Bonucci.
PROPOSTO DI POMARANCE DURANTE IL PASSAGGIO DELL’ULTIMA GUERRA
Ai ricordi e agli episodi narrati in questa rivista nei precedenti numeri, desideriamo aggiungerne un altro per mettere in dovuto risalto il contributo di un sacerdote vissuto nel nostro paese in quegli anni tristi e dolorosi. Don Luigi Paoli, allora non ancora insignito del titolo di Monsignore, venne infatti nominato Proposto di Pomarance il 16 marzo 1942 e qui rimase fino al 5 luglio 1953 allorché fu trasferito a Cecina. Possiamo affermare con certezza che trascorse in mezzo a noi gli anni centrali e più importanti della sua vita. Don Paoli, infatti, era nato a Fabbrica di Peccioli il 23 agosto 1901. Ordinato sacerdote il 28 giugno 1925, fu nominato prima, Parroco di Castelletto e Frassini (Comune di Chiusdino) il 27 novembre 1926 e, quindi, trasferito nella Parrocchia di Sasso Pisano il 10 dicembre 1927. Successivamente, come detto, venne Proposto a Pomarance nel 1942. Venne in mezzo a noi con una esperienza sacerdotale vissuta in piccole Parrocchie, che perfezionò e maturò prima di essere trasferito a Cecina, la più grande Parrocchia della Diocesi di Volterra. Visse a Pomarance anni difficili, gli anni della guerra e come sacerdote non si tirò mai indietro di fronte alle difficoltà, dando così una grande testimonianza cristiana ‘‘più alta”, ‘‘diversa”, testimonianza che lo portò ad esporsi fino a subirne dolorose conseguenze.
Don Paoli, che usava annotare le cose più importanti nel ‘‘Liber cronicus” della Parrocchia, scrisse il 23 maggio 1943: ‘‘Durante l’ultima Messa vi fu un grande spavento in chiesa perché gli angloamericani effettuarono nel paese il primo atto di guerra con lancio di bombe e furono effettuati mitragliamenti da aereoplani nella zona della Burraia”. ‘‘Il 14 aprile 1944 fu bombardata la polveriera sul greto del fiume Cecina, con danni anche in paese. Quattro vetrate istoriate della Chiesa andarono distrutte”. Gli avvenimenti in quei incalzavano in modo repentino e chiunque era sospettato di antifascismo, veniva perseguitato e arrestato. Numerose persone furono tradotte nel Maschio di Volterra. In questo clima, il Proposto Paoli si dette un gran da fare per aiutare tutte le persone più esposte e per salvarle. Infatti, da alcuni soldati delle SS che erano giunti a Pomarance il 6 giugno 1944 e che erano entrati nella Chiesa, essendo quel giorno domenica, ebbe la confidenza che il giorno seguente ci sarebbe stato un grande rastrellamento in paese, con conseguente deportazione di persone giudicate ostili al regime nazifascista. A seguito di questa rivelazione riservatissima, Don Paoli si dette premura di avvertire nella serata e nella notte, tutti quelli che potevano essere vittime di rappresaglia. Tutti si misero in salvo; non pochi lo fecero nascondendosi anche in Canonica. La mattina seguente, Don Paoli, come era solito fare, celebra la Santa Messa delle ore 7, al termine della quale, ancora rivestito dei paramenti sacerdotali, viene arrestato dal tenente Truchi e dal maresciallo Zannella delle SS Nazifasciste. Condotto da un picchetto di soldati nella casa comunale, fu aggregato ad altri reclusi. In quel posto ebbe luogo una specie di processo con l’accusa di aver detto dall’altare che si deve amare tutti, di aver visitato nel Maschio di Volterra i genitori dei renitenti al servizio militare e di non aver fatto tutto per persuaderli a far presentare i figlioli al servizio militare. Don Paoli fu trattenuto due giorni non senza essere minacciato lui, insieme agli altri, di fucilazione.
