Epoca moderna, parole nuove,
espressioni inglesi, pubblicità (su televisione, con volantinaggio, con
manifesti), istruzione, informazione, viaggi, ma quanto civismo?
Circa settanta anni fa si costituiva a Pomarance, per volontà del proprietario terriero Cav. Emilio bicocchi (allora Sindaco del nostro Comune), il punto di scarico dei rifiuti. Nei presi dell’allora podere Ortolano, di proprietà Bicocchi, si costruì il ptimo immondezzaio, e sempre per suo conto fu costruito il mezzo adatto alla raccolta ed al trasporto dei materiali da buttare. Lo Spazzino, con lettera maiuscola, poi netturbino, oggi operatore ecologico, con coscenza, una granata di scopa ed una paletta, riusciva a tener pulite le strade lastricate del nostro Pomarance.
Era “MIZIO” (Salvadori Domizio), figura simpatica e allegra, che ogni mattina con la sua stridula trombetta richiamava le donne di casa per vuotare il secchio con i pochi resti del modesto pasto giornaliero (molto più voluminoso nel periodo dei baccelli), nel carretto di legno trainato dal ciuchino (Beppe) che con pazienza, da somaro, si fermava un passo si ed un passo no.
Per anni questo ciuchino continuò a girare in lungo ed in
largo il nostro paese e, prima con Mizio e poi con “BEPPE” (Baiatri Giuseppe)
portava tutti i nostri miseri avanzi all’Ortolano.
Lo spazzino Giuseppe Baiatri con il carretto per la raccolta dei rifiuti urbani trainato dal ciuchino detto “Beppe”.
Ogni anno nel periodo della semina questa raccolta veniva
rimossa dagli operai della Fattoria Bicocchi (era questo il suo ricavato e
pago) e cosparsa prima dell’aratura nei campi di sua proprietà.
Passò la guerra, il fronte, il Tedesco e l’Americano, anche Beppe morì, il ciuchino scomparve e fu sostituito da un motocarro. Il fronte aveva lasciato i primi rifiuti non degradabili: “la plastica”, grande ritrovato, ma come ogni medaglia anche questa con il suo rovescio, era indistruttibile. I vistosi e multicolori oggetti cosparsi ogni dove in forme diverse emergono dappertutto ora galleggianti ora volanti. Tutti la vediamo, ogni giorno, tutti ne diciamo male, ma purtroppo non rinunciamo ad abbandonare a se stesse queste borsine piene di ogni ciocchessia, lungo i fossati, sul ciglio della strada, o nei boschetti, ed ancora più ben in vista agli ingressi del paese.
Automezzo del comune per la nettezza urbana di Pomarance
I nostri amministratori, “CON I NOSTRI SOLDI”, hanno
acquistato sia i contenitori per i punti di raccolta, sia i mezzi di trasporto
atti al recupero di tutto ciò di cui vogliamo disfarci, tuttavia sembra che ciò
non sia ancora sufficiente.
Non è questo l’articolo che riuscirà a convincere o ad insegnarci cosa dovremmo fare,ma speriamo che insieme a tutti gli altri ammonimenti, e “CON UN RAGLIO DI SOMARO” serva alla civiltà di oggi, dimodoché il turista sia straniero che italiano, possa avere buona impressione sulla nostra civiltà.
Circa un anno fa, tramite il
libro “IL FORMICAIO” edito da “IL GABBIANO” di Livorno, conoscemmo attraverso
i suoi racconti la signora Vittorina Bibbiani in Salvestrini e la sua famiglia.
Erano andati via da Pomarance durante gli anni venti e, meno che gli intimi,
nessuno aveva più avuto rapporti con loro. La famiglia Bibbiani, di pura razza
contadina, di quei contadini cresciuti con la zappa in mano e senza arnesi
meccanici, era vissuta al podere “FORMICAIO” sito ad un chilometro dal paese
lungo la provinciale per Larderello. I Bibbiani con tanto sudore ed altrettanta
volontà riuscivano a malapena a far fruttare il sassoso terreno, e dai racconti
del libro si può ben comprendere quali siano stati i sacrifici per far sì che
da un piccolo poderetto potessero uscirne, non uno, ma due diplomati. Giustamente
Aurelio, il fratello della scrittrice, Ragioniere e Perito commerciale, mi ha
posto in evidenza un interessante articolo uscito su La Nazione ad opera di
Marzio Barbagli, docente di Sociologia all’università di Bologna. In esso si rimarca
che in quegli anni soltanto lo 0,4% dei contadini riusciva a perseguire un
diploma, un numero esiguo, come si può notare, ma fra questi vi era anche
quello di Aurelio, che poi, per suo merito, aggiungeva anche quello della
sorella Vittorina con il diploma di Maestra Elementare. Una rarità potremmo
definirla, tanto più da apprezzare in quanto questi due pomarancini hanno,
come si suol dire, tirato fuori frutti proprio dalla zolla.
lo personalmente ho conosciuto questi signori nell’occasione della presentazione del libro “IL FORMICAIO” a Rosignano Marittimo il 18 ottobre 1987, tuttavia erano ancora sconosciuti alla maggior parte dei pomarancini e soltanto con la divulgazione di questo libro essi si sono resi noti ed apprezzati. Ma la signora Bibbiani, in una visita al paese natio, espresse il desiderio di rivedere il vecchio podere ed in compagnia della sua amica Emma, si recò al Formicaio. Con gran meraviglia constatò che la Croce, la famosa Croce, menzionata nei suoi racconti, non era più al suo posto, non indicava più il vialetto che conduceva al suo podere. Ne fu rammaricata, e lì per lì, si propose di far tutto il possibile per ricollocare questo segno di cristianità in loco. Carta, penna e destrezza nello scrivere, si mise subito all’opera e, prima al Parroco, poi al Vescovo, all’ANAS (visto che oggi la strada non è più Provinciale ma è la Statale 439 SARZANESE VALDERA), poi alle autorità, al proprietario del terreno (oggi Fedeli). Un’infinità di lettere, che messe insieme cominciavano a concretizzare il suo sogno. Anch’io ne ero partecipe, perchè dopo la nostra conoscenza ero tenuto al corrente dell’evolversi dei fatti e delle difficoltà che continuamente si frapponevano al raggiungimento dello scopo. Dopo non poca fatica e tanta perseveranza finalmente i suoi scritti cominciavano a fruttare ed i permessi furono quasi tutti nelle mani della signora Bibbiani che tornò a Pomarance ed ordinò la Croce al falegname. Egli prese l’impegno di costruirla ma non quello di procurare il legno adatto e come lo voleva ed esigeva la signora, così questa interpellò la Guardia Forestale, il cui Maresciallo sig. Visci Vittorio riuscì a procurarglielo proprio come lo desiderava.
Fu scelto il posto
giusto dove collocarla, in modo da non ostacolare il traffico e la visibilità
a chi percorreva questa Statale.
Finalmente il 24 settembre 1988, in uno splendido pomeriggio autunnale, la fatidica Croce, dopo una suggestiva cerimonia officiata dal Proposto don Piero Burlacchini, ed al canto delle vecchie lodi sacre usate per le rogazioni, in lingua latina, venne issata in un cippo predisposto dopo essere stata benedetta e baciata dai fedeli. La signora Bibbiani ringraziò caldamente quantil’avevano aiutata per raggiungere la meta prefissa e tutti i presenti alla cerimonia (un centinaio di persone) tra cui il Sindaco Renato Frosali, il Maresciallo Visci, il Presidente dell’Associazione Turistica, le sue colleghe maestre, il fratello sig. Aurelio, la sorella Maria, il figlio con i nipoti. I giovani nipoti consegnarono un cartoncino con effigiata la Croce già pubblicata sul libro “IL FORMICAIO’’. Così la signora Bibbiani prima con il libro ed oggi con la Croce è tornata celebre nella sua terra e come lei i suoi familiari. Terminate le funzioni religiose il gruppo dei presenti, dietro invito della signora, si è recato presso il Circolo ACLI dove è stato offerto un ricco rinfresco.
A questa piccola, ma grande maestra vada,
a nome mio e della Redazione di questa Rivista, un augurio di prosperità ed un
grazie per aver ripristinato un simbolo di religiosità che, senza la sua
tenacia, sarebbe rimasto soltanto nel ricordo di pochi.
La CROCE DEL BIBBIANI come la ricorda Vittoria Silvestrini nel suo libro “IL FORMICAIO”: Posta sulla via Provinciale, all’imbocco della stradetta della nostra casa, era il punto di riferimento per chi ci cercava. Fatta di due grossi tronchi incastrati, aveva in alto una tavoletta con la sibillina scritta “I.N.R.I. ” e all’altezza dei piedi un ceppo con un grosso chiodo. Mi rivedevo piccolina abbracciata a quella Croce; risento sulle labbra il contatto di quel chiodo bollente d’estate, marmato in inverno, e l’odore agrodolce del catrame! Quanti fiori campestri ho messo sul piedistallo, sul chiodo, sulle braccia di quella Croce!
Ma la festa era per le Rogazioni, molti bambini di città
non sanno nemmeno cosa sono le Rogazioni, cioè le processioni che si fanno
nelle campagne, per tre giorni di seguito, prima dell’Ascensione, per
impetrare dal Signore un buon raccolto.
…La nostra casa distava dalla via maestra un tiro di
schioppo e vi si perveniva mediante una stradella sassosa, fiancheggiata da
pergole di viti. All’imbocco, nera e solenne, su un piedistallo di pietra,
troneggiava la Croce, la Croce del Bibbiani, la nostra Croce.
Qui si fermavano ogni giorno i postini per prendere il latte; qui arrivavano le signore del paese durante la passeggiata vespertina, qui veniva il Proposto per le Rogazioni; di qui passavano gli operai delle miniere e di Larderello, i barrocciai, le persone che si recavano alla chiesa, i contadini che si recavano alle fattorie, le lente carovane dei muli quasi sepolti sotto le enormi some di carbone (e attaccato alla coda dell’utlimo, il mulattiere dal volto nero e dai denti bianchi come un negro).
…La Croce era come un balcone per noi ragazzi…
…Dalla via maestra ho visto passare le prime biciclette,
le prime automobili… …Nel tardo pomeriggio dei giorni feriali passavano le
donne del paese che tornavano da far legna, dalle macchie lontane chilometri
e chilometri. La portavano in testa, senza reggerla, in enormi fastelli a
forma di sigaro. Incedevano lente, sotto il grave peso, con la calza in mano
ed il ventre gonfio per l’ennesima maternità.
Vi passavano, mattina e sera, gli irrequieti operai delle
miniere, che discutevano, bestemmiando, di salari, di partiti, di scioperi, o
cantavano “Bandiera Rossa” e …
Ricordi più recenti li rivivo anch’io: la Croce del
Bibbiani dei miei tempi. Mi rivedo quando, da ragazzo, in compagnia di mia
madre mi recavo alla Croce del Bibbiani o Croce di Nebbia, o addirittura, per
i più vecchi, alla Croce di Parrucca.
Ricordo quando si arrivava agli olmi, località tra il piccolo boschetto di querciole che demarcava i confini tra il terreno del Formicaio e quelli del Valentini, una fila di vecchi olmi (una decina) che costeggiando la strada maestra arrivavano all’incrocio per le Peschiere. La strada in quel punto era in semicurva e dopo pochi passi si scopriva il podere. La Croce, che per l’occasione era resa vistosa dagli innumerevoli e variopinti fiori di campo, spiccava in lontananza e, mentre la processione dei fedeli si avviava pian piano, noi ragazzi si scappava avanti a precedere il gruppo. Il traffico automobilistico era esiguo ed il pericolo era limitato, così i genitori ci lasciavano correre per quel breve tratto.
Gli anni passarono e si arrivò al periodo
bellico, al passaggio del fronte. In quelle vicinanze, durante un mitragliamento,
fu ucciso un soldato tedesco e mani pietose scavarono una fossa ai piedi della
vecchia Croce e seppellirono questo militare. Un cumulo di terra restò per
vario tempo visibile ad indicarne la sepoltura poi, a guerra finita, tutte le
tombe segnalate furono riesumate e raccolte in un quadro del cimitero di
Pomarance riservato a questi soldati.
Passarono ancora degli anni, ed io, come
tanti altri mi recavo a lavoro a Larderello: erano i primi anni del dopoguerra
ed il mezzo di locomozione più usato era la bicicletta. Ricordo che una
mattina di piena estate, erano le 3 e 30 ed ero solo per recarmi al primo turno
che iniziava alle 5, arrivato agli olmi vidi nel buio ed al flebile riflesso
del mio fanale, una fiammella che si muoveva in prossimità della Croce, pensai
a qualcuno che si era fermato ad accendere una sigaretta, ma più mi avvicinavo
e più mi rendevo conto che attorno a questa fiaccola non c’era nessuno. Ebbi
paura e cominciai a pedalare con più intensità arrivando cosi al Formicaio a
velocità sostenuta e passando davanti più svelto possibile. Dopo, passata la
Pieve Vecchia, mi girai indietro e vidi che la fiammella era proprio dietro di
me e mi stava seguendo; accelerai ancora sempre più sino alla discesa di Mona
e questa mi seguiva ancora, finalmente arrivato alla Croce del Bufera essa
scomparve per la strada di San Dalmazio.
Avevo 17 anni ed ero anche pauroso, poi
solo e a quell’ora mi presi un bello spavento. Arrivato sul luogo di lavoro
raccontai l’accaduto e dai più anziani fui anche deriso; “Ma era un fuoco fatuo”
mi disse uno di loro, poi tutti insieme mi spiegarono che era gas che si
sprigionava dalla terra dove probabilmente vi era stato seppellito qualche
animale, (ed io allora ricordai chi vi fosse stato sepolto) con la calura del
giorno questi gas si incendiano e durante la notte possono essere visti.
La mia è una piccola avventura, ma può
coprire il vuoto che si frapponeva fra il tempo delle vecchie Rogazioni ed i
nostri tempi.
Con il Bollettino di Guerra n° 1268
delle ore 12 del 4 novembre 1918 diramato dal Comando Supremo con firma
Armando Diaz, si dichiarava: LA GUERRA E’ FINITA CON LA VITTORIA DELL’ITALIA.
Questa guerra denominata Guerra
Mondiale, dopo lotte asprissime sostenute con tenace valore dalle nostre
truppe per quarantuno mesi con inizio il 24 maggio 1915, cessava le ostilità.
Anno 1925 – Il monumento in costruzione
Una guerra combattuta alacremente sul
terreno aspro delle Alpi Carsiche che ad ogni inverno si accaniva sempre più,
dove migliaia di giovani erano rimasti sul terreno insanguinato.
Centinaia di reggimenti dislocati nelle
varie zone e nei vari settori con mostrine di colore disuguale ad indicarne il
corpo di appartenenza. Tutti, a loro modo, Alpini, Genieri, Artiglieri, Fanti,
Bersaglieri, Cavalleggeri, (ed alle prime esperienze) l’Autocentro e l’Avia-
zione, dislocati su Km. di fronte, con la Marina sulle coste di Trieste e
Monfal- cone. I pezzi di artiglieria, i grossi semoventi, dovevano esser
portati sulle irte cime con dislocazioni precarie e mancanti di strade di
accesso. Fu tramite trincee e mulattiere che le artiglierie, smontate nel
limite del possibile, poterono essere portate ad elevate quote e posizionate a
rilevanti altezze da permettere lo sparo. Centinaia di questi giovani, spesso
con imboscate, con attacchi improvvisi rimanevano sul terreno conteso.
Dopo la data del 4 novembre si attendeva
con ansiosità il ritorno di questi militari, di questi ragazzi che erano stati
mandati sul confine alpino a difesa del nostro stivale.
Gli italiani erano in delirio per questa
vittoria, gli Ufficiali, i soldati stessi erano soddisfatti del loro operato e
del loro sacrificio.
Chi era ad attenderli aveva riserbato
per loro le più belle manifestazioni di simpatia e di compiacimento. Suoni di
campane, di fanfare, ricevimenti civili e funzioni religiose. Incontri con
fiori e baci offerti da belle ragazze. Era insomma il momento riservato a
questi eroi che ogni giorno con tradotte venivano riportati alle loro
località, alle loro case.
Purtroppo non fu per tutti così; infatti
nei giorni a seguire cominciarono a giungere non più uomini, ma telegrammi con
nomi che andavano ad accrescere il numero delle liste dei soldati che non
sarebbero più tornati. Dopo mesi i conteggi terminarono, lasciando il posto a
numeri che si assommarono per poter essere interpretati:
600.000 Caduti
1.000.000 Feriti 500.000 Mutilati
Molte le madri straziate dal dolore
accompagnate dalle giovani spose e dagli orfani che magari non avevano nemmeno
conosciuto il loro padre.
Più il tempo passava più ci si accorgeva
del vuoto lasciato dalla loro mancanza.
Chi aveva le responsabilità cominciava
a sentirne sempre più le colpe.
Si arrivò agli anni venti. Promossi
dalla Casa Regnante e dal nascente Partito, si istituirono comitati per l’esecuzione
di monumenti che a seconda delle località si rendevano più o meno consistenti.
Roma, che era la capitale, mise a disposizione il VITTORIANO: il monumento
dedicato a Vittorio Emanuele Il e da poco terminato (1885- 1911). Così alla
base della statua equestre del Re venne messa la salma di un soldato ignoto
come simbolo da cui poi questo prese il nome. Il monumento detto Altare della
Patria, dopo la grande scalea vista da Piazza Venezia, mostra una fiaccola
perenne protetta quotidianamente da due soldati che vi montano la guardia.
Tutta l’Italia si impegnò a seguire questo esempio e, dalle grandi città fino
ai piccoli paesi e alle più sperdute borgate, si cercò con qualsiasi forma e
con ogni mezzo di glorificare il sacrificio dei soldati che vi avevano abitato.
Anche Pomarance si prodigò per questa
realizzazione e ne dette incarico ad un apposito Comitato presieduto prima dal
sig. Aurelio Funaioli e poi dal sostituto e nuovo eletto Sindaco, sig. Onorato
Biondi, nonché dai sottoelencati sigg. NASTI Gennaro, BICOCCHI Dott. Michele,
BALSINI Don Carlo Proposto, FILIPPI Zeffiro, CERCIGNANI Ivo, BIONDI Dott.
Pietro Giuseppe, VOLPI Gino (BIAGINI Egisto, LAZZERI Giuseppina, GUASCONI
Giovanna, BARACHINO Eda, CANCELLIERI Giuseppina, tutte facenti parte del corpo
Insegnanti). Fino dai primi mesi del 1923, aderendo alle istruzioni superiori
delle Autorità Didattiche, iniziarono le sottoscrizioni. Non poche furono, come
sempre succede quando c’è da tirar fuori i soldi, le polemiche e le reazioni.
L’incarico del progetto andò al Prof. Architetto
Francesco NOTARI di Siena, insegnante presso le classi di Belle Arti e
Professore di disegno architettonico.
La base del monumento con i medaglioni di Luigi Bonucci
Sempre su interessamento del Prof.
Notari furono presi accordi con lo scalpellino GARFAGNINI Quintilio di Pomarance
che prese l’impegno della fornitura di pietrame tufaceo da prelevarsi dalle
Cave delle Valli.
Per l’esecuzione dei lavori d’arte fu
dato incarico a tal BANCHINI Oscar, livornese dimorante a Siena, coadiuvato
dai Sigg. SARTINI Ugenio e Onofrio e da BACCONI Orazio e figlio di Rapo- lano.
Mentre le colonne, tre di un sol pezzo e della lunghezza di tre metri e mezzo,
più alcuni lavori d’arte, vennero eseguiti dai fratelli Luigi e Quintilio
GARFAGNINI.
I lavori di fusione dei medaglioni da
applicare sul dado di base e dell’aquila da apporre sulla guglia, furono
affidati allo scultore BONUCCI (Falugi) di Pomarance.
Iniziò così l’approntamento dei basamenti
che vennero eseguiti dove era stata la Cappella Mortuaria di San Rocco
(demolita il 16 maggio 1872), sita nel terreno di proprietà della Chiesa
Parrocchiale. Nel sottostante terreno i componenti della Sezione Combattenti,
stavano allestendo il PARCO DELLA RIMEMBRANZA con tutti i dovuti riguardi di
tutti i commilitoni mancanti all’appello.
Mentre il Monumento era arrivato al
montaggio del dado di base, nel centro di questo, in un vuoto appositamente
creato, venne inserita una pergamena racchiusa in una bottiglia di vetro bleu portante la seguente iscrizione:
CIVIUM PRO PATRIA
BELLO INTER NATIONES GESTO CADUCORUM
POSTERITATI AD MEMORIAM PRODENDAM
POPULUS RIPOMARANCIUS
PRIMARIUM HUIUS MONUMENTI LAPIDEM
VICTORIO EMANUELE III
DEI GRATIA ITALORUM REGE
HONORATO JOANNES BAPTISTAE VINCENTI BIONDI
SINDICO
ANNO
REPARATAE SALUTIS MCMXXVI
POSUIT
(Petrus
Joseph Joannis Baptistae Petri Biondi
Nob. Voi. Doct. Hanc Memoriam Dictavit).
Fu un lavoro
assai lungo, sia per il reperimento dei fondi sia per la manodopera
interessata; l’approntamento dei giardinetti che attorniavano in simmetriche
aiuole il monumento, venivano con amore preparate e curate dal combattente
Leontino DELL’OMO che rimase custode sino alle sue possibilità.