Don Paoli con i giovani di Pomarance
La fuga di quelle soldatesche, avvenuta precipitosamente, fu la salvezza. Per questa opera a favore del prossimo e per aver rischiato la vita, il 25 aprile 1970, il Comune di Pomarance gratificò Don Paoli con questo attestato d’onore: ‘‘Il Consiglio Comunale di Pomarance, nel 25° anniversario della Liberazione, memore del contributo prestato per la liberazione del nostro paese dai fascisti e dai nazisti, per la libertà e l’affermazione della democrazia, nella uguaglianza del nostro popolo: 1945-1970”. Momenti difficili per il parroco e per tutto il paese. Di questi avvenimenti è rimasto anche un ricordo nella Chiesa Parrocchiale. Nella navata di destra vi è infatti una grande lapide, scritta in lingua latina, dettata dal Prof. Giovan Battista Bellissima che in quel periodo si trovava sfollato a Pomarance. Infatti il 15 agosto 1944 fu celebrata una grande festa di ringraziamento per lo scampato pericolo della guerra. In Chiesa si riunì tutto il popolo festante e riconoscente a Dio e alla Madonna. In tale lapide leggiamo ‘‘Dalla desolazione quasi generale / retaggio della orrenda guerra Tedesco Anglo Americana / essendo uscita illesa Pomarance / la cittadinanza unanime / annuente il parroco Luigi Paoli / nella solennità dell’Assunta / sciolse con animo grato / il voto fatto nella festività della Madonna del Carmine / della consacrazione delle famiglie / al Sacro Cuore di Gesù / propizio augusto vindice / e questo ricordo poneva / affinché nell’ombra dell’oblio/ non cadesse il favore divino”. Mi è sembrato giusto ricordare anche questa figura di sacerdote, che in quegli anni, come il Buon Pastore, donò la vita per il suo gregge. Ricordarlo e ripresentare il suo esempio di generosa donazione, sia uno stimolo a verificare la qualità di ideali che esprimiamo oggi nella vita sociale ed ecclesiale.
Così veniva chiamato o più semplice- mente ancora “IL CAPPELLANO’’ Don Giuseppe Ongaro, deceduto lunedì 27 giugno 1988 a Chiusaforte. Don Ongaro, nato a Cerea (VR) il 10 marzo 1913, interruppe gli studi nel Seminario di Verona per prendere parte alla guerra in Etiopia, Eritrea e Somalia insieme agli Alpini.
don GIUSEPPE ONGARO. Foto II Messaggero Veneto
A fine conflitto, entrò nel Seminario di Volterra insieme ad altri seminaristi veronesi, accolto dal Vescovo Mons. Dante Maria Munerati dove completò gli studi di teologia e dove fu consacrato sacerdote il 2 luglio 1939. Fu inviato subito a Pomarance dove celebrò per la prima volta la S. Messa il 15 agosto 1939 essendo allora Proposto a Pomarance il Canonico Carlo Balsini. Da allora fino al 1971 è sempre rimasto ininterrottamente in mezzo a noi esercitando la missione di Cappellano delle Monache e della Misericordia. Infatti all’inizio fu ospitato nella foresteria delle Suore insieme alla
mamma Angiolina in Via Serafini 5.
Di questo periodo si ricorda che ospitò durante il passaggio della guerra un professore di musica, il Professor Granchi, diplomato di violino, sfollato nel nostro paese assieme alla famiglia e che durante la permanenza improvvisò in questa casa la scuola di canto. Sempre in questi anni fu insegnante di Religione presso la prima scuola Superiore, denominata “Regia Scuola Biennale di Corso Professionale a Tipo Industriale” , sita sull’angolo di Via Serafini con Via Garibaldi sopra l’ex ambulatorio, dove oggi vi sono i Giardinetti. In seguito si trasferì in Via Indipendenza in una casetta di sua proprietà. Don Ongaro, come sacerdote, è stato sempre disponibile al dialogo fraterno con tutti. Gli piaceva stare con la gente di Pomarance dove si è sempre trovato bene e dove amava ritornare frequentemente perchè qui trovava gli amici, qui ricordava i momenti di serenità trascorsi, qui visitava la tomba della sua mamma al Cimitero. Era venuto tra noi lo scorso anno trattenendosi per un mese circa per ristabilirsi dopo una degenza all’ospedale di Gemona e per l’ultima volta tre mesi or sono. Nessuno si sarebbe immaginato che sarebbe stata l’ultima.
Pellegrinaggio alla Madonna della Casa. Anno 1942 con i sacerdoti Don Saiusti, Don Paoli e Don Ongaro.
La notizia della sua malattia è giunta improvvisa come
quella della sua morte, provocando in tutti sorpresa e dolore. Per esprimere la
partecipazione di tutta la popolazione di Pomarance e testimoniare la
riconoscenza per il bene fatto, il Proposto Don Piero Burlacchini, il
Governatore della Misericordia Dell’Omo Augusto, con i signori Spinelli
Armando e Iolanda si sono recati a Chiusaforte. I funerali sono stati solenni.
Li ha presieduti Mons. Pietro Brollo, Vescovo Ausiliare di Udine, alla presenza
di dodici sacerdoti e di molti fedeli, compresi gli Alpini del Battaglione
“Cividale” presso i quali Don Ongaro svolgeva la sua assistenza spirituale.
Il Vescovo, il Parroco, il Sindaco di Chiusaforte nei loro
discorsi hanno messo in risalto una triplice caratteristica di Don Ongaro:
“Era un sacerdote che vestiva di tonaca, che andava sempre
in bicicletta e che amava fumare il sigaro’’. Prete semplice ma schieto;
parlava poco ma amante della cultura e dell’arte; prete che ha condiviso con
la sua gente la povertà ed i disagi del terremoto del Friuli e che in questi
anni lo ha portato a vivere in un albergo mezzo diroccato.