Pian piano
tutto prendeva forma, furono piantati i 79 cipressi in egual numero dei soldati
non tornati a casa e ad ogni gambo fu posta una targhetta metallica smaltata
con inciso il nome di un caduto. A questo punto ritengo doveroso ricordare con
un elenco i nomi di questi Eroi:
Finalmente tutto fu pronto per l’inaugurazione;
il 4 novembre 1926 si potè presentare ai concittadini ciò che per volere di
taluni si era riusciti a fare.
L’imponente monumento con i suoi dieci
metri e mezzo di altezza con il suo caratteristico colore del tufo, troneggiava
tra il verde delle siepi che attorniavano le aiuole nelle quali spiccavano
variopinte zinie.
A far rispettare il luogo, oltre a Leontino,
ci pensava Primo Guardia (Vigile Urbano) temuto sia dai piccoli che dai grandi
per le ramanzine che non risparmiava a nessuno.
Le panchine dislocate quà e là nei punti
più in ombra erano ricercate sia dai giovani che dagli anziani e costituivano
un piacevole luogo d’incontro e di conversazione.
La strada che vi conduceva, a partire
dal Teatro, era stata sistemata con una fila di lampioni posizionati con
apposite colonnette in getto, sul muretto fiancheggiante il lato della Cecina.
Così sia la sera sia il giorno questa strada denominata poi Via dell’impero,
divenne passeggiata abituale di tutti.
Le colonne e la guglia
Le spese per la realizzazione di tutto questo, raggiunsero la strabiliante cifra di lire 71.734,20 raccapezzata con offerte di una apposita sottoscrizione, con una fiera di beneficienza creata PRO MONUMENTO, da varie rappresentazioni drammatiche effettuate nel Teatro dei Coraggiosi dai dilettanti del luogo, dall’Amministrazione Comunale, dall’Amm.ne Provinciale, dalla Società Boracifera Larderello, dai Sigg. Bicoc- chi, dagli Eredi Ricci, dal Marchese Antinori e dalla raccolta delle Maestre presso le scuole. Da aggiungere a tutto la manodopera prestata dalla Associazione Nazionale Combattenti locale, che si prodigò in misura encomiabile. Da considerare che contemporaneamente fu fatta la Cappella dei Caduti nella Parrocchia, voluta da Don Balsini.
Al tutto mancarono solo le quattro
colonnette previste agli angoli del riquadro di base, ma anche queste furono in
breve realizzate, posizionate e non pagate. I Garfagnini che ne erano stati
commissionati furono talmente indignati da venire a diverbio con i committenti.
Non riuscendo a spuntare la situazione escogitarono un sistema intimidatorio.
Notte tempo, scalpello e mazzuolo, si ricarono sul posto scavando una nicchia
dove minacciarono di posizionare una mina da loro usata in cava. La cosa non
fece effetto ed il debito si dilungava, finalmente per porre fine alla
situazione le colonnette furono sostituite da quattro bombe di aereo, che
svuotate della loro potenzialità furono infisse con le alette in basi
quadrangolari ed unite tra loro, alle estremità, da catene pendenti agganciate
a campanelle avvitate nei fori delle spolette.
Iniziò il conflitto della guerra ‘40 –
‘45 e la carestia di materiale ferroso ad uso bellico arrivò anche al
monumento, così le quattro bombe di acciaio tornarono ancora una volta in uso
sottraen- dole al loro sacro incarico.
II monumento: foto attuale
Nel 1946, a fine guerra, con gli stessi
intenti, nel sottostante PARCO DELLA RIMEMBRANZA, al centro dei cipressi fu
eretto un cippo a ricordare i morti civili e militari di questa seconda Guerra
Mondiale. Sulla base del cippo sono scritti i nomi di queste persone di cui
ritengo giusto ricordare i nomi:
Nell’occasione furono nuovamente
ordinate le quattro colonnette, rimesse al loro posto e questa volta pagate.
Ad oggi sembra che l’impegno non sia
troppo mantenuto, basti vedere lo stato in cui si trova; non più aiuole per i
bambini, è rimasto soltanto il cartello “PARCO GIOCHI BIMBI”; i cipressi dei
caduti hanno perduto le loro targhette che avevano dato luogo al nome PARCO
DELLA RIMEMBRANZA. Vi si vede qualche anziano sulle panchine, motorini in sosta
e nella buona stagione qualche giovane innamorato.
Speriamo che non si aspetti un’altra guerra a risistemare il tutto e che questo articolo stimoli chi di competenza a provvedere.
UNA MADONNA CON BAMBINO NELLA SALA DELLA EX PRETURA
Madonna con bambino – Vincenzo Tamagni (particolare)
Nell’ex Palazzo della Pretura di Pomarance, situato nel
centro storico di Pomarance in Piazza Cavour, sono conservati dei pregevoli
affreschi cinquecenteschi tra i quali desta l’ammirazione l’immagine della
Vergine con il Bambino.
Dipinta su una parete dell’ antica sala consiliare, già del vicariato di Val di Cecina, è il soggetto centrale di tre raffigurazioni racchiuse in altrettante lunette sottovolta rappresentanti da una parte San Giovanni Battista e dall’altra un Santo Vescovo di una città di fiume( forse San Zenobi di Firenze) restaurate per conto del Comune di Pomarance nel luglio del 1976 da Walter Benelli di Pisa (delibera Com.le N. 125 del 25 Giugno 1976.
L’opera è del pittore di San Gimignano, Vincenzo Tamagni che lavorò per alcuni anni a Pomarance tra
il 1524 ed il 1528 realizzando una serie di opere ; alcune delle quali
conservate nella chiesa Parrocchiale di Pomarance.
Le tre lunette affrescate sono corredate al di sotto da una iscrizione in versi latini che è atto di consacrazione del popolo verso la Madonna: “A te questi pegni di amore devoto pone questo popolo. Proteggi o vergine da tutti i mali, sii luce nei suoi consigli e in tutte le cose, guida e difesa” (traduzione di Don Mario BOCCI). È probabile, infatti, che l’effige di Maria e dei Santi fosse stata commissionata in seguito ad un voto fatto nell’ epoca della peste che imperversò in Val di Cecina nel 1522-24-26-28. Vincenzo Tamagni, nato il 10 aprile 1492, definito “ragazzo prodigio” del ’500, nel 1510 firmava un ciclo di affreschi mariani a Montalcino nella chiesa di San Francesco. Lavorò a Roma nelle Logge Vaticane come aiuto di Raffaello da Urbino e pur avendo avuto influenze pittoriche del Peruzzi, del Ghirlandaio, di Filippo Lippi e del Sodoma rimase un autore di ripetizioni un pò meccaniche che sono indizio di un “Raffaellismo superficiale“(Nicole Dacos Crifo) e di una singolare “arcaicità11 di ipostazione (Antonio Caleca).
Sala della ex Pretura
Nel 1524 dipingeva un affresco nell’Oratorio della Annunziata( attuale Battistero) della chiesa di San Giovanni Battista di Pomarance dove è raffigurato I’ Eterno Padre con angeli musicanti, scene dell’ Annunciazione e della Visitazione come ornamento del presepe in terracotta attribuito a Zaccaria Zacchi da Volterra. Queste figurazioni dovevano servire a completare il racconto evangelico della Notte Santa, di cui lo scultore volterrano aveva già colto, nelle sue sculture policrome il momento più alto.Sul fondale il pittore ha accostato in un’unica composizione l’annuncio dei pastori e la fantasiosa cavalcata dei Magi preceduti dai loro scudieri. Nel sottarco è dipinto l’Eterno Padre contorato da serafini e angeli musicanti, che accompagnano coi loro strumenti il canto della “Gloria”.
L’anno successivo, 1525, eseguiva una tavola ad olio rffigurante la Madonna e i Santi, collocata attualmente nella cappella di San Giovanni Battista (Don Mario Bocci, Notizie della Comunità Parrocchiale di Pomarance; 1991).
Pochi anni prima della sua morte, avvenuta dopo il 1529, eseguì anche una tavola ad olio raffigurante San Giuseppe che gli fu commissionata dal Comune di Ripomarance per Cappella di “San Joset” come attestano alcuni pagamenti del quadro nell’anno
1528: ‘‘A Vincendo Tamagni pictor pella tavola di Sancto Joseph Lire 35;
Al comune e per lui al dipintor per conto della tavola di Sancto Joseph…”. (Arch. Stor. Com.le Pomarance F.632; c.386 r.). È probabile che questa opera sia quella collocata nel Palazzo Barberini di Roma, trafugata nel secolo scorso, venne ceduta al monte di Pietà di Roma che la rivendette nel 1875.
Lavoro che qui presentiamo è stato svolto per sostenere l’esame di Restauro Architettonico presso la Facoltà di Architettura dell’università degli Studi di Firenze dalle signorine Roberta Costagli e Maria Patrizia Tamburi. Il lavoro è stato seguito dal Prof. Arch. Giuseppe Cruciaci Fabozzi, docente alla facoltà.
L’assistenza religiosa che oggi viene
chiamata “parrocchia”, corrispondeva anticamente al termine “pieve”, anche se, durante il Medioevo, ben
altre e più importanti valenze territoriali e potestali ebbe questo termine,
valenze che non sono più attinenti il nostro termine moderno. L’edificio della
pieve sorgeva, per lo più, isolato, agli incroci di strade importanti, per
fornire assistenza e rifugio alla gente di passaggio, e per permettere il
controllo da parte della chiesa sulle vie di comunicazione più importanti.
Tale edificio conteneva la chiesa, il battistero e l’ospizio, ed era dedicato generalmente al Salvatore o alla Madonna, o ai Santi Apostoli, ma più spesso a S. Giovanni Battista, come il caso della Pieve di Pomarance. Altre due sono le pievi premillenarie che si incontrano venendo dal San Giovanni di Volterra (pieve cittadina), verso la media Valdicecina, aventi in comune la dedica a San Giovanni: quella di Silano e quella di Querceto, anch’esse in posizione privilegiata, su strade di comunicazione ugualmente importanti. Proseguendo poi da Pomarance si trova Morba, anch’essa dedicata a San Giovanni. La più antica pieve di Pomarance, quella premillenaria, protoromanica, si trovava in una posizione diversa rispetto a quella attuale (che, tra l’altro, aveva il nome di “Ripa Marrancia”). Infatti era situata più a sud rispetto al paese, e si chiamava “Publico”, a ricordo del territorio, espropriato dai Romani del dittatore Siila, e appoderato per i suoi legionari In quei luoghi, oggi detti le “Ripaie”, si trovano ancora i nomi di Pieve Vecchia e Piuvico; e lungo quelle strade, che si incrociano sull’altopiano, chiesette come S. Piero, S. Anna, S. Martino, S. Andrea a Mona e S. Margherita a Lucoli, che formavano il primo spazio di pertinenza della pieve.
L’attuale pieve risale alla fine del XII secolo, anche se dell’impianto originario
è rimasto ben poco, essendo stata, la chiesa, completamente ricostruita
durante il XIX secolo, dopo aver subito già in precedenza rimaneggiamenti e
restauri. Sorge lungo l’asse principale di crinale. Concepita per avere vita
autonoma rispetto agli altri edifici circostanti, con il consolidarsi
dell’edilizia urbana ha perso tale autonomia, infatti durante il corso dei
secoli le sono state addossate abitazioni. C’è chi ipotizza l’esistenza di una
chiesa più piccola entro il perimetro dell’attuale chiesa, che sarebbe stata
dedicata a San Cristoforo, e proprietà dei monaci di Badia a Isola.
Comunque, il prospetto dell’attuale costruzione si
rivela l’unico resto della pieve romanica: probabilmente in esso furono
riutilizzati elementi della parte inferiore della facciata dell’edificio del
XII secolo. Questo presentava caratteri stilistici e impianto di chiara
derivazione pisana: le cinque arcate cieche che scandiscono tutta la facciata
rimasta intatta nella parte inferiore; le basi classiche delle semicolonne
con due tori e due scozie e lo schema generale dei rapporti altimetrici delle
navate.
Sezione trasversale sull’ingresso della Pieve.
La facciata è in arenaria e nella parte
superiore è stata rifatta nel sec. XVIII. Le
cinque snelle archeggiature su semicolonne assai rilevate e poggianti su un alto
basamento denotano che siamo in presenza di una originale pianta basilicale,
una dei pochi esempi tra le chiese della Valdicecina.
Gli archi più distanti dal centro della facciata s’impostano su sodi angolari che invece dei capitelli hanno semplici scorniciature. Nell’arcata centrale si apre il portale, semplicissimo, con l’architrave sormontata da una lunetta. L’archivolto è delimitato da una ghiera composta di un cordone a sezione semicircolare. Alcuni elementi decorativi risentono l’influenza della cultura senese, per esempio i capitelli (a più ordini di fogliette o con figurazioni zoomorfiche). Particolare notevole ed inconsueto, per una architettura di derivazione pisano-lucchese, è il fatto che i cunei delle archeggiature laterali non presentano alcuna incorniciatura. Alle primitive tre navate, furono aggiunte nei secoli scorsi ed in diverse fasi, ulteriori costruzioni, come le cappelle laterali terminali che formano un transetto, e proprio all’inizio del 1500 il Battistero, con la facciata adiacente a quella della chiesa. L’artefice di questa modifica fu il pievano economo don Francesco d’Antonio dei Ghezzi di Pomarance, al quale si devono anche la piccola vetrata dell’Annunciazione ed il miglioramento del Presepe. Le mensole che sorreggono il tetto del Battistero furono tolte, molto probabilmente, dall’originale abside e con i loro motivi geometrizzanti e zoomorfici dimostrano ancora una volta la derivazione dalla cultura pisana di quest’edificio.
Capitello con figura zoomorfa.
Già anteriormente a questa data erano state apportate modifiche all’interno; tra il 1441 ed il 1453 il pievano Ludovico Baldinotti fece costruire l’altare maggiore e ribenedire la chiesa, dopo le scorrerie di re Alfonso di Aragona.
Poi non ci furono notevoli modifiche, fino agli anni tra il
1826 ed il 1843, quando il pievano Anton Nicola Tabarrini pensò di dare alla
chiesa un aspetto in linea con i canoni estetici del tempo. I lavori furono
fatti sotto la guida dell ’arch itetto
Francesco Cinci che dotò la chiesa di volte, eresse la cupola all’incrocio del
transetto con la navata centrale e stuccò tutte le colonne di cui fece
smussare i capitelli. Furono eretti, in questa occasione, anche tutti gli
altari barocchi laterali; la decorazione della chiesa fu affidata al pittore
Luigi Ademollo ed al figlio Giovanni.
L’ultimo lavoro di edificazione (o meglio, in questo caso,
di riedificazione) del quale si ha notizia è il rifacimento del campanile,
avvenuto nel 1898, ad opera dell’architetto Luigi Bellincioni, di Pontedera.
Infatti il vecchio campanile era stato buttato giù, a causa delle gravi
lesioni riportate il 19 novembre 1893, in seguito alla caduta di un fulmine.
Come già accennato, una gran parte del ripristino
ottocentesco toccò al pittore Luigi Ademollo.
Fu sotto l’arcipretura di Anton Nicola Tabarini (durata dal 1826 al 1843) che ebbe luogo il restauro totale della Parrocchia, ampliata con le cappelle della Madonna e di S. Vittore, e completamente affrescata.
Effettuò quelle pitture l’impresa di Luigi Ademollo (1764
-1839) milanese, autore di affreschi in chiese e palazzi, e di acquafòrti di
soggetto storico.
L’archivio parrocchiale conserva sette lettere autografe,
inviate da lui, (che si trovava a Firenze), all’arciprete, tra il 27 aprile
1832 ed il 5 gennaio 1837.
Esse riferiscono che il Cavalier Giuseppe del Rosso fu il tramite della proposta di
affrescare la chiesa di Pomarance. In un secondo tempo l’Ademollo eseguì ad
olio le stazioni della Via Crucis.
Le opere da lui eseguite si possono ammirare tuttora
all’interno della pieve.
Esse sono, cominciando da sopra il portone principale e girando in senso orario, le seguenti: Presentazione di Gesù al Tempio, Fuga in Egitto, Strage degli Innocenti, Tentazioni di Gesù nel deserto. Poi nella cappella della Madonna, Adorazione dei Magi, Gesù tra i dottori e nella volta L’Assunzione. Quindi abbiamo: Resurrezione di Lazzaro, Angeli portanti dei segni della passione, alle vele ed ai pennacchi, sotto e presso la cupola. Nel Coro: Entrata di Gesù a
Gerusalemme, Cena, Agonia nell’orto, EcceHomo, Salita al Calvario, Resurrezione.
Nella navata sinistra: Visita ad Elisabetta, Gesù ed il
centurione; nella cappella di S. Vittore (nella volta) c’è la Trasfigurazione.
Quindi Gesù che predica dalla barca di San Pietro, la Samaritana, le Nozze di
Cana.
In fondo, San Giuseppe col bambino Gesù.
Nella volta a botte della navata di centro, apparizione di
Gesù a Tommaso, Ascensione e discesa dello Spirito Santo.
Non tutte le opere sono policrome, ma molte sono monocrome,
anche se pur sempre molto belle.
Pianta della Pieve con indicazione della pavimentazione
Morto il Tabarrini, ‘‘nel 1853 furono a spese del popolo fatte porre a scagliola le colonne del Tempio per Carlo Martinetti svizzero, ed il pavimento fu costruito di smalto alla veneziana” come ci informa il visitatore Vescovo Targioni.
Cento anni dopo la ristrutturazione del Tabarrini, il degrado dell’edificio e la sorte delle pitture erano precari. Il restauro, la ripulitura ed il ripristino spettarono al proposto successore, al popolo e ad un pittore senese non ancora provetto.
Carlo Balsini di Stefano fu eletto proposto
a Pomarance il 15 marzo 1907. Fu sotto la sua guida che ebbero luogo ulteriori
restauri, che si conclusero nel 1933 (il certificato dei lavori eseguiti a
regola d’arte dall’agosto 1928 al 25 ottobre 1933 porta la firma dell’lng.
Gino Stefanon). Erano stati iniziati nel 1928.
Particolare Mosaico Centrale.
I lavori furono eseguiti dalla ditta Zampini di Siena, con a capo il pittore Gualtiero Anichini coadiuvato dai decoratori Vannucchi, Franci, Biancirdi, Montigiani e Mori.
Oltre alla ripulitura degli affreschi dell’Ademollo, furono fatte integrazioni nella cappella della Madonna, nel Coro, dipinti medaglioni in San Giovanni, i 4 Evangelisti nella cupola e due figurazioni in San Vittore: Gesù tra i fanciulli e la Moltiplicazione dei pani.
Fu costruita la cappella dei caduti,
furono eseguite vetrate policrome a tutte le finestre e furono costruiti
sedili a spaglierà il noce lungo tutto il perimetro della chiesa.
Furono aggiunte lumiere grandi e piccole,
in fastoso addobbo, per l’illuminazione elettrica.
Sulla base di quanto rilevato attraverso un’accurata analisi dell’edificiodella chiesa di San Giovanni Battista, possiamo dire che attualmente lo stato di conservazione della chiesa è buono, sia per quanto riguarda gli elementi strutturali che gli elementi decorativi. Sarebbe comunque auspicabile una ripulitura degli affreschi e della facciata.
Particolare della monofora.
Contemporaneamente alla pubblicazione di tale lavoro, si
stanno ultimando i lavori di restauro del campanile, e proprio in questi ultimi
giorni, durante la ripulitura della facciata del retro della chiesa, è venuta
alla luce, su di essa, una monofora. Finestre simili a quella scoperta le possiamo
trovare nelle pareti sopra gli archi delle navate laterali, purtroppo non visibili
al visitatore perché con il restauro del 1800 sono state inglobate nello spazio
tra la volta centrale a botte ed il tetto.
Tale rivelazione ha
ridestato curiosità e nuovi interrogativi sull’originaria posizione e
struttura dell’antica chiesa.
Roberta e Maria Patrizia
BIBLIOGRAFIA
Archivio
Storico del Comune di Pomarance, Opera di S. Giovanni Battista, Filze 746 e
749.
Archivio Parrocchiale di Pomarance, Corrispondenza fra
Luigi Ademollo Pictor ed il preposto
Antoniccola Tabarrini, dal 1833 al 1837.
Giovanni
Targioni Tozzetti, Relazione d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della
Toscana, Forni editore, Bologna.
L. Moretti,
R. Stoppani, Chiese romaniche della Val di Cecina, Firenze 1970.
Don Mario
Bocci, L’Araldo di Volterra, settimanale della diocesi di Volterra, numero
del 7/2/1971.
Don Mario
Bocci, Storia religiosa di Pomarance, Notiziario Parrocchiale.
Archivio di Stato di Firenze, Commissione per il restauro delle Chiese parrocchiali, Filza 104/8.
23 – 24 – 25 GIUGNO 1989: tre giorni che Pomarance ricorderà per molto tempo. Infatti tutto il paese si è mobilitato per festeggiare il Patrono San Giovanni Battista in occasione del 90° Anniversario della costruzione del Campanile e che è coinciso con la conclusione dei restauri resisi urgenti e necessari. Una festa che ha visto il paese intero stringersi attorno a questo “SEGNO” che, se principalmente di carattere religioso perché richiama con il suono armonioso delle campane i fedeli alla preghiera, è pure il segno ed il simbolo di ogni paese. Il nostro campanile, opera dell’Architetto Luigi Bellincioni di Pontedera, si fa
subito notare a tutti per la sua bellezza (stile Rococò apparso in Francia
alla fine del XVIII secolo, come evoluzione complessa e raffinata del
barocco), e per la sua altezza (42 metri).