Così lo hanno ricordato a Chiusaforte, così lo vogliamo
ricordare anche noi. La sua salma è stata sepolta nel Cimitero di Chiusaforte
per espresso desiderio di quella Comunità che lo ha voluto fra le sue montagne.
Per noi Pomarancini rimarrà sempre “IL CAPPELLANO”, una figura caratteristica che non vedremo più passeggiare per le nostre strade, fermarsi a parlare per ricordare, tra un sigaro e l’altro, episodi vissuti insieme.
Tra i Proposti che hanno guidato la Parrocchia di Pomarance in questo secolo ventesimo, non possiamo non ricordare Don Carlo Balsini. E questo per due motivi: il primo, perché è stato in mezzo a noi per molti anni, cioè dal 1906 al 1942 ed il secondo perché il suo ricordo è rimasto indelebile nell’animo dei Pomarancini.
Mi capita spesso, infatti, di sentir parlare di questo
sacerdote con molta venerazione e rispetto. Espressioni come queste: “è stato
il mio Proposto …. mi ha battezzato …. mi ha fatto la prima comunione ….
mi ha sposato ….” fanno molto piacere ascoltarle dopo tanti anni.
Don Carlo Balsini o più precisamente il Canonico Carlo Balsini, figlio di Stefano, era nato a Riparbella il 7 dicembre 1877. Con lettera dimissionaria dell’Arcivescovo di Pisa, venne Cappellano a Pomarance il 1 novembre 1905 presso l’istituto Sacro Cuore che era stato eretto dal signor Mario Bardini. Nel 1906 fu incardinato alla Diocesi di Volterra e divenne Economo Parrocchiale per la grave malattia che aveva colpito il Parroco Titolare Don Luigi Checci di Pecoioli.
Fu nominato Proposto di Pomarance il 15 giugno 1908.
Figura alta ed imponente nel fisico, riservata di carattere,
rispettosa nei confronti del prossimo, fu sempre e solo sacerdote svolgendo
con impegno e delicatezza il suo ministero.
Molti lo ricordano per la quotidiana passeggiata che
faceva attorniato dai molti seminaristi che vi erano a Pomarance. Ma il Proposto
Balsini è molto ricordato anche per l’attaccamento alla Chiesa, essendosi
impegnato in imponenti lavori. Infatti, la struttura muraria della Parrocchiale
necessitava di urgenti restauri.
Per questo motivo nel 1928 iniziarono i lavori che si protrassero fino al 1933, anno del Giubileo della Redenzione. Questi restauri, eseguiti dalla ditta Zampini di Siena, con a capo il pittore Gualtiero Anichini, interessarono la ripulitura degli affreschi deU’Ademollo; furono fatte integrazioninella Cappella della Madonna e nel Coro; furono dipinti due medaglioni in San Giovanni; i quattro Evangelisti nella cupola e le scene di Gesù tra i fanciulli e la moltiplicazione dei pani nella Cappella di San Vittore. Avendo avuto Pomarance molti caduti in guerra, fu costruita pure la Cappella apposita con i nomi di tutti i morti. Fu sempre in quel restauro che la Chiesa fu arricchita di vetrate istoriate policrome a tutti i finestroni ed al portone centrale dove è raffigurato proprio san Carlo e furono costruiti i sedili a spalliera in noce lungo tutto il perimetro del sacro luogo. Inoltre la Chiesa fu abbellita con lumiere piccole e grandi per l’illuminazione. Il Proposto nell’occasione fece stampare molte cartoline dei restauri eseguiti, raccolte anche in piccoli album ricordo.
Don Balsini con i Comunicandi del 1941.
Come riconoscimento per questo suo gravoso impegno, Don
Balsini fu nominato Canonico onorario della Cattedrale di Volterra il 29
maggio 1929.
In tutto il periodo trascorso a Pomarance, il Canonico
Carlo Balsini dette grande lustro e dignità alla Parrocchia facendosi amare e
stimare molto.
Vi rinunziò il 15 marzo 1942 allorché si ritirò a Nodica
presso il suo nipote Don Guido, ove morì il 19 marzo 1956.
In quella circostanza si elevò dal popolo una richiesta e
cioè quella di avere le spoglie del Proposto a Pomarance. Il che avvenne con
grande affluenza di popolo il lunedì di Pasqua, 2 aprile 1956.
La salma del Canonico Carlo
Balsini riposa ora al centro della Cappella del nostro Cimitero. Una semplice
lapide, la sua foto ed una frase latina: “Recessi pastor noster, tons acquae
vivae” cioè “È partito il nostro pastore,
fonte dell’acqua viva, della grazia di Dio”. Un pastore che non vediamo più con
gli occhi della carne, ma che è rimasto spiritualmente in mezzo al suo popolo
al quale aveva donato generosità amore e fede, tutto se stesso.
Don Piero Burlacchini
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
La Storia Continua
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