La sera del 23 giugno questo simbolo era
ben visibile da ogni parte; una totale illuminazione con fari lo faceva
risaltare, mentre il suono gioioso delle campane si diffondeva ovunque,
arrivando fino alle più lontane famiglie della campagna che nel frattempo
avevano acceso i cosiddetti “Fuochi di San Giovanni”. A far corona al Campanile,
oltre ai fuochi della campagna, vi erano anche quelli accesi dalle Contrade a
Docciarello, a San Sebastiano, all’Aia, ai Collazzi, e la fiaccolata che ha
avuto il suo culmine con l’accensione del tripode sul sagrato della Chiesa.
1898: Lavori per la costruzione del Campanile
Una folla enorme ha fatto ala al passaggio dei tedofori
rivestiti dei colori delle Contrade, arrivati contemporaneamente con le loro
fiaccole accese davanti alla Chiesa.
Le Contrade quella sera si erano date veramente da fare
per una illuminazione folcloristica delle strade ove sarebbero passati i
tedofori con le fiaccole. Uno spettacolo meraviglioso che hanno potuto godere
in modo particolare coloro che quella sera erano saliti sul Campanile.
Una bella serata culminata poi, con un applaudito Concerto
d’Organo del Maestro Attilio Baronti.
Attorno al Campanile ed in unione a San Giovanni le feste
sono continuate. Il giorno 24 giugno, è venuto fra noi il Vescovo Mons.
Bertelli, i Sacerdoti, sono intervenute le Autorità Civili e Militari e si è
ripetuta la Solenne Processione in onore di San Giovanni Battista.
Un grande concorso di fedeli ed una partecipazione straordinaria della gente nell’ornare il tragitto della Processione con drappi alle finestre e soprattutto con ornamenti floreali veramente belli da sembrare tutto un tappeto grande, ove il profumo delle ginestre ed il colore dorato si evidenziavano in modo eccezionale. Una festa religiosa arricchita, nel pomeriggio, dallo spettacolo del Gruppo Musici e Sbandieratori di Pomarance e, dopo cena, dal Concerto del Corpo Filarmonico “G. Puccini”.
Ma ogni festa è sempre un ricordo del passato e del presente. Per questo motivo, la domenica 25 giugno, giornata conclusiva delle feste, dopo la Santa Messa celebrata dal Vicario e cantata dalla Corale Pomarancina, si è svolta, nel pomeriggio, nel vecchio Campo Sportivo del Piazzone, una partita diralcio tra le Vecchie Glorie e l’attuale squadra della U.S. Pomarance. Una occasione che ha fatto ritrovare e giocare insieme gli atleti che avevano militato diversi anni fa nella squadra del Pomarance ed i nostri giovani giocatori; una partita che ha divertito tutti i presenti.
Tre giorni di festa, quindi, tre giorni di gioia e
soprattutto una occasione per stare serenamente insieme attorno al simbolo
del paese, al nostro “BEL CAMPANILE”.
Mi è capitato di definire questa festa “UNA BELLA SINFONIA” dove tutti avete collaborato insieme alla Parrocchia. Ebbene: al termine delle feste, ringraziando l’Associazione Turistica Pro Pomarance, il suo Presidente per la generosa
collaborazione e per l’opportunità concessami di scrivere questo articolo
sulla loro Rivista, esprimo viva riconoscenza a tutto il paese ed in modo
particolare alle Contrade che veramente hanno collaborato in modo encomiabile;
al Comune per l’illuminazione; alla Banda per il Concerto; alla Corale
Pomarancina per i canti eseguiti durante le Sante Messe Solenni; al Gruppo
Musici e Sbandieratori per lo spettacolo; alle Vecchie Glorie ed all’ll.S. Pomarance per la partita di calcio; al Comando della
Forestale per la realizzazione dei fuochi; al Comando dei Carabinieri e dei
Vigili Urbani per il servizio d’ordine; a tutte le Autorità Civili e Militari;
ai bambini delle Terze e Quarte con i loro Insegnanti ed all’artigiano Rossi
Armando che hanno collaborato alla mostra allestita nel Battistero e,
naturalmente, ai Membri dei Consigli Pastorale e degli Affari Economici
Parrocchiali che mi sono stati vicini e a tutti coloro che, in modo anonimo, ma
non meno evidente, mi hanno aiutato al buon svolgimento di tutte le feste.
Il Campanile che ci ha riunito, sia sempre un forte e dolce richiamo ad operare uniti per il bene del nostro paese e della nostra Comunità.
ULTIMI CENTO ANNI DI STORIA E TRASFORMAZIONI APPORTATE ALLA NOSTRA TORRE CAMPANARIA
Agli ultimi giorni del 1888 (cento anni
fa), a seguito di insistenti voci sparse nel paese sulla precarietà del
campanile della Chiesa di S. Giovanni Battista, il sindaco Biondi Bartolini
Bartolino decide, insieme alla Giunta, di chiedere l’intervento di un ingegnere
per scagionare le eventuali conseguenze.
Dall’Archivio Parrocchiale possiamo essere
informati sul sopraluogo effettuato dallìng. G. Guerrieri di Volterra nel quale
si riporta la perizia in cifre elencando dettagliatamente i lavori occorrenti
al risanamento di detta torre. L’ammontare della cifra preventivata è di L.
395 e 58 centesimi all’epoca del dì 30 novembre 1888. Ripristinati i danni
riscontrati, il campanile ritorna a richiamare con i rintocchi delle sue
campane i fedeli presso la Chiesa.
Ma non per molto tempo; cinque anni dopo,
il 19 novembre 1893 alle ore 13:20, durante l’imperversare di un temporale, un
fulmine colpisce la sede campanaria rovinando gravemente tutta la struttura.
Oltre all’abbattimento di due delle quattro campane, uno squarcio di rilevante
misura pone il campanile in precaria stabilità.
Onde evitare supplementari disastri viene deciso l’abbattimento delle parti pericolanti ed il restauro dei tetti adiacenti, danneggiati dai detriti e dalle pietre franate dalla parte disastrata. Il provvedimento preso dal Comune mette subito in moto un gruppo di pomarancini che nel giro di pochi giorni, ad iniziare dal 24 novembre, rende accessibile anche la sacrestia.
IL CAMPANILE disastrato dal Fulmine nel 1893 (Foto DEL FRATE – Coll. Privata GHERARDINI P. Palaia
Il provvedimento preso dal Comune mette subito in moto un gruppo di pomarancini che nel giro di pochi giorni, ad iniziare dal 24 novembre, rende accessibile anche la sacrestia.
Sotto la guida del muratore capo mastro Calderani Tobia e
dei muratori Mori Michele e Tani Roberto, coadiuvati dai manovali Guiducci
Alessandro, Maggi Giusto, Travaglini Emilio, Gamberucci Eugenio, Pineschi
Abramo, Bargelli Roberto e Mori Gino, nel giro di una settimana di intenso
lavoro anche i tetti sono sistemati. Contemporaneamente viene costruita una
tralicciatura in ferro dal manescalco Pineschi Angelo dove porre le campane e
poterle così suonare alla meno peggio. Il lavoro non mancò nemmeno ai legnaioli
e per questo è Cesare Falcini che si accolla i lavori di restauro delle
finestre e rimettere i vetri sbriciolati dalla folgore. Per tutto ciò abbiamo
l’importo esatto in dettaglio dei lavori:
per mano d’opera pagata al capo mastro Calderani Tobia lire 290 e 80 centesimi.
per l’impalcatura metallica delle campane ed alcune catane di sostegno, ad Angelo Pineschi (fabbro) lire 478.
a Cesare Falcini per restauri alle finestre lire 38.
per tegole, embrici, pianelle, gronde, mattoni e calce forniti dalle fornaci del Biondi Bartolini e dal Baldi Giuseppe lire 322 e 65 centesimi.
per travi e travicelli forniti da Mario Cercignani lire 160 e 98 centesimi.
Tutto viene saldato tramite l’Esattoria Comunale con firma
dell’Esattore Fontanelli Augusto.
Eliminato il pericolo, pagati i debiti, si doveva cominciare a pensare ad un futuro campanile e per distribuire gli incarichi fu formato un Comitato presieduto dal Cav. Bartolino Biondi Bartolini. Venne così deciso di effettuare una raccolta di denaro tra i paesani per affrontare le perizie affidate, questa volta, all ’Architetto BelIincioni Ing. Luigi di Pontedera che presso il suo studio tecnico esegue i disegni. La raccolta delle offerte venne affidata al reverendo Don Giuseppe Bruscolini, Proposto della Parrocchia.
L’elaborazione dei progetti dell’lng. Bellincioni si alternava a sopralluoghi a Pomarance, sia per la constatazione della ubicazione della nuova opera, sia per i saggi al terreno dova si dovevano iniziare i lavori.
A prolungare il lavoro dell’ingegnere si frappose anche il lavoro di consulenza ai danni causati dal terremoto in moltissimi fabbricati della città di Firenze. Ma finalmente in data 29 maggio 1895 questi fa recapitare a Pomarance l’importo di spesa per la demolizione del vecchio campanile con indicato il recupero del pietrame da potersi riutilizzare nella nuova opera. Anche il comitato in questo periodo non si era fermato e, tramite persone di Pomarance residenti altrove, aveva messo in movimento gli uffici competenti per richieste di contributi. Si arrivò, tramite il concittadino Senatore Marco Tabarrini, al Guardasigilli per una istanza per un sussidio di un migliaio di lire, che poi fu accolto. Inoltre contratti e prestiti con distinti signori che si offrivano per questa occasione. proteste e
ricorsi da parte di confinanti per danneggiamenti eventuali. Ciò comportò
intralci e ritardi nonché beghe ed esigenti contropartite.
Dopo aver scorso un certo numero di carte da bollo da 10 centesimi filigranate con lo stemma sabaudo, si arriva alle decisioni sul “posizionamento” del campanile che dovrà essere eretto presso la casa posta nel gioco del pallone. Per questo locale abbattuto viene a pagarsi al sig. Giulio Biondi Bartolini un importo di lire 800, rimessegli tramite il curatore sig. Gallo Galli Tassi Bardini con i denari del fondo raccolto dalla pubblica sottoscrizione.
Risulta inoltre che le cifre si stanno concretizzando e da
molti è accolta la petizione, come da elenchi esistenti.
Anche il Cav. Mario Bardini, già distintosi per la
colossale opera dell’istituto del Sacro Cuore, offre la considerevole somma di
lire 2000.
Riguardo alla demolizione della torre campanaria abbiamo una nota di pagamento stilata dall’esattore Dante Fontanelli, datata 29 giugno 1895, per un importo di lire 1312 e sessantotto centesimi. Finalmente il 29 luglio 1895 l’architetto Bellincioni è a Pomarance per staccare il lavoro sopra alla fondazione precedentemente gettata.
Non mancarono nemmeno discussioni per
L’incarico e la fiducia di Direttore dei lavori viene dato
a Bonucci Carlo che con
gruppo dei lavoranti
affidatogli, ponendo pietra su pietra, cominciano a dar forma al capolavoro.
Il campanile costruito in pietra tufacea tagliata nelle Cave delle Valli
(Trossa) si ergerà per 42 m.
In una lettera inviata al presidente del comitato,
l’ing. Bellincioni allega lo studio in scala 1:1 delle formelle allineate al
quadrante dell’orologio nelle facce dove dovranno essere effigiati gli stemmi
del Comune e della Parrocchia, onde il Bonucci possa riprodurre il lavoro su
pietra. Conseguentemente esiste un’altra lettera dove si dice che sono
continuate le ricerche per una immagine su medaglione della Madonna del Buon
Consiglio e che finalmente viene riprodotto in calco da un lavoro deH’immortale
Donatello, dal quale il Bonucci trarrà copia esatta.
I lavori procedono con evidente celerità e nel novembre del 1898 il direttore dei lavori Bonucci prende accordi con la ditta L. CARDINI di Siena, premiata Fabbrica di Parafulmini, per installare questo nuovo sistema di difesa onde scagionare il pericolo occorso all’altro campanile. Si arriva all’anno 1899, il campanile già si staglia nel cielo ad un’altezza molto più elevata del precedente. Tutti gli artigiani locali hanno incarichi per approntare il tutto in modo che per il 24 giugno, (data prescelta per l’inaugurazione) in occasione della festa di San Giovanni patrono della chiesa, non rimanga niente in sospeso. Una settimana prima dell’avvenimento tutto Pomarance, o meglio tutti i pomarancini, si fanno in quattro perchè i festeggiamenti rimangano memorabili.
Così il 24 giugno, come promesso, con un maestoso doppio
suonato dalle quattro campane, dopo una processione straordinaria, viene
officiata una Messa solenne concelebrata dal Vescovo e da molti sacerdoti
venuti per l’occasione.
Gli operai, che sotto la direzione dell’Assistente Comunale Carlo Bonucci, hanno messo tutto il loro impegno, sono ora additati per il loro operato portato a compimento. I nomi di questi uomini passano per giorni e giorni in evidente nomina: si trattava di Zani Camillo, Cambi Silverio, Carlo Garfagnini, Anton Giuseppe Garfagnini, Antonio Niccolucci, Funaioli, Anichini, Pineschi, Tani, Corbolini ed altri. Nel pomeriggio i festeggiamenti si moltiplicano protraendosi sino a notte alta, che viene resa luminosa dalle migliaia di lampioncini a olio disseminati per tutte le strade.
Bande musicali venute da Volterra, Peccioli, Riparbella ed unite al nostro Corpo Filarmonico (denominato allora L’INDIPENDENTE) si alternano con marce e pezzi vari. Allietano la serata i canti e sonetti dedicati ai componenti il Comitato ed ai convenuti di riguardo.
Addobbi di straordinaria inventiva vengono sistemati
ognidove; sulla piazza centrale, oggi De Larderei, viene issato un ponteggio
che dal terrazzo del Palazzo Gardini passa all’altro del Biondi Onorato allo
scopo di far salire le persone per vedere meglio la mole del nuovo monumento.
Banchetti, brindisi e qualche sbornia salutarono il
campanile che nella sua forma dì tipo rococò destava stupore in tutta la zona.
Non mancarono neppure le batute ironiche e scherzose anche nei giorni a
seguire, come ad esempio si può ricordare quando ai giovani ragazi di bottega,
gli artigiani locali, nelle calde giornate estive, li spedivano da Ruggero
(bottega di generi alimentari ubicata in prossimità della chiesa nell’angolo
della porta) a comperare tre soldi di OMBRA DI CAMPANILE, e questi con astuzia
li rispediva in altra rivendita baffandosi dell’ingenuità del ragazzo, che poi
finiva per rendersi conto del fatto che oltre ad un mestiere il loro
principale gli insegnava anche a farsi furbo.
Anche lo stile architettonico e decorativo apparso in Francia alla fine del XVIII° secolo come evoluzione complessa e raffinata del barocco, e che si diffuse in tutta Europa, destò inizialmente perplessità, ma ben presto, prima che l’opera giungesse a termine, l’opinione aveva già accettato questa graziosa bizzarria. Il suono delle belle campane per anni richiama al paese in occasioni festose e lugubri, per eventi religiosi e civili, tutto il circondario. Arriviamo così all’ottobre del 1966 quando Mosignor Paoletti decide di eliminare le corde elettrificando le campane. Chiamata una ditta specializzata di Firenze, dopo aver calato le campane ed applicati gli ingranaggi ai mozzi di supporto, tramite dei congegni e delle pulsantiere si possono avere i suoni desiderati. Fu in tale occasione che si ebbe la possibilità di leggere le scritte in fusione poste su ogni campana.
Iniziando
dalla GROSSA prospicente Piazza De Larderei:
PER FUSOREM MORENDI FLORENTINUM A.D. MDCCCXU
(per opera del fonditore Carlo Morendi fiorentino. L’anno del Signore 1841) NOTA: Parte del bronzo di questa campana sembra provenire dalle campane della Badia di San Galgano di Chiusdino. Per la mezzana e la piccola vi è una storia a sé che risale all’anno 1788, quando l’Arciprete Giò Batta Tabarrini fa rifondere le tre vecchie campane per farne almeno due con un timbro maggiore e dalle scritte si può appurare questa notizia, sulla Mezzana, visibile da Via Mascagni (così denomunata perchè delle quattro è quella di dimensioni intermedie):
PIO VI P.M. JOSEPHO II AUG. PETRO. LEOP. IA.A ETRM. D + A.D. MDCCLXXXVIII EPO. VOLAT J.B. TABARRINI ARCHIP. D.V.M.T. M.H.DD.GL. PAE. ALOY BONAMICI.
(al tempo di
Pio Sesto Sommo Pontefice, di Giuseppe II Imperatore Augusto, di Pietro
Leopoldo I Austriaco Granduca di Toscana, di Luigi Bonamici Vescovo Volterrano,
l’anno del Signore 1788 Giovan Battista Tabarrini, Arciprete, dedicò questo
monumento alla Vergine Madre di Dio come ricordo di gloria e di pace)
Sulla
PICCOLA che guarda il Campo del Piazzone, verso la Rocca Sillana:
VOX TUA DULCIS IN AURIBUS ME IS + JOVANNE ATTAVANTI NOBILI COLLENSI PATRIM ECCLESIASTICI A.D. MDCCLXXXVIII
+ VOLAT. CURATORE
(al tempo di
Giovanni Attavanti nobile Colligiano amministratore del patrimonio ecclesiastico
volterrano l’anno del Signore 1788. La tua voce risuona dolcemente alle mie
orecchie.)
La MISERICORDIA, prospicente la via dei Fossi, verso Berignone:FATTA COLLE OBLAZIONI DEI FRATELLI DELLA MISERICORDIA CAV. ADRIANO DE LARDEREL GOVERNATORE CARLO MORENDI FUSE IN FIRENZE L’AN. MDCCCLI (1851). continua la scrupolosa guida ai lavori di risanamento. Si inizia dall’apice, cioè dalla croce, che è stato necessario sostituire con una nuova costruita dalla ditta Bertoli di Pomarance, poi si procede all’ampliamento della gabbia del parafulmine studiato dall’ing. Barzotti Francesco di Larderello. Ovviamente il lavoro più grosso è affidato all’impresa edile Parenti Mauro & C. che eseguirà i lavori di smontaggio e sostituzione delle parti lesionate ed ammalate completando il tutto con una stuccatura con cementi plastici speciali, suturando le spaccature e collegando tutta la cupola tramite un intersecato perforamento in cui è stato colato questo speciale ritrovato. In seguito la ditta Ml-DA Srl di Guartierotti & Cerrioni, proveniente da Pistoia, appone con uno speciale solvente un trattamento consolidante a tutte le bozze tufacee. Contemporaneamente, sfruttando l’occasione della comodità del ponteggio, vengono sostituiti i mozzi di legno delle campane avendone riscontrato il necessario bisogno in quanto questo è risultato in avanzato deterioramento. Ad eseguire questa operazione straordinaria è stata chiamata la ditta Scarselli di Lastra a Signa specializzata in tali lavori.
Recenti lavori di restauro (Foto S. Donati)
Al momento di andare in macchina, i lavori,
già a buon punto, seguono il loro corso e, salvo intralci atmosferici, nel
giro di pochi giorni andranno atermine.
Le raccomandazioni, le suppliche, e l’incessante stimolo che il Proposto Don Burlacchini rivolge ai parrocchiani si spera che sia ripagato dal buon lavoro e che le cifre raccolte servano ad estinguere le rilevanti spese incontrate per questa straordinaria manutenzione al nostro campanile. Ci auguriamo inoltre che anche i ponteggi possano presto essere tolti e possiamo così risentire il suono delle nostre campane e, con i dovuti festeggiamenti si possa ritornare alla consuetudine per ogni tipo di evento, incluso quello dell’occasione del Palio Storico delle Contrade; quest’anno infatti su richiesta dell’Ass. Turistica e su straordinaria concessione della Amministrazione Comunale è stata suonata la campana della Torre Civica. A nome anche dell’Associazione Turistica e della Redazione di questa rivista, vada il ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito in qualsiasi forma alla conclusione di questi lavori, a cominciare da Don Piero che è stato il primo promotore di tale opera.
BIBLIOGRAFIA
Archivio Parrocchiale Pomarance
La Comunità di
Pomarance – RIEVOCAZIONI STORICHE di E. Mazzinghi – Anno IX n° 1 1976.
Giorgio
Per anni ed anni (90 per l’esattezza),
questo monumento, vanto di Pomarance, si staglia nel cielo. Purtroppo gli
eventi atmosferici cominciano a deteriorare la pietra tufacea per cui, dietro
constatazione di esperti, è stato ritenuto necessario un intervento di
restauro.
Il 30 gennaio 1980 alcuni tecnici della
Sovrintendenza ai Monumenti di Pisa, rilevarono seri danni ai colonnini della
balaustra del terrazzino ed infiltrazioni di acqua piovana alla volta della
sede campanaria. Dalla perizia risultò un evidente sfaldamento di alcune bozze
tufacee all’arco campanario con un allentamento della volta.
Il parroco, Don Piero, preoccupato per
il responso, rende noto alle autorità civili e religiose superiori la
situazione della precarietà. Da questo si mette in movimento l’ingranaggio
della macchinosa strada burocratica per gli aiuti di legge legati a questo tipo
di interventi.
Le cifre stimate vengono rese note in misura di 140 milioni, compreso il montaggio dei ponteggi, ma esclusi gli imprevisti. Infine il 9 giugno presso la Canonica si sono riuniti oltre al Proposto don Piero, il Sig. Gabellieri Rag. Giorgio rappresentante della Sovrintendenza alle Belle Arti di Pisa, l’architetto Gasperini Franco, l’impresario Parenti Mauro, l’architetto Bargelli Florestano che sarà il curatore tecnico dei lavori e si sono accordati per dare inizio ai lavori. Nei primi giorni di luglio si provvede al montaggio dell’impalcatura metallica di ingabbiatura realizzata dalla ditta Gasperini di Bagni di Casciana; il Soprintendente alle Belle Arti, ing. Cecati, coadiuvato dall’architetto Bargelli,
La chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Battista di
Pomarance, nella quale si possono ammirare pregevoli opere d’arte, conserva tra
le altre anche un’opera scultorea lignea, di indubbio valore artistico,
raffigurante l’immagine del Gesù Crocifisso collocato attualmente sopra l’Altar
Maggiore. Databile attorno al XIV secolo, anticamente si trovava collocato in
un’altra chiesa denominata “Acquaviva”, compresa nel castello di Acquaviva
detto anche di “Postignano”.
Il castello di ‘Acquaviva”, oggi alquanto diroccato, era un
castelletto posto sulla sinistra del torrente Possera nei pressi di una polla
di acqua naturale (da cui il nome di Acquaviva) a poca distanza dalla attuale
“villa del Bulera”. Nei pressi di questo castello vi erano una fonte pubblica
del comune di Ripomarance (XVI – XVII see.) ed alcune “conce” private situate dove sorge l’attuale
invaso denominato “Lago del Bulera” costruito negli anni ’50 vicino al podere
d’Acquaviva.
Il castello di ‘Acquaviva”, oggi alquanto diroccato, era un
castelletto posto sulla sinistra del torrente Possera nei pressi di una polla
di acqua naturale (da cui il nome di Acquaviva) a poca distanza dalla attuale
“villa del Bulera”. Nei pressi di questo castello vi erano una fonte pubblica
del comune di Ripomarance (XVI – XVII see.) ed alcune “conce” private situate dove sorge l’attuale
invaso denominato “Lago del Bulera” costruito negli anni ’50 vicino al podere
d’Acquaviva.
Del castello, situato a 200 metri ad est
del lago, non rimangono che poche tracce tra una folta boscaglia: resti di mura
franate, parti di tegole, di pavimenti ed una specie di pozzo scavato nel tufo
da dove, secondo il racconto di alcuni contadini che abitavano al Bulera, negli
anni trenta, si vedevano affiorare resti di ossa umane (Manghetti Giulio);
questo a pochi metri di distanza da un profondo precipizio o “grotta” dove vi
sono frequenti e pericolosi crepacci.
Il piccolo promontorio in cui si trovava
il castello è conosciuto volgarmente come “Poggio alla Chiesa” a testimonianza
dell’esistenza della chiesa dedicata a S. Salvatore d’Acquaviva. Questa
possedeva alcune proprietà terriere nella corte del castello essendo già
all’epoca del Sinodo dei Beiforti (1356) filiale della Pieve di San Bartolomeo
a Silano.
La chiesa di Acquaviva con la sua
parrocchia fu possesso del Monastero femminile di San Dalmazio e si ritrovano
notizie di questa anche attorno al 1239 quando il Vescovo Pagano, a corto di
soldi per pagare 5 bovi che occorrevano per lavorare la terra, per 54 libbre di
danari volterrani dava in pegno la corte d’Acquaviva e di San Dalmazio.
Proprietari e Signori del Castello
risultarono essere per alcuni secoli una famiglia molto importante del
volterrano: la Famiglia degli Incontrini detta degli “INCONTRI” che dette
origine a due rami; quello degli Incontri di Volterra e quello omonimo di
Ripomarance o Pomarance. Legata con alcuni rami di parentela con gli Incontri
di Siena, questa ottenne in feudo la Corte di Acquaviva o di “Postignano” da
Carlo Magno dopo la cacciata dei Longobardi dall’Italia.
Uno dei primi signori di Acquaviva di
cui si ha notizia fu Teodorico padre di Villerardo nel 970 d.c., nel 1090 fu
signore del castello Marco Incontri, mentre nel 1250 risulta essere fatta la
vendita per porzioni del castello di Acquaviva, da alcuni rami della stessa
famiglia, al Comune di Volterra. Il definitivo abbandono del castello da parte
degli Incontri si ha sul cadere delle Signorie feudali quando il territorio e
corte di Acquaviva vennero aggiunti a quello del Comune di Ripomarance nel XVI
secolo. Tutto questo coincise con il trasferimento del Monastero delle Monache
di San Dalmazio a Volterra (30 luglio 1511) e la incorporazione dei beni della
chiesa di Acquaviva da parte del Capitolo dei Canonici di Volterra. Con la
soppressione della parrocchia, avvenuta 1’8 maggio 1572, dalla chiesa di San
Salvatore d’Acquaviva fu traslato il grande Crocifisso ligneo nella Pieve di
San Giovanni Battista di Pomarance. Questa sacra immagine fu legata
particolarmente, fin dalla sua
realizzazione, alla famiglia Incontri,
che commissionò probabilmente l’opera, facendone “istituzione benefica’’ alla
chiesa di San Salvatore d’Acquaviva come è rilevabile da un documento redatto
dal Cav. Gio. Andrea Falconcini discendente dell’Alfiere Alamanno Incontri che
era vissuto nella seconda metà del ’600.
In quel periodo il Cav. Andrea
Falconcini erede Incontri, faceva richiesta alle Magistrature del Comune di
Pomarance di poter collocare l’immagine del S.S. Crocifisso sopra l’altare
Maggiore della chiesa, in occasione del restauro da lui stesso finanziato.
Nella stessa istanza veniva descritta l’antica collocazione della scultura nella
chiesa di S. Giovanni Battista e la comprovata certezza della provenienza del
S.S. Crocefisso dal castello di Acquaviva.
Un documento che mi è parso abbastanza
interessante e che ho cercato di trascrivere il più esattamente possibile: l:M:l
Davanti alle Signorie loro Molto
Magnifiche Sig. Gonfaloniere e Signori Priori della Comunità delle Pomarance
Comparisce
Il Cavaliere Gio. Andrea Falconcini, e reverendemente l’espone, come per soddisfare alla pietà e devozione di molti, che più volte li anno fatto istanza di restaurare l’immagine Santissima del nostro Redentor Crocifisso che da lungo tempo in qua è stata collocata sopra la porta interiore della loro chiesa Parrocchiale di San Gio. Battista e che sempre è stata l’immagine di Patronato della
famiglia
dell’Alfiere Alamanno Incontri di cui detto comparente e erede si è già messo
all’impresa per detta restaurazione, ma conoscendo pur cosa più decorosa e di
maggior culto a detta statua immagina ogni qual volta rimanesse collocata all’Aitar
Maggiore di detta chiesa, et in ciò facendo anche riescirebbe di maggior
ornato di detto Altare; per tal motivo prega le Signorie Vostre Molto
Magnifiche a volerli concedere la permissione di poter collocare sopra detto
Altare a sue proprie spese la detta Santa Immagine, dichiarandosi che con detta
collocazione non intende di turbare punto il diritto che ha sopra detto altare
la loro Comunità, et altresì ancora non intende di aggravare la medesima
Comunità nel mantenimento della detta Immagine alla quale vuol sempre pensare
esso medesimo come a suo proprio Patronato premendoli la detta confermazione
non solo come a riflesso della devozione, come vi à sempre avuta la casa
Incontri che conforme si à della antica et immemorabile tradizione se la porta
dal Castello di Acquaviva sua antica Signoria, ma ancora a riflesso dell’opera
il comparente erede di detta famiglia che della grazia etc. etc
Adi 7 giugno 1734
Partecipata
la detta comparsa ai rappresentanti la Comunità delle Pomarance fu accordato
quanto sopra per voti favorevoli 4 . (1)
Jader Spinelli
1) ARCHÌVIO STORICO COMUNALE DI POMARANCE; F. 17, Lettere e Miscellanee di Atti 1729 – 1734, c.l 67,r. e v.
NOTE BIBLIOGRAFICHE:
Don Socrate Isolani, “L’Abbadia di Monteverdi e la Madonna del Frassine” 1937 – XV Tip. Giovannelli – Castelfiorenfino.
C. F. C. ‘
‘Gli Incontri di Volterra ’’ (Biblioteca Guarnacci Volterra).
DON MARIO BOCCI “Notizie della Comunità Parrocchiale di Pomarance” 1987
L’affresco
di Bastianini a Pomarance e la sua burla alla Biennale di Venezia
Quasi centovent’anni or sono nasceva a Monteguidi, in quel di Casole, Augusto Bastianini.
Apprese le prime lezioni di disegno a
Volterra, sotto la direzione del prof. Giuseppe Bessi. Al disegno aveva
disposizione e vinse borse di studio. A Siena vinse l’alunnato Lazzeretti;
vinse in mostre con i più bei nomi post-macchiaioli nell’ambito dei quali oggi
si raffigura.
Allievo di Niccolò Cannicci, che conobbe a Montemiccioli, fu pure amico degli ultimi macchiaioli: da Fattori a Signorini ai fratelli Gioii. Lavorò anche a Pomarance, dove affrescò la cappella Biondi-Bartolini, e nella figura di una virtù teologale ritrasse le sembianze della signorina Verdiani di Volterra.
Amante del bello, di carattere
riservato, gioiva quando si trovava a contatto con la natura. Veniva spesso a
Montemiccioli, per incontrarsi con Cannicci di cui ne risentì l’influenza.
Fece molti ritratti a grandi personalità e ne fece alcuni anche a Volterra; del resto la stampa del tempo fu entusiasta e la critica lo è tuttavia. Bisogna pur dire che il Cannicci ebbe sempre fiducia in Bastianini. Il 23 giugno 1900 gli scriveva perché andasse a suo nome a tenere una lezione a una sua allieva. Il primo gennaio gli scriveva: “Venga subito a trovarmi perché allo studio non vado per salute”. Cannicci stava male; sentiva di essere vicino alla morte e voleva rivedere il suo allievo, prima di morire. Alla Biennale di Venezia il Bastianini fu invitato la prima volta nel 1903. Nel 1907 mise il mondo artistico a rumore: si presentò a venezia con un quadro eseguito con sincerità di intenti e riuscì a far presentare un altro quadro, a firma di un inglese immaginario, eseguito da lui con i più grandi pasticci della tecnica pittorica; ebbene, questo quadro obbrobrioso fu premiato e ne sortì uno scandalo che fece inalberare i luminari della giuria e i diplomatici interessati.
se con argute vignette contro la commissione composta di nomi di fama internazionale. Intanto il tempo passava e la critica sembrava assopita allorché intervenne un fatto nuovo a scuotere il mondo dell’arte. Il 10 ottobre 1907, quando la mostra volgeva al termine, il prof. Bastianini inviò una lettera a “Il Giornale d’Italia” e il corrispondente si precipitò a telefonare a Roma perché, secondo lui, la notizia era ghiotta. BA Infatti Bastianini, dopo aver premesso di dire che scriveva per dare soddisfazione agli esclusi dalla mostra, cosi si lasciava andare: “Dichiaro di aver presentato al giudizio della commissione due quadri, uno col mio nome, eseguito con serenità d’intendimenti; l’altro firmato S. John Brontsen, eseguito con i più grandi pasticci di tecnica, senza nessuno studio di colore né di forma, allo scopo di fare una caricatura della produzione anormale, patologica di certi artisti che si fanno imitatori delle peggiori qualità di quelli. Risultato: il quadro fatto sul serio fu scartato; l’altro, di soggetto volgare ma firmato Brontsen, fatto con una strana accozzaglia di qualità negative, di dilettantismo, e di plagio, fu accettato alla unanimità”.
Dette la storia il giornale “Sior Tonin Bonagrazia” di Venezia con questo trafiletto: “Per la critica seria, sta esposizion xe un osso ma per nualtri la xe proprio roba da rider… No gavemo un’idea precisa de l’alta scola me ne par vederghene qualche sagio nella sala IV… Se trata in do casi de quele signore in aguato che, avicinae, ne dà un efeto de ciaro-scuro piutosto ciaro”.
“LUIGI ADEMOLLI MILANESE: 1833’’: è
questa la frase che è possibile leggere ai piedi del tavolo dell’ultima Cena
pitturata nella parete di fondo del Coro nella nostra chiesa Parrocchiale.
Una data e firma molto importanti perchè
ci riportano ad un momento storico quanto mai significativo nella
ristrutturazione muraria e decorativa della Parrocchiale. Infatti, costruita
nel XII secolo, in stile romanico, si legge, nei documenti che si conservano
nell’archivio, che la Chiesa si trovava in una situazione fatiscente per cui
ANTON NICOLA TABARRINI, Arciprete di Pomarance dal 1826 al 1843, decise di
iniziare dei grandiosi lavori di restauro con l’ampliamento, in quella occasione,
delle Cappelle laterali dedicate alla Madonna del Buon Consiglio e al Martire
San Vittore.
Per la ristrutturazione muraria il Tabarrini si servì dell’opera dell’architetto Francesco Cinci che fece una dettagliata perizia stimativa, in data 22 Giugno 1831, corrispondente a L. 13.016.
Luigi Ademollo: Via Crucis – Particolare
Una cifra enorme per quei tempi che I’Arciprete
Tabarrini affrontò in buona parte con i suoi mezzi e le sue risorse familiari,
ma pure con l’aiuto della popolazione. In conseguenza di questi lavori si pensò
pure aH’omamento pittorico. A tale scopo fu chiamato il pittore LUIGI ADEMOLLO
(1764-1838) milanese,autore di affreschi in Chiese e palazzi e d’acqueforti di
soggetto storico.
Nell’archivio parrocchiale si conservano ben sette lettere
autografe, spedite dalla città di Firenze daH’Ademollo all’Arciprete tra il 27
Aprile 1832 e il 5 Gennaio 1837. Esse riferiscono che il Cavalier
Giuseppe Del Rosso fu l’intermediario della
proposta di affrescare la Chiesa, nel periodo in cui l’Ademollo dipingeva la
Chiesa di Sant’Ambrogio in Firenze.
La spesa totale delle pitture fu stimata in L. 3000.
Tra queste lettere la più
importante è la sesta, datata 1833,a 9 Maggio-Firenze. È interessante
trascriverla per intero perchè da questa appare come il progetto iniziale sia
stato seguito quasi totalmente, salvo piccoli cambiamenti dovuti anche ai
successivi restauri avvenuti negli anni 1928-1931.
Ecco il testo:
Reverendissimo Signore
O’ piacere che le composizioni inviateli siano di sua
satisfazione e quando vedrà (se Dio ce lo concede) eseguite alla sua grandezza
col stile e metodo da me praticato per tutto, spero che gliene tornerà
maggiore.
Per chiarezza converrà dichiarare le cose da me da
eseguirsi.
Primo dipingerò a vero buon fresco tre quadri nel Coro da
destinarsi; la Volta del medesimo con ornato e soggetto in figure.
Secondo dipingerò la Volta della Navata di Mezo con lo
sfondo e sia quadro grande del Ascenzione del Signore; due gran tondi in basso
rilievo che uno S. Tommaso convinto dal Signore di sua verace Resurrezione,
l’altro la Venuta dello Spirito Santo. Questo tondo fa come il Fine dei
Soggetti Rapresentati.
Terzo dipingerò nelle Due Cappelle laterali nelle facciate laterali due quadri a buon fresco a Volta ornata con sfondo di figure, cioè NELLA CAPPELLA DELLA SANTISSIMA VERGINE DEL BUONCONSIGLIO:
1. Adorazione dè Magi, 2. Gesù trovato nel Tempio.Sfondo o
quadro nella Volta la Presentazione al Tempio fra le braccia del vecchio
Simeone.
NELLA CAPPELLA DOVE TENGONO IL CORPO DEL S(ANTO) MARTIRE, da un lato 1. La Multiplicazione dè Pani, 2. Resurezione(del Figlio) della Vedova di Nairn. Sofondo il Centurione à piedi di Cristo. La Cupolina di mezo divisa in quattro parti con quattro soggetti in bassorilievo cioè finta scultura.
E siccome mi parto dal Coro dove dipingo Fatti della Passione di Cristo e nella Volta del medesimo la Resurrezione, Co
sì seguendo l’ordine dei fatti nei quattro quadri della
Cupola, faccio
1. le Donne al Sepolcro, la visione del Angiolo che le
Annunzia la resurrezione del Signore, 2. la Madelena col Noli me tangere, 3. i
Discepoli in Emaus, 4. i giudei che ofrono denari alle guardie fugitive
perchè nascondino il visto da loro.
SI VIENE DALLA DETTA CUPOLA E SI TROVA NELLA VOLTA DI MEZO
il S. Tommaso convinto;segue il gran quadro della
Ascenzione al cielo; finisce la volta con la Venuta dello spirito Santo. E
così si procede con ordine.
LE PICCOLE NAVATE avranno nella volta Un’Ordinata elegante
e semplice.Nei tramezzi locali che sono fra le cappelle Nichie coi SS. Apostoli
ed Evangelisti perchè nel fondo in faccia si farà S. Pietro e S. Paolo.
Occorreranno delle Ornative attorno i Quadri d’Altare.
Lei dia un picolo, ma picol prezzo ai pezzi sopraindicati
e troverà quanto mai sia picolo ciò che le ò proposto per riconoscimento del
nostro lavoro.
Il restauratore Gianni Trapani al lavoro
LEI propone di ripulire Quadri, farne due nella cappella
del Santissimo e Via Crucis, e tinteggiare la Canonica.
Tutto quello che le posso dire si è che mai si dato che io
abbia auto litigii per mercede del lavoro; e poero io non guarderò a fatica, a
V(ostra) S(ignoria) Reverendissima non guarderà a qual riconoscimento.
Circa la Canonica sicome si tratta d’affare assai comune
di poche lire se la intenderà coi miei aiuti.
QUANTO A VIA CRUCIS non so se intenda farne una nuova, o
ritoccare la vecchia: Se intende farla Nuova io lo farei assai più grande per
rendere visibile le pene del Salvatore.
La vista d’una bene espressa Stazione serve a molti di meditazione;
così pensava Monsignor Albergotti a cui ne ò dipinte due Grandi, una per la
Cattredale di Arezzo, l’altra per la principal Chiesa di Castiglion Fiorentino.
Dunque Quattordici Quadri non sono cosa così corsiva da
incorporarla nelle Tremine Lire; ma non tema, perchè con me non vi è
questione, sapendo che se viene un riconoscimento, lo gradirò,ma non pretendo.
Posso dire con tutta verità eh e, nei tempi andati, avrei
appena fatto salotto per simile somma;ma il Mondo è cambiato; e poi si lavora
per la Chiesa, e così voglio sperare qualche cosa dalla Misericordia di Dio.
Le bacio la sacra mano e sono con profondo rispetto
Di V. (ostra) S. (signoria) Reverendissima Servo Umilissimo
Luigi Ademolli
L’Ademollo in questo grandioso lavoro fu coadiuvato dal figlio Giovanni con molti ornatisti. Per visitare interamente la Chiesa nella sua attuale programmazione occorre iniziare da
sopra il portone, girando in senso orario.Si possono
vedere opere monocrome cioè con un solo colore e policrome cioè con più
colori.
Queste pitture, come del resto tutta la chiesa, hanno
bisogno di un restauro e di totale ripulitura dovuta al tempo che deteriora
ogni cosa.
Ecco perchè lo scorso anno, in occasione della festa di
San Vittore,fu annunciato l’inizio dei lavori partendo proprio dal Coro per
continuare poi nelle altre parti della Chiesa.
Nel coro sono state restaurate le due raffigurazioni monocrome e precisamnete “Gesù nell’orto di Getsemani’’ e l’“Ecce Homo’’ e le quattro grandi raffigurazioni policrome e cioè “L’entrata di Gesù in Gerusalemme”, (che purtroppo è stata deteriorata dal successivo rifacimento da parte dell’Anichini), “L’Ultima Cena”, “La Salita al Calvario”, e la “Resurrezione”. Queste pitture sono state restaurate dal Signor Fausto Giannitrapani e dal figlio Luca, con la collaborazione delle decoratrici Mara e Paola.
Le operazioni di restauro eseguite sono state:
pulitura del colore
fissaggio del colore e
dell’intonaco
stuccatura delle parti
mancanti
integrazione pittorica
Pure i 14 quadri della Via Crucis,sempre opera
deH’Ademollo, avevano urgente necessità di un restauro che è stato eseguito
dal Sig. Antonio Guarino. Un restauro che ha preso tutti di sorpresa perchè
nessuno si immaginava cosa si nascondesse sotto la patina di sporco.
Questi lavori sono stati realizzati sotto la Direzione
della Soprintendenza di Pisa e naturalmente con la generosa collaborazione dei
Parrocchiani che hanno sentito il problema del recupero e della conservazione
dei beni artistici e religiosi che si conservano nella chiesa.
In quest’opera non possiamo tacere il notevole contributo
ricevuto dalla Cassa di Risparmio di Volterra che ha stanziato la somma di 25
milioni.
L’Ademollo, che aveva una grande facilità pittorica, nelle
sue opere si è sempre ispirato a soggetti classici. Quello che colpisce sono i
suoi numerosi personaggi che riusciva a mettere insieme e che,appunto,sono
venuti fuori a seguito della pulitura.
Un particolare da mettere in risalto è la grande
espressività del volto sofferente del Cristo mentre porta la Croce.
Il restauro iniziato ha bisogno di essere continuato perchè
sarebbe un vero peccato perdere delle opere d’arte che custodiamo e che i
nostri antenati ci hanno lasciato.
Continuare per conservare e
migliorare, per poter con gioia e anche, con un pò di orgoglio, ammirare e far
ammirare ai visitatori la nostra bella Chiesa Parrocchiale .
Don Piero Burlacchini
Articolo tratto da “La Comunità di Pomarance”.
La Storia Continua
